25 agosto 2007

Gli effetti "benefici" del crack finanziario


«Il bilancio militare di Israele è stato tagliato, in un solo colpo e improvvisamente, di un impressionante 10 per cento. La ragione: Washington ha comunicato a Gerusalemme che non avrebbe proceduto alla solita e attesa infusione di aiuti militari, perché lo zio Sam non ha soldi».
Così rende noto la rivista giudaica Forward, in una analisi dal titolo significativo: «I mutui e la questione ebraica» (15 agosto 2007).
E’ dunque lo stesso Forward a collegare una improvvisa crisi dell’onnipotenza bellica israeliana al crach tipo 1929 innescato dalla crisi dei mutui «subprime».
«C’è un piccolo angolo del mondo che è terrificato dalla debolezza dell’America», scrive testualmente.
La questione ha un lato ironico.
La «crisi dei mutui» e la conseguente «mancanza di liquidità» non indica solo il crepuscolo del sistema finanziario USA: prelude al naufragio dell’ultimo esperimento sociale imposto al mondo da uno speciale gruppo umano.
Come non si stanca di rilevare il candidato repubblicano Ron Paul, i neoconservatori ebraico-americani sono di formazione trozkisti: ossia tra gli artefici del grande e sanguinoso esperimento sociale che consistette nell’imporre l’ideologia «scientifica» del marxismo nel modo più dogmaticamente puro, senza scendere a compromessi con la realtà, e senza alcuna pietà per il suo costo umano.
La dottrina prima di tutto.
Fallito l’esperimento in ragione della sua stessa purezza di applicazione (l’essenza del marxismo «nemica dell’esistenza»: più rigorosamente viene applicata, più strangola la realtà sottostante), i trotzkisti hanno cambiato cavallo ideologico, ma con lo stesso furore dogmatico.
La nota lobby ha approfittato del temporaneo status di «unica superpotenza rimasta» degli Stati Uniti per imporre l’ideologia del liberismo «americano» con la stessa purezza ideologica: l’ideologia del «mercato» e del profitto allo stato chimicamente puro, ossia senza alcuna infusione di socialità pubblica né di solidarietà collettiva.

Lo riconosce a malincuore la stessa rivista Forward.
L’economia di purissimo mercato finanziario, ammette, non è un fatto naturale.
E’ stato reso possibile «in parte dalla deregulation del sistema bancario e finanziario, in parte dalle riforme fiscali» (gli enormi tagli alle tasse sulla ricchezza finanziaria) ad aver instaurato, con il declino «dell’economia basata sull’industria» in USA e in tutto l’Occidente, il nuovo sistema: consistente «nella impressionante crescita di servizi finanziari, ossia di prestare e indebitarsi per profitto, ormai la parte maggiore della nostra economia».
Ciò è visibile «nella incessante pubblicità che ci invita a indebitarci: con l’offerta di nuove carte di credito, di sempre più facili mutui, di rifinanziare i nostri debiti personali per riprendere a consumare. Le istituzioni finanziarie, sotto pressione continua a crescere, hanno continuamente abbassato le condizioni per il credito al consumo».
Fra le offerte, Forward cita la più rovinosa, non certo ignota ai debitori italiani: i mutui a tasso variabile.
«Presentati inizialmente come convenienti, basati sul denaro prestato a basso costo, essi promettevano futuri aumenti, un giorno o l’altro, in futuro. Quel giorno è arrivato».
Come il marxismo «scientifico», anche la teoria del monetarismo «scientifico» e senza compromessi ha una falla logica.
Come i trozkisti hanno sempre ignorato che l’esproprio della proprietà privata, la statalizzazione totale dei mezzi di produzione, tagliava alla radice la capacità e volontà di produrre così i monetaristi (a cominciare dal Nobel ed ebreo Milton Friedman, della Chicago School) hanno sempre ignorato il peso che il debito accumulava sull’economia reale.
Per i dottrinari, la quantità di debito è irrilevante, fintanto che il costo dell’indebitamento (tassi d’interesse) è basso.
Così, hanno creduto che non solo gli individui, ma la «sola superpotenza rimasta» potesse continuare a dominare il mondo producendo sempre meno e indebitandosi sempre più. Demandando alla Cina la fabbricazione di merci, e prendendo in prestito dalla Cina o soldi per comprare le merci cinesi.

Naturalmente il dogma sottovalutava l’effetto cumulativo degli interessi, basti dire questo: in USA, nel 1950, un dollaro di debito innescava 4 dollari di attività economica.
Nel 2000, un dollaro preso a prestito rendeva solo 20 centesimi.
Nel 2005, solo 10 centesimi.
Oggi, praticamente, più nulla, secondo i dati forniti da Paul Kasriel, direttore delle ricerche economiche della Northern Trust.
Gli interessi cumulati si mangiano il profitto, e anche lo slancio produttivo occidentale.
Come nel caso del comunismo, l’esperimento sociale del monetarismo globale sta fallendo, con seguito di miserie e sofferenze.
«In tutto il paese la famiglie scoprono che i loro mutui si gonfiano come palloni mentre i loro redditi declinano, dato che le fabbriche sono fuggite, e non possono più pagare. Le istituzioni di prestito si trovano così a corto di liquido, e non possono pagare i loro investitori. I fondi d’investimento basati sull’acquisto di debito (che prometteva grandi profitti, se i debitori pagavano) stanno cadendo nel vuoto. L’industria immobiliare, massimo motore della crescita USA, sta perdendo quota. L’economia rallenta. Il dollaro perciò si deprezza sui mercati mondiali. E così gli americani, i consumatori e lo Zio Sam stesso, possono comprare meno di prima».
«Ma il peggio, la bomba, è che i fondi esteri che hanno investito nel credito americano, specialmente nei mutui, stanno crollando. Due grandi banche tedesche hanno chiuso gli scambi a luglio per prevenire vendite da panico. Una delle maggiori banche francesi ha chiuso tre dei suoi fondi per lo stesso motivo. La banca centrale europea perciò ha iniettato 130 miliardi di dollari per sostenere le banche rimaste senza liquido, perché i loro investimenti americani n on rendono più nulla».
«Di conseguenza, gli investitori stranieri si liberano dei dollari. Ciò deprezza ulteriormente il dollaro. E soprattutto, aumenta il prezzo che il nostro governo - che ha preferito indebitarsi anziché tassare - deve pagare per fornirsi di denaro per le sue spese».

A cominciare dalle spese belliche: gli USA sono trasformati, per volontà degli ideologici trotzkisti neocon, da «welfare state» in «warfare state», lo stato della guerra permanente, della rivoluzione permanente per diffondere la «democrazia».
Tra queste spese belliche primeggiano gli «aiuti», almeno 3 miliardi di dollari l’anno, per il bellicismo insaziabile israeliano.
Ora, mancano i soldi persino per Giuda e il suo «regno» del terrore e della minaccia.
Finalmente un effetto collaterale benefico della grande crisi incombente.
E alquanto ironico.

Maurizio Blondet

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25 agosto 2007

Gli effetti "benefici" del crack finanziario


«Il bilancio militare di Israele è stato tagliato, in un solo colpo e improvvisamente, di un impressionante 10 per cento. La ragione: Washington ha comunicato a Gerusalemme che non avrebbe proceduto alla solita e attesa infusione di aiuti militari, perché lo zio Sam non ha soldi».
Così rende noto la rivista giudaica Forward, in una analisi dal titolo significativo: «I mutui e la questione ebraica» (15 agosto 2007).
E’ dunque lo stesso Forward a collegare una improvvisa crisi dell’onnipotenza bellica israeliana al crach tipo 1929 innescato dalla crisi dei mutui «subprime».
«C’è un piccolo angolo del mondo che è terrificato dalla debolezza dell’America», scrive testualmente.
La questione ha un lato ironico.
La «crisi dei mutui» e la conseguente «mancanza di liquidità» non indica solo il crepuscolo del sistema finanziario USA: prelude al naufragio dell’ultimo esperimento sociale imposto al mondo da uno speciale gruppo umano.
Come non si stanca di rilevare il candidato repubblicano Ron Paul, i neoconservatori ebraico-americani sono di formazione trozkisti: ossia tra gli artefici del grande e sanguinoso esperimento sociale che consistette nell’imporre l’ideologia «scientifica» del marxismo nel modo più dogmaticamente puro, senza scendere a compromessi con la realtà, e senza alcuna pietà per il suo costo umano.
La dottrina prima di tutto.
Fallito l’esperimento in ragione della sua stessa purezza di applicazione (l’essenza del marxismo «nemica dell’esistenza»: più rigorosamente viene applicata, più strangola la realtà sottostante), i trotzkisti hanno cambiato cavallo ideologico, ma con lo stesso furore dogmatico.
La nota lobby ha approfittato del temporaneo status di «unica superpotenza rimasta» degli Stati Uniti per imporre l’ideologia del liberismo «americano» con la stessa purezza ideologica: l’ideologia del «mercato» e del profitto allo stato chimicamente puro, ossia senza alcuna infusione di socialità pubblica né di solidarietà collettiva.

Lo riconosce a malincuore la stessa rivista Forward.
L’economia di purissimo mercato finanziario, ammette, non è un fatto naturale.
E’ stato reso possibile «in parte dalla deregulation del sistema bancario e finanziario, in parte dalle riforme fiscali» (gli enormi tagli alle tasse sulla ricchezza finanziaria) ad aver instaurato, con il declino «dell’economia basata sull’industria» in USA e in tutto l’Occidente, il nuovo sistema: consistente «nella impressionante crescita di servizi finanziari, ossia di prestare e indebitarsi per profitto, ormai la parte maggiore della nostra economia».
Ciò è visibile «nella incessante pubblicità che ci invita a indebitarci: con l’offerta di nuove carte di credito, di sempre più facili mutui, di rifinanziare i nostri debiti personali per riprendere a consumare. Le istituzioni finanziarie, sotto pressione continua a crescere, hanno continuamente abbassato le condizioni per il credito al consumo».
Fra le offerte, Forward cita la più rovinosa, non certo ignota ai debitori italiani: i mutui a tasso variabile.
«Presentati inizialmente come convenienti, basati sul denaro prestato a basso costo, essi promettevano futuri aumenti, un giorno o l’altro, in futuro. Quel giorno è arrivato».
Come il marxismo «scientifico», anche la teoria del monetarismo «scientifico» e senza compromessi ha una falla logica.
Come i trozkisti hanno sempre ignorato che l’esproprio della proprietà privata, la statalizzazione totale dei mezzi di produzione, tagliava alla radice la capacità e volontà di produrre così i monetaristi (a cominciare dal Nobel ed ebreo Milton Friedman, della Chicago School) hanno sempre ignorato il peso che il debito accumulava sull’economia reale.
Per i dottrinari, la quantità di debito è irrilevante, fintanto che il costo dell’indebitamento (tassi d’interesse) è basso.
Così, hanno creduto che non solo gli individui, ma la «sola superpotenza rimasta» potesse continuare a dominare il mondo producendo sempre meno e indebitandosi sempre più. Demandando alla Cina la fabbricazione di merci, e prendendo in prestito dalla Cina o soldi per comprare le merci cinesi.

Naturalmente il dogma sottovalutava l’effetto cumulativo degli interessi, basti dire questo: in USA, nel 1950, un dollaro di debito innescava 4 dollari di attività economica.
Nel 2000, un dollaro preso a prestito rendeva solo 20 centesimi.
Nel 2005, solo 10 centesimi.
Oggi, praticamente, più nulla, secondo i dati forniti da Paul Kasriel, direttore delle ricerche economiche della Northern Trust.
Gli interessi cumulati si mangiano il profitto, e anche lo slancio produttivo occidentale.
Come nel caso del comunismo, l’esperimento sociale del monetarismo globale sta fallendo, con seguito di miserie e sofferenze.
«In tutto il paese la famiglie scoprono che i loro mutui si gonfiano come palloni mentre i loro redditi declinano, dato che le fabbriche sono fuggite, e non possono più pagare. Le istituzioni di prestito si trovano così a corto di liquido, e non possono pagare i loro investitori. I fondi d’investimento basati sull’acquisto di debito (che prometteva grandi profitti, se i debitori pagavano) stanno cadendo nel vuoto. L’industria immobiliare, massimo motore della crescita USA, sta perdendo quota. L’economia rallenta. Il dollaro perciò si deprezza sui mercati mondiali. E così gli americani, i consumatori e lo Zio Sam stesso, possono comprare meno di prima».
«Ma il peggio, la bomba, è che i fondi esteri che hanno investito nel credito americano, specialmente nei mutui, stanno crollando. Due grandi banche tedesche hanno chiuso gli scambi a luglio per prevenire vendite da panico. Una delle maggiori banche francesi ha chiuso tre dei suoi fondi per lo stesso motivo. La banca centrale europea perciò ha iniettato 130 miliardi di dollari per sostenere le banche rimaste senza liquido, perché i loro investimenti americani n on rendono più nulla».
«Di conseguenza, gli investitori stranieri si liberano dei dollari. Ciò deprezza ulteriormente il dollaro. E soprattutto, aumenta il prezzo che il nostro governo - che ha preferito indebitarsi anziché tassare - deve pagare per fornirsi di denaro per le sue spese».

A cominciare dalle spese belliche: gli USA sono trasformati, per volontà degli ideologici trotzkisti neocon, da «welfare state» in «warfare state», lo stato della guerra permanente, della rivoluzione permanente per diffondere la «democrazia».
Tra queste spese belliche primeggiano gli «aiuti», almeno 3 miliardi di dollari l’anno, per il bellicismo insaziabile israeliano.
Ora, mancano i soldi persino per Giuda e il suo «regno» del terrore e della minaccia.
Finalmente un effetto collaterale benefico della grande crisi incombente.
E alquanto ironico.

Maurizio Blondet

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