11 marzo 2011
Il lavoro nobilita l’uomo…(e lo rende simile alle bestie?!!)
E’ con puro spirito catartico che mi appresto a vergare - seppur virtualmente - queste bianche pagine di Word; al solo scopo di consentire - così come si fa con la pentola sul fuoco, quando si favorisce la fuoriuscita di quel poco di pressione che sarebbe pericoloso e incontrollabile lasciar affiorare in un sol colpo all’apertura del coperchio – una riduzione significativa del mio stato di agitazione e talvolta di rabbia. Per evitare “l’esplosione” o più facilmente “l’implosione”…
Non so se qualcuno avrà accesso a queste mie righe; mi auto assolvo sin d’ora pertanto, se la prosa non sarà particolarmente curata come magari sarei in grado di fare.
L’obiettivo vuole essere chiaro e dichiarato sin dal principio: quali sono le ragioni vere, profonde e ultime del disagio, che - palesato talvolta da evidenze di carattere psicofisico (insonnia, mal di stomaco, ansia, tristezza immotivata, paura del futuro…) - si manifesta oggi in un numero sempre maggiore di persone, a proposito della propria condizione lavorativa?
E’ giusto di questa mattina l’importante presa di posizione di Papa Bendetto XVI, Che, nel corso dell’Angelus di domenica 27 febbraio 2011, così si è espresso:
“La fede nella Provvidenza non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani”
E’ a partire da una lettura seria e approfonite di questa affermazione che provo ad argomentare il mio pensiero.
Il lavoro nobilita l’uomo.
Questa frase, attribuita normalmente a Charles Darwin (1809-1882), segna probabilmente l’inizio di un’era, tutt’ora in corso, che ha mutato concezioni e modi di pensare e di agire che erano stati invece connaturati negli uomini per secoli.
Beh, probabilmente non ci si poteva aspettare molto di più da chi ha provato per tutta la vita (tutt’ora senza validazione scientifica…), a dimostrarci che discendiamo dagli scimmioni, mancando di spiegarci dove sta questo benedetto (o maledetto), anello di congiunzione (che a scadenze prefissate torna sulle cronache e le prime pagine dei TG, salvo poi scomparire mestamente come l’ennesima bufala); e senza chiarirci peraltro come mai, i suddetti scimmioni continuino a esistere oggi, a fianco dell’homo sapiens sapiens.
Nei secoli passati, dire che il lavoro nobilita l’uomo, sarebbe stato certamente inteso come segnale di pazzia o di possessione diabolica…
Me lo immagino il contadino, ricurvo su se stesso dopo 12 ore di lavoro nei campi, recarsi dal latifondista di turno e ricordargli che “il lavoro nobilita l’uomo”… Senz’altro sarebbe stato chiamato il prete per abbozzare un esorcismo.
Già, i preti, i monaci meglio. Proviamo a sfatare un’altra leggenda. Tutti conoscono la Regola benedettina dell’Ora et labora. Prega e lavora, appunto.
E’ evidente che, in un’ottica religiosa ed escatologica, questo aveva un senso profondo. La giornata era tutta dedicata a Dio, verso il quale si rivolgevano preghiere – sin dalla mattina presto - , e per il quale si lavorava assiduamente. Il lavoro era una specie di prolungamento della preghiera, in linea con i Padri del deserto che esortavano i monaci a pregare anche durante il lavoro. Rispondeva inoltre al non secondario bisogno di procurarsi il necessario alla sopravvivenza. E’ stato infine grazie al lavoro dei monaci che ci sono pervenute le più importanti opere storiche e letterarie, oltre che artistiche, del passato.
Lo stesso noto e più volte citato passaggio di San Paolo (Tessalonicesi 2 – 3,10), “chi non vuol lavorare neppure mangi”, se rappresenta senz’altro una conferma della “responsabilità individuale” di ciascuno a provvedere al proprio sostentamento, non costituisce certo, a mio avviso, una apologia acritica e indiscriminata del “lavoro” come strumento “salvifico”.
Intendo dire: è doveroso lavorare e procurarsi con il sudore della fronte ciò di cui ha bisogno, per l’uomo macchiato dal peccato originale. Ma questo non significa, in virtù di qualche erroneo sillogismo, derivarne una esaltazione del lavoro…
Più esplicitamente ancora: ci tocca lavorare per vivere, e questo siamo tenuti a fare.
E comunque, il nobile, per definizione, NON ha mai lavorato.
Il lavoro è indispensabile per la realizzazione dell’uomo?
Così si sente dire spesso, soprattutto da parte di chi, dal lavoro… degli altri… trae vantaggi economici, sociali, di prestigio, quando non addirittura giustificazioni mistico religiose che lo convincono che sta operando per un Bene più grande.
Cosa si intende per realizzazione dell’uomo?
Mi piace citare un bellissimo passaggio di Peguy (L’argent, 1914) a proposito del lavoro:
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io — io ormai così imbastardito — a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti.
Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.
Ebbene rifletto da tempo su queste righe, condividendole in pieno, chiedendomi però come sia possibile applicarle oggi, 2011, nella Società odierna.
Come può un addetto al call center “coltivare un onore assoluto” mentre risponde a utenti imbizzarriti perché il decoder è fuori uso e non consente di vedere l’ avvincente puntata de “Il Grande fratello”; oppure come può riuscire un addetto alle vendite di qualche fumosa azienda di servizi, misurato esclusivamente sui ricavi portati o sulle quote di mercato rubate alla concorrenza, riuscire a convincersi che “(la gamba della sedia)…non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario (…) doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura”.
Sempre più facilmente, oggi, si lavora perché costretti a farlo. Per mangiare, per avere un tetto sotto cui dormire… Si è vero, ma sempre più spesso ci troviamo a “fare un lavoro che non ci piace per comprarci cose che non ci servono” come dice Tyler, il protagonista di Fight Club (il cult movie anni’90 con Brad Pitt e Edward Norton).
“La fede nella Provvidenza non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani” ha detto Papa Benedetto XVI questa mattina. Non credo si possa interpretare questa affermazione come una esaltazione del “lavoro” come fine a se stesso. Ma semmai come una esortazione a non farsi sopraffare (e mai come in questo periodo il rischio è concreto), da un’idea di predestinazione, assunta la quale diventa inutile “lottare” e darsi da fare. Superfluo credo sottolineare l’idea di libero arbitrio, distintiva e differenziale per noi cattolici, che non permette a nessuno di trincerarsi dietro uno sconfortante “eh…colpa del destino!”
Intendo piuttosto dire che è privilegio di pochi poter fare un lavoro in grado di suscitare pensieri come quelli magistralmente narrati da Peguy nella citazione sopra riportata. E non mi riferisco, come si potrebbe immaginare, ad attori o cantanti strapagati, spesso con problematiche ben superiori a quelle del comune uomo della strada. Penso invece a chi, come per l’appunto nella pagina di Peguy in oggetto, grazie a una occupazione di tipo artigianale, davvero può percepire queste finezze. Il falegname che “crea” una libreria “fuori standard”, tale da inserirsi al millimetro nel piccolo appartamento del Cliente che ancora (…antico lui…!), vuole conservare qualche decina di libri. Oppure al chirurgo che con l’opera della sua mente e delle sue mani salva quotidianamente la vita alle persone.
Ipotesi future
Quali prospettive allora per il futuro?
Rassegnarsi a una esistenza triste, senza soddisfazioni, come gli schiavi appunto?
Oppure cercare altrove una realizzazione che solo pochi riescono a trarre dal proprio lavoro?
E’ inevitabile che alla lunga, anche questo, come ogni ragionamento che sia degno di questo nome, se esasperato dal punto di vista logico, non possa che portare a pensare in termini “ultimi”, escatologici per i più dotti.
Per quale ragione ci troviamo su questa Terra? Qual è il nostro Progetto? E dove finiremo una volta trapassati?
Non credo di fare azzardi logici se affermo che, in un’ultima analisi, ragionare sul “lavoro” comporti anche ragionare su questo tipo di tematiche.
Invece sempre più spesso sento (s)parlare - a proposito del “lavoro” - di nuove vision, di individuazione del proprio ruolo nel mondo, di rispetto per le generazioni future.
Il “lavoro” inteso appunto come strumento di realizzazione per l’Uomo.
Rimango turbato quando sento fare certi accostamenti.
E, attraverso la tastiera del mio PC, li contesto. Si perché non posso permettermi di farlo coram populo, ne andrebbe – appunto – del mio mezzo di sostentamento!
Cosa faresti se potessi vivere di rendita e scegliere davvero, in base alle tue inclinazioni, cosa fare del tempo che il Signore ti vorrà concedere? Sarà capitato a molti di fare questi pensieri…a me capita spesso! Ebbene, personalmente leggerei, studierei, approfondirei tematiche storiche e letterarie che negli anni del liceo ho solo sfiorato (e, diciamola tutta, nemmeno tanto apprezzato…erano un obbligo!). Scriverei senz’altro, per me sia inteso, nessuna velleità giornalistico/letteraria (pubblicista lo sono già stato anni fa…senza particolare soddisfazione nel raccontare, annoiato, di patetici consigli comunali del mio comune, piuttosto che di improbabili corsi di campana tibetana organizzati dal circolo culturale di turno…).
E allora qual è, oggi, la conclusione? Lavoro per vivere, e leggo, studio, approfondisco, scrivo…per diletto, o meglio per “sopravvivere”...
Nella speranza, un giorno, di poter raggiungere un bilanciamento così perfetto, da poter invertire sia i fattori che il risultato finale…
Vana illusione la mia, dettata da un momento di sconforto, che presto sarà sostituita da più terrene aspirazioni?
Non ne ho idea…so solo che in questa ora abbondante trascorsa davanti al PC mi sono sentito davvero bene, e per un momento il mal di stomaco è scomparso!
Devo prenderla come un “segno divino”?
di Roberto Solcia
09 marzo 2011
Papi-girl? Ci vorrebbero madri vere
Aveva ragione Francesco Borgonovo quando, qualche settimana fa in un suo articolo su Libero, da noi ripreso e commentato QUI, affermava con inveterata e fervida fede, che la rivoluzione berlusconiana aveva prodotto l’uomo nuovo: quello che pretende di arricchirsi e di giudicare con scrupoloso soggettivismo quali tasse sono giuste da pagare e quali, invece, no. Ma, pur avendo la ragione che gli dà la cronaca, era in difetto di riferimenti. Perché limitarsi all’uomo? Anche la donna berlusconiana brilla di quel radioso avvenire che irraggia all’Olgettina le papi-girls in attesa trepida della chiamata alle armi di Arcore, Palazzo Grazioli, Villa Certosa, Castel di Tor Crescenzo ed eventuali e varie altre zone limitrofe e collegate. E che dire della famiglia? Oh! quel sacro vincolo cementato un tempo dal sangue e dagli affetti, non ha subito forse una radicale trasformazione? La mamma che alla figlia prostrata per una sei giorni festosa con il Priapo di Brianza («non ti puoi immaginare in che condizioni sono guarda (…) sono in condizioni pietose, pietose proprio») chiede, ancor prima di consigliarle di «riposare», quant’è stato il corrispettivo ricevuto per i sudati allori, tirando alla risposta («seimila euro») un sospiro di soddisfazione, non è forse l’indice di una trasmutazione antropologica avvenuta anche nel nido familiare? E il fidanzato di un’altra descamisada (no, dico, il fidanzato: uno che un tempo se solo ti cadevano gli occhi sulla sua donna te li cavava, gli occhi, e te li metteva pure in mano in segno di elemosina), che rimprovera la fidanzata per non essersi fatta dare «i vestiti» (i vestiti?) perché, si giustificava la meschina: «comunque…non faccio niente con lui» subendo il rimbrotto dell’amato: «Eh, ma sei scema? Ma anche se fai o non fai, fatti dare!»; un fidanzato del genere – dicevo – non è forse un’altra spia lampante della rivoluzione compiuta nel diciassettennio (portasse sfiga?) berlusconiano?
Il problema vero è sempre lo stesso: questa epocale corruzione dell’anima di persone e istituzioni (familiari e no) a cui quotidianamente assistiamo nella politica, nella società, nel costume di questo disgraziato Paese, non è affatto una rivoluzione, una liberazione dei costumi, come pretendono i suoi esegeti, ma un degenerativo recupero di modelli che si volevano superati. E’ il ciclico riproporsi di restaurazioni reazionarie alle spinte prodotte da movimenti autenticamente libertari, come quello femminista per esempio. Una patacca, insomma. Né più né meno delle altre fulgenti innovazioni prodotte dal genio di Arcore.
Per questo, pur apprezzando l’articolo di Francesco Merlo apparso ieri suRepubblica, e che denuncia il malaffare in corso d’opera con un articolo chiaro fin dal titolo: “L’avvento delle mamme-maitresse. Così finisce la sacra famiglia italiana”, ne contestiamo la premessa: «Novità storica sono le mamme istigatrici e complici. Non le lupe di Arcore, ma queste mamme-maitresse che investono e lucrano sul sesso delle figlie, mamme che rompono la gabbia, all’apparenza inespugnabile, dell’identità italiana, della mamma chioccia, del “son tutte belle le mamme del mondo”, della sacra famiglia, vetrina dei valori della tradizione: il matrimonio possibilmente d’amore, la maternità, la dignità. Mi faceva sorridere mia madre quando a mia sorella che si truccava gli occhi diceva: “Che cosa sono tutti questi buttanesimi”?». Infatti, nemmeno un tale malaffare è una “novità storica”, tanto meno una “liberazione dei costumi” come pretenderebbero i rivoluzionari (?) del “meno-male-che-silvio-c’è”. E’, invece, una gravissima ricaduta nel basso impero.
Le mamme-maitresse (ma anche i padri-maitresse) sono sempre esistite. La cessione della figlia al potente di turno per ottenere vantaggi economici e/o politici è fatto che data dalla notte dei tempi. Ma senza spingerci troppo indietro, basta restare a due racconti del Novecento molto realisti.
Il primo ci viene da La pelle di Curzio Malaparte. Il romanzo, come noto, narra le vicende del protagonista che accompagna le truppe alleate nella guerra di “liberazione” (?) dell’Italia nell’epilogo della Seconda guerra mondiale dove, una Napoli sopravvissuta alla «guerra per non morire», degenera nella misera della lotta per sopravvivere. In una Forcella apocalittica: «Donne livide, sfatte, dalle labbra dipinte, dalle smunte gote incrostate di belletto, orribili e pietose, sostavano all’angolo dei vicoli offrendo ai passanti la loro miserabile mercanzia: ragazzi e bambine di otto, di dieci anni, che i soldati marocchini, indiani, algerini, malgasci, palpavano sollevando loro la veste o infilando la mano fra bottoni e calzoncini. Le donne gridavano: “Two dollars the boys, three dollars the girls!».
Era un popolo di vinti, quello, che cercava di sopravvivere prostituendo i suoi figli. Un popolo di vinti cade sempre, in un modo o nell’altro, nella prostituzione. Non va assolto per questo: non va giustificato. Non lo fa Curzio Malaparte nel girone infernale che narra nel romanzo. Semmai ne ha compassione, ma è un’altra cosa. Non lo faremo nemmeno noi. Potremmo semmai disquisire sul grado di miseria diverso fra le due realtà narrate: quella dell’Italia vinta oggi e quella di allora. Ma la sottolineatura forte va messa sotto al fatto che a prostituirsi sono sempre gli sconfitti, ieri come oggi.
Niente di nuovo sotto il sole, quindi? Sembra di no, nemmeno a dar retta alla vulgata che sia il potere mediatico a indurre modelli comportamentali come quelli che stiamo osservando. Nel 1951, con il film Bellissima, Luchino Visconti racconta qualcosa di analogo all’odierno squittire di aspiranti veline. La protagonista, Maddalena Cecconi (Anna Magnani), viene attratta dalle luci della ribalta. Ma non per sé, per la figlia Maria (Tina Apicella) una bambina di otto anni. E’ disposta a tutto. Persino a concedere le sue grazie pur di garantire alla piccola il successo. Lo farà, infatti, immolandosi sessualmente alla causa sotto ricatto del perfido traffichino di illusioni Alberto Annovazzi (Walter Chiari). Ma almeno lei, la mamma, avrà un sussulto di orgoglio quando si renderà conto che la bambina è alla mercé di distruttori di anime. Ci sarebbe piaciuto leggere, fra le tante intercettazioni che inondano le pagine dei giornali di queste nostre cronache odierne, di una Maddalena Cecconi accorsa a riprendersi la figlia. Purtroppo, di una tale impresa contro la morsa pestifera non si rinviene traccia.
La peste è, appunto, la metafora che Curzio Malaparte usa per descrivere l’elemento corruttore delle anime degli sconfitti: «Ed ecco che, per effetto di quella schifosa peste, che per prima cosa corrompeva il senso dell’onore e della dignità femminile, la più spaventosa prostituzione aveva portato la vergogna in ogni tugurio e in ogni palazzo. Ma perché dire vergogna? Tanta era l’iniqua forza del contagio, che prostituirsi era divenuto un atto degno di lode, quasi una prova di amor di patria, e tutti, uomini e donne, lungi dall’arrossirne, parevano gloriarsi della propria e della universale abiezione». La metafora resta valida.
di Miro Renzaglia
08 marzo 2011
Forze speciali statunitensi sbarcano in Libia, dove addestrano i ribelli anti-Gheddafi
Navi da guerra USA sono entrate nel Mar Mediterraneo. Gheddafi: migliaia Libici di moriranno se gli Stati Uniti o la NATO invaderanno la Libia
Adrian Novac HotNews.ro 2 Marzo 2011
Commandos inglesi a Bengasi – Agerpres
Forze Speciali dell’Esercito USA sono sbarcati in Libia, per addestrare i ribelli che combattono contro il regime di Muammar Gheddafi, afferma il Pakistan Observer. Secondo i rapporti, sul posto si trovano anche “consiglieri militari” inglesi e francesi, che hanno il compito di stabilire le basi di addestramento nelle regioni orientali del paese, controllato dai sostenitori dell’opposizione. Le due navi d’assalto statunitensi, USS Ponce e USS Kearsarge sono arrivate nel Mediterraneo, secondo una dichiarazione resa da un ufficiale statunitense in condizione di anonimato. Gli Stati Uniti non hanno specificato se la portaerei USS Enterprise, che si trova nel Mar Rosso, sarà inviata anch’essa nel Mediterraneo, ha detto Reuters Mercoledì. Un’altra nave da guerra statunitense, il cacciatorpediniere USS Barry, ha già attraversato il Canale di Suez Lunedi, e sarà nel sud-ovest del Mediterraneo.
L’amministrazione Obama ha detto che sta valutando tutte le opzioni per affrontare la crisi in Libia, anche se il Pentagono è alle prese con gli attuali costi delle guerre in Afghanistan e in Iraq.
Secondo le informazioni fornite da un diplomatico libico che si trovava in zona, le forze speciali delle tre potenze occidentali sono sbarcati in Cirenaica, e oggi hanno stabilito basi e centri di addestramento “per rafforzare le truppe ribelli che in diverse regioni si oppongono ai soldati di Gheddafi“. Un funzionario libico, che non ha voluto essere identificato, ha detto che i soldati statunitensi e britannici arrivarono nell’area il 23 e 24 febbraio, trasportati da navi da guerra e da piccole imbarcazioni appartenenti alla Marina USA e francese, presso Bengasi e Tobruk. Diverse informazioni indicano che le forze speciali occidentali avviano attualmente gli sforzi per “neutralizzare” l’aviazione libica, al fine di limitare il potere del regime di Gheddafi.
Nel frattempo, i leader militari statunitensi preparano una lista di opzioni da proporre al presidente Barack Obama, e svolgono anche le discussioni con i loro omologhi europei, ma la probabilità di un intervento militare rimane incerta. “Credo che le opzioni vanno da una dimostrazione di forza al coinvolgimento in qualcosa di più grande,” ha detto un funzionario Usa, aggiungendo che “il presidente Obama non ha adottato alcuna decisione sull’uso dei militari“. In seguito, la Casa Bianca ha inviato i vascelli trasferiti al fine di sostenere un eventuale aiuto umanitario, ma ha sottolineato che “non esclude una qualsiasi altra opzione“, un linguaggio diplomatico che segnala che l’azione militare è una possibilità.
Venerdì scorso, 40 influenti personalità neo-conservatrici USA hanno inviato una lettera a Obama, chiedendogli di preparare un “decreto” per una operazione militare per la rimozione di Gheddafi. Inoltre, tre navi da guerra indiane, tra cui la nave d’assalto INS Jalashwa, si sta dirigendo verso le acque vicino la Libia.
Truppe fedeli a Gheddafi hanno attaccato due città nelle mani dei ribelli, riuscendo a prenderne il controllo
I ribelli libici ha assunto di nuovo, incredibilmente, il controllo della città orientale di Marsa Brega (dove c’è un importante terminale petrolifero), dopo che le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi hanno annunciato di aver bombardato la città e preso il controllo dalle mani degli insorti, la mattina, secondo Reuters. “Molto probabilmente chiederemo aiuti provenienti dall’estero, abbiamo bisogno di attacchi aerei in punti strategici, per rimuovere Muammar Gheddafi dal potere“, ha detto alla Reuters Gheriani Mustafa, un portavoce per i gruppi di insorti. “Hanno cercato di riprendersi Brega questa mattina, ma non ci sono riusciti. La città è tornata nelle mani dei rivoluzionari“, ha aggiunto.
Le truppe fedeli a Gheddafi hanno lanciato un attacco alla città di Ajdabiyah (che si trova nell’est del paese, a 500 km da Tripoli), che ospita anche delle installazioni petrolifere importanti, e sono riusciti a prenderne il controllo, afferma SkyNews.
Muammar Gheddafi: migliaia di Libici moriranno se gli Stati Uniti o la NATO invaderanno la Libia
Il leader di Tripoli, Muammar Gheddafi ha detto Mercoledì che il mondo non capisce il sistema libico che mette il potere “nelle mani del popolo“, riferiva la Reuters citando una trasmissione della televisione di Stato. La folla in sala ha applaudito Gheddafi. L’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha detto Martedì in reazione alla intervista rilasciata il giorno prima da Gheddafi, che il leader libico delira e non è in grado di guidare il paese. Secondo la Rice, Gheddafi che ride alle domande, mentre lui “macella la sua stessa gente” mostra che è disconnesso dalla realtà.
Ecco alcune delle dichiarazioni rilasciate Mercoledì da Muammar Gheddafi:
Metto le dita negli occhi di coloro che dubitano che la Libia è gestita da qualcuno che non sia il suo popolo
La Libia è un sistema di democrazia diretta
Muammar Gheddafi non è il presidente, non può d dimettersi, non ha un parlamento che può esser sciolto, non ho cariche da cui dimettermi
La Libia è un sistema del popolo e nessuno può resistere al potere del popolo
Il popolo è libero di scegliere l’autorità che ritengono più adatta
Non vi è alcuna protesta in Oriente
Le cellule di Al Qaida hanno attaccato le forze di sicurezza e hanno rubato le loro armi
Come è cominciato tutto? Minuscole cellule di Al-Qaida sotto copertura
Sono pronto ad andare ad un dibattito con una di questi di al Qaida, uno di loro … ma nessuno è venuto a discutere… non hanno chiesto nulla
Diffondere le notizie sulla Libia nel mondo delle stazioni e dalle agenzie che hanno corrispondenti in Libia
Sfido a trovare che dei pacifici dimostranti sono stati uccisi
Negli USA, in Francia e altrove, se le persone attaccano negozi e cercando di rubare delle armi, gli sparano
Chiedere all’ONU e alla NATO di organizzare rapidamente comitati per sapere quante persone sono state uccise
Come possono le Nazioni Unite prendere decisioni basate su informazioni false al 100%?
Vedo una cospirazione per il controllo del petrolio e la terra della Libia
Vogliono farci diventare ancora una volta schiavi degli italiani? Non lo accetteremo mai
In Libia inizieremo una sanguinosa guerra, migliaia di libici moriranno se Stati Uniti o la NATO invaderanno la Libia
Gheddafi: “O io o al-Qaida”
Tol Press 6 marzo, 2011
Il colonnello Gheddafi incontra gli inviati di JDD. (Bernard Bisson/JDD)
In esclusiva mondiale, il capo di stato libico ha ricevuto Sabato, due inviati speciali di JDD nel suo quartier generale a Tripoli. Ecco alcuni estratti da questa intervista eccezionale pubblicata Domenica su JDD.
La minaccia terroristica
“Quando ci fu confusione in Tunisia ed Egitto (…) Al-Qaida ha incaricato le sue cellule dormienti in Libia di emergere (…) I ragazzi non sapevano di al-Qaida o dell’ideologia di questa organizzazione. Ma i membri di queste cellule gli hanno dato pillole allucinogene. (…) Oggi, questi giovani si sono assuefatti a queste pillole e pensano che le armi sono una sorta di fuochi d’artificio.”
“Sono veramente sorpreso che non si capisca che questa è una lotta contro il terrorismo (…) I nostri servizi di intelligence stanno cooperando. Vi abbiamo aiutato molto in questi ultimi anni! Allora, perché quando siamo noi in battaglia contro il terrorismo qui, in Libia, nessuno ci ricambia l’aiuto!”
“Ci sarà un Jihad islamico di fronte a voi, nel Mediterraneo, (…) le persone di bin Laden imporranno le taglia su terra e su mare. Torneremo ai tempi del Barbarossa, dei pirati, degli ottomani che impongono le taglie alle navi. Questa sarà veramente una crisi globale e un disastro per tutti.”
Il ruolo della Francia nella crisi
“Vorrei che una squadra d’indagine delle Nazioni Unite o dell’Unione africana venga qui in Libia. Consentiremo alla Commissione di andare sul campo senza alcun ostacolo.”
“La Francia ha grandi interessi in Libia. Abbiamo lavorato con il signor Sarkozy, abbiamo lavorato insieme su diversi casi, cause diverse. La Francia sarebbe stata la prima a inviare una commissione d’inchiesta. Spero che cambierà il suo atteggiamento verso di noi. (…) Che la Francia assuma rapidamente la guida dell’inchiesta, bloccando la risoluzione ONU al Consiglio di Sicurezza, e faccia fermare l’intervento straniero nella regione di Bengasi.”
Nessuna crisi del regime
“Da noi, il potere è del popolo. Non abbiamo nessun presidente che si dimetta, né un parlamento che si sciolga, né elezioni contraffatte, non una Costituzione da modificare. Noi non abbiamo rivendicazioni di giustizia sociale, perché qui è il popolo a decidere. Io non ho alcun potere, come invece Ben Ali e Hosni Mubarak.”
“Il regime qui in Libia, va bene. E’ stabile. Voglio essere ben capito: se minacciano, se destabilizzano, si avrà la confusione, bin Laden, i gruppuscoli armati. Questo è ciò che accadrà. Avrete immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia. E non ci sarà nessuno a fermarli. Agitate lo spettro della minaccia islamica…”
La violenza
“Non ho mai sparato sul mio popolo! E voi non credereste che il regime algerino in anni di lotta all’estremismo islamico, non abbia fatto uso della forza! E non credereste che il bombardamento israeliano di Gaza e le vittime civili siano causati dai gruppi armati che ci sono? E in Afghanistan o in Iraq, non sapete che i militari degli Stati Uniti fanno regolarmente delle vittime civili? E la NATO in Afghanistan non ha mai sparato contro i civili? Qui, in Libia, non abbiamo sparato a nessuno.”
Fortuna personale
“Ho sfidato tutti a dimostrare che ho un solo dinaro mio! Questo blocco dei beni è una pirateria in più imposta al denaro dello Stato libico. Vogliono rubare i soldi dallo stato libico e mentono e dicono che sono i soldi della Guida! Ancora una volta, c’è l’inchiesta per dimostrare a chi appartiene il denaro. Io sono tranquillo. Non ho che questa tenda.”
Si osservi questa foto, conferma le affermazioni dell’articolo del sito romeno:
Gli uomini qui ripresi caricano una cassa di munizioni speciali, si tratta di proiettili da 106mm per dei cannoni senza rinculo anti-carro M40A1 di fabbricazione statunitense. Tale arma non è in dotazione alle forze armate libiche; inoltre la scritta HESH-T, ovvero Proiettile ad Alto Esplosivo a Testata Dirompente – Tracciante, dimostra che i proiettili sono di fabbricazione inglese, poiché questo tipo di proiettili sono chiamati così solo nel Regno Unito, mentre nel resto del mondo vengono denominati HEP-T (Proiettile ad Alto Esplosivo al Plastico – Tracciante). Inoltre l’esplosivo HESH-T/HEP-T è impiegato solo dai paesi membri della NATO, Israele, India e Svezia. Non possono che avere origine esterna alla Libia, non sono stati prelevati dagli arsenali delle forze armate libiche.
di Alessandro Lattanzio
11 marzo 2011
Il lavoro nobilita l’uomo…(e lo rende simile alle bestie?!!)
E’ con puro spirito catartico che mi appresto a vergare - seppur virtualmente - queste bianche pagine di Word; al solo scopo di consentire - così come si fa con la pentola sul fuoco, quando si favorisce la fuoriuscita di quel poco di pressione che sarebbe pericoloso e incontrollabile lasciar affiorare in un sol colpo all’apertura del coperchio – una riduzione significativa del mio stato di agitazione e talvolta di rabbia. Per evitare “l’esplosione” o più facilmente “l’implosione”…
Non so se qualcuno avrà accesso a queste mie righe; mi auto assolvo sin d’ora pertanto, se la prosa non sarà particolarmente curata come magari sarei in grado di fare.
L’obiettivo vuole essere chiaro e dichiarato sin dal principio: quali sono le ragioni vere, profonde e ultime del disagio, che - palesato talvolta da evidenze di carattere psicofisico (insonnia, mal di stomaco, ansia, tristezza immotivata, paura del futuro…) - si manifesta oggi in un numero sempre maggiore di persone, a proposito della propria condizione lavorativa?
E’ giusto di questa mattina l’importante presa di posizione di Papa Bendetto XVI, Che, nel corso dell’Angelus di domenica 27 febbraio 2011, così si è espresso:
“La fede nella Provvidenza non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani”
E’ a partire da una lettura seria e approfonite di questa affermazione che provo ad argomentare il mio pensiero.
Il lavoro nobilita l’uomo.
Questa frase, attribuita normalmente a Charles Darwin (1809-1882), segna probabilmente l’inizio di un’era, tutt’ora in corso, che ha mutato concezioni e modi di pensare e di agire che erano stati invece connaturati negli uomini per secoli.
Beh, probabilmente non ci si poteva aspettare molto di più da chi ha provato per tutta la vita (tutt’ora senza validazione scientifica…), a dimostrarci che discendiamo dagli scimmioni, mancando di spiegarci dove sta questo benedetto (o maledetto), anello di congiunzione (che a scadenze prefissate torna sulle cronache e le prime pagine dei TG, salvo poi scomparire mestamente come l’ennesima bufala); e senza chiarirci peraltro come mai, i suddetti scimmioni continuino a esistere oggi, a fianco dell’homo sapiens sapiens.
Nei secoli passati, dire che il lavoro nobilita l’uomo, sarebbe stato certamente inteso come segnale di pazzia o di possessione diabolica…
Me lo immagino il contadino, ricurvo su se stesso dopo 12 ore di lavoro nei campi, recarsi dal latifondista di turno e ricordargli che “il lavoro nobilita l’uomo”… Senz’altro sarebbe stato chiamato il prete per abbozzare un esorcismo.
Già, i preti, i monaci meglio. Proviamo a sfatare un’altra leggenda. Tutti conoscono la Regola benedettina dell’Ora et labora. Prega e lavora, appunto.
E’ evidente che, in un’ottica religiosa ed escatologica, questo aveva un senso profondo. La giornata era tutta dedicata a Dio, verso il quale si rivolgevano preghiere – sin dalla mattina presto - , e per il quale si lavorava assiduamente. Il lavoro era una specie di prolungamento della preghiera, in linea con i Padri del deserto che esortavano i monaci a pregare anche durante il lavoro. Rispondeva inoltre al non secondario bisogno di procurarsi il necessario alla sopravvivenza. E’ stato infine grazie al lavoro dei monaci che ci sono pervenute le più importanti opere storiche e letterarie, oltre che artistiche, del passato.
Lo stesso noto e più volte citato passaggio di San Paolo (Tessalonicesi 2 – 3,10), “chi non vuol lavorare neppure mangi”, se rappresenta senz’altro una conferma della “responsabilità individuale” di ciascuno a provvedere al proprio sostentamento, non costituisce certo, a mio avviso, una apologia acritica e indiscriminata del “lavoro” come strumento “salvifico”.
Intendo dire: è doveroso lavorare e procurarsi con il sudore della fronte ciò di cui ha bisogno, per l’uomo macchiato dal peccato originale. Ma questo non significa, in virtù di qualche erroneo sillogismo, derivarne una esaltazione del lavoro…
Più esplicitamente ancora: ci tocca lavorare per vivere, e questo siamo tenuti a fare.
E comunque, il nobile, per definizione, NON ha mai lavorato.
Il lavoro è indispensabile per la realizzazione dell’uomo?
Così si sente dire spesso, soprattutto da parte di chi, dal lavoro… degli altri… trae vantaggi economici, sociali, di prestigio, quando non addirittura giustificazioni mistico religiose che lo convincono che sta operando per un Bene più grande.
Cosa si intende per realizzazione dell’uomo?
Mi piace citare un bellissimo passaggio di Peguy (L’argent, 1914) a proposito del lavoro:
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. Una tradizione venuta, risalita da profondo della razza, una storia, un assoluto, un onore esigevano che quella gamba di sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia fosse ben fatta. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io — io ormai così imbastardito — a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti.
Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.
Ebbene rifletto da tempo su queste righe, condividendole in pieno, chiedendomi però come sia possibile applicarle oggi, 2011, nella Società odierna.
Come può un addetto al call center “coltivare un onore assoluto” mentre risponde a utenti imbizzarriti perché il decoder è fuori uso e non consente di vedere l’ avvincente puntata de “Il Grande fratello”; oppure come può riuscire un addetto alle vendite di qualche fumosa azienda di servizi, misurato esclusivamente sui ricavi portati o sulle quote di mercato rubate alla concorrenza, riuscire a convincersi che “(la gamba della sedia)…non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario (…) doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura”.
Sempre più facilmente, oggi, si lavora perché costretti a farlo. Per mangiare, per avere un tetto sotto cui dormire… Si è vero, ma sempre più spesso ci troviamo a “fare un lavoro che non ci piace per comprarci cose che non ci servono” come dice Tyler, il protagonista di Fight Club (il cult movie anni’90 con Brad Pitt e Edward Norton).
“La fede nella Provvidenza non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani” ha detto Papa Benedetto XVI questa mattina. Non credo si possa interpretare questa affermazione come una esaltazione del “lavoro” come fine a se stesso. Ma semmai come una esortazione a non farsi sopraffare (e mai come in questo periodo il rischio è concreto), da un’idea di predestinazione, assunta la quale diventa inutile “lottare” e darsi da fare. Superfluo credo sottolineare l’idea di libero arbitrio, distintiva e differenziale per noi cattolici, che non permette a nessuno di trincerarsi dietro uno sconfortante “eh…colpa del destino!”
Intendo piuttosto dire che è privilegio di pochi poter fare un lavoro in grado di suscitare pensieri come quelli magistralmente narrati da Peguy nella citazione sopra riportata. E non mi riferisco, come si potrebbe immaginare, ad attori o cantanti strapagati, spesso con problematiche ben superiori a quelle del comune uomo della strada. Penso invece a chi, come per l’appunto nella pagina di Peguy in oggetto, grazie a una occupazione di tipo artigianale, davvero può percepire queste finezze. Il falegname che “crea” una libreria “fuori standard”, tale da inserirsi al millimetro nel piccolo appartamento del Cliente che ancora (…antico lui…!), vuole conservare qualche decina di libri. Oppure al chirurgo che con l’opera della sua mente e delle sue mani salva quotidianamente la vita alle persone.
Ipotesi future
Quali prospettive allora per il futuro?
Rassegnarsi a una esistenza triste, senza soddisfazioni, come gli schiavi appunto?
Oppure cercare altrove una realizzazione che solo pochi riescono a trarre dal proprio lavoro?
E’ inevitabile che alla lunga, anche questo, come ogni ragionamento che sia degno di questo nome, se esasperato dal punto di vista logico, non possa che portare a pensare in termini “ultimi”, escatologici per i più dotti.
Per quale ragione ci troviamo su questa Terra? Qual è il nostro Progetto? E dove finiremo una volta trapassati?
Non credo di fare azzardi logici se affermo che, in un’ultima analisi, ragionare sul “lavoro” comporti anche ragionare su questo tipo di tematiche.
Invece sempre più spesso sento (s)parlare - a proposito del “lavoro” - di nuove vision, di individuazione del proprio ruolo nel mondo, di rispetto per le generazioni future.
Il “lavoro” inteso appunto come strumento di realizzazione per l’Uomo.
Rimango turbato quando sento fare certi accostamenti.
E, attraverso la tastiera del mio PC, li contesto. Si perché non posso permettermi di farlo coram populo, ne andrebbe – appunto – del mio mezzo di sostentamento!
Cosa faresti se potessi vivere di rendita e scegliere davvero, in base alle tue inclinazioni, cosa fare del tempo che il Signore ti vorrà concedere? Sarà capitato a molti di fare questi pensieri…a me capita spesso! Ebbene, personalmente leggerei, studierei, approfondirei tematiche storiche e letterarie che negli anni del liceo ho solo sfiorato (e, diciamola tutta, nemmeno tanto apprezzato…erano un obbligo!). Scriverei senz’altro, per me sia inteso, nessuna velleità giornalistico/letteraria (pubblicista lo sono già stato anni fa…senza particolare soddisfazione nel raccontare, annoiato, di patetici consigli comunali del mio comune, piuttosto che di improbabili corsi di campana tibetana organizzati dal circolo culturale di turno…).
E allora qual è, oggi, la conclusione? Lavoro per vivere, e leggo, studio, approfondisco, scrivo…per diletto, o meglio per “sopravvivere”...
Nella speranza, un giorno, di poter raggiungere un bilanciamento così perfetto, da poter invertire sia i fattori che il risultato finale…
Vana illusione la mia, dettata da un momento di sconforto, che presto sarà sostituita da più terrene aspirazioni?
Non ne ho idea…so solo che in questa ora abbondante trascorsa davanti al PC mi sono sentito davvero bene, e per un momento il mal di stomaco è scomparso!
Devo prenderla come un “segno divino”?
di Roberto Solcia
09 marzo 2011
Papi-girl? Ci vorrebbero madri vere
Aveva ragione Francesco Borgonovo quando, qualche settimana fa in un suo articolo su Libero, da noi ripreso e commentato QUI, affermava con inveterata e fervida fede, che la rivoluzione berlusconiana aveva prodotto l’uomo nuovo: quello che pretende di arricchirsi e di giudicare con scrupoloso soggettivismo quali tasse sono giuste da pagare e quali, invece, no. Ma, pur avendo la ragione che gli dà la cronaca, era in difetto di riferimenti. Perché limitarsi all’uomo? Anche la donna berlusconiana brilla di quel radioso avvenire che irraggia all’Olgettina le papi-girls in attesa trepida della chiamata alle armi di Arcore, Palazzo Grazioli, Villa Certosa, Castel di Tor Crescenzo ed eventuali e varie altre zone limitrofe e collegate. E che dire della famiglia? Oh! quel sacro vincolo cementato un tempo dal sangue e dagli affetti, non ha subito forse una radicale trasformazione? La mamma che alla figlia prostrata per una sei giorni festosa con il Priapo di Brianza («non ti puoi immaginare in che condizioni sono guarda (…) sono in condizioni pietose, pietose proprio») chiede, ancor prima di consigliarle di «riposare», quant’è stato il corrispettivo ricevuto per i sudati allori, tirando alla risposta («seimila euro») un sospiro di soddisfazione, non è forse l’indice di una trasmutazione antropologica avvenuta anche nel nido familiare? E il fidanzato di un’altra descamisada (no, dico, il fidanzato: uno che un tempo se solo ti cadevano gli occhi sulla sua donna te li cavava, gli occhi, e te li metteva pure in mano in segno di elemosina), che rimprovera la fidanzata per non essersi fatta dare «i vestiti» (i vestiti?) perché, si giustificava la meschina: «comunque…non faccio niente con lui» subendo il rimbrotto dell’amato: «Eh, ma sei scema? Ma anche se fai o non fai, fatti dare!»; un fidanzato del genere – dicevo – non è forse un’altra spia lampante della rivoluzione compiuta nel diciassettennio (portasse sfiga?) berlusconiano?
Il problema vero è sempre lo stesso: questa epocale corruzione dell’anima di persone e istituzioni (familiari e no) a cui quotidianamente assistiamo nella politica, nella società, nel costume di questo disgraziato Paese, non è affatto una rivoluzione, una liberazione dei costumi, come pretendono i suoi esegeti, ma un degenerativo recupero di modelli che si volevano superati. E’ il ciclico riproporsi di restaurazioni reazionarie alle spinte prodotte da movimenti autenticamente libertari, come quello femminista per esempio. Una patacca, insomma. Né più né meno delle altre fulgenti innovazioni prodotte dal genio di Arcore.
Per questo, pur apprezzando l’articolo di Francesco Merlo apparso ieri suRepubblica, e che denuncia il malaffare in corso d’opera con un articolo chiaro fin dal titolo: “L’avvento delle mamme-maitresse. Così finisce la sacra famiglia italiana”, ne contestiamo la premessa: «Novità storica sono le mamme istigatrici e complici. Non le lupe di Arcore, ma queste mamme-maitresse che investono e lucrano sul sesso delle figlie, mamme che rompono la gabbia, all’apparenza inespugnabile, dell’identità italiana, della mamma chioccia, del “son tutte belle le mamme del mondo”, della sacra famiglia, vetrina dei valori della tradizione: il matrimonio possibilmente d’amore, la maternità, la dignità. Mi faceva sorridere mia madre quando a mia sorella che si truccava gli occhi diceva: “Che cosa sono tutti questi buttanesimi”?». Infatti, nemmeno un tale malaffare è una “novità storica”, tanto meno una “liberazione dei costumi” come pretenderebbero i rivoluzionari (?) del “meno-male-che-silvio-c’è”. E’, invece, una gravissima ricaduta nel basso impero.
Le mamme-maitresse (ma anche i padri-maitresse) sono sempre esistite. La cessione della figlia al potente di turno per ottenere vantaggi economici e/o politici è fatto che data dalla notte dei tempi. Ma senza spingerci troppo indietro, basta restare a due racconti del Novecento molto realisti.
Il primo ci viene da La pelle di Curzio Malaparte. Il romanzo, come noto, narra le vicende del protagonista che accompagna le truppe alleate nella guerra di “liberazione” (?) dell’Italia nell’epilogo della Seconda guerra mondiale dove, una Napoli sopravvissuta alla «guerra per non morire», degenera nella misera della lotta per sopravvivere. In una Forcella apocalittica: «Donne livide, sfatte, dalle labbra dipinte, dalle smunte gote incrostate di belletto, orribili e pietose, sostavano all’angolo dei vicoli offrendo ai passanti la loro miserabile mercanzia: ragazzi e bambine di otto, di dieci anni, che i soldati marocchini, indiani, algerini, malgasci, palpavano sollevando loro la veste o infilando la mano fra bottoni e calzoncini. Le donne gridavano: “Two dollars the boys, three dollars the girls!».
Era un popolo di vinti, quello, che cercava di sopravvivere prostituendo i suoi figli. Un popolo di vinti cade sempre, in un modo o nell’altro, nella prostituzione. Non va assolto per questo: non va giustificato. Non lo fa Curzio Malaparte nel girone infernale che narra nel romanzo. Semmai ne ha compassione, ma è un’altra cosa. Non lo faremo nemmeno noi. Potremmo semmai disquisire sul grado di miseria diverso fra le due realtà narrate: quella dell’Italia vinta oggi e quella di allora. Ma la sottolineatura forte va messa sotto al fatto che a prostituirsi sono sempre gli sconfitti, ieri come oggi.
Niente di nuovo sotto il sole, quindi? Sembra di no, nemmeno a dar retta alla vulgata che sia il potere mediatico a indurre modelli comportamentali come quelli che stiamo osservando. Nel 1951, con il film Bellissima, Luchino Visconti racconta qualcosa di analogo all’odierno squittire di aspiranti veline. La protagonista, Maddalena Cecconi (Anna Magnani), viene attratta dalle luci della ribalta. Ma non per sé, per la figlia Maria (Tina Apicella) una bambina di otto anni. E’ disposta a tutto. Persino a concedere le sue grazie pur di garantire alla piccola il successo. Lo farà, infatti, immolandosi sessualmente alla causa sotto ricatto del perfido traffichino di illusioni Alberto Annovazzi (Walter Chiari). Ma almeno lei, la mamma, avrà un sussulto di orgoglio quando si renderà conto che la bambina è alla mercé di distruttori di anime. Ci sarebbe piaciuto leggere, fra le tante intercettazioni che inondano le pagine dei giornali di queste nostre cronache odierne, di una Maddalena Cecconi accorsa a riprendersi la figlia. Purtroppo, di una tale impresa contro la morsa pestifera non si rinviene traccia.
La peste è, appunto, la metafora che Curzio Malaparte usa per descrivere l’elemento corruttore delle anime degli sconfitti: «Ed ecco che, per effetto di quella schifosa peste, che per prima cosa corrompeva il senso dell’onore e della dignità femminile, la più spaventosa prostituzione aveva portato la vergogna in ogni tugurio e in ogni palazzo. Ma perché dire vergogna? Tanta era l’iniqua forza del contagio, che prostituirsi era divenuto un atto degno di lode, quasi una prova di amor di patria, e tutti, uomini e donne, lungi dall’arrossirne, parevano gloriarsi della propria e della universale abiezione». La metafora resta valida.
di Miro Renzaglia
08 marzo 2011
Forze speciali statunitensi sbarcano in Libia, dove addestrano i ribelli anti-Gheddafi
Navi da guerra USA sono entrate nel Mar Mediterraneo. Gheddafi: migliaia Libici di moriranno se gli Stati Uniti o la NATO invaderanno la Libia
Adrian Novac HotNews.ro 2 Marzo 2011
Commandos inglesi a Bengasi – Agerpres
Forze Speciali dell’Esercito USA sono sbarcati in Libia, per addestrare i ribelli che combattono contro il regime di Muammar Gheddafi, afferma il Pakistan Observer. Secondo i rapporti, sul posto si trovano anche “consiglieri militari” inglesi e francesi, che hanno il compito di stabilire le basi di addestramento nelle regioni orientali del paese, controllato dai sostenitori dell’opposizione. Le due navi d’assalto statunitensi, USS Ponce e USS Kearsarge sono arrivate nel Mediterraneo, secondo una dichiarazione resa da un ufficiale statunitense in condizione di anonimato. Gli Stati Uniti non hanno specificato se la portaerei USS Enterprise, che si trova nel Mar Rosso, sarà inviata anch’essa nel Mediterraneo, ha detto Reuters Mercoledì. Un’altra nave da guerra statunitense, il cacciatorpediniere USS Barry, ha già attraversato il Canale di Suez Lunedi, e sarà nel sud-ovest del Mediterraneo.
L’amministrazione Obama ha detto che sta valutando tutte le opzioni per affrontare la crisi in Libia, anche se il Pentagono è alle prese con gli attuali costi delle guerre in Afghanistan e in Iraq.
Secondo le informazioni fornite da un diplomatico libico che si trovava in zona, le forze speciali delle tre potenze occidentali sono sbarcati in Cirenaica, e oggi hanno stabilito basi e centri di addestramento “per rafforzare le truppe ribelli che in diverse regioni si oppongono ai soldati di Gheddafi“. Un funzionario libico, che non ha voluto essere identificato, ha detto che i soldati statunitensi e britannici arrivarono nell’area il 23 e 24 febbraio, trasportati da navi da guerra e da piccole imbarcazioni appartenenti alla Marina USA e francese, presso Bengasi e Tobruk. Diverse informazioni indicano che le forze speciali occidentali avviano attualmente gli sforzi per “neutralizzare” l’aviazione libica, al fine di limitare il potere del regime di Gheddafi.
Nel frattempo, i leader militari statunitensi preparano una lista di opzioni da proporre al presidente Barack Obama, e svolgono anche le discussioni con i loro omologhi europei, ma la probabilità di un intervento militare rimane incerta. “Credo che le opzioni vanno da una dimostrazione di forza al coinvolgimento in qualcosa di più grande,” ha detto un funzionario Usa, aggiungendo che “il presidente Obama non ha adottato alcuna decisione sull’uso dei militari“. In seguito, la Casa Bianca ha inviato i vascelli trasferiti al fine di sostenere un eventuale aiuto umanitario, ma ha sottolineato che “non esclude una qualsiasi altra opzione“, un linguaggio diplomatico che segnala che l’azione militare è una possibilità.
Venerdì scorso, 40 influenti personalità neo-conservatrici USA hanno inviato una lettera a Obama, chiedendogli di preparare un “decreto” per una operazione militare per la rimozione di Gheddafi. Inoltre, tre navi da guerra indiane, tra cui la nave d’assalto INS Jalashwa, si sta dirigendo verso le acque vicino la Libia.
Truppe fedeli a Gheddafi hanno attaccato due città nelle mani dei ribelli, riuscendo a prenderne il controllo
I ribelli libici ha assunto di nuovo, incredibilmente, il controllo della città orientale di Marsa Brega (dove c’è un importante terminale petrolifero), dopo che le forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi hanno annunciato di aver bombardato la città e preso il controllo dalle mani degli insorti, la mattina, secondo Reuters. “Molto probabilmente chiederemo aiuti provenienti dall’estero, abbiamo bisogno di attacchi aerei in punti strategici, per rimuovere Muammar Gheddafi dal potere“, ha detto alla Reuters Gheriani Mustafa, un portavoce per i gruppi di insorti. “Hanno cercato di riprendersi Brega questa mattina, ma non ci sono riusciti. La città è tornata nelle mani dei rivoluzionari“, ha aggiunto.
Le truppe fedeli a Gheddafi hanno lanciato un attacco alla città di Ajdabiyah (che si trova nell’est del paese, a 500 km da Tripoli), che ospita anche delle installazioni petrolifere importanti, e sono riusciti a prenderne il controllo, afferma SkyNews.
Muammar Gheddafi: migliaia di Libici moriranno se gli Stati Uniti o la NATO invaderanno la Libia
Il leader di Tripoli, Muammar Gheddafi ha detto Mercoledì che il mondo non capisce il sistema libico che mette il potere “nelle mani del popolo“, riferiva la Reuters citando una trasmissione della televisione di Stato. La folla in sala ha applaudito Gheddafi. L’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Susan Rice, ha detto Martedì in reazione alla intervista rilasciata il giorno prima da Gheddafi, che il leader libico delira e non è in grado di guidare il paese. Secondo la Rice, Gheddafi che ride alle domande, mentre lui “macella la sua stessa gente” mostra che è disconnesso dalla realtà.
Ecco alcune delle dichiarazioni rilasciate Mercoledì da Muammar Gheddafi:
Metto le dita negli occhi di coloro che dubitano che la Libia è gestita da qualcuno che non sia il suo popolo
La Libia è un sistema di democrazia diretta
Muammar Gheddafi non è il presidente, non può d dimettersi, non ha un parlamento che può esser sciolto, non ho cariche da cui dimettermi
La Libia è un sistema del popolo e nessuno può resistere al potere del popolo
Il popolo è libero di scegliere l’autorità che ritengono più adatta
Non vi è alcuna protesta in Oriente
Le cellule di Al Qaida hanno attaccato le forze di sicurezza e hanno rubato le loro armi
Come è cominciato tutto? Minuscole cellule di Al-Qaida sotto copertura
Sono pronto ad andare ad un dibattito con una di questi di al Qaida, uno di loro … ma nessuno è venuto a discutere… non hanno chiesto nulla
Diffondere le notizie sulla Libia nel mondo delle stazioni e dalle agenzie che hanno corrispondenti in Libia
Sfido a trovare che dei pacifici dimostranti sono stati uccisi
Negli USA, in Francia e altrove, se le persone attaccano negozi e cercando di rubare delle armi, gli sparano
Chiedere all’ONU e alla NATO di organizzare rapidamente comitati per sapere quante persone sono state uccise
Come possono le Nazioni Unite prendere decisioni basate su informazioni false al 100%?
Vedo una cospirazione per il controllo del petrolio e la terra della Libia
Vogliono farci diventare ancora una volta schiavi degli italiani? Non lo accetteremo mai
In Libia inizieremo una sanguinosa guerra, migliaia di libici moriranno se Stati Uniti o la NATO invaderanno la Libia
Gheddafi: “O io o al-Qaida”
Tol Press 6 marzo, 2011
Il colonnello Gheddafi incontra gli inviati di JDD. (Bernard Bisson/JDD)
In esclusiva mondiale, il capo di stato libico ha ricevuto Sabato, due inviati speciali di JDD nel suo quartier generale a Tripoli. Ecco alcuni estratti da questa intervista eccezionale pubblicata Domenica su JDD.
La minaccia terroristica
“Quando ci fu confusione in Tunisia ed Egitto (…) Al-Qaida ha incaricato le sue cellule dormienti in Libia di emergere (…) I ragazzi non sapevano di al-Qaida o dell’ideologia di questa organizzazione. Ma i membri di queste cellule gli hanno dato pillole allucinogene. (…) Oggi, questi giovani si sono assuefatti a queste pillole e pensano che le armi sono una sorta di fuochi d’artificio.”
“Sono veramente sorpreso che non si capisca che questa è una lotta contro il terrorismo (…) I nostri servizi di intelligence stanno cooperando. Vi abbiamo aiutato molto in questi ultimi anni! Allora, perché quando siamo noi in battaglia contro il terrorismo qui, in Libia, nessuno ci ricambia l’aiuto!”
“Ci sarà un Jihad islamico di fronte a voi, nel Mediterraneo, (…) le persone di bin Laden imporranno le taglia su terra e su mare. Torneremo ai tempi del Barbarossa, dei pirati, degli ottomani che impongono le taglie alle navi. Questa sarà veramente una crisi globale e un disastro per tutti.”
Il ruolo della Francia nella crisi
“Vorrei che una squadra d’indagine delle Nazioni Unite o dell’Unione africana venga qui in Libia. Consentiremo alla Commissione di andare sul campo senza alcun ostacolo.”
“La Francia ha grandi interessi in Libia. Abbiamo lavorato con il signor Sarkozy, abbiamo lavorato insieme su diversi casi, cause diverse. La Francia sarebbe stata la prima a inviare una commissione d’inchiesta. Spero che cambierà il suo atteggiamento verso di noi. (…) Che la Francia assuma rapidamente la guida dell’inchiesta, bloccando la risoluzione ONU al Consiglio di Sicurezza, e faccia fermare l’intervento straniero nella regione di Bengasi.”
Nessuna crisi del regime
“Da noi, il potere è del popolo. Non abbiamo nessun presidente che si dimetta, né un parlamento che si sciolga, né elezioni contraffatte, non una Costituzione da modificare. Noi non abbiamo rivendicazioni di giustizia sociale, perché qui è il popolo a decidere. Io non ho alcun potere, come invece Ben Ali e Hosni Mubarak.”
“Il regime qui in Libia, va bene. E’ stabile. Voglio essere ben capito: se minacciano, se destabilizzano, si avrà la confusione, bin Laden, i gruppuscoli armati. Questo è ciò che accadrà. Avrete immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia. E non ci sarà nessuno a fermarli. Agitate lo spettro della minaccia islamica…”
La violenza
“Non ho mai sparato sul mio popolo! E voi non credereste che il regime algerino in anni di lotta all’estremismo islamico, non abbia fatto uso della forza! E non credereste che il bombardamento israeliano di Gaza e le vittime civili siano causati dai gruppi armati che ci sono? E in Afghanistan o in Iraq, non sapete che i militari degli Stati Uniti fanno regolarmente delle vittime civili? E la NATO in Afghanistan non ha mai sparato contro i civili? Qui, in Libia, non abbiamo sparato a nessuno.”
Fortuna personale
“Ho sfidato tutti a dimostrare che ho un solo dinaro mio! Questo blocco dei beni è una pirateria in più imposta al denaro dello Stato libico. Vogliono rubare i soldi dallo stato libico e mentono e dicono che sono i soldi della Guida! Ancora una volta, c’è l’inchiesta per dimostrare a chi appartiene il denaro. Io sono tranquillo. Non ho che questa tenda.”
Si osservi questa foto, conferma le affermazioni dell’articolo del sito romeno:
Gli uomini qui ripresi caricano una cassa di munizioni speciali, si tratta di proiettili da 106mm per dei cannoni senza rinculo anti-carro M40A1 di fabbricazione statunitense. Tale arma non è in dotazione alle forze armate libiche; inoltre la scritta HESH-T, ovvero Proiettile ad Alto Esplosivo a Testata Dirompente – Tracciante, dimostra che i proiettili sono di fabbricazione inglese, poiché questo tipo di proiettili sono chiamati così solo nel Regno Unito, mentre nel resto del mondo vengono denominati HEP-T (Proiettile ad Alto Esplosivo al Plastico – Tracciante). Inoltre l’esplosivo HESH-T/HEP-T è impiegato solo dai paesi membri della NATO, Israele, India e Svezia. Non possono che avere origine esterna alla Libia, non sono stati prelevati dagli arsenali delle forze armate libiche.
di Alessandro Lattanzio