24 luglio 2013

Il vero scopo del governo Letta-Napolitano? Perpetuare la particrozia attraverso la crisi





  
   
Il paradosso del governo Letta è che esso non fa quasi nulla, limitandosi a temporeggiare, rinviare e farsi difendere, mentre è stato formato e giustificato come governo trasversale imposto dall’esigenza di fronteggiare l’emergenza mediante interventi forti e risolutivi sull’economia, sulla costituzione, sulla legge elettorale. Debito pubblico, disoccupazione, insolvenze, fallimenti salgono, sale anche lo spread, e il governo se ne sta a guardare, al massimo impetra l’autorizzazione tedesca a spendere qualche miliardo di soldi italiani spalmato sui prossimi anni, un niente rispetto alle dimensioni del male.

E’ una contraddizione vistosissima, da cui si esce chiamando il bluff: il vero scopo del governo Letta e della blindatura Napolitano è di proteggere l’establishment consolidato, la partitocrazia, impedendo che perda il potere sul Paese per effetto della crisi, della lotta tra le sue fazioni,  dello sputtanamento totale, del discredito delle istituzioni, della possibile reazione sociale al collasso economico. A tale scopo, l’importante, per i partiti, è stare insieme qualsiasi cosa accada,  gestire insieme il giorno per giorno, galleggiare, aspettando gli eventi e le decisioni che contano, che vengono da fuori: le elezioni tedesche, le mosse della BCE, della Fed, di Obama.
Mettere assieme i grandi avversari (PD, Pdl, Montiani, Casiniani) e blindare tale coalizione rieleggendo Napolitano non è stato fatto al fine di avere la forza e la coesione necessarie per riformare e rilanciare il Paese e tutelarlo in sede comunitaria – da anni nessuno più tenta di riformare il Paese o di tutelarlo rispetto a Germania, Francia e soci -, bensì al fine di realizzare una solidarietà partitocratica nell’interesse del potere e dei profitti e delle poltrone dei capi dei partiti. Al fine di corresponsabilizzarsi del disastro socio-economico, ma anche di funzionamento dell’apparato pubblico, che sta rapidamente avanzando, e che in autunno esploderà quando molte imprese non riapriranno e bisognerà fare ulteriori tagli e tasse, e non si potranno mantenere le promesse di partenza su imu, iva, cuneo fiscale. Al fine di corresponsabilizzare tutti nel fallimento e nelle misure che a quel punto si adotteranno per fronteggiare la protesta sociale: misure sicuramente dure, autoritarie, repressive. Non si vuole che, in quello scenario, vi sia un’opposizione forte e organizzata che possa approfittare del fallimento delle politiche economiche impostate sul modello imposto da Berlino e del ricorso alla forza contro il popolo, per prendere il potere e togliere poltrone e cordini della spesa pubblica e le leve di comando anche burocratiche e giudiziarie a chi li detiene stabilmente. Forse, per averlo in coalizione, a B. è stata offerta anche una soluzione per i problemi legali suoi personali e del suo gruppo industriale.
 il prof. Giulio Sapelli sostiene che il governo Letta sia stato formato tra le forze che, sostenute da Napolitano, vogliono un’integrazione economica europea  dell’Italia paritaria alla Germania;  mentre per contro gli attacchi diretti e indiretti al governo Letta verrebbero dalle forze che, capeggiate da Renzi, Saccomanni (Bankitalia) e da La Repubblica,  nell’interesse dell’egemonismo tedesco, vorrebbero un’integrazione subalterna, ancillare dell’Italia alla Germania.
A me pare invece che tutte le forze politiche e bancarie al governo (e qualcun’altra) siano da lungo tempo al servizio dell’egemone capitalismo tedesco, che tutte abbiano cooperato nell’asservire l’Italia alla Germania, e che oggi competano tra di loro per ottenere dai poteri forti stranieri, in cambio della preservazione dei loro privilegi inveterati, l’incarico fiduciario per pilotare, sfruttare e riformattare l’Italia nell’interesse straniero, nella fase che si aprirà dopo  la prossima emergenza, la prossima rottura dell’attuale pseudo-equilibrio su cui si regge il funzionamento del sistema-paese e il mantenimento di condizioni di vita accettabili per la gran parte della popolazione. E’ una sorta di gara di appalto per avere il mandato dal paese occupante di turno.
Su una cosa invece sono d’accordissimo con Sapelli: l’Italia non ha futuro senza e fuori dal rapporto con gli Stati Uniti. Anche se neanch’essi hanno ricette economiche valide e sostenibili (tali non sono i quantitative easings che finanziano impieghi improduttivi e speculativi), solo gli USA la possono salvare dal ferale modello economico-finanziario imposto egoisticamente da Berlino, e che prescrive prima di risanare i conti interni ed esterni, e poi di stimolare lo sviluppo. Un modello che va bene alla Germania, che ha già i conti sani – o meglio la forza di nascondere i loro buchi – e può quindi sostenere sviluppo, investimenti, occupazione a bassi tassi perché li finanzia coi denari che attrae-sottrae dai paesi periferici. Un modello che, al contempo, condanna l’Italia alla recessione e al continuo aumento del debito pubblico. E ricordiamo che l’elettorato tedesco, complessivamente, guarda agli italiani con disprezzo e diffidenza (razzismo?), quindi non accetterà mai l’integrazione politica e di bilancio, e invece approverà l’imposizione agli italiani di sofferenze e privazioni di ogni sorta. Mentre, al contrario, l’elettorato americano non è razzista né ostile né orientato al sadismo verso di noi.
di Marco Della Luna 

23 luglio 2013

Governo USA e banche: il controllo costante sul mondo



  
   
Il mondo finanziario: uno strumento d’informazione 

Il mondo della finanza contemporaneo ruota principalmente intorno all’informazione: i dati sui clienti delle banche e delle compagnie assicurative, sulle pensioni e sugli investimenti nonché i dati di altri enti che si occupano di finanza, devono essere raccolti, sistemati, elaborati e infine utilizzati. I numerosi pezzi del puzzle, provenienti da diverse fonti, vengono infine ricomposti. Se la faccenda riguarda persone fisiche, il tutto si riduce a denaro, proprietà, lavoro, salute, parenti e condizioni di vita. In caso di persone giuridiche, invece, la sfera d’interesse ingloba fondi e affari, storia creditizia, investimenti pianificati, top leader, azionisti, manager, contratti, fondi di capitale delle aziende, etc. Per tutto ciò, le banche e altri enti finanziari dispongono di servizi ad hoc. A parte questo, le informazioni comprendono gli uffici di credito nonché le agenzie di rating e d’informazione. 

Alcune banche o imprese possono creare delle banche dati contenenti informazioni sui i clienti. Le banche centrali sono diventate agenzie d’informazione potenti che svolgono le funzioni di controllo bancario approfittando di un accesso praticamente libero ai dati commerciali delle banche. Inoltre, alcune banche centrali raccolgono informazioni autonomamente. La Banca di Francia, ad esempio, esegue un monitoraggio delle imprese manifatturiere col pretesto del perfezionamento della propria politica di credito. Una gran quantità di informazioni finanziarie e commerciali vengono tratte dalle transazioni bancomat e POS, che sono sistemi di telecomunicazione che forniscono dati. Separatamente troviamo i sistemi di informazione che, seppur siano collegati e interagiscano con i suddetti, monitorano gran parte dei flussi d’informazione. 

La maggior parte delle banche e delle compagnie finanziarie si occupano dei propri servizi di sicurezza. Dal punto di vista formale, la loro missione è la protezione delle informazioni, ossia ciò che appartiene alle aziende. Ufficiosamente, però, molti servizi ottengono informazioni aggiuntive riguardo ad alcuni clienti e alla loro concorrenza. Tale meccanismo presuppone, naturalmente, operazioni sotto copertura, condotte attraverso l’utilizzo di speciali tecnologie e contatti interpersonali (HUMINT). 

Le informazioni raccolte sono private e, per accedervi, occorrono autorizzazioni legali. Il fatto che le banche riescano ad acquisire informazioni private e che godano di una consistente indipendenza dallo stato le rende sempre più simili ai servizi segreti. In realtà, sono le banche e i servizi segreti che sorvegliano le informazioni mondiali. Infatti, la fusione del personale dei Servizi speciali occidentali e dei settori bancario e finanziario ha dato vita ad un gigantesco e losco colosso dotato di vaste risorse informative e finanziarie capace di controllare ogni aspetto della vita umana. 

La SWIFT: il “cervello” della sorveglianza finanziaria e informativa mondiale 

Sono sicuro che in pochi conoscono l’acronimo SWIFT (Società per le Telecomunicazioni Finanziarie Interbancarie Mondiali). Si tratta di una cooperativa di credito attraverso la quale il mondo finanziario esegue le proprie operazioni. Sono più di 10.000 le istituzioni finanziarie e le grandi aziende in 212 paesi che ogni giorno si affidano a tale società per scambiarsi milioni di messaggi finanziari standardizzati. L’attività riguarda lo scambio sicuro di dati di proprietà pur assicurandone formalmente le loro privacy e integrità. Da un punto di vista legale, si tratta di una SPA costituita da banche di diversi paesi. È stata fondata nel 1973 da 240 banche di 15 stati affinché potessero inviare e ricevere informazioni sulle transazioni finanziarie in maniera affidabile, standardizzata e sicura. La società è attiva dal 1977. Per l’enorme quantità di transazioni SWIFT, la valuta utilizzata è il dollaro americano. La SWIFT è una società cooperativa di diritto belga ed è gestita dalle istituzioni finanziarie che ne fanno parte. Ha uffici in tutto il mondo. I quartieri generali della SWIFT, progettati da Ricardo Bofill Taller de Arquitectura, si trovano a La Hulpe, in Belgio, vicino a Bruxelles. L’istituzione governativa è l’Assemblea Generale. Le decisioni vengono prese sulla base di una maggioranza del tipo “un’azione - un voto”. Le banche americane e dell’occidente europeo dominano il consiglio d’amministrazione. Gli azionisti principali con potere decisionale sono: Stati Uniti d’America, Germania, Svizzera, Francia e Gran Bretagna. Le azioni sono distribuite a seconda del volume delle operazioni. 

Qualsiasi banca che goda del diritto di effettuare delle operazioni in ottemperanza alle leggi nazionali può essere membro della società SWIFT. Già alla fine del ventesimo secolo lo SWIFT è stato inevitabile nel caso in cui fosse stato necessario inviare denaro in un altro paese. Quando la maggior parte delle transazioni internazionali veniva effettuata in dollari, tutti i pagamenti passavano dai conti aperti nelle banche statunitensi, che, a loro volta, disponevano di conti nel Federal Reserve System (FRS). Perciò, pur essendo un organo internazionale, la SWIFT è legata al FRS, sebbene le banche statunitensi non abbiano una banca dati di controllo. I server della SWIFT si trovano negli Stati Uniti e in Belgio. A metà del decennio scorso, la società si è occupata di 7800 clienti situati in 200 paesi. Il flusso finanziario giornaliero ammonta a 6 trilioni. 

SWIFT: l’iniziativa imprenditoriale congiunta della CIA e della FRS 

Nell’estate del 2006, la SWIFT fu coinvolta in uno scandalo sollevato dalle testate giornalistiche New York TimesWall Street Journal e Los Angeles Times. Ecco come sono andate le cose. Successivamente agli eventi dell’undici settembre, tutte le transazioni finanziarie del Paese sono state messe sotto controllo, specialmente quelle transnazionali. Da un punto di vista formale, l’obiettivo consisteva nell’evitare che venissero finanziate le organizzazioni terroristiche. In tempi assai brevi, la CIA ha allacciato dei contatti con la SWIFT per sorvegliare i pagamenti in entrata e in uscita. L’Agenzia dei servizi segreti americana non aveva permessi legali per farlo. Neanche i loro ex-impiegati erano a conoscenza di tali attività. In qualche maniera, un tentativo per giustificare tali operazioni è stato fatto: nel 2003, a Washington, la Società per le Telecomunicazioni Finanziarie Interbancarie Mondiali e alcune agenzie di stato americane, comprese la FBI, la CIA e la FRS (il presidente della Federal Reserve System, Alan Greenspan, era presente), si sono pronunciate sulla faccenda. 

Le parti hanno convenuto per portare avanti la collaborazione, ma a condizione che Washington rispettasse alcune regole. La volontà era quella di rinforzare i controlli da parte del Dipartimento del Tesoro statunitense e di limitare le attività focalizzandosi esclusivamente sulle transazioni finanziarie di cui si sospettavano legami col finanziamento al terrorismo. Gli Stati Uniti hanno assicurato di chiudere un occhio su altri pagamenti, compresi quelli legati all’evasione fiscale e al traffico di droga. 

Durante le trattative, gli Stati Uniti hanno avanzato la proposta che la SWIFT non fosse una banca, bensì un intermediario tra banche. L’accesso ai suoi dati, dunque, non avrebbe violato le leggi sulla privacy delle banche statunitensi. È risaputo che le banche centrali di Gran Bretagna, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Svezia, Svizzera e Giappone erano al corrente delle pratiche intraprese dalla CIA. La Banca Centrale di Russia, però, non è stata menzionata nella suddetta lista… 

In alcuni casi, le banche centrali tennero segreto il fatto che la SWIFT collaborasse con gli USA, per cui il pubblico, i governi e i parlamenti ne rimasero all'oscuro (anche se questi ultimi ne fossero stati a conoscenza, non avrebbero fatto trapelare nulla). Ecco come stavano le cose in Gran Bretagna. Nell’estate del 2006, la testata The Guardian ha reso pubblico un caso che attribuiva alla SWIFT la condivisione annuale con la CIA di informazioni legate a milioni di transazioni di banche britanniche. Secondo ilThe Guardian, la condivisione di dati top secret è una violazione delle leggi sia britanniche che europee (più in particolare, la Convenzione Europea per i Diritti Umani). 

Un portavoce del commissario delle informazioni ha dichiarato alla testata britannica che il fattore privacy era stato preso «seriamente in considerazione». Se la CIA avesse avuto accesso ai dati finanziari dei cittadini europei, quella sì che sarebbe stata «probabilmente una violazione della normativa europea sulla protezione dei dati», ha dichiarato, aggiungendo che la legislazione britannica sulla protezione dei dati avrebbe potuto essere violata se la transazioni bancarie britanniche fossero state trasmesse. Il commissario ha richiesto ulteriori informazioni alla SWIFT e alle autorità belghe prima di decidere come procedere. 

La Banca d’Inghilterra, una delle 10 banche centrali ad avere un posto nel consiglio d’amministrazione della SWIFT, ha rivelato di aver messo al corrente il governo britannico di tale programma nel 2002. «Quando lo abbiamo scoperto, abbiamo informato il Tesoro e abbiamo lasciato a loro l’incombenza del caso,» ha dichiarato Peter Rogers, della Banca. «Abbiamo anche avvisato la SWIFT che avrebbe dovuto affrontare l’argomento col governo. Non aveva niente a che fare con noi. Riguardava la sicurezza e non la finanza. Era una faccenda tra la SWIFT e il governo». 
Dal Parlamento, in una risposta scritta, Gordon Brown assicurava che il governo era a conoscenza dell’accordo. Citando la politica governativa di non rilasciare alcun parere su «faccende di sicurezza specifiche», tuttavia, il cancelliere ha rifiutato di dichiarare se fossero state prese delle misure per «assicurare la protezione della privacy dei cittadini britannici le cui transazioni finanziarie avrebbero potuto essere ritenute come facenti parte di investigazioni da parte degli Stati Uniti e dalla SWIFT contro il terrorismo». Si è inoltre rifiutato di precisare se il programma della SWIFT fosse stato «legalmente adeguato» all’articolo 8 della Convenzione Europea per i Diritti Umani. 

Il “cervello” dell’informazione – finanziaria odierno 

Ad oggi non conosciamo ulteriori dettagli della collaborazione tra la SWIFT e i servizi speciali statunitensi. Sembra che il caso venga sottratto al dominio mediatico. Presuppongo che ci siano molte probabilità che la collaborazione stia continuando. Perlomeno, gli Stati Uniti hanno tutto ciò che serve per farlo (uno dei due server si trova sul suolo statunitense). Esistono molti segnali indiretti che ci indicano che la SWIFT, formalmente un ente non statale, sia messo sotto forte pressione da Washington. Uno degli esempi più recenti è l’espulsione dell’Iran nel 2012. È di comune accordo che la decisione sia stata presa sotto la pressione degli Stati Uniti. 

Infine, utilizzare lo SWIFT non è l’unico modo per esercitare un controllo sui flussi finanziari internazionali. Il dollaro statunitense è la moneta dominante a livello internazionale. Ciò significa che tutte le transazioni passano da conti di sede americana, anche se le persone giuridiche e fisiche non si trovano negli Stati Uniti. I dati vengono raccolti da banche commerciali e dal Federal Reserve System americano. La creazione di banche dati enormi e dettagliate appartenenti al Ministero del Tesoro statunitense volge quasi a compimento. Le informazioni verranno ottenute da banche statunitensi, compagnie assicurative, fondi pensionistici e altre organizzazioni finanziarie. All’inizio del 2003, i media hanno affermato che tutti i servizi speciali degli Stati Uniti, compresa la Central Intelligence Agency, il Federal Bureau of Investigation, la National Security Agency e altri, potevano accedere a questa banca dati per proteggere i propri interessi nazionali e la propria sicurezza. 

Il ritmo accelerato della creazione della banca dati per servire i bankster e i servizi speciali americani fa sì che altri paesi cerchino di proteggersi dal controllo importuno del Grande Fratello… Oggi si parla molto del vantaggio di cambiare le valute di transazioni internazionali, tramutandole da dollari statunitensi ad altri tipi di valute. Ciò è normalmente visto come un modo per liberarsi dalla dipendenza economica e finanziaria degli Stati Uniti. È giusto farlo, poiché questo cambiamento darà vita ad un’alternativa al fare affidamento sulle informazioni controllate dagli USA.

di Valentin Katasonov 


Fonte: www.strategic-culture.org

22 luglio 2013

Fmi brûlé. Ricetta in salsa magiara





 
L’Ungheria di Viktor Orban non è affatto un’animale domestico.
Non soltanto ha rivendicato i suoi diritti nazionali di dotarsi di una Costituzione senza briglie a Bruxelles o altrove, non soltanto ha più volte sollevato un netto rifiuto ad assoggettarsi alle politiche di rigore imposte dalla Troika urbi et orbi, non soltanto ha reimposto una sorta di “nazionalizzazione” della propria Banca centrale... ma ora ha anche deciso sia di pagare al più presto, nove mesi prima della scadenza, il suo prestito usuraio contratto con il “mecenate” Fmi, e sia di annunciare la chiusura degli uffici di rappresentanza del Fondo Monetario insediati a Budapest.
Messa all’indice dalla “troika” (Fmi, Bce, Ue) subito dopo l’assunzione del potere da parte del partito di Orban dichiarato “populista” nonché soggetto alle influenze “negative” della forte destra radicale degli Jobbik, l’Ungheria aveva già “risposto” alle critiche dei padroni-soloni facendo fronte al problema del debito (contratto con l’usura internazionale dal precedente governo), portando detto indebitamento al di sotto del 3% sul suo Pil già a fine 2011.
Con metodi subito ritenuti “non ortodossi” dalla grande finanza internazionale e dai suoi portaparola.
E cosa aveva mai deciso il governo Orban (sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare)?
Di abbattere il debito con una serie di misure temporanee, una tantum, capaci di aumentare ex abrupto le entrate. Quali? Naturalmente quelle più ostiche alle centrali finanziarie.
Le elenchiamo: 1) tassa sui profitti bancari; 2) nazionalizzazione dei “fondi pensione” e assicurativi; 3) imposte sulle multinazionali operanti in territorio magiaro.
E così, con una lettera inviata questo 15 luglio a Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, György Matolcsy, il governatore della Banca Centrale ungherese, ha annunciato che Budapest sarà pronta ad estinguere anticipatamente il debito contratto nel 2008 (20 miliardi di euro) nel bel mezzo dell’inizio della crisi esportata in Europa dal Lord Protettore dell’Ue, gli Stati Uniti d’America. E questo grazie all’avvenuta graduale riassunzione della propria sovranità nazionale, monetaria, fiscale, finanziaria.
Interessante è ricordare che nel 2011, a febbraio, il governo Orban - dopo aver traccheggiato sulle pressanti richieste della Troika di rinegoziare il debito (con un ulteriore debito: il “metodo” usuraio principe al quale, per esempio, la nostra stessa Italia si è graziosamente assoggettata) - riusciva a piazzare senza alcuna intermediazione internazionale le proprie obbligazioni di Stato, dimostrando che quando si è sovrani e quindi affidabili i problemi si risolvono normalmente.
Ma torniamo a questa metà di luglio.
Nella sua lettera alla Lagarde, György Matolcsy, ha annunciato il pagamento anticipato delle prossime ultime tre rate trimestrali, per un totale di 2 miliardi e 125 milioni di euro, sottolineando - non si sa quanto ironicamente o sinceramente - che tale risultato è un effetto, sì, della buona crescita ungherese, ma anche “degli sforzi personali (della Lagarde) di promozione dello sviluppo economico”.
Non male, non male.
Peccato che l’esempio magiaro sia per l’Italia-colonia dei Letta e dei Saccomanni (e dei loro mentori, Prodi e Draghi) quanto di più siderale mai si possa pensare. Oggi. Domani è però un altro giorno.


di Ugo Gaudenzi 

24 luglio 2013

Il vero scopo del governo Letta-Napolitano? Perpetuare la particrozia attraverso la crisi





  
   
Il paradosso del governo Letta è che esso non fa quasi nulla, limitandosi a temporeggiare, rinviare e farsi difendere, mentre è stato formato e giustificato come governo trasversale imposto dall’esigenza di fronteggiare l’emergenza mediante interventi forti e risolutivi sull’economia, sulla costituzione, sulla legge elettorale. Debito pubblico, disoccupazione, insolvenze, fallimenti salgono, sale anche lo spread, e il governo se ne sta a guardare, al massimo impetra l’autorizzazione tedesca a spendere qualche miliardo di soldi italiani spalmato sui prossimi anni, un niente rispetto alle dimensioni del male.

E’ una contraddizione vistosissima, da cui si esce chiamando il bluff: il vero scopo del governo Letta e della blindatura Napolitano è di proteggere l’establishment consolidato, la partitocrazia, impedendo che perda il potere sul Paese per effetto della crisi, della lotta tra le sue fazioni,  dello sputtanamento totale, del discredito delle istituzioni, della possibile reazione sociale al collasso economico. A tale scopo, l’importante, per i partiti, è stare insieme qualsiasi cosa accada,  gestire insieme il giorno per giorno, galleggiare, aspettando gli eventi e le decisioni che contano, che vengono da fuori: le elezioni tedesche, le mosse della BCE, della Fed, di Obama.
Mettere assieme i grandi avversari (PD, Pdl, Montiani, Casiniani) e blindare tale coalizione rieleggendo Napolitano non è stato fatto al fine di avere la forza e la coesione necessarie per riformare e rilanciare il Paese e tutelarlo in sede comunitaria – da anni nessuno più tenta di riformare il Paese o di tutelarlo rispetto a Germania, Francia e soci -, bensì al fine di realizzare una solidarietà partitocratica nell’interesse del potere e dei profitti e delle poltrone dei capi dei partiti. Al fine di corresponsabilizzarsi del disastro socio-economico, ma anche di funzionamento dell’apparato pubblico, che sta rapidamente avanzando, e che in autunno esploderà quando molte imprese non riapriranno e bisognerà fare ulteriori tagli e tasse, e non si potranno mantenere le promesse di partenza su imu, iva, cuneo fiscale. Al fine di corresponsabilizzare tutti nel fallimento e nelle misure che a quel punto si adotteranno per fronteggiare la protesta sociale: misure sicuramente dure, autoritarie, repressive. Non si vuole che, in quello scenario, vi sia un’opposizione forte e organizzata che possa approfittare del fallimento delle politiche economiche impostate sul modello imposto da Berlino e del ricorso alla forza contro il popolo, per prendere il potere e togliere poltrone e cordini della spesa pubblica e le leve di comando anche burocratiche e giudiziarie a chi li detiene stabilmente. Forse, per averlo in coalizione, a B. è stata offerta anche una soluzione per i problemi legali suoi personali e del suo gruppo industriale.
 il prof. Giulio Sapelli sostiene che il governo Letta sia stato formato tra le forze che, sostenute da Napolitano, vogliono un’integrazione economica europea  dell’Italia paritaria alla Germania;  mentre per contro gli attacchi diretti e indiretti al governo Letta verrebbero dalle forze che, capeggiate da Renzi, Saccomanni (Bankitalia) e da La Repubblica,  nell’interesse dell’egemonismo tedesco, vorrebbero un’integrazione subalterna, ancillare dell’Italia alla Germania.
A me pare invece che tutte le forze politiche e bancarie al governo (e qualcun’altra) siano da lungo tempo al servizio dell’egemone capitalismo tedesco, che tutte abbiano cooperato nell’asservire l’Italia alla Germania, e che oggi competano tra di loro per ottenere dai poteri forti stranieri, in cambio della preservazione dei loro privilegi inveterati, l’incarico fiduciario per pilotare, sfruttare e riformattare l’Italia nell’interesse straniero, nella fase che si aprirà dopo  la prossima emergenza, la prossima rottura dell’attuale pseudo-equilibrio su cui si regge il funzionamento del sistema-paese e il mantenimento di condizioni di vita accettabili per la gran parte della popolazione. E’ una sorta di gara di appalto per avere il mandato dal paese occupante di turno.
Su una cosa invece sono d’accordissimo con Sapelli: l’Italia non ha futuro senza e fuori dal rapporto con gli Stati Uniti. Anche se neanch’essi hanno ricette economiche valide e sostenibili (tali non sono i quantitative easings che finanziano impieghi improduttivi e speculativi), solo gli USA la possono salvare dal ferale modello economico-finanziario imposto egoisticamente da Berlino, e che prescrive prima di risanare i conti interni ed esterni, e poi di stimolare lo sviluppo. Un modello che va bene alla Germania, che ha già i conti sani – o meglio la forza di nascondere i loro buchi – e può quindi sostenere sviluppo, investimenti, occupazione a bassi tassi perché li finanzia coi denari che attrae-sottrae dai paesi periferici. Un modello che, al contempo, condanna l’Italia alla recessione e al continuo aumento del debito pubblico. E ricordiamo che l’elettorato tedesco, complessivamente, guarda agli italiani con disprezzo e diffidenza (razzismo?), quindi non accetterà mai l’integrazione politica e di bilancio, e invece approverà l’imposizione agli italiani di sofferenze e privazioni di ogni sorta. Mentre, al contrario, l’elettorato americano non è razzista né ostile né orientato al sadismo verso di noi.
di Marco Della Luna 

23 luglio 2013

Governo USA e banche: il controllo costante sul mondo



  
   
Il mondo finanziario: uno strumento d’informazione 

Il mondo della finanza contemporaneo ruota principalmente intorno all’informazione: i dati sui clienti delle banche e delle compagnie assicurative, sulle pensioni e sugli investimenti nonché i dati di altri enti che si occupano di finanza, devono essere raccolti, sistemati, elaborati e infine utilizzati. I numerosi pezzi del puzzle, provenienti da diverse fonti, vengono infine ricomposti. Se la faccenda riguarda persone fisiche, il tutto si riduce a denaro, proprietà, lavoro, salute, parenti e condizioni di vita. In caso di persone giuridiche, invece, la sfera d’interesse ingloba fondi e affari, storia creditizia, investimenti pianificati, top leader, azionisti, manager, contratti, fondi di capitale delle aziende, etc. Per tutto ciò, le banche e altri enti finanziari dispongono di servizi ad hoc. A parte questo, le informazioni comprendono gli uffici di credito nonché le agenzie di rating e d’informazione. 

Alcune banche o imprese possono creare delle banche dati contenenti informazioni sui i clienti. Le banche centrali sono diventate agenzie d’informazione potenti che svolgono le funzioni di controllo bancario approfittando di un accesso praticamente libero ai dati commerciali delle banche. Inoltre, alcune banche centrali raccolgono informazioni autonomamente. La Banca di Francia, ad esempio, esegue un monitoraggio delle imprese manifatturiere col pretesto del perfezionamento della propria politica di credito. Una gran quantità di informazioni finanziarie e commerciali vengono tratte dalle transazioni bancomat e POS, che sono sistemi di telecomunicazione che forniscono dati. Separatamente troviamo i sistemi di informazione che, seppur siano collegati e interagiscano con i suddetti, monitorano gran parte dei flussi d’informazione. 

La maggior parte delle banche e delle compagnie finanziarie si occupano dei propri servizi di sicurezza. Dal punto di vista formale, la loro missione è la protezione delle informazioni, ossia ciò che appartiene alle aziende. Ufficiosamente, però, molti servizi ottengono informazioni aggiuntive riguardo ad alcuni clienti e alla loro concorrenza. Tale meccanismo presuppone, naturalmente, operazioni sotto copertura, condotte attraverso l’utilizzo di speciali tecnologie e contatti interpersonali (HUMINT). 

Le informazioni raccolte sono private e, per accedervi, occorrono autorizzazioni legali. Il fatto che le banche riescano ad acquisire informazioni private e che godano di una consistente indipendenza dallo stato le rende sempre più simili ai servizi segreti. In realtà, sono le banche e i servizi segreti che sorvegliano le informazioni mondiali. Infatti, la fusione del personale dei Servizi speciali occidentali e dei settori bancario e finanziario ha dato vita ad un gigantesco e losco colosso dotato di vaste risorse informative e finanziarie capace di controllare ogni aspetto della vita umana. 

La SWIFT: il “cervello” della sorveglianza finanziaria e informativa mondiale 

Sono sicuro che in pochi conoscono l’acronimo SWIFT (Società per le Telecomunicazioni Finanziarie Interbancarie Mondiali). Si tratta di una cooperativa di credito attraverso la quale il mondo finanziario esegue le proprie operazioni. Sono più di 10.000 le istituzioni finanziarie e le grandi aziende in 212 paesi che ogni giorno si affidano a tale società per scambiarsi milioni di messaggi finanziari standardizzati. L’attività riguarda lo scambio sicuro di dati di proprietà pur assicurandone formalmente le loro privacy e integrità. Da un punto di vista legale, si tratta di una SPA costituita da banche di diversi paesi. È stata fondata nel 1973 da 240 banche di 15 stati affinché potessero inviare e ricevere informazioni sulle transazioni finanziarie in maniera affidabile, standardizzata e sicura. La società è attiva dal 1977. Per l’enorme quantità di transazioni SWIFT, la valuta utilizzata è il dollaro americano. La SWIFT è una società cooperativa di diritto belga ed è gestita dalle istituzioni finanziarie che ne fanno parte. Ha uffici in tutto il mondo. I quartieri generali della SWIFT, progettati da Ricardo Bofill Taller de Arquitectura, si trovano a La Hulpe, in Belgio, vicino a Bruxelles. L’istituzione governativa è l’Assemblea Generale. Le decisioni vengono prese sulla base di una maggioranza del tipo “un’azione - un voto”. Le banche americane e dell’occidente europeo dominano il consiglio d’amministrazione. Gli azionisti principali con potere decisionale sono: Stati Uniti d’America, Germania, Svizzera, Francia e Gran Bretagna. Le azioni sono distribuite a seconda del volume delle operazioni. 

Qualsiasi banca che goda del diritto di effettuare delle operazioni in ottemperanza alle leggi nazionali può essere membro della società SWIFT. Già alla fine del ventesimo secolo lo SWIFT è stato inevitabile nel caso in cui fosse stato necessario inviare denaro in un altro paese. Quando la maggior parte delle transazioni internazionali veniva effettuata in dollari, tutti i pagamenti passavano dai conti aperti nelle banche statunitensi, che, a loro volta, disponevano di conti nel Federal Reserve System (FRS). Perciò, pur essendo un organo internazionale, la SWIFT è legata al FRS, sebbene le banche statunitensi non abbiano una banca dati di controllo. I server della SWIFT si trovano negli Stati Uniti e in Belgio. A metà del decennio scorso, la società si è occupata di 7800 clienti situati in 200 paesi. Il flusso finanziario giornaliero ammonta a 6 trilioni. 

SWIFT: l’iniziativa imprenditoriale congiunta della CIA e della FRS 

Nell’estate del 2006, la SWIFT fu coinvolta in uno scandalo sollevato dalle testate giornalistiche New York TimesWall Street Journal e Los Angeles Times. Ecco come sono andate le cose. Successivamente agli eventi dell’undici settembre, tutte le transazioni finanziarie del Paese sono state messe sotto controllo, specialmente quelle transnazionali. Da un punto di vista formale, l’obiettivo consisteva nell’evitare che venissero finanziate le organizzazioni terroristiche. In tempi assai brevi, la CIA ha allacciato dei contatti con la SWIFT per sorvegliare i pagamenti in entrata e in uscita. L’Agenzia dei servizi segreti americana non aveva permessi legali per farlo. Neanche i loro ex-impiegati erano a conoscenza di tali attività. In qualche maniera, un tentativo per giustificare tali operazioni è stato fatto: nel 2003, a Washington, la Società per le Telecomunicazioni Finanziarie Interbancarie Mondiali e alcune agenzie di stato americane, comprese la FBI, la CIA e la FRS (il presidente della Federal Reserve System, Alan Greenspan, era presente), si sono pronunciate sulla faccenda. 

Le parti hanno convenuto per portare avanti la collaborazione, ma a condizione che Washington rispettasse alcune regole. La volontà era quella di rinforzare i controlli da parte del Dipartimento del Tesoro statunitense e di limitare le attività focalizzandosi esclusivamente sulle transazioni finanziarie di cui si sospettavano legami col finanziamento al terrorismo. Gli Stati Uniti hanno assicurato di chiudere un occhio su altri pagamenti, compresi quelli legati all’evasione fiscale e al traffico di droga. 

Durante le trattative, gli Stati Uniti hanno avanzato la proposta che la SWIFT non fosse una banca, bensì un intermediario tra banche. L’accesso ai suoi dati, dunque, non avrebbe violato le leggi sulla privacy delle banche statunitensi. È risaputo che le banche centrali di Gran Bretagna, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Svezia, Svizzera e Giappone erano al corrente delle pratiche intraprese dalla CIA. La Banca Centrale di Russia, però, non è stata menzionata nella suddetta lista… 

In alcuni casi, le banche centrali tennero segreto il fatto che la SWIFT collaborasse con gli USA, per cui il pubblico, i governi e i parlamenti ne rimasero all'oscuro (anche se questi ultimi ne fossero stati a conoscenza, non avrebbero fatto trapelare nulla). Ecco come stavano le cose in Gran Bretagna. Nell’estate del 2006, la testata The Guardian ha reso pubblico un caso che attribuiva alla SWIFT la condivisione annuale con la CIA di informazioni legate a milioni di transazioni di banche britanniche. Secondo ilThe Guardian, la condivisione di dati top secret è una violazione delle leggi sia britanniche che europee (più in particolare, la Convenzione Europea per i Diritti Umani). 

Un portavoce del commissario delle informazioni ha dichiarato alla testata britannica che il fattore privacy era stato preso «seriamente in considerazione». Se la CIA avesse avuto accesso ai dati finanziari dei cittadini europei, quella sì che sarebbe stata «probabilmente una violazione della normativa europea sulla protezione dei dati», ha dichiarato, aggiungendo che la legislazione britannica sulla protezione dei dati avrebbe potuto essere violata se la transazioni bancarie britanniche fossero state trasmesse. Il commissario ha richiesto ulteriori informazioni alla SWIFT e alle autorità belghe prima di decidere come procedere. 

La Banca d’Inghilterra, una delle 10 banche centrali ad avere un posto nel consiglio d’amministrazione della SWIFT, ha rivelato di aver messo al corrente il governo britannico di tale programma nel 2002. «Quando lo abbiamo scoperto, abbiamo informato il Tesoro e abbiamo lasciato a loro l’incombenza del caso,» ha dichiarato Peter Rogers, della Banca. «Abbiamo anche avvisato la SWIFT che avrebbe dovuto affrontare l’argomento col governo. Non aveva niente a che fare con noi. Riguardava la sicurezza e non la finanza. Era una faccenda tra la SWIFT e il governo». 
Dal Parlamento, in una risposta scritta, Gordon Brown assicurava che il governo era a conoscenza dell’accordo. Citando la politica governativa di non rilasciare alcun parere su «faccende di sicurezza specifiche», tuttavia, il cancelliere ha rifiutato di dichiarare se fossero state prese delle misure per «assicurare la protezione della privacy dei cittadini britannici le cui transazioni finanziarie avrebbero potuto essere ritenute come facenti parte di investigazioni da parte degli Stati Uniti e dalla SWIFT contro il terrorismo». Si è inoltre rifiutato di precisare se il programma della SWIFT fosse stato «legalmente adeguato» all’articolo 8 della Convenzione Europea per i Diritti Umani. 

Il “cervello” dell’informazione – finanziaria odierno 

Ad oggi non conosciamo ulteriori dettagli della collaborazione tra la SWIFT e i servizi speciali statunitensi. Sembra che il caso venga sottratto al dominio mediatico. Presuppongo che ci siano molte probabilità che la collaborazione stia continuando. Perlomeno, gli Stati Uniti hanno tutto ciò che serve per farlo (uno dei due server si trova sul suolo statunitense). Esistono molti segnali indiretti che ci indicano che la SWIFT, formalmente un ente non statale, sia messo sotto forte pressione da Washington. Uno degli esempi più recenti è l’espulsione dell’Iran nel 2012. È di comune accordo che la decisione sia stata presa sotto la pressione degli Stati Uniti. 

Infine, utilizzare lo SWIFT non è l’unico modo per esercitare un controllo sui flussi finanziari internazionali. Il dollaro statunitense è la moneta dominante a livello internazionale. Ciò significa che tutte le transazioni passano da conti di sede americana, anche se le persone giuridiche e fisiche non si trovano negli Stati Uniti. I dati vengono raccolti da banche commerciali e dal Federal Reserve System americano. La creazione di banche dati enormi e dettagliate appartenenti al Ministero del Tesoro statunitense volge quasi a compimento. Le informazioni verranno ottenute da banche statunitensi, compagnie assicurative, fondi pensionistici e altre organizzazioni finanziarie. All’inizio del 2003, i media hanno affermato che tutti i servizi speciali degli Stati Uniti, compresa la Central Intelligence Agency, il Federal Bureau of Investigation, la National Security Agency e altri, potevano accedere a questa banca dati per proteggere i propri interessi nazionali e la propria sicurezza. 

Il ritmo accelerato della creazione della banca dati per servire i bankster e i servizi speciali americani fa sì che altri paesi cerchino di proteggersi dal controllo importuno del Grande Fratello… Oggi si parla molto del vantaggio di cambiare le valute di transazioni internazionali, tramutandole da dollari statunitensi ad altri tipi di valute. Ciò è normalmente visto come un modo per liberarsi dalla dipendenza economica e finanziaria degli Stati Uniti. È giusto farlo, poiché questo cambiamento darà vita ad un’alternativa al fare affidamento sulle informazioni controllate dagli USA.

di Valentin Katasonov 


Fonte: www.strategic-culture.org

22 luglio 2013

Fmi brûlé. Ricetta in salsa magiara





 
L’Ungheria di Viktor Orban non è affatto un’animale domestico.
Non soltanto ha rivendicato i suoi diritti nazionali di dotarsi di una Costituzione senza briglie a Bruxelles o altrove, non soltanto ha più volte sollevato un netto rifiuto ad assoggettarsi alle politiche di rigore imposte dalla Troika urbi et orbi, non soltanto ha reimposto una sorta di “nazionalizzazione” della propria Banca centrale... ma ora ha anche deciso sia di pagare al più presto, nove mesi prima della scadenza, il suo prestito usuraio contratto con il “mecenate” Fmi, e sia di annunciare la chiusura degli uffici di rappresentanza del Fondo Monetario insediati a Budapest.
Messa all’indice dalla “troika” (Fmi, Bce, Ue) subito dopo l’assunzione del potere da parte del partito di Orban dichiarato “populista” nonché soggetto alle influenze “negative” della forte destra radicale degli Jobbik, l’Ungheria aveva già “risposto” alle critiche dei padroni-soloni facendo fronte al problema del debito (contratto con l’usura internazionale dal precedente governo), portando detto indebitamento al di sotto del 3% sul suo Pil già a fine 2011.
Con metodi subito ritenuti “non ortodossi” dalla grande finanza internazionale e dai suoi portaparola.
E cosa aveva mai deciso il governo Orban (sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare)?
Di abbattere il debito con una serie di misure temporanee, una tantum, capaci di aumentare ex abrupto le entrate. Quali? Naturalmente quelle più ostiche alle centrali finanziarie.
Le elenchiamo: 1) tassa sui profitti bancari; 2) nazionalizzazione dei “fondi pensione” e assicurativi; 3) imposte sulle multinazionali operanti in territorio magiaro.
E così, con una lettera inviata questo 15 luglio a Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, György Matolcsy, il governatore della Banca Centrale ungherese, ha annunciato che Budapest sarà pronta ad estinguere anticipatamente il debito contratto nel 2008 (20 miliardi di euro) nel bel mezzo dell’inizio della crisi esportata in Europa dal Lord Protettore dell’Ue, gli Stati Uniti d’America. E questo grazie all’avvenuta graduale riassunzione della propria sovranità nazionale, monetaria, fiscale, finanziaria.
Interessante è ricordare che nel 2011, a febbraio, il governo Orban - dopo aver traccheggiato sulle pressanti richieste della Troika di rinegoziare il debito (con un ulteriore debito: il “metodo” usuraio principe al quale, per esempio, la nostra stessa Italia si è graziosamente assoggettata) - riusciva a piazzare senza alcuna intermediazione internazionale le proprie obbligazioni di Stato, dimostrando che quando si è sovrani e quindi affidabili i problemi si risolvono normalmente.
Ma torniamo a questa metà di luglio.
Nella sua lettera alla Lagarde, György Matolcsy, ha annunciato il pagamento anticipato delle prossime ultime tre rate trimestrali, per un totale di 2 miliardi e 125 milioni di euro, sottolineando - non si sa quanto ironicamente o sinceramente - che tale risultato è un effetto, sì, della buona crescita ungherese, ma anche “degli sforzi personali (della Lagarde) di promozione dello sviluppo economico”.
Non male, non male.
Peccato che l’esempio magiaro sia per l’Italia-colonia dei Letta e dei Saccomanni (e dei loro mentori, Prodi e Draghi) quanto di più siderale mai si possa pensare. Oggi. Domani è però un altro giorno.


di Ugo Gaudenzi