22 gennaio 2009

Menti consumati dall’odio

tsahal_550
L’organizzazione ebraica «Breaking the silence» (Rompere il silenzio) ha diffuso un opuscolo di cento pagine che contiene interviste a decine di soldati di Tsahal impiegati ad Hebron, la città palestinese di Gaza dove però fra 80 mila palestinesi pretendono di abitare 700 coloni ebraici, che i soldati difendono.

L’agenzia ebraica Ynet.news ha ripreso quattro di queste interviste (1).

Le mani tagliate col filo di ferro

Soldato: «C’era uno matto davvero nella mia unità, gli piaceva torturare. Una volta ha provocato l’amputazione delle mani di un uomo».

Intervistatore: «Cosa è successo?».

Soldato: «Insomma, c’era quell’arabo... il soldato gli ruba una scatola di tabacco. L’arabo si mette a gridare: ‘Ladri, ladri, vi ho visto’. Si avvicina al soldato, e noi lo spingiamo per allontanarlo. Non sapevamo del furto. ‘Il soldato comincia a pestarlo, e tutti noi anche... finisce che l’arabo è stato pestato parecchio. ‘Poi il soldato ha preso un filo di ferro - era molto incazzato - ha afferrato l’arabo e ha cominciato a stringerlielo attorno...».

Intervistatore: «alle mani?».

Soldato: «Già.... gliel’ha stretto molto forte. Te lo giuro, abbiamo cercato di fermarlo. ‘No, non lo lascio andare. Ha alzato le mani contro di me, lo punisco’. E dài a girare, dài a stringere… dopo, quando abbiamo cercato di liberarlo, non ci siamo riusciti, gli aveva fatto proprio un canale nella mano. Era blu. E il tipo gridava: ‘Non sento più la mano’. Abbiamo anche tentato di scavare (tra la carne e il filo metallico) con un coltello, ma non siamo riusciti… Gli abbiamo detto di andare all’ospedale. Niente da fare, non riuscivamo a tagliare il filo. Gli hanno amputato la mano».

Ladri

Soldato: «Abbiamo fatto un bel po’ di ruberie….Una volta siamo entrati in una casa di Hebron, gente ricca. Abbiamo trovato in una scrivania una quantità di dollari. Pazzesco. Il capitano dice ai due secondi in grado dell’unità: bene, ci dividiamo questi soldi. Se li sono spartiti. Ne hanno lasciato un po’, e a me hanno detto: «Se parli, torniamo e ti sgozziamo».

Intervistatore: «Era consueto, il furto?».

Soldato: «Un po’ di saccheggio era normale... Backgammon (sic), sigarette, tutto... Quello che ci piaceva lo prendevamo. Altri ragazzi prendevano regali per le loro ragazze dalle botteghe».

Pestaggi

Soldato: «Eravamo di pattuglia, e vediamo un tipo in un taxi che sembrava nascondere qualcosa. Fermiamo la macchina... C’era appena stato un incidente, un soldato accoltellato o qualcosa del genere».
«Troviamo un coltello... Chiediamo al tizio: «Perchè il coltello?», e lui dice: «E’ per mia madre, per tagliare la verdura». Noi diciamo: «Cosa sei, un idiota? Scherzi? Stai mentendo?». Ci ha fatto proprio incazzare. Lo abbiamo afferrato e l’abbiamo colpito, non in faccia, nelle costole».

«Il resto della pattuglia vede il pestaggio, e ci salta dentro... Tutti a picchiarlo, a picchiarlo di brutto, sul serio. Con bastoni sulla testa. E uno poi comincia a strangolarlo, con le due mani. Aveva 17 o 18 anni e comincia a gridare “Mama, Baba”. Quello continua a strangolarlo, stava diventando blu e perdeva coscienza. Di colpo gli altri ragazzi si rendono conto di quel che succede e cominciano a tirare indietro il soldato. Ma lui non voleva lasciare la presa. Non lasciava, e urlava: «Ci volevi ammazzare, vuoi ammazzarci, volevi pugnalarmi eh? Figlio di puttana, pugnalarmi volevi».
«Era come matto, lo abbiamo tirato indietro per le gambe e la vita. Tutto il suo corpo era sollevato, e noi tiravamo... ma
(il soldato) s’era attaccato all’uomo come un pitbull. Finalmente l’abbiamo staccato».

Soffocamenti

Soldato: «Facevamo ogni genere di esperimento per vedere chi faceva la più bella spaccata a Abu Sneina. Li mettevamo faccia al muro, come per perquisirli, e ordinavamo loro di allargare le gambe. Allarga! Allarga! Allarga! Era la gara per vedere chi allargava di più. Oppure controllavamo chi tratteneva il respiro più a lungo».

Intervistatore: «Come lo controllavate?».

Soldato: «Soffocandoli. Uno di noi faceva finta di perquisirli, ma di colpo urlava qualcosa come se quelli avessero parlato e cominciava a soffocarli... a bloccargli le vie aeree, bisogna premere il pomo d’Adamo. Non è piacevole. Guardi l’orologio mentre lo fai, finoa che quello sviene. Chi ci mette più tempo a svenire, vince».

Tsahal_1.jpg

L’organizzazione Breaking the Silence dice di aver pubblicato queste interviste per «suscitare un pubblico dibattito sul prezzo morale pagato dalla società israeliana nel suo complesso», per far vedere cosa diventano «giovani soldati obbligati a prendere il controllo di una popolazione civile». Ed è un continuo «degrado morale», e «la società israeliana ha il dovere di ascoltare i soldati e assumersi la responsabilità di ciò che viene fatto in suo nome».

Il testo integrale delle testimonianze può essere letto nel sito dell’organizzazione, www.shovrimshtika.org

Uno dei soldati dice: «Tutti noi sentivamo di fare qualcosa di sbagliato. Almeno, i miei amici sentivano di fare una cosa sbagliata». Ma nessuna resipiscenza tardiva minaccia i «coloni» giudaici di Hebron, che si sono messi lì a Gaza per rivendicare ad Israele le tombe dei Patriarchi, che sorgono lì e sono un luogo di preghiera anche per i musulmani.

Da questo insediamento veniva Baruch Goldstein, che nel ’94 irruppe nella Tombe ammazzando col suo mitragliatore 29 palestinesi e ferendone 150. Goldstein era americano e armato, come tutti i «coloni» di questo avamposto sacro, che è abitato da estremisti seguaci del rabbino Kahane e del partito razzista-religioso Kach. Infatti i coloni hanno sepolto Goldstein (che fu ucciso mentre compiva il massacro) nel loro cimitero che chiamano Kahane Memorial Park.

La lapide sulla tomba dice: «A san Baruch Goldstein, che ha dato la sua vita per il popolo ebraico, la Torà e la nazione di Israele». Parecchi rabbini confermarono che la strage compiuta da Goldsetin era una «mitzvah», un’opera meritevole di fronte a Dio.

Mantenuti dalla diaspora, questi coloni non hanno bisogno di lavorare. Passano il tempo ad angariare i palestinesi a cui hanno rubato i campi, a tirare pietre e ad aggredire gli scolari palestinesi che passano nelle vicinanze per andare a scuola, a sparare sui passanti e ad ubriacarsi. Ebrei ma americani, si sentono come coloni del Far West in territorio Sioux, ma con l’aggiunta «religiosa».

Sono costantemente armati di mitra e pistole, portano con orgoglio la kippà e lunghe barbe da «profeti». Caratteristici gli sguardi carichi d’odio con cui ti squadrano, se non sei ebreo, e gli insulti di cui ti coprono se sei giornalista o fotoreporter.
Le loro donne, in parrucca o foulard ebraico, insultano le donne palestinesi, e quando possono le picchiano. Sotto la protezione costante del glorioso Tsahal.

L’ultima impresa di questi pii ebrei riguarda Hammad Nidar Khadatbh, un ragazzo palestinese di 15 anni, che il 15 aprile era uscito di casa per raccogliere cetrioli, purtroppo nelle vicinanze dell’insediamento illegale (ma protetto) di Al-Hamra. La sera non era tornato, e la famiglia è uscita a cercarlo per ogni dove. Nulla. Il mattino dopo, il padre e i fratelli di Hammad ripartono alla sua ricerca, e lo trovano in una zona dove l’avevano già cercato la sera prima. Evidentemente era stato buttato lì nella notte.

Il corpo del ragazzo era nudo, gonfio, e torturato. La faccia gli era stata spaccata con pietre, il collo rotto, un dito gli era stato troncato. Sul torso aveva numerosi buchi, apparentemente praticati con un oggetto aguzzo e tondo, come una penna. Il corpo è stato portato ad un perito, per l'autopsia, nel settore israeliano di Gerusalemme. I parenti sono convinti che anche quello scempio sul loro figlio sia una delle opere sante dei coloni religiosi.

«Dio della pace,
Volgi verso il Tuo cammino di amore
coloro che hanno il cuore e la mente
consumati dall’odio».
Dalla preghiera del Santo Padre a Ground Zero.

Maurizio Blondet

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22 gennaio 2009

Menti consumati dall’odio

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L’organizzazione ebraica «Breaking the silence» (Rompere il silenzio) ha diffuso un opuscolo di cento pagine che contiene interviste a decine di soldati di Tsahal impiegati ad Hebron, la città palestinese di Gaza dove però fra 80 mila palestinesi pretendono di abitare 700 coloni ebraici, che i soldati difendono.

L’agenzia ebraica Ynet.news ha ripreso quattro di queste interviste (1).

Le mani tagliate col filo di ferro

Soldato: «C’era uno matto davvero nella mia unità, gli piaceva torturare. Una volta ha provocato l’amputazione delle mani di un uomo».

Intervistatore: «Cosa è successo?».

Soldato: «Insomma, c’era quell’arabo... il soldato gli ruba una scatola di tabacco. L’arabo si mette a gridare: ‘Ladri, ladri, vi ho visto’. Si avvicina al soldato, e noi lo spingiamo per allontanarlo. Non sapevamo del furto. ‘Il soldato comincia a pestarlo, e tutti noi anche... finisce che l’arabo è stato pestato parecchio. ‘Poi il soldato ha preso un filo di ferro - era molto incazzato - ha afferrato l’arabo e ha cominciato a stringerlielo attorno...».

Intervistatore: «alle mani?».

Soldato: «Già.... gliel’ha stretto molto forte. Te lo giuro, abbiamo cercato di fermarlo. ‘No, non lo lascio andare. Ha alzato le mani contro di me, lo punisco’. E dài a girare, dài a stringere… dopo, quando abbiamo cercato di liberarlo, non ci siamo riusciti, gli aveva fatto proprio un canale nella mano. Era blu. E il tipo gridava: ‘Non sento più la mano’. Abbiamo anche tentato di scavare (tra la carne e il filo metallico) con un coltello, ma non siamo riusciti… Gli abbiamo detto di andare all’ospedale. Niente da fare, non riuscivamo a tagliare il filo. Gli hanno amputato la mano».

Ladri

Soldato: «Abbiamo fatto un bel po’ di ruberie….Una volta siamo entrati in una casa di Hebron, gente ricca. Abbiamo trovato in una scrivania una quantità di dollari. Pazzesco. Il capitano dice ai due secondi in grado dell’unità: bene, ci dividiamo questi soldi. Se li sono spartiti. Ne hanno lasciato un po’, e a me hanno detto: «Se parli, torniamo e ti sgozziamo».

Intervistatore: «Era consueto, il furto?».

Soldato: «Un po’ di saccheggio era normale... Backgammon (sic), sigarette, tutto... Quello che ci piaceva lo prendevamo. Altri ragazzi prendevano regali per le loro ragazze dalle botteghe».

Pestaggi

Soldato: «Eravamo di pattuglia, e vediamo un tipo in un taxi che sembrava nascondere qualcosa. Fermiamo la macchina... C’era appena stato un incidente, un soldato accoltellato o qualcosa del genere».
«Troviamo un coltello... Chiediamo al tizio: «Perchè il coltello?», e lui dice: «E’ per mia madre, per tagliare la verdura». Noi diciamo: «Cosa sei, un idiota? Scherzi? Stai mentendo?». Ci ha fatto proprio incazzare. Lo abbiamo afferrato e l’abbiamo colpito, non in faccia, nelle costole».

«Il resto della pattuglia vede il pestaggio, e ci salta dentro... Tutti a picchiarlo, a picchiarlo di brutto, sul serio. Con bastoni sulla testa. E uno poi comincia a strangolarlo, con le due mani. Aveva 17 o 18 anni e comincia a gridare “Mama, Baba”. Quello continua a strangolarlo, stava diventando blu e perdeva coscienza. Di colpo gli altri ragazzi si rendono conto di quel che succede e cominciano a tirare indietro il soldato. Ma lui non voleva lasciare la presa. Non lasciava, e urlava: «Ci volevi ammazzare, vuoi ammazzarci, volevi pugnalarmi eh? Figlio di puttana, pugnalarmi volevi».
«Era come matto, lo abbiamo tirato indietro per le gambe e la vita. Tutto il suo corpo era sollevato, e noi tiravamo... ma
(il soldato) s’era attaccato all’uomo come un pitbull. Finalmente l’abbiamo staccato».

Soffocamenti

Soldato: «Facevamo ogni genere di esperimento per vedere chi faceva la più bella spaccata a Abu Sneina. Li mettevamo faccia al muro, come per perquisirli, e ordinavamo loro di allargare le gambe. Allarga! Allarga! Allarga! Era la gara per vedere chi allargava di più. Oppure controllavamo chi tratteneva il respiro più a lungo».

Intervistatore: «Come lo controllavate?».

Soldato: «Soffocandoli. Uno di noi faceva finta di perquisirli, ma di colpo urlava qualcosa come se quelli avessero parlato e cominciava a soffocarli... a bloccargli le vie aeree, bisogna premere il pomo d’Adamo. Non è piacevole. Guardi l’orologio mentre lo fai, finoa che quello sviene. Chi ci mette più tempo a svenire, vince».

Tsahal_1.jpg

L’organizzazione Breaking the Silence dice di aver pubblicato queste interviste per «suscitare un pubblico dibattito sul prezzo morale pagato dalla società israeliana nel suo complesso», per far vedere cosa diventano «giovani soldati obbligati a prendere il controllo di una popolazione civile». Ed è un continuo «degrado morale», e «la società israeliana ha il dovere di ascoltare i soldati e assumersi la responsabilità di ciò che viene fatto in suo nome».

Il testo integrale delle testimonianze può essere letto nel sito dell’organizzazione, www.shovrimshtika.org

Uno dei soldati dice: «Tutti noi sentivamo di fare qualcosa di sbagliato. Almeno, i miei amici sentivano di fare una cosa sbagliata». Ma nessuna resipiscenza tardiva minaccia i «coloni» giudaici di Hebron, che si sono messi lì a Gaza per rivendicare ad Israele le tombe dei Patriarchi, che sorgono lì e sono un luogo di preghiera anche per i musulmani.

Da questo insediamento veniva Baruch Goldstein, che nel ’94 irruppe nella Tombe ammazzando col suo mitragliatore 29 palestinesi e ferendone 150. Goldstein era americano e armato, come tutti i «coloni» di questo avamposto sacro, che è abitato da estremisti seguaci del rabbino Kahane e del partito razzista-religioso Kach. Infatti i coloni hanno sepolto Goldstein (che fu ucciso mentre compiva il massacro) nel loro cimitero che chiamano Kahane Memorial Park.

La lapide sulla tomba dice: «A san Baruch Goldstein, che ha dato la sua vita per il popolo ebraico, la Torà e la nazione di Israele». Parecchi rabbini confermarono che la strage compiuta da Goldsetin era una «mitzvah», un’opera meritevole di fronte a Dio.

Mantenuti dalla diaspora, questi coloni non hanno bisogno di lavorare. Passano il tempo ad angariare i palestinesi a cui hanno rubato i campi, a tirare pietre e ad aggredire gli scolari palestinesi che passano nelle vicinanze per andare a scuola, a sparare sui passanti e ad ubriacarsi. Ebrei ma americani, si sentono come coloni del Far West in territorio Sioux, ma con l’aggiunta «religiosa».

Sono costantemente armati di mitra e pistole, portano con orgoglio la kippà e lunghe barbe da «profeti». Caratteristici gli sguardi carichi d’odio con cui ti squadrano, se non sei ebreo, e gli insulti di cui ti coprono se sei giornalista o fotoreporter.
Le loro donne, in parrucca o foulard ebraico, insultano le donne palestinesi, e quando possono le picchiano. Sotto la protezione costante del glorioso Tsahal.

L’ultima impresa di questi pii ebrei riguarda Hammad Nidar Khadatbh, un ragazzo palestinese di 15 anni, che il 15 aprile era uscito di casa per raccogliere cetrioli, purtroppo nelle vicinanze dell’insediamento illegale (ma protetto) di Al-Hamra. La sera non era tornato, e la famiglia è uscita a cercarlo per ogni dove. Nulla. Il mattino dopo, il padre e i fratelli di Hammad ripartono alla sua ricerca, e lo trovano in una zona dove l’avevano già cercato la sera prima. Evidentemente era stato buttato lì nella notte.

Il corpo del ragazzo era nudo, gonfio, e torturato. La faccia gli era stata spaccata con pietre, il collo rotto, un dito gli era stato troncato. Sul torso aveva numerosi buchi, apparentemente praticati con un oggetto aguzzo e tondo, come una penna. Il corpo è stato portato ad un perito, per l'autopsia, nel settore israeliano di Gerusalemme. I parenti sono convinti che anche quello scempio sul loro figlio sia una delle opere sante dei coloni religiosi.

«Dio della pace,
Volgi verso il Tuo cammino di amore
coloro che hanno il cuore e la mente
consumati dall’odio».
Dalla preghiera del Santo Padre a Ground Zero.

Maurizio Blondet

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