31 dicembre 2008
Democrazia senza senso
La democrazia rappresentativa è in una crisi che alcuni paragonano a quella della
fine degli anni Venti. Rispetto ad allora, più che della credibilità del parlamentarismo, si dubita della rappresentabilità del popolo.
Cosiddetta governance e ascesa del populismo ci fanno interrogare sul senso di una parola sempre usata con sempre meno rigore: democrazia.
Sono ormai rari gli uomini di sinistra che, come Karl Marx, colgano nella
democrazia la trovata della borghesia per disarmare e ammansire il proletariato; e
sono ormai rari gli uomini di destra che - come i controrivoluzionari – vedano
nella democrazia la “legge del numero” e il “regno degli incompetenti” (ma senza
suggerire come sostituirla). Salvo eccezioni, a scontrarsi non sono più fautori e
avversari della democrazia, ma fautori che la pensano diversamente.
La democrazia non mira alla verità. E’ solo il regime che pone la legittimità
politica nel potere sovrano del popolo. Ciò ne implica uno. In senso politico un
popolo si definisce come una comunità di cittadini dotati politicamente delle
stesse capacità e legati da una regola comune all’interno di uno spazio pubblico.
Fondata sul popolo, la democrazia è anche il regime che fa partecipare ogni
cittadino alla vita pubblica, perché tutti possano occuparsi degli affari comuni. Di
più: essa non proclama solo la sovranità del popolo, ma vuol mettere il popolo al
potere, permettergli d’esercitarlo.
L’homo democraticus non è un individuo, ma un cittadino. La democrazia greca
fu subito democrazia di cittadini, cioè democrazia comunitaria, non società
d’individui, cioè di singoli. Individualismo e democrazia sono, da questo punto di
vista, in origine incompatibili. La democrazia esige uno spazio pubblico di
deliberazione e decisione, che è anche d’educazione comunitaria per l’uomo,
considerato naturalmente politico e sociale. Quando si dice che la democrazia
permette ai più di partecipare agli affari pubblici, va ricordato che, in ogni
società, i più includono una maggioranza d’individui delle classi popolari. Una
politica davvero democratica va considerata, se non quella che privilegia gli
interessi dei più poveri, un “correttivo al potere del denaro” (Costanzo Preve).
Ma più la democrazia viene imposta, più viene snaturata, tant’è vero che il
“popolo sovrano” per primo se n’allontana. In Francia, l’astensione e il votosanzione
sono mezzi per esprimere l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia. Dopo di che, il voto protestatario ha ceduto il posto al voto di disturbo, per bloccare il sistema. Il politologo Dominique Reynié la chiama “dissidenza elettorale”, vasto schieramento di scontenti e delusi. Alle presidenziali francesi del 2002, la dissidenza riuniva già il 51 per cento degli iscritti al voto, contro il 19,4 per cento nel 1974; essa ha raggiunto il 55,8 per cento alle legislative seguenti. Nelle presidenziali del 2007, la partecipazione è molto risalita, poi è crollata ancora. Alla dissidenza elettorale aderiscono soprattutto le classi popolari, dunque inesistenza civica e invisibilità elettorale sono tipiche degli ambienti ai quali la democrazia aveva dato il diritto “sovrano” di parlare. Sempre in Francia la convergenza al centro dei programmi dei maggiori partiti politici ha avuto per conseguenza ieri l’ascesa del nazionalpopulismo (fenomeno Le Pen), oggi il ritorno d’influenza dell’estrema sinistra antagonista. Mentre in Italia l’estrema sinistra antagonista è finita fuori dal Parlamento .
Ovunque s’assiste - simultaneamente e da anni, ma stavolta a partire dall’alto -
allo snaturamento della democrazia, di cui la Nuova Classe politico-mediatica,
per salvare i suoi privilegi, intende restringere al massino la portata. Jacques
Rancière ha parlato di “nuovo odio della democrazia”, riassumibilr così: “La sola
democrazia buona è quella che frena la catastrofe della civilità democratica”. Idea
dominante: non abusare della democrazia, salvo uscire dallo stato di cose presente.
Si snatura la democrazia facendo dimenticare che essa è una forma di regime politico, prima che una forma di società. Si snatura la democrazia presentando come intrinsecamente democratici tratti di società - come la ricerca d’una crescita illimitata di beni e merci - inerenti invece alla logica dell’economia capitalista:
“democratizzare” significherebbe produrre e vendere a ceti sempre più larghi
prodotti dal forte valore aggiunto. Si snatura la democrazia favorendo condizioni
per il caos istituzionalizzato, reso sacro come solo ordine possibile, come esito di
una necessità storica davanti alla quale ognuno, per “realismo” (“ Il buon senso
delle canaglie”, lo chiamava Bernanos), dovrebbe piegarsi… L’ideale della
governance, il modo di rendere non democratica la società democratica senza
affrontare la democrazia: senza sopprimerla formalmente, si lavora a un sistema
di governo senza popolo. Se del caso, contro.
Praticata ormai a ogni livello, la governance vuol dire subordinare la politica
all’economia, grazie alla “società civile” trasformata in puro mercato. Per dirla
con Guy Hermet, essa sembra “il modo d’arginare la sovranità popolare”. Privata
di contenuto, la democrazia diviene democrazia di mercato, spoliticizzata,
neutralizzata, affidata agli esperti, sottratta ai cittadini. La governance aspira a
una società mondiale unica, votata all’eternità – perché anche la temporalità
viene reificata. Spoliticizzare, neutralizzare la politica, significa che le poste in
gioco sarebbero in luoghi che non sono luoghi, eliminando ogni ostacolo al l’ambizione di non aver limiti della forma-capitale. Per Jean Baudrillard, “la
grande trovata del capitale è aver reso tutto feudo dell’economia”, subordinando
al capitalismo liberale tutta la società.
Questa non è una nuova teoria cospirazionista sui “padroni del mondo”. La
governance è solo conseguenza di un’evoluzione sistemica delle società che è in
corso da decenni. Criticare la governance non significa considerare il popolo
come se, “buono per natura”, venisse poi alienato e corrotto dai cattivi. Il popolo
non è senza difetti. Con Machiavelli e Spinoza si può però pensare che fondamentalmente i difetti del volgare non si distinguano da quelli dei principi –
e nella storia sono state soprattutto le élite a tradire. Come scrisse Simone Weil,
“il vero spirito del 1789 non è pensare che una cosa sia giusta perche voluta dal
popolo, ma pensare che talora la volontà del popolo, più che un’altra, sia conforme al giusto”.
Della Repubblica di Weimar si diceva che fosse una democrazia senza
democratici. Oggi siamo in società oligarchiche, senza democrazia, dove tutti si
dicono democratici.
di Alain de Benoist
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
31 dicembre 2008
Democrazia senza senso
La democrazia rappresentativa è in una crisi che alcuni paragonano a quella della
fine degli anni Venti. Rispetto ad allora, più che della credibilità del parlamentarismo, si dubita della rappresentabilità del popolo.
Cosiddetta governance e ascesa del populismo ci fanno interrogare sul senso di una parola sempre usata con sempre meno rigore: democrazia.
Sono ormai rari gli uomini di sinistra che, come Karl Marx, colgano nella
democrazia la trovata della borghesia per disarmare e ammansire il proletariato; e
sono ormai rari gli uomini di destra che - come i controrivoluzionari – vedano
nella democrazia la “legge del numero” e il “regno degli incompetenti” (ma senza
suggerire come sostituirla). Salvo eccezioni, a scontrarsi non sono più fautori e
avversari della democrazia, ma fautori che la pensano diversamente.
La democrazia non mira alla verità. E’ solo il regime che pone la legittimità
politica nel potere sovrano del popolo. Ciò ne implica uno. In senso politico un
popolo si definisce come una comunità di cittadini dotati politicamente delle
stesse capacità e legati da una regola comune all’interno di uno spazio pubblico.
Fondata sul popolo, la democrazia è anche il regime che fa partecipare ogni
cittadino alla vita pubblica, perché tutti possano occuparsi degli affari comuni. Di
più: essa non proclama solo la sovranità del popolo, ma vuol mettere il popolo al
potere, permettergli d’esercitarlo.
L’homo democraticus non è un individuo, ma un cittadino. La democrazia greca
fu subito democrazia di cittadini, cioè democrazia comunitaria, non società
d’individui, cioè di singoli. Individualismo e democrazia sono, da questo punto di
vista, in origine incompatibili. La democrazia esige uno spazio pubblico di
deliberazione e decisione, che è anche d’educazione comunitaria per l’uomo,
considerato naturalmente politico e sociale. Quando si dice che la democrazia
permette ai più di partecipare agli affari pubblici, va ricordato che, in ogni
società, i più includono una maggioranza d’individui delle classi popolari. Una
politica davvero democratica va considerata, se non quella che privilegia gli
interessi dei più poveri, un “correttivo al potere del denaro” (Costanzo Preve).
Ma più la democrazia viene imposta, più viene snaturata, tant’è vero che il
“popolo sovrano” per primo se n’allontana. In Francia, l’astensione e il votosanzione
sono mezzi per esprimere l’insoddisfazione sul funzionamento della democrazia. Dopo di che, il voto protestatario ha ceduto il posto al voto di disturbo, per bloccare il sistema. Il politologo Dominique Reynié la chiama “dissidenza elettorale”, vasto schieramento di scontenti e delusi. Alle presidenziali francesi del 2002, la dissidenza riuniva già il 51 per cento degli iscritti al voto, contro il 19,4 per cento nel 1974; essa ha raggiunto il 55,8 per cento alle legislative seguenti. Nelle presidenziali del 2007, la partecipazione è molto risalita, poi è crollata ancora. Alla dissidenza elettorale aderiscono soprattutto le classi popolari, dunque inesistenza civica e invisibilità elettorale sono tipiche degli ambienti ai quali la democrazia aveva dato il diritto “sovrano” di parlare. Sempre in Francia la convergenza al centro dei programmi dei maggiori partiti politici ha avuto per conseguenza ieri l’ascesa del nazionalpopulismo (fenomeno Le Pen), oggi il ritorno d’influenza dell’estrema sinistra antagonista. Mentre in Italia l’estrema sinistra antagonista è finita fuori dal Parlamento .
Ovunque s’assiste - simultaneamente e da anni, ma stavolta a partire dall’alto -
allo snaturamento della democrazia, di cui la Nuova Classe politico-mediatica,
per salvare i suoi privilegi, intende restringere al massino la portata. Jacques
Rancière ha parlato di “nuovo odio della democrazia”, riassumibilr così: “La sola
democrazia buona è quella che frena la catastrofe della civilità democratica”. Idea
dominante: non abusare della democrazia, salvo uscire dallo stato di cose presente.
Si snatura la democrazia facendo dimenticare che essa è una forma di regime politico, prima che una forma di società. Si snatura la democrazia presentando come intrinsecamente democratici tratti di società - come la ricerca d’una crescita illimitata di beni e merci - inerenti invece alla logica dell’economia capitalista:
“democratizzare” significherebbe produrre e vendere a ceti sempre più larghi
prodotti dal forte valore aggiunto. Si snatura la democrazia favorendo condizioni
per il caos istituzionalizzato, reso sacro come solo ordine possibile, come esito di
una necessità storica davanti alla quale ognuno, per “realismo” (“ Il buon senso
delle canaglie”, lo chiamava Bernanos), dovrebbe piegarsi… L’ideale della
governance, il modo di rendere non democratica la società democratica senza
affrontare la democrazia: senza sopprimerla formalmente, si lavora a un sistema
di governo senza popolo. Se del caso, contro.
Praticata ormai a ogni livello, la governance vuol dire subordinare la politica
all’economia, grazie alla “società civile” trasformata in puro mercato. Per dirla
con Guy Hermet, essa sembra “il modo d’arginare la sovranità popolare”. Privata
di contenuto, la democrazia diviene democrazia di mercato, spoliticizzata,
neutralizzata, affidata agli esperti, sottratta ai cittadini. La governance aspira a
una società mondiale unica, votata all’eternità – perché anche la temporalità
viene reificata. Spoliticizzare, neutralizzare la politica, significa che le poste in
gioco sarebbero in luoghi che non sono luoghi, eliminando ogni ostacolo al l’ambizione di non aver limiti della forma-capitale. Per Jean Baudrillard, “la
grande trovata del capitale è aver reso tutto feudo dell’economia”, subordinando
al capitalismo liberale tutta la società.
Questa non è una nuova teoria cospirazionista sui “padroni del mondo”. La
governance è solo conseguenza di un’evoluzione sistemica delle società che è in
corso da decenni. Criticare la governance non significa considerare il popolo
come se, “buono per natura”, venisse poi alienato e corrotto dai cattivi. Il popolo
non è senza difetti. Con Machiavelli e Spinoza si può però pensare che fondamentalmente i difetti del volgare non si distinguano da quelli dei principi –
e nella storia sono state soprattutto le élite a tradire. Come scrisse Simone Weil,
“il vero spirito del 1789 non è pensare che una cosa sia giusta perche voluta dal
popolo, ma pensare che talora la volontà del popolo, più che un’altra, sia conforme al giusto”.
Della Repubblica di Weimar si diceva che fosse una democrazia senza
democratici. Oggi siamo in società oligarchiche, senza democrazia, dove tutti si
dicono democratici.
di Alain de Benoist
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento