Fmi brûlé. Ricetta in salsa magiara
L’Ungheria di Viktor Orban non è affatto un’animale domestico.
Non soltanto ha rivendicato i suoi diritti nazionali di dotarsi di una Costituzione senza briglie a Bruxelles o altrove, non soltanto ha più volte sollevato un netto rifiuto ad assoggettarsi alle politiche di rigore imposte dalla Troika urbi et orbi, non soltanto ha reimposto una sorta di “nazionalizzazione” della propria Banca centrale... ma ora ha anche deciso sia di pagare al più presto, nove mesi prima della scadenza, il suo prestito usuraio contratto con il “mecenate” Fmi, e sia di annunciare la chiusura degli uffici di rappresentanza del Fondo Monetario insediati a Budapest.
Messa all’indice dalla “troika” (Fmi, Bce, Ue) subito dopo l’assunzione del potere da parte del partito di Orban dichiarato “populista” nonché soggetto alle influenze “negative” della forte destra radicale degli Jobbik, l’Ungheria aveva già “risposto” alle critiche dei padroni-soloni facendo fronte al problema del debito (contratto con l’usura internazionale dal precedente governo), portando detto indebitamento al di sotto del 3% sul suo Pil già a fine 2011.
Con metodi subito ritenuti “non ortodossi” dalla grande finanza internazionale e dai suoi portaparola.
E cosa aveva mai deciso il governo Orban (sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare)?
Di abbattere il debito con una serie di misure temporanee, una tantum, capaci di aumentare ex abrupto le entrate. Quali? Naturalmente quelle più ostiche alle centrali finanziarie.
Le elenchiamo: 1) tassa sui profitti bancari; 2) nazionalizzazione dei “fondi pensione” e assicurativi; 3) imposte sulle multinazionali operanti in territorio magiaro.
E così, con una lettera inviata questo 15 luglio a Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, György Matolcsy, il governatore della Banca Centrale ungherese, ha annunciato che Budapest sarà pronta ad estinguere anticipatamente il debito contratto nel 2008 (20 miliardi di euro) nel bel mezzo dell’inizio della crisi esportata in Europa dal Lord Protettore dell’Ue, gli Stati Uniti d’America. E questo grazie all’avvenuta graduale riassunzione della propria sovranità nazionale, monetaria, fiscale, finanziaria.
Interessante è ricordare che nel 2011, a febbraio, il governo Orban - dopo aver traccheggiato sulle pressanti richieste della Troika di rinegoziare il debito (con un ulteriore debito: il “metodo” usuraio principe al quale, per esempio, la nostra stessa Italia si è graziosamente assoggettata) - riusciva a piazzare senza alcuna intermediazione internazionale le proprie obbligazioni di Stato, dimostrando che quando si è sovrani e quindi affidabili i problemi si risolvono normalmente.
Ma torniamo a questa metà di luglio.
Nella sua lettera alla Lagarde, György Matolcsy, ha annunciato il pagamento anticipato delle prossime ultime tre rate trimestrali, per un totale di 2 miliardi e 125 milioni di euro, sottolineando - non si sa quanto ironicamente o sinceramente - che tale risultato è un effetto, sì, della buona crescita ungherese, ma anche “degli sforzi personali (della Lagarde) di promozione dello sviluppo economico”.
Non male, non male.
Peccato che l’esempio magiaro sia per l’Italia-colonia dei Letta e dei Saccomanni (e dei loro mentori, Prodi e Draghi) quanto di più siderale mai si possa pensare. Oggi. Domani è però un altro giorno.
di Ugo Gaudenzi
Fmi brûlé. Ricetta in salsa magiara
L’Ungheria di Viktor Orban non è affatto un’animale domestico.
Non soltanto ha rivendicato i suoi diritti nazionali di dotarsi di una Costituzione senza briglie a Bruxelles o altrove, non soltanto ha più volte sollevato un netto rifiuto ad assoggettarsi alle politiche di rigore imposte dalla Troika urbi et orbi, non soltanto ha reimposto una sorta di “nazionalizzazione” della propria Banca centrale... ma ora ha anche deciso sia di pagare al più presto, nove mesi prima della scadenza, il suo prestito usuraio contratto con il “mecenate” Fmi, e sia di annunciare la chiusura degli uffici di rappresentanza del Fondo Monetario insediati a Budapest.
Messa all’indice dalla “troika” (Fmi, Bce, Ue) subito dopo l’assunzione del potere da parte del partito di Orban dichiarato “populista” nonché soggetto alle influenze “negative” della forte destra radicale degli Jobbik, l’Ungheria aveva già “risposto” alle critiche dei padroni-soloni facendo fronte al problema del debito (contratto con l’usura internazionale dal precedente governo), portando detto indebitamento al di sotto del 3% sul suo Pil già a fine 2011.
Con metodi subito ritenuti “non ortodossi” dalla grande finanza internazionale e dai suoi portaparola.
E cosa aveva mai deciso il governo Orban (sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare)?
Di abbattere il debito con una serie di misure temporanee, una tantum, capaci di aumentare ex abrupto le entrate. Quali? Naturalmente quelle più ostiche alle centrali finanziarie.
Le elenchiamo: 1) tassa sui profitti bancari; 2) nazionalizzazione dei “fondi pensione” e assicurativi; 3) imposte sulle multinazionali operanti in territorio magiaro.
E così, con una lettera inviata questo 15 luglio a Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, György Matolcsy, il governatore della Banca Centrale ungherese, ha annunciato che Budapest sarà pronta ad estinguere anticipatamente il debito contratto nel 2008 (20 miliardi di euro) nel bel mezzo dell’inizio della crisi esportata in Europa dal Lord Protettore dell’Ue, gli Stati Uniti d’America. E questo grazie all’avvenuta graduale riassunzione della propria sovranità nazionale, monetaria, fiscale, finanziaria.
Interessante è ricordare che nel 2011, a febbraio, il governo Orban - dopo aver traccheggiato sulle pressanti richieste della Troika di rinegoziare il debito (con un ulteriore debito: il “metodo” usuraio principe al quale, per esempio, la nostra stessa Italia si è graziosamente assoggettata) - riusciva a piazzare senza alcuna intermediazione internazionale le proprie obbligazioni di Stato, dimostrando che quando si è sovrani e quindi affidabili i problemi si risolvono normalmente.
Ma torniamo a questa metà di luglio.
Nella sua lettera alla Lagarde, György Matolcsy, ha annunciato il pagamento anticipato delle prossime ultime tre rate trimestrali, per un totale di 2 miliardi e 125 milioni di euro, sottolineando - non si sa quanto ironicamente o sinceramente - che tale risultato è un effetto, sì, della buona crescita ungherese, ma anche “degli sforzi personali (della Lagarde) di promozione dello sviluppo economico”.
Non male, non male.
Peccato che l’esempio magiaro sia per l’Italia-colonia dei Letta e dei Saccomanni (e dei loro mentori, Prodi e Draghi) quanto di più siderale mai si possa pensare. Oggi. Domani è però un altro giorno.
di Ugo Gaudenzi
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