28 agosto 2012
Il ritorno dei non allineati
Dopo un periodo nel quale il Movimento aveva quasi fatto perdere le sue tracce, oggi torna a fare notizia
La settimana prossima i leader dei 120 paesi membri e altri 21 in qualità d’osservatori si riuniranno a Teheran.
LE ORIGINI - Il Movimento dei Non Allineati è nato su impulso del presidente dell’allora Jugoslavia Josip Tito, del (primo) primo ministro indiano Nehru, del (secondo) presidente egiziano Nasser, del (primo) presidente indonesiano Sukarno e del (primo) presidente del Ghana Nkrumah nel 1961. Erano gli anni della Guerra Fredda e delle decolonizzazioni e l’idea era quella di creare un movimento di paesi che sfuggisse alla logica dei due blocchi.
L’OSTRACISMO OCCIDENTALE - Il NAM (Non-Aligned Movement) non ha mai goduto di molta attenzione da parte dei media del blocco atlantico, che gli hanno sempre mostrato un’evidente ostilità. Il movimento oltre a porsi come estraneo alla logica dei due blocchi si poneva come foro di quelli che all’epoca potevano essere quasi tutti considerati paesi in via di sviluppo e quasi tutti i membri avevano acquisito la sovranità nazionale in tempi recentissimi dopo la liberazione dalla colonizzazione, praticata a loro danno quasi esclusivamente dai paesi del blocco atlantico.
IL BATTESIMO DI SANGUE - A fare le spese del clima dell’epoca fu persino il Segretario Generale dell’ONU, lo svedese Dag Hammarskjold, che trovò la morte nel 1961 dopo aver presenziato proprio la prima riunione del gruppo. L’aereo che lo trasportava sui cieli del Congo precipitò in circostanze per l’epoca misteriose e ora note, che videro il primo presidente del grande paese africano, Patrice Lumumba, ucciso per ordine degli Stati Uniti dai militari belgi ancora presenti nell’ex colonia e la condanna a morte di Hammarskjold da parte dell’Union Minière, la società belga che fino ad allora aveva avuto il monopolio sulle immense risorse minerarie del paese. Secondo quanto reso noto da documenti ufficiali americani sui quali è stato tolto il segreto, la CIA ordinò l’assasinio di Lumumba, eseguito poi dai belgi. Uno dei suoi assassini ha vissuto in Italia e all’alba del 2000 non ha avuto alcun problema a raccontare come, dopo aver ucciso a fucilare il presidente congolese, si occupò di strappargli e rubargli due denti d’oro e insieme a un altro distrusse il suo corpo, facendolo prima a pezzi e poi immergendo questi in un bidone dove furono sciolti versando l’acido da batterie. La fine del Segretario Generale dell’ONU fu meno splatter, il suo aereo venne abbattuto senza che si sapesse mai da chi, ma non certo da qualche fazione congolese, nessuna delle quali possedeva aerei.
TENTATIVI D’ALTERNATIVA - Con un tale viatico il movimento rafforzò la sua convinzione e all’epoca molti legarono la morte di Hammarskjold all’esordio del NAM invece che alla questione congolese, anche se i sospetti caddero comunque sui veri autori del suo assassinio. Con lo sfumare della Guerra Fredda il movimento, che si poneva prima di tutto la ricerca da parte dei paesi del Sud del mondo di un’alternativa al modello economico incarnato dagli ex-colonizzatori e dalla Banca Mondiale che controllavano, perse di slancio e non riuscì a produrre modelli ideologici ed economici alternativi al neoliberismo e al dominio ormai unipolare degli Stati Uniti.
L’ATTUALITA’ - Con l’emergere dei paesi cosiddetti BRICS negli ultimi anni la musica è cambiata e, pur continuando ad essere censurato dai media (soprattutto) dei paesi atlantici, il NAM ha riacquistato fiducia e vigore. Oggi l’India ha un’economia importante ed avanzata, ed è una potenza nucleare, il Brasile ha l’ottava economia al mondo, diversi paesi asiatici sono all’avanguardia nell’economia, nella scienza e nella tecnica e per di più, tutti i paesi sudamericani hanno smesso di essere sotto il giogo di dittature sostenute e dirette da Washington.
WASHINGTON RINGHIA ANCORA - L’arroganza con la quale il Nord del mondo trattava il NAM da tempo è stata sostituita dall’indifferenza, ma quest’anno ci sono di nuovo scintille che provengono dagli Stati Uniti, perché l’incontro si tiene a Teheran. Ed è in effetti con un atto di straordinaria aroganza che il portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, rivolgendosi al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon, ha fatto presente che Washington considera l’Iran un posto inappropriato per il meeting, concludendo che il summit e la presenza di Ban “mandano un segnale molto strano in merito al supporto dell’ordine internazionale“. Intervento arrogante perché è dal 1961 che i segretari dell’ONU presenziano a tutti gli incontri, che si sono tenuti ogni 3/4 anni per 13 volte e anche perché offende chiaramente la volontà dei 141 paesi che hanno ritenuto di presenziare.
IL MASTINO ISRAELIANO - Washington non aveva osato tanto neppure nel 2006, quando il summit si tenne a Cuba in una cornice nella quale i più vocali nemici di Washington non risparmiarono attacchi, critiche e condanne alla potenza americana, che mal sopporta che il suo processo di “costruzione del nemico” sia macchiato dall’arrivo delle delle delegazioni di 141 paesi a Teheran. Ad acuire il diffuso fastidio c’è stato anche l’intervento del primo ministro Netanyahu, che nonostante goda ormai del solo aperto sostegno di Washington, non ha trovato di meglio che esprimersi con la frase: “Signor Segretario Generale, il suo posto non è a Teheran”.
L’INSOFFERENZA GENERALE - Proprio quello che ci voleva per mettere pepe all’incontro e per rafforzare il fastidio in decine di paesi che negli anni hanno subito simili dimostrazioni d’arroganza da parte del blocco atlantico e degli ex colonizzatori. Un’arroganza alla quale chi può risponde con indifferenza, come l’India, che approfitterà dell’occasione per discutere con Teheran il modo migliore per acquistare il petrolio iraniano aggirando le sanzioni fortemente volute da Washington. Un’attività sulla quale gli americani non s’esprimono per non irritare gli indiani, ottimo partner commerciale al quale Washington vende anche una discreta quantità di armamenti avanzati di ogni genere, oltre a tecnologia spaziale e nucleare della più sensibile e costosa. Così come non hanno nemmeno provato a far pressione sui paesi latinoamericani, sempre meno disposti ad accettare ingerenze e lezioni di diplomazia internazionale del Dipartimento di Stato.
di Mazzetta
27 agosto 2012
10 regole per riconoscere il Casini che è in voi…
Signore e signori, è inutile fare i vaghi: c’è un po’ di Casini in ognuno di voi. Il morbo è subdolo, attacca anche d’estate: ecco il decalogo per riconoscerne i sintomi, e debellarlo per sempre.
1. Maledetta sobrietà Siete al party di fine estate organizzato dalla vostra amica racchia ma con tante amiche carine. Una di queste vi si avvicina per sorbire il cocktail della staffa ma voi esplodete in un imbarazzante “no, cara, ho bevuto abbastanza”. È il primo sintomo di moderazione, la sobrietà vi sta dando alla testa. Non vi agitate, non ce n’è motivo. Però tenete sotto osservazione il fenomeno.
2. Alleanze troppo variabili Nel pieno di una accesa discussione sul calciomercato, un vostro amico si inalbera per l’ultimo acquisto della Roma e con lo sguardo vivace cerca la vostra approvazione. Fate sì con la testa. A quel punto l’antagonista inviperito rilancia con tono deciso e butta l’occhio verso di voi: trova lo stesso cenno di assenso. Vi illudete di essere equidistanti, invece avete appena guadagnato due nemici. La situazione si fa seria.
3. Due forni, ma con juicio Scatta il momento del cornettone, dopo una notte brava in cui come al solito non avete concluso nulla. Si va tutti da Gigi al Laurentino, che fa i danesi buoni buoni, con sommo disappunto di Angelino, che vorrebbe andare da Mario. Per non scontentare quest’ultimo, prima di rincasare, fate il bis. Sale l’indice di glicemia. La politica dei due forni vi ingolosisce molto, ma attenti al diabete.
4. Buonsenso a vanvera È nota come sindrome di La Palice, ma in alcuni soggetti si configura con sintomatologie molto più importanti. Consiste nell’elencazione gratuita di luoghi comuni eticamente inoppugnabili: il capo dello Stato è il presidente di tutti, le leggi le fa il Parlamento, il latte è bianco, la mucca fa mu. Premuratevi di portare il conto: se superate il limite di tre ovvietà al giorno, fatevi un esame di coscienza. Se non avete più la coscienza, siete in una sezione dell’Udc.
5. Il vostro pantheon Tutti i vostri compagni, impenitenti e nostalgici, dormono ancora sotto i poster del Che, del Quarto Stato, del Duce e di Madonna. Voi sotto quelli di De Gasperi e Cuffaro. Scelta originale, ma forse un po’ troppo. Domandatevi se questa eccentricità non celi disagi più gravi. Meglio un Kandinskij: banale, ma risolve il problema.
6. Quel “messaggero” sospetto Arriva l’autunno, tempo di scuola, università e gagliarde occupazioni. I vostri coetanei si esercitano da capipopolo col megafono e il manifesto sotto il braccio. Voi cercate di imitarli: indossate il basco e un’orrenda camicia a quadri di vostro padre, ma dalla borsa a tracolla spunta una copia del Messaggero. Inutile fare i vaghi, vi hanno sgamato. Almeno non fate la figuraccia di chiamare il preside.
7. Là dove c’era l’erba La vostra profonda fede ecologista vacilla. Il sogno hippie di trasformare le tragiche periferie romane in immense oasi immerse nel verde ha lasciato il posto all’imperativo “costruire costruire costruire”. In architettura si chiama funzionalismo, se invece avete parenti con interessi del mattone si chiama paraculaggine. Per sciogliere il dilemma consultate l’albero genealogico delle vostre famiglie. Qualcosa troverete.
8. Grande “zentro” Ecco l’oziosa discussione sulla vita di paese e la vita di città. Parte la filippica sull’aria sana dei borghi antichi, sui sapori di una volta e tutte quelle menate sui casolari in campagna che si vedono nei film di Bertolucci. Voi, che siete uomini emancipati ed evoluti, non vi lasciate incantare: il vostro sogno è il “grande centro”. Anzi, il grande zentro. Continuate a sognare, i sogni sono gratis.
9. Addio a Monti? Vi siete svegliati nervosi, capita a tutti. Ma oggi sentite di non avere più certezze. Persino Monti non vi va più a genio e cominciate a chiamare il suo governo in modi diversi: di larghe intese, tecnico, di solidarietà nazionale, di salute pubblica, di salvezza nazionale, istituzionale, del premier, del presidente, di unità nazionale, di responsabilità, di garanzia. Sembra giunto il momento per dare una svolta alla vostra vita, invece a fine giornata vi passa tutto. Peccato. Odiate il bipolarismo ma siete bipolari.
10. Lessico famigliare Siete divorziati ma fingete di credere nell’unico e imprescindibile nucleo affettivo riconosciuto da santa romana chiesa, quello composto da uomo e donna che mettono al mondo dei figli. In pratica continuate ad affermare che per voi “la famiglia è una sola”, frase che si legge bene sia con la o aperta che con la o chiusa. Se avete capito la battuta, sorridete. Se non l’avete capita siete nei Casini.
di Alessandro Antonelli
17 agosto 2012
Più di così non si può produrre
La finanza non è la causa della crisi che sta travolgendo il mondo occidentale, ne è solo l’aspetto più evidente contro cui è comodo e facile scagliarsi per evitare di dirsi la verità. Perché la crisi autentica è quella della cosiddetta ‘economia reale’, cioè di un modello di sviluppo basato sul meccanismo produzione-consumo (oggi addirittura ribaltatosi in un ‘consumare per produrre’) e sull’illusione delle crescite esponenziali che, come ho detto altre volte, esistono in matematica ma non in natura.
La locomotiva chiamata Rivoluzione Industriale, partita dall’Inghilterra a metà del Settecento, ha percorso a velocità sempre crescente, che con la maturazione della globalizzazione (che mosse i suoi primi passi proprio allora, essendo i due fenomeni strettamente collegati) è diventata folle, due secoli e mezzo, ma ora è arrivata al suo limite. Non si può più crescere. Non si può produrre di più di quanto abbiamo già prodotto.
Prendiamo, a mo’ di esempio, l’automobile. A chi si può vendere oggi un’automobile? A dei mercati marginali. Certo la si può vendere anche in India e in Cina, ma con una crescita a due cifre anche questi Paesi (che nel frattempo stanno saturando definitivamente i nostri mercati) arriveranno presto ai limiti cui siamo giunti noi. Certo si possono inventare ancora nuove tecnologie e loro applicazioni soprattutto nel campo del virtuale, ma dopo il computer, il cellulare, Internet, l’iPhone, l’iPad che altro ancora? Come c’è una bolla immobiliare c’è, su scala planetaria, una superbolla produttiva.
Sbaglia però chi predica, come mi pare facciano, sia pur con molte differenze, i firmatari del famoso Appello contro ‘il pensiero unico’, una riconversione al marxismo. Figli della Rivoluzione Industriale liberismo e marxismo sono in realtà facce della stessa medaglia: l’industrialismo appunto, che è il vero nocciolo della questione e che nessuno mette in discussione. Sono entrambi modernisti, illuministi, ottimisti, economicisti, produttivisti, hanno entrambi il mito del lavoro (che per Marx è ‘l’essenza del valore’ – non per nulla Stakanov è un eroe dell’Unione Sovietica – e per i liberisti quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso ‘plusvalore’), tutti e due pensano che industria e tecnologia produrranno una tal cornucopia di beni da rendere felici tutti gli uomini (Marx) o, più realisticamente, la maggior parte di essi (i liberisti). Questa utopia bifronte ha fallito. Perché ha alle sue radici gli stessi ‘idola’: industrialismo, produzione, consumo, crescita, sviluppo.
I firmatari dell’Appello stanno quindi totalmente dentro il ‘pensiero unico’ che è quello di chi ritiene, a destra come a sinistra, che lo Sviluppo, in un modo o nell’altro, sia irrinunciabile. Chi ne sta fuori sono coloro che ritengono che invece di crescere sia necessario decrescere (produrre di meno, consumare di meno) sia pur in modo graduale, limitato e ragionato per ritrovare non solo una stabilità economica, che non ci renda schiavi della dittatura anonima dei ‘mercati’, ma una vita più semplice e più umana, senza stress, depressione, nevrosi, anomia, tumori psicosomatici, cardiopatie che, com’è noto, sono tutte malattie della Modernità. Sono quindi gli Antimodernisti i veri antagonisti del ‘pensiero unico’ ed è ai loro danni che si consuma un ‘furto di informazione’ perché sono costantemente ignorati, altro che i signori Gallino, Lunghini, Tronti, Asor Rosa e persino Guido Viale promosso a economista.
di Massimo Fini
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28 agosto 2012
Il ritorno dei non allineati
Dopo un periodo nel quale il Movimento aveva quasi fatto perdere le sue tracce, oggi torna a fare notizia
La settimana prossima i leader dei 120 paesi membri e altri 21 in qualità d’osservatori si riuniranno a Teheran.
LE ORIGINI - Il Movimento dei Non Allineati è nato su impulso del presidente dell’allora Jugoslavia Josip Tito, del (primo) primo ministro indiano Nehru, del (secondo) presidente egiziano Nasser, del (primo) presidente indonesiano Sukarno e del (primo) presidente del Ghana Nkrumah nel 1961. Erano gli anni della Guerra Fredda e delle decolonizzazioni e l’idea era quella di creare un movimento di paesi che sfuggisse alla logica dei due blocchi.
L’OSTRACISMO OCCIDENTALE - Il NAM (Non-Aligned Movement) non ha mai goduto di molta attenzione da parte dei media del blocco atlantico, che gli hanno sempre mostrato un’evidente ostilità. Il movimento oltre a porsi come estraneo alla logica dei due blocchi si poneva come foro di quelli che all’epoca potevano essere quasi tutti considerati paesi in via di sviluppo e quasi tutti i membri avevano acquisito la sovranità nazionale in tempi recentissimi dopo la liberazione dalla colonizzazione, praticata a loro danno quasi esclusivamente dai paesi del blocco atlantico.
IL BATTESIMO DI SANGUE - A fare le spese del clima dell’epoca fu persino il Segretario Generale dell’ONU, lo svedese Dag Hammarskjold, che trovò la morte nel 1961 dopo aver presenziato proprio la prima riunione del gruppo. L’aereo che lo trasportava sui cieli del Congo precipitò in circostanze per l’epoca misteriose e ora note, che videro il primo presidente del grande paese africano, Patrice Lumumba, ucciso per ordine degli Stati Uniti dai militari belgi ancora presenti nell’ex colonia e la condanna a morte di Hammarskjold da parte dell’Union Minière, la società belga che fino ad allora aveva avuto il monopolio sulle immense risorse minerarie del paese. Secondo quanto reso noto da documenti ufficiali americani sui quali è stato tolto il segreto, la CIA ordinò l’assasinio di Lumumba, eseguito poi dai belgi. Uno dei suoi assassini ha vissuto in Italia e all’alba del 2000 non ha avuto alcun problema a raccontare come, dopo aver ucciso a fucilare il presidente congolese, si occupò di strappargli e rubargli due denti d’oro e insieme a un altro distrusse il suo corpo, facendolo prima a pezzi e poi immergendo questi in un bidone dove furono sciolti versando l’acido da batterie. La fine del Segretario Generale dell’ONU fu meno splatter, il suo aereo venne abbattuto senza che si sapesse mai da chi, ma non certo da qualche fazione congolese, nessuna delle quali possedeva aerei.
TENTATIVI D’ALTERNATIVA - Con un tale viatico il movimento rafforzò la sua convinzione e all’epoca molti legarono la morte di Hammarskjold all’esordio del NAM invece che alla questione congolese, anche se i sospetti caddero comunque sui veri autori del suo assassinio. Con lo sfumare della Guerra Fredda il movimento, che si poneva prima di tutto la ricerca da parte dei paesi del Sud del mondo di un’alternativa al modello economico incarnato dagli ex-colonizzatori e dalla Banca Mondiale che controllavano, perse di slancio e non riuscì a produrre modelli ideologici ed economici alternativi al neoliberismo e al dominio ormai unipolare degli Stati Uniti.
L’ATTUALITA’ - Con l’emergere dei paesi cosiddetti BRICS negli ultimi anni la musica è cambiata e, pur continuando ad essere censurato dai media (soprattutto) dei paesi atlantici, il NAM ha riacquistato fiducia e vigore. Oggi l’India ha un’economia importante ed avanzata, ed è una potenza nucleare, il Brasile ha l’ottava economia al mondo, diversi paesi asiatici sono all’avanguardia nell’economia, nella scienza e nella tecnica e per di più, tutti i paesi sudamericani hanno smesso di essere sotto il giogo di dittature sostenute e dirette da Washington.
WASHINGTON RINGHIA ANCORA - L’arroganza con la quale il Nord del mondo trattava il NAM da tempo è stata sostituita dall’indifferenza, ma quest’anno ci sono di nuovo scintille che provengono dagli Stati Uniti, perché l’incontro si tiene a Teheran. Ed è in effetti con un atto di straordinaria aroganza che il portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, rivolgendosi al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon, ha fatto presente che Washington considera l’Iran un posto inappropriato per il meeting, concludendo che il summit e la presenza di Ban “mandano un segnale molto strano in merito al supporto dell’ordine internazionale“. Intervento arrogante perché è dal 1961 che i segretari dell’ONU presenziano a tutti gli incontri, che si sono tenuti ogni 3/4 anni per 13 volte e anche perché offende chiaramente la volontà dei 141 paesi che hanno ritenuto di presenziare.
IL MASTINO ISRAELIANO - Washington non aveva osato tanto neppure nel 2006, quando il summit si tenne a Cuba in una cornice nella quale i più vocali nemici di Washington non risparmiarono attacchi, critiche e condanne alla potenza americana, che mal sopporta che il suo processo di “costruzione del nemico” sia macchiato dall’arrivo delle delle delegazioni di 141 paesi a Teheran. Ad acuire il diffuso fastidio c’è stato anche l’intervento del primo ministro Netanyahu, che nonostante goda ormai del solo aperto sostegno di Washington, non ha trovato di meglio che esprimersi con la frase: “Signor Segretario Generale, il suo posto non è a Teheran”.
L’INSOFFERENZA GENERALE - Proprio quello che ci voleva per mettere pepe all’incontro e per rafforzare il fastidio in decine di paesi che negli anni hanno subito simili dimostrazioni d’arroganza da parte del blocco atlantico e degli ex colonizzatori. Un’arroganza alla quale chi può risponde con indifferenza, come l’India, che approfitterà dell’occasione per discutere con Teheran il modo migliore per acquistare il petrolio iraniano aggirando le sanzioni fortemente volute da Washington. Un’attività sulla quale gli americani non s’esprimono per non irritare gli indiani, ottimo partner commerciale al quale Washington vende anche una discreta quantità di armamenti avanzati di ogni genere, oltre a tecnologia spaziale e nucleare della più sensibile e costosa. Così come non hanno nemmeno provato a far pressione sui paesi latinoamericani, sempre meno disposti ad accettare ingerenze e lezioni di diplomazia internazionale del Dipartimento di Stato.
di Mazzetta
27 agosto 2012
10 regole per riconoscere il Casini che è in voi…
Signore e signori, è inutile fare i vaghi: c’è un po’ di Casini in ognuno di voi. Il morbo è subdolo, attacca anche d’estate: ecco il decalogo per riconoscerne i sintomi, e debellarlo per sempre.
1. Maledetta sobrietà Siete al party di fine estate organizzato dalla vostra amica racchia ma con tante amiche carine. Una di queste vi si avvicina per sorbire il cocktail della staffa ma voi esplodete in un imbarazzante “no, cara, ho bevuto abbastanza”. È il primo sintomo di moderazione, la sobrietà vi sta dando alla testa. Non vi agitate, non ce n’è motivo. Però tenete sotto osservazione il fenomeno.
2. Alleanze troppo variabili Nel pieno di una accesa discussione sul calciomercato, un vostro amico si inalbera per l’ultimo acquisto della Roma e con lo sguardo vivace cerca la vostra approvazione. Fate sì con la testa. A quel punto l’antagonista inviperito rilancia con tono deciso e butta l’occhio verso di voi: trova lo stesso cenno di assenso. Vi illudete di essere equidistanti, invece avete appena guadagnato due nemici. La situazione si fa seria.
3. Due forni, ma con juicio Scatta il momento del cornettone, dopo una notte brava in cui come al solito non avete concluso nulla. Si va tutti da Gigi al Laurentino, che fa i danesi buoni buoni, con sommo disappunto di Angelino, che vorrebbe andare da Mario. Per non scontentare quest’ultimo, prima di rincasare, fate il bis. Sale l’indice di glicemia. La politica dei due forni vi ingolosisce molto, ma attenti al diabete.
4. Buonsenso a vanvera È nota come sindrome di La Palice, ma in alcuni soggetti si configura con sintomatologie molto più importanti. Consiste nell’elencazione gratuita di luoghi comuni eticamente inoppugnabili: il capo dello Stato è il presidente di tutti, le leggi le fa il Parlamento, il latte è bianco, la mucca fa mu. Premuratevi di portare il conto: se superate il limite di tre ovvietà al giorno, fatevi un esame di coscienza. Se non avete più la coscienza, siete in una sezione dell’Udc.
5. Il vostro pantheon Tutti i vostri compagni, impenitenti e nostalgici, dormono ancora sotto i poster del Che, del Quarto Stato, del Duce e di Madonna. Voi sotto quelli di De Gasperi e Cuffaro. Scelta originale, ma forse un po’ troppo. Domandatevi se questa eccentricità non celi disagi più gravi. Meglio un Kandinskij: banale, ma risolve il problema.
6. Quel “messaggero” sospetto Arriva l’autunno, tempo di scuola, università e gagliarde occupazioni. I vostri coetanei si esercitano da capipopolo col megafono e il manifesto sotto il braccio. Voi cercate di imitarli: indossate il basco e un’orrenda camicia a quadri di vostro padre, ma dalla borsa a tracolla spunta una copia del Messaggero. Inutile fare i vaghi, vi hanno sgamato. Almeno non fate la figuraccia di chiamare il preside.
7. Là dove c’era l’erba La vostra profonda fede ecologista vacilla. Il sogno hippie di trasformare le tragiche periferie romane in immense oasi immerse nel verde ha lasciato il posto all’imperativo “costruire costruire costruire”. In architettura si chiama funzionalismo, se invece avete parenti con interessi del mattone si chiama paraculaggine. Per sciogliere il dilemma consultate l’albero genealogico delle vostre famiglie. Qualcosa troverete.
8. Grande “zentro” Ecco l’oziosa discussione sulla vita di paese e la vita di città. Parte la filippica sull’aria sana dei borghi antichi, sui sapori di una volta e tutte quelle menate sui casolari in campagna che si vedono nei film di Bertolucci. Voi, che siete uomini emancipati ed evoluti, non vi lasciate incantare: il vostro sogno è il “grande centro”. Anzi, il grande zentro. Continuate a sognare, i sogni sono gratis.
9. Addio a Monti? Vi siete svegliati nervosi, capita a tutti. Ma oggi sentite di non avere più certezze. Persino Monti non vi va più a genio e cominciate a chiamare il suo governo in modi diversi: di larghe intese, tecnico, di solidarietà nazionale, di salute pubblica, di salvezza nazionale, istituzionale, del premier, del presidente, di unità nazionale, di responsabilità, di garanzia. Sembra giunto il momento per dare una svolta alla vostra vita, invece a fine giornata vi passa tutto. Peccato. Odiate il bipolarismo ma siete bipolari.
10. Lessico famigliare Siete divorziati ma fingete di credere nell’unico e imprescindibile nucleo affettivo riconosciuto da santa romana chiesa, quello composto da uomo e donna che mettono al mondo dei figli. In pratica continuate ad affermare che per voi “la famiglia è una sola”, frase che si legge bene sia con la o aperta che con la o chiusa. Se avete capito la battuta, sorridete. Se non l’avete capita siete nei Casini.
di Alessandro Antonelli
17 agosto 2012
Più di così non si può produrre
La finanza non è la causa della crisi che sta travolgendo il mondo occidentale, ne è solo l’aspetto più evidente contro cui è comodo e facile scagliarsi per evitare di dirsi la verità. Perché la crisi autentica è quella della cosiddetta ‘economia reale’, cioè di un modello di sviluppo basato sul meccanismo produzione-consumo (oggi addirittura ribaltatosi in un ‘consumare per produrre’) e sull’illusione delle crescite esponenziali che, come ho detto altre volte, esistono in matematica ma non in natura.
La locomotiva chiamata Rivoluzione Industriale, partita dall’Inghilterra a metà del Settecento, ha percorso a velocità sempre crescente, che con la maturazione della globalizzazione (che mosse i suoi primi passi proprio allora, essendo i due fenomeni strettamente collegati) è diventata folle, due secoli e mezzo, ma ora è arrivata al suo limite. Non si può più crescere. Non si può produrre di più di quanto abbiamo già prodotto.
Prendiamo, a mo’ di esempio, l’automobile. A chi si può vendere oggi un’automobile? A dei mercati marginali. Certo la si può vendere anche in India e in Cina, ma con una crescita a due cifre anche questi Paesi (che nel frattempo stanno saturando definitivamente i nostri mercati) arriveranno presto ai limiti cui siamo giunti noi. Certo si possono inventare ancora nuove tecnologie e loro applicazioni soprattutto nel campo del virtuale, ma dopo il computer, il cellulare, Internet, l’iPhone, l’iPad che altro ancora? Come c’è una bolla immobiliare c’è, su scala planetaria, una superbolla produttiva.
Sbaglia però chi predica, come mi pare facciano, sia pur con molte differenze, i firmatari del famoso Appello contro ‘il pensiero unico’, una riconversione al marxismo. Figli della Rivoluzione Industriale liberismo e marxismo sono in realtà facce della stessa medaglia: l’industrialismo appunto, che è il vero nocciolo della questione e che nessuno mette in discussione. Sono entrambi modernisti, illuministi, ottimisti, economicisti, produttivisti, hanno entrambi il mito del lavoro (che per Marx è ‘l’essenza del valore’ – non per nulla Stakanov è un eroe dell’Unione Sovietica – e per i liberisti quel fattore che, combinandosi col capitale, dà il famoso ‘plusvalore’), tutti e due pensano che industria e tecnologia produrranno una tal cornucopia di beni da rendere felici tutti gli uomini (Marx) o, più realisticamente, la maggior parte di essi (i liberisti). Questa utopia bifronte ha fallito. Perché ha alle sue radici gli stessi ‘idola’: industrialismo, produzione, consumo, crescita, sviluppo.
I firmatari dell’Appello stanno quindi totalmente dentro il ‘pensiero unico’ che è quello di chi ritiene, a destra come a sinistra, che lo Sviluppo, in un modo o nell’altro, sia irrinunciabile. Chi ne sta fuori sono coloro che ritengono che invece di crescere sia necessario decrescere (produrre di meno, consumare di meno) sia pur in modo graduale, limitato e ragionato per ritrovare non solo una stabilità economica, che non ci renda schiavi della dittatura anonima dei ‘mercati’, ma una vita più semplice e più umana, senza stress, depressione, nevrosi, anomia, tumori psicosomatici, cardiopatie che, com’è noto, sono tutte malattie della Modernità. Sono quindi gli Antimodernisti i veri antagonisti del ‘pensiero unico’ ed è ai loro danni che si consuma un ‘furto di informazione’ perché sono costantemente ignorati, altro che i signori Gallino, Lunghini, Tronti, Asor Rosa e persino Guido Viale promosso a economista.
di Massimo Fini
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