17 giugno 2009
La rivelazione del tesoriere Pd "in 5 anni ai partiti 941 milioni"
«Il tesoriere ha in mano i cordoni della borsa di un partito. Figura tradizionalmente oscura, un po` sinistra, al punto da passare per colui che manovra non solo i denari ma anche i segreti più turpi della politica». Tanto basterebbe a spiegare perché nessun tesoriere di partito abbia mai scritto un libro. Nessuno prima di Mauro Agostini, l`uomo che un anno e mezzo fa ha avuto (e ha tuttora) in mano i cordoni della borsa del Partito democratico: non si sa se per coraggio o incoscienza. Il suo libro, da cui sono tratte queste frasi, esce oggi in libreria, l`ha pubblicato Aliberti in una collana diretta da Pier Luigi Celli e si chiama semplicemente li tesoriere. Da un titolo così è lecito attendersi anche qualche considerazione numerica. Che infatti non manca. A cominciare dal calcolo minuzioso di quanti soldi pubblici, attraverso il meccanismo ipocrita dei cosiddetti rimborsi elettorali, sono entrati nelle tasche dei partiti italiani soltanto negli ultimi cinque anni, dal 2004 al 2008. Reggetevi forte: 941 milioni 446.og1 euro e 14 centesimi. Cifre senza eguali in Europa, se si eccettua, sostiene Agostini, la Germania. La ciccia, tuttavia, non è nei numeri. Il tesoriere sostiene che è necessario un sistema di finanziamento dei partiti «prevalentemente pubblico» senza più ipocrisie, ma con «forme di controllo incisive e penetranti» di natura «squisitamente pubblica» e il «vincolo esplicito» di una gestione sobria ed economica prevedendo anche «sanzioni reputazionali». Ma al tempo stesso non può non ripercorrere la storia dei ruvidi rapporti con i suoi colleghi dei Ds, Ugo Sposetti, e della Margherita, Luigi Lusi, i due partiti che hanno dato vita al Pd. «dl nuovo partito nasceva senza un euro. L`obiettivo, mai esplicitato, ma evidente in comportamenti (...) dei tesorieri Ds e Margherita era quello di dare vita a una sorta di triunvirato nella gestione delle risorse, di cui però i veri sovrani avrebbero dovuto essere Ugo Sposetti e Luigi Lusi, in quanto titolari dei rimborsi elettorali. Con le conseguenze facilmente immaginabili: quando le cose sarebbero andate secondo i desiderata dei due vecchi azionisti, i soldi sarebbero affluiti regolarmente, in caso contrario no. E evidente che la questione rivestiva un valore (...) squisitamente politico e di autonomia del nuovo partito». Una ricostruzione che indica senza mezzi termini fra le cause delle difficoltà interne del Pd la sopravvivenza dei vecchi apparati di partito, con le rispettive munizioni finanziarie. Agostini ricorda che i Ds avevano provveduto a blindare in fondazioni «con un percorso opaco» migliaia di immobili. E che il tesoriere della Margherita, Lusi, aveva dato sì la disponibilità a contribuire al Pd con i rimborsi elettorali. «a condizione che anche i Ds avessero fatto la loro parte, in ragione di quaranta a sessanta per cento». Ma «l`impossibilità dei Ds» a mettere mano al portafoglio motivata da quel partito con il forte indebitamento «assolveva tutti dall`obbligo politico di sostenere il Pd». Questa vicenda è chiaro sintomo di quella che Agostini definisce «un`ambiguità di fondo mai esplicitata ma che percorrerà il progetto sotto pelle in tutto il suo primo anno di vita e che rischia di essere anche la causa profonda della crisi che sfocia nelle dimissioni di Walter Veltroni». Ancora: «L`ispirazione sembra più quella di dare vita a una specie di consorzio odi holding i cui diritti principali restano in mano ai soci fondatori, piuttosto che fondare una nuova formazione politica». La notizia con la quale comincia Il tesoriere, e cioè che il Pd ha fatto certificare il bilancio 2008 dalla Price Waterhouse Coopers («la prima volta», rivendica con orgoglio Agostini, che un partito italiano sottopone i suoi conti a una verifica del genere), valga a questo punto come una consolazione. Perché se la diagnosi politica è giusta, la strada è ancora tutta in salita. Dettaglio non trascurabile: il libro viene presentato oggi dal segretario del Pd, Dario Franceschini.
di Sergio Rizzo
16 giugno 2009
L'Europa deve cominciare a temere gli Stati Uniti
La fuga di massa è iniziata. Dopo la clamorosa decisione del fondo governativo di Singapore, Temasek, di lasciare sul tappeto 4,6 dei 7,6 miliardi di dollari investiti pur di uscire dal colosso creditizio Bank of America, a sua volta “cavaliere bianco” di Merrill Lynch e la decisione del fondo sovrano di Abu Dhabi di convertire le obbligazioni di Barclays che possedeva e di liquidare in tempo reale le azioni ordinarie appena ottenute (costringendo Barclays a vendere a Blackrock il suo gioiello del fund management Bgi per 13 miliardi di dollari), ecco un’altra notizia che ci segnala come la terza ondata di crisi sia ben oltre la soglia di casa.
Due hedge fund che gestivano complessivamente 1,3 miliardi di dollari dei loro sottoscrittori hanno chiuso, dalla sera alla mattina: accadde così anche nel giugno di due anni fa, quando due fondi speculativi legati a Bear Stearns andarono a gambe all’aria dando il via alla crisi globale. Niente paura, era tutto previsto.
Non è un caso, infatti, che mentre i segnali che arrivano dal mercato segnano tempesta, qualcuno ricominci con le previsioni al rialzo e l’ottimismo a prezzo di saldo: Goldman Sachs, infatti, ha fissato a 85 dollari il prezzo che raggiungerà a breve il barile di petrolio. Lo scorso anno parlavano di quota 200 dollari e fallirono ma in parecchi fecero molti, molti soldi grazie alle montagne russe del greggio che schizzò a luglio a 147 dollari il barile dando vita a una danza dei futures mai vista. Questo nonostante non ci sia alcuna ripresa reale in corso per quanto riguarda economie e soprattutto industrie: il fabbisogno energetico della Cina è calato del 10% e sul mercato, anzi nei magazzini, ci sono 100 milioni di barili di greggio pronti alla consegna ma che non verranno consegnati. Se non riparte la crescita, nessuno ha bisogno di petrolio in più.
In Gran Bretagna, poi, la grave crisi in cui versa il governo dopo le elezioni locali ed europee sta affondando sia la Borsa che la sterlina, scaricata sia da investitori che da detentori di riserve: proprio ciò che la Bank of England temeva. Difficile dire come si potrà uscire da questa situazione, soprattutto perché la lista dei paesi in deflazione si allunga di giorno in giorno, impietosamente: Irlanda -3,5; Thailandia -3,3; Cina -1,5; Svizzera -0,8; Stati Uniti -0,7; Singapore -0,7; Taiwan -0,5; Belgio -0,4; Giappone -0,1; Svezia -0,1: Germania 0. Insomma, ogniqualvolta i mercati reagiscono in maniera positiva agli indicatori macro, allora è giunto il momento di preoccuparsi davvero.
Il fronte bancario, poi, continua a macinare perdite: ieri è stato il turno di Fortis, Ubs e Barclays, quest’ultima colpita da vendite a pioggia poiché la cessione di Bgi significa disperata necessità di capitalizzare dopo la fuga degli emiri. Una rights issue è esclusa dopo il colpaccio sull’azionario compiuto dai “salvatori” di Abu Dhabi, quindi si vende: certamente il Core Tier 1 della banca britannica, se la vendita andrà in porto, non dovrà più temere la prova del nove degli stress tests ma la sua operatività - e quindi redditività sui mercati - appare pressoché annullata.
Non va meglio negli Usa dove Citigroup e Bank of America perdevano il 3% già negli scambi pre-mercato: sarebbe interessante sapere se Barack Obama, dopo aver scorrazzato in giro per Europa e Medio Oriente, intende fare qualcosa visto che la ricetta Geithner appare del tutto incapace di risolvere la crisi strutturale delle banche Usa, potenzialmente insolventi dalla prima all’ultima. E anche la strategia industriale, ovvero la vendita di Chrysler a Fiat ieri ha subito una brusca frenata dopo che i fondi pensione dell’Indiana, investitori nel gigante fallito, hanno chiesto alla Corte Suprema di bloccare la cessione: se non si chiude entro il 15 giugno, il Lingotto ha il diritto di andarsene senza dover pagare né penali né altro.
Viene da chiedersi se questa amministrazione statunitense fosse proprio ciò di cui il mondo aveva bisogno in questo momento o se non sia altro che un fattore aggravante della crisi: se infatti in campagna elettorale Obama strillava contro speculatori e banche, ora appare silente sia verso i primi (basta vedere l’inspiegabile aumento del prezzo del petrolio a fronte di fondamentali che non lo giustificano assolutamente), che verso le seconde, ancora intente a raggranellare soldi in maniera random (ovvero senza una strategia, soprattutto di risanamento, precisa) e a distribuire bonus milionari a fronte di tagli di dividendi e cedole.
Questi solo alcuni dati, raccolti in un giorno in cui l’attenzione d’Europa era rivolta al rinnovo del Parlamento Europeo e alla conseguenze politiche nazionali di questo voto: siamo all’entropia. E non è per nulla un segnale incoraggiante. I politici, però, sembrano troppo impegnati in altre cose per occuparsene. Speriamo non sia davvero troppo tardi quando cambieranno idea.
di Mauro Bottarelli
15 giugno 2009
"Agire subito" contro la politica sanitaria ed energetica promossa da Obama
Il 24 marzo Lyndon LaRouche ha lanciato un appello urgente ai patrioti americani ad "agire subito" contro la politica sanitaria ed energetica promossa dall'amministrazione Obama, in particolare da Larry Summers, Peter Orszag e la cricca degli economisti comportamentali (vedi sotto). Nell'appello, l'economista e leader democratico fa riferimento alle sue previsioni economiche azzeccate, procedendo con un monito:
"La cosa più gentile che si può dire della politica adottata dal Presidente Obama è che essa è malvagia nelle intenzioni specificamente fasciste che esprime nella pratica, come nei casi della politica sanitaria e cosiddetta 'ambientalista', che sono essenzialmente la copia esatta della politica di Adolf Hitler, anche se potrebbero essere considerate errori onesti commessi da malati di mente. Se c'è da dire qualcos'altro sul tema, è che Obama ha subito il lavaggio del cervello dagli psicologi comportamentali che ha scelto come consiglieri economici. Se non verrà rimosso il lavaggio del cervello di costoro e dei loro complici nella grande finanza non c'è alcuna speranza per gli Stati Uniti e nemmeno per il resto del mondo quest'anno, a meno che non venga cambiata la politica dell'amministrazione Obama, nella direzione che ho indicato, e che non venga cambiata molto presto".
"La vostra risposta ai miei moniti equivale dunque alla vostra scelta del vostro destino personale. Svegliatevi! Prima che sia troppo tardi".
"È indicativo che il Presidente stesso abbia ammesso questo fatto, seppur solo implicitamente, nel modo in cui ha cercato di scusarsi del suo comportamento attuale. Dobbiamo sottolineare il fatto che ha adottato una copia carbone della politica sanitaria di Adolf Hitler, annunciata il 1 settembre 1939 e in seguito condannata come genocidio. Abbiamo gettato così tanti soldi nelle fogne di Londra e Wall Street, per rifinanziare dei finanzieri truffatori, che non è rimasto nulla, secondo Obama, per finanziare l'espansione della produzione o della sanità. Piuttosto che imporre un aumento dei tassi di mortalità della popolazione americana, avrebbe fatto bene ad annullare i pacchetti di salvataggio per questi truffatori internazionali, sottoponendo il sistema ad una riorganizzazione fallimentare. Avrebbe dovuto agire per aumentare la produttività dell'economia invece di distruggerla con la sua politica neomalthusiana e filo-genocida. La sua politica nella pratica è stata finora: gettare il bambino per salvare l'acqua sporca, sporchissima, della speculazione finanziaria!"
"Nel profferire le sue deboli scuse per aver saccheggiato il Tesoro alo scopo di ingrassare dei truffatori, il Presidente ci ha lasciati col fatto che l'unico modo per far sopravvivere gli Stati Uniti, due anni dopo la crisi del 25 luglio 2007, è quello di ribaltare la politica del salvataggio fraudolento di Wall Street e Londra, sottoponendo il sistema ad una riorganizzazione fallimentare, come quella da me proposta".
"L'unica speranza per la Presidenza Obama è di voltare le spalle ai truffatori che hanno comprato la sua elezione; deve farlo per servire i cittadini degli Stati Uniti che hanno riposto fiducia in lui e che attualmente sta tradendo, ed a cui deve il mandato che ha ottenuto".
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17 giugno 2009
La rivelazione del tesoriere Pd "in 5 anni ai partiti 941 milioni"
«Il tesoriere ha in mano i cordoni della borsa di un partito. Figura tradizionalmente oscura, un po` sinistra, al punto da passare per colui che manovra non solo i denari ma anche i segreti più turpi della politica». Tanto basterebbe a spiegare perché nessun tesoriere di partito abbia mai scritto un libro. Nessuno prima di Mauro Agostini, l`uomo che un anno e mezzo fa ha avuto (e ha tuttora) in mano i cordoni della borsa del Partito democratico: non si sa se per coraggio o incoscienza. Il suo libro, da cui sono tratte queste frasi, esce oggi in libreria, l`ha pubblicato Aliberti in una collana diretta da Pier Luigi Celli e si chiama semplicemente li tesoriere. Da un titolo così è lecito attendersi anche qualche considerazione numerica. Che infatti non manca. A cominciare dal calcolo minuzioso di quanti soldi pubblici, attraverso il meccanismo ipocrita dei cosiddetti rimborsi elettorali, sono entrati nelle tasche dei partiti italiani soltanto negli ultimi cinque anni, dal 2004 al 2008. Reggetevi forte: 941 milioni 446.og1 euro e 14 centesimi. Cifre senza eguali in Europa, se si eccettua, sostiene Agostini, la Germania. La ciccia, tuttavia, non è nei numeri. Il tesoriere sostiene che è necessario un sistema di finanziamento dei partiti «prevalentemente pubblico» senza più ipocrisie, ma con «forme di controllo incisive e penetranti» di natura «squisitamente pubblica» e il «vincolo esplicito» di una gestione sobria ed economica prevedendo anche «sanzioni reputazionali». Ma al tempo stesso non può non ripercorrere la storia dei ruvidi rapporti con i suoi colleghi dei Ds, Ugo Sposetti, e della Margherita, Luigi Lusi, i due partiti che hanno dato vita al Pd. «dl nuovo partito nasceva senza un euro. L`obiettivo, mai esplicitato, ma evidente in comportamenti (...) dei tesorieri Ds e Margherita era quello di dare vita a una sorta di triunvirato nella gestione delle risorse, di cui però i veri sovrani avrebbero dovuto essere Ugo Sposetti e Luigi Lusi, in quanto titolari dei rimborsi elettorali. Con le conseguenze facilmente immaginabili: quando le cose sarebbero andate secondo i desiderata dei due vecchi azionisti, i soldi sarebbero affluiti regolarmente, in caso contrario no. E evidente che la questione rivestiva un valore (...) squisitamente politico e di autonomia del nuovo partito». Una ricostruzione che indica senza mezzi termini fra le cause delle difficoltà interne del Pd la sopravvivenza dei vecchi apparati di partito, con le rispettive munizioni finanziarie. Agostini ricorda che i Ds avevano provveduto a blindare in fondazioni «con un percorso opaco» migliaia di immobili. E che il tesoriere della Margherita, Lusi, aveva dato sì la disponibilità a contribuire al Pd con i rimborsi elettorali. «a condizione che anche i Ds avessero fatto la loro parte, in ragione di quaranta a sessanta per cento». Ma «l`impossibilità dei Ds» a mettere mano al portafoglio motivata da quel partito con il forte indebitamento «assolveva tutti dall`obbligo politico di sostenere il Pd». Questa vicenda è chiaro sintomo di quella che Agostini definisce «un`ambiguità di fondo mai esplicitata ma che percorrerà il progetto sotto pelle in tutto il suo primo anno di vita e che rischia di essere anche la causa profonda della crisi che sfocia nelle dimissioni di Walter Veltroni». Ancora: «L`ispirazione sembra più quella di dare vita a una specie di consorzio odi holding i cui diritti principali restano in mano ai soci fondatori, piuttosto che fondare una nuova formazione politica». La notizia con la quale comincia Il tesoriere, e cioè che il Pd ha fatto certificare il bilancio 2008 dalla Price Waterhouse Coopers («la prima volta», rivendica con orgoglio Agostini, che un partito italiano sottopone i suoi conti a una verifica del genere), valga a questo punto come una consolazione. Perché se la diagnosi politica è giusta, la strada è ancora tutta in salita. Dettaglio non trascurabile: il libro viene presentato oggi dal segretario del Pd, Dario Franceschini.
di Sergio Rizzo
16 giugno 2009
L'Europa deve cominciare a temere gli Stati Uniti
La fuga di massa è iniziata. Dopo la clamorosa decisione del fondo governativo di Singapore, Temasek, di lasciare sul tappeto 4,6 dei 7,6 miliardi di dollari investiti pur di uscire dal colosso creditizio Bank of America, a sua volta “cavaliere bianco” di Merrill Lynch e la decisione del fondo sovrano di Abu Dhabi di convertire le obbligazioni di Barclays che possedeva e di liquidare in tempo reale le azioni ordinarie appena ottenute (costringendo Barclays a vendere a Blackrock il suo gioiello del fund management Bgi per 13 miliardi di dollari), ecco un’altra notizia che ci segnala come la terza ondata di crisi sia ben oltre la soglia di casa.
Due hedge fund che gestivano complessivamente 1,3 miliardi di dollari dei loro sottoscrittori hanno chiuso, dalla sera alla mattina: accadde così anche nel giugno di due anni fa, quando due fondi speculativi legati a Bear Stearns andarono a gambe all’aria dando il via alla crisi globale. Niente paura, era tutto previsto.
Non è un caso, infatti, che mentre i segnali che arrivano dal mercato segnano tempesta, qualcuno ricominci con le previsioni al rialzo e l’ottimismo a prezzo di saldo: Goldman Sachs, infatti, ha fissato a 85 dollari il prezzo che raggiungerà a breve il barile di petrolio. Lo scorso anno parlavano di quota 200 dollari e fallirono ma in parecchi fecero molti, molti soldi grazie alle montagne russe del greggio che schizzò a luglio a 147 dollari il barile dando vita a una danza dei futures mai vista. Questo nonostante non ci sia alcuna ripresa reale in corso per quanto riguarda economie e soprattutto industrie: il fabbisogno energetico della Cina è calato del 10% e sul mercato, anzi nei magazzini, ci sono 100 milioni di barili di greggio pronti alla consegna ma che non verranno consegnati. Se non riparte la crescita, nessuno ha bisogno di petrolio in più.
In Gran Bretagna, poi, la grave crisi in cui versa il governo dopo le elezioni locali ed europee sta affondando sia la Borsa che la sterlina, scaricata sia da investitori che da detentori di riserve: proprio ciò che la Bank of England temeva. Difficile dire come si potrà uscire da questa situazione, soprattutto perché la lista dei paesi in deflazione si allunga di giorno in giorno, impietosamente: Irlanda -3,5; Thailandia -3,3; Cina -1,5; Svizzera -0,8; Stati Uniti -0,7; Singapore -0,7; Taiwan -0,5; Belgio -0,4; Giappone -0,1; Svezia -0,1: Germania 0. Insomma, ogniqualvolta i mercati reagiscono in maniera positiva agli indicatori macro, allora è giunto il momento di preoccuparsi davvero.
Il fronte bancario, poi, continua a macinare perdite: ieri è stato il turno di Fortis, Ubs e Barclays, quest’ultima colpita da vendite a pioggia poiché la cessione di Bgi significa disperata necessità di capitalizzare dopo la fuga degli emiri. Una rights issue è esclusa dopo il colpaccio sull’azionario compiuto dai “salvatori” di Abu Dhabi, quindi si vende: certamente il Core Tier 1 della banca britannica, se la vendita andrà in porto, non dovrà più temere la prova del nove degli stress tests ma la sua operatività - e quindi redditività sui mercati - appare pressoché annullata.
Non va meglio negli Usa dove Citigroup e Bank of America perdevano il 3% già negli scambi pre-mercato: sarebbe interessante sapere se Barack Obama, dopo aver scorrazzato in giro per Europa e Medio Oriente, intende fare qualcosa visto che la ricetta Geithner appare del tutto incapace di risolvere la crisi strutturale delle banche Usa, potenzialmente insolventi dalla prima all’ultima. E anche la strategia industriale, ovvero la vendita di Chrysler a Fiat ieri ha subito una brusca frenata dopo che i fondi pensione dell’Indiana, investitori nel gigante fallito, hanno chiesto alla Corte Suprema di bloccare la cessione: se non si chiude entro il 15 giugno, il Lingotto ha il diritto di andarsene senza dover pagare né penali né altro.
Viene da chiedersi se questa amministrazione statunitense fosse proprio ciò di cui il mondo aveva bisogno in questo momento o se non sia altro che un fattore aggravante della crisi: se infatti in campagna elettorale Obama strillava contro speculatori e banche, ora appare silente sia verso i primi (basta vedere l’inspiegabile aumento del prezzo del petrolio a fronte di fondamentali che non lo giustificano assolutamente), che verso le seconde, ancora intente a raggranellare soldi in maniera random (ovvero senza una strategia, soprattutto di risanamento, precisa) e a distribuire bonus milionari a fronte di tagli di dividendi e cedole.
Questi solo alcuni dati, raccolti in un giorno in cui l’attenzione d’Europa era rivolta al rinnovo del Parlamento Europeo e alla conseguenze politiche nazionali di questo voto: siamo all’entropia. E non è per nulla un segnale incoraggiante. I politici, però, sembrano troppo impegnati in altre cose per occuparsene. Speriamo non sia davvero troppo tardi quando cambieranno idea.
di Mauro Bottarelli
15 giugno 2009
"Agire subito" contro la politica sanitaria ed energetica promossa da Obama
Il 24 marzo Lyndon LaRouche ha lanciato un appello urgente ai patrioti americani ad "agire subito" contro la politica sanitaria ed energetica promossa dall'amministrazione Obama, in particolare da Larry Summers, Peter Orszag e la cricca degli economisti comportamentali (vedi sotto). Nell'appello, l'economista e leader democratico fa riferimento alle sue previsioni economiche azzeccate, procedendo con un monito:
"La cosa più gentile che si può dire della politica adottata dal Presidente Obama è che essa è malvagia nelle intenzioni specificamente fasciste che esprime nella pratica, come nei casi della politica sanitaria e cosiddetta 'ambientalista', che sono essenzialmente la copia esatta della politica di Adolf Hitler, anche se potrebbero essere considerate errori onesti commessi da malati di mente. Se c'è da dire qualcos'altro sul tema, è che Obama ha subito il lavaggio del cervello dagli psicologi comportamentali che ha scelto come consiglieri economici. Se non verrà rimosso il lavaggio del cervello di costoro e dei loro complici nella grande finanza non c'è alcuna speranza per gli Stati Uniti e nemmeno per il resto del mondo quest'anno, a meno che non venga cambiata la politica dell'amministrazione Obama, nella direzione che ho indicato, e che non venga cambiata molto presto".
"La vostra risposta ai miei moniti equivale dunque alla vostra scelta del vostro destino personale. Svegliatevi! Prima che sia troppo tardi".
"È indicativo che il Presidente stesso abbia ammesso questo fatto, seppur solo implicitamente, nel modo in cui ha cercato di scusarsi del suo comportamento attuale. Dobbiamo sottolineare il fatto che ha adottato una copia carbone della politica sanitaria di Adolf Hitler, annunciata il 1 settembre 1939 e in seguito condannata come genocidio. Abbiamo gettato così tanti soldi nelle fogne di Londra e Wall Street, per rifinanziare dei finanzieri truffatori, che non è rimasto nulla, secondo Obama, per finanziare l'espansione della produzione o della sanità. Piuttosto che imporre un aumento dei tassi di mortalità della popolazione americana, avrebbe fatto bene ad annullare i pacchetti di salvataggio per questi truffatori internazionali, sottoponendo il sistema ad una riorganizzazione fallimentare. Avrebbe dovuto agire per aumentare la produttività dell'economia invece di distruggerla con la sua politica neomalthusiana e filo-genocida. La sua politica nella pratica è stata finora: gettare il bambino per salvare l'acqua sporca, sporchissima, della speculazione finanziaria!"
"Nel profferire le sue deboli scuse per aver saccheggiato il Tesoro alo scopo di ingrassare dei truffatori, il Presidente ci ha lasciati col fatto che l'unico modo per far sopravvivere gli Stati Uniti, due anni dopo la crisi del 25 luglio 2007, è quello di ribaltare la politica del salvataggio fraudolento di Wall Street e Londra, sottoponendo il sistema ad una riorganizzazione fallimentare, come quella da me proposta".
"L'unica speranza per la Presidenza Obama è di voltare le spalle ai truffatori che hanno comprato la sua elezione; deve farlo per servire i cittadini degli Stati Uniti che hanno riposto fiducia in lui e che attualmente sta tradendo, ed a cui deve il mandato che ha ottenuto".
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