03 novembre 2012
I giovani non bastano per la rivoluzione
Bastano la giovinezza e le facce pulite dei giovani “grillini” siciliani (un’antropologia che si riproporrà, e probabilmente con numeri ancor più consistenti, alle prossime elezioni politiche) per sperare in un futuro migliore? In linea di massima direi di no. Nei dintorni del Sessantotto, quando imperversava il più spudorato giovanilismo (il modo migliore per inculare i giovani è farli sentire protagonisti, portarli in palmo di mano – allora, nella società che assaporava il benessere, c’era anche, e forse soprattutto, una ragione economica: i giovani erano diventati un settore di mercato appetibile) scrissi per Linus un articolo intitolato: “Basta con i giovani” che concludeva così: “La cosa migliore, modesta ma onesta, che possono fare i giovani è una sola: invecchiare”. È VERO CHE QUELLI DEL SESSANTOTTO non fanno testo, erano giovani fuori ma già marci dentro. Erano figli della borghesia e della borghesia avevano preso tutti i notori vizi: il cinismo e l’opportunismo. Non volevano cambiare il mondo ma semplicemente sostituirsi ai loro padri nell’esercizio del potere, con metodi, se possibile, ancora più trucidi. Il viso di Paolo Mieli (militante, assieme ad altri rampolli dell’alta borghesia e dell’aristocrazia romana, di PotOp, “molotov e champagne”) diceva, già allora, tutto: non voleva fare nessuna rivoluzione ma diventare, per vie scorciatoie, direttore del Corriere della Sera.
Avranno la stessa sorte i giovani “grillini” una volta preso il potere o una sua fetta? È probabile. Il Tempo, padrone assoluto delle nostre vite, ci logora, affievolisce i nostri entusiasmi, spegne le nostre speranze. Ci si adegua. In C’eravamo tanto amati, un bel film del 1974, con Gassman, Manfredi, la Sandrelli che, passati i tempi spavaldi della giovinezza si ritrovano nei loro quarant’anni, uno dei protagonisti dice, amaramente: “Volevamo cambiare il mondo, ma è il mondo che ha cambiato noi”. “Ci vuole del talento per invecchiare senza diventare adulti” canta Franco Battiato.
I giovani “grillini” hanno però qualche vantaggio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Per quanto possono invecchiare, incarognire e i loro volti deformarsi è difficile che finiscano per omologarsi totalmente ai mascheroni che sono in circolazione attualmente. Gasparri, Berlusconi, Cicchitto sono dei “top ten” dell’orrore, fisico e morale, e pare impossibile scalzarli da questa speciale classifica.
E POI I GIOVANI “grillini” hanno un guru, un capo, un padre-padrone ultrasessantenne, che li sorveglia, li tartassa, li bacchetta, li punisce, li espelle e che è uno dei pochissimi che “è invecchiato senza diventare adulto”.
Non si tratta però di un endorsement: per il quotidiano della City londinese, il Movimento Cinque Stelle non offre “una coerente soluzione” ai problemi dell’Italia. Sta quindi ai partiti politici riprendere in mano la partita avviando una stagione di riforme, in primis una nuova legge elettorale e nuovi standard etici per i futuri deputati. In caso contrario le élite politiche dell’Italia resteranno le migliori “piazziste” per il “buffone che tanto disprezzano”.
di Massimo Fini
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03 novembre 2012
I giovani non bastano per la rivoluzione
Bastano la giovinezza e le facce pulite dei giovani “grillini” siciliani (un’antropologia che si riproporrà, e probabilmente con numeri ancor più consistenti, alle prossime elezioni politiche) per sperare in un futuro migliore? In linea di massima direi di no. Nei dintorni del Sessantotto, quando imperversava il più spudorato giovanilismo (il modo migliore per inculare i giovani è farli sentire protagonisti, portarli in palmo di mano – allora, nella società che assaporava il benessere, c’era anche, e forse soprattutto, una ragione economica: i giovani erano diventati un settore di mercato appetibile) scrissi per Linus un articolo intitolato: “Basta con i giovani” che concludeva così: “La cosa migliore, modesta ma onesta, che possono fare i giovani è una sola: invecchiare”. È VERO CHE QUELLI DEL SESSANTOTTO non fanno testo, erano giovani fuori ma già marci dentro. Erano figli della borghesia e della borghesia avevano preso tutti i notori vizi: il cinismo e l’opportunismo. Non volevano cambiare il mondo ma semplicemente sostituirsi ai loro padri nell’esercizio del potere, con metodi, se possibile, ancora più trucidi. Il viso di Paolo Mieli (militante, assieme ad altri rampolli dell’alta borghesia e dell’aristocrazia romana, di PotOp, “molotov e champagne”) diceva, già allora, tutto: non voleva fare nessuna rivoluzione ma diventare, per vie scorciatoie, direttore del Corriere della Sera.
Avranno la stessa sorte i giovani “grillini” una volta preso il potere o una sua fetta? È probabile. Il Tempo, padrone assoluto delle nostre vite, ci logora, affievolisce i nostri entusiasmi, spegne le nostre speranze. Ci si adegua. In C’eravamo tanto amati, un bel film del 1974, con Gassman, Manfredi, la Sandrelli che, passati i tempi spavaldi della giovinezza si ritrovano nei loro quarant’anni, uno dei protagonisti dice, amaramente: “Volevamo cambiare il mondo, ma è il mondo che ha cambiato noi”. “Ci vuole del talento per invecchiare senza diventare adulti” canta Franco Battiato.
I giovani “grillini” hanno però qualche vantaggio rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Per quanto possono invecchiare, incarognire e i loro volti deformarsi è difficile che finiscano per omologarsi totalmente ai mascheroni che sono in circolazione attualmente. Gasparri, Berlusconi, Cicchitto sono dei “top ten” dell’orrore, fisico e morale, e pare impossibile scalzarli da questa speciale classifica.
E POI I GIOVANI “grillini” hanno un guru, un capo, un padre-padrone ultrasessantenne, che li sorveglia, li tartassa, li bacchetta, li punisce, li espelle e che è uno dei pochissimi che “è invecchiato senza diventare adulto”.
Non si tratta però di un endorsement: per il quotidiano della City londinese, il Movimento Cinque Stelle non offre “una coerente soluzione” ai problemi dell’Italia. Sta quindi ai partiti politici riprendere in mano la partita avviando una stagione di riforme, in primis una nuova legge elettorale e nuovi standard etici per i futuri deputati. In caso contrario le élite politiche dell’Italia resteranno le migliori “piazziste” per il “buffone che tanto disprezzano”.
di Massimo Fini
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