28 luglio 2013

Sovranità e nazione





Frédéric Lordon ha appena pubblicato un articolo importante (1) – Ce que l’extrême droite ne nous prendra pas – in cui affronta la questione essenziale della sovranità ma anche quella altrettanto essenziale della Nazione. Vediamo subito quale sia il nocciolo di questo articolo e le domande a cui cerca di rispondere, nel contesto della crisi dell’Euro, ma anche, più genericamente, della crisi dell’idea europea generata dagli sforzi di coloro che si proclamano i più ferventi difensori dell’Unione Europea. Tali questioni sono già state affrontate nel libro a cura di Cédric Durand (2) e invito i lettori di questo blog a riferirsi al dibattito che ho avuto con lui in articoli precedenti. (3) 


Sovranismo di destra, sovranismo di sinistra? 

Prima di provare ad approfondire alcuni punti del testo con cui chiaramente concordo, e su cui ho preso posizione da più di dieci anni (4), conviene precisare una cosa. Frédéric Lordon scrive: 
“Poiché se questo ordine [il neo-liberalismo] in effetti si definisce come l’opera di dissoluzione sistematica della sovranità dei popoli, affinché possa dispiegarsi senza impacci la potenza dominante del capitale, ogni idea di porvi un limite non può avere altro senso che quello di una restaurazione di questa sovranità, senza mai poter escludere che tale restaurazione si dia come territorio – e, non se ne dispiaccia l’internazionalismo astratto, la sovranità presuppone la delimitazione di un territorio – quello delle nazioni esistenti...senza escludere simmetricamente che essa si proponga anche di ampliarlo!”. 
È un esordio che condivido pienamente, compreso il fatto che la sovranità implichi un territorio ma altresì la distinzione di ciò che è all’interno e ciò che è all’esterno. La frontiera è un elemento decisivo e addirittura costitutivo della democrazia, che questa frontiera sia territoriale o metaforica come nel caso dell’appartenenza a un’organizzazione. È ridicolo sentire gli stessi che rifiutano le frontiere attorno a un territorio difendere la distinzione membri/non membri quando il loro potere è in gioco. Sarebbe il colmo se ciascuno di noi potesse votare negli organismi di un partito politico, quale che esso sia, senza esserne membro! Con quest’esempio vediamo bene che l’esistenza della democrazia implica la chiusura dello spazio politico e che questa chiusura implica una “frontiera”. Dire questo non implica che non abbiamo niente in comune o che ci dobbiamo disinteressare di coloro che si trovano dall’altra parte del confine, che esso delimiti un’organizzazione o un paese. Ciò però consente di attribuire un senso alla distinzione membro/non membro, di conferirgli una pertinenza e quindi, per contrapposizione, di ritenere pericolose le idee che rifiutano questa distinzione. 
Fréderic Lordon non dice niente di diverso quando aggiunge che coloro che contrappongono la Nazione all’Internazionalismo non si rendono conto della vacuità di tale contrapposizione, dal momento che propongono “un internazionalismo politicamente vuoto poiché non indica mai le condizioni concrete della deliberazione collettiva, o, se le indica, non si accorge che sta semplicemente reinventando il principio (moderno) della nazione ma su una scala più ampia!”. 
Fréderic Lordon distingue poi ciò che chiama un “sovranismo di destra” da un “sovranismo di sinistra”, contrapponendo “Nazione” e “Popolo”: “potrebbe essere utile iniziare mostrando in che cosa un sovranismo di sinistra si differenzia chiaramente da un sovranismo di destra: quest’ultimo si concepisce generalmente come sovranità “della nazione”, mentre il primo rivendica di attribuire la sovranità “al popolo”. 
Mi pare che qui ci sia una confusione. La differenza fra destra e sinistra non deriva dalla sovranità, ma dalla maniera di concepire la Nazione. Da questo punto di vista, rifiuto l’idea che possa esserci un sovranismo “di destra” o “di sinistra”. C’è il sovranismo, condizione necessaria all’esistenza di un pensiero democratico, e ci sono le ideologie che rifiutano la sovranità e quindi, alla fine, la democrazia. 


Quali visioni della Nazione? 

Questo non vuol dire che non ci sia un pensiero di destra e un pensiero di sinistra, ma questa contrapposizione non passa per la questione della sovranità ma per quella della Nazione. Per un pensiero “di destra”, la Nazione “è” e di conseguenza ci si sofferma poco sulla sua origine. Si preferisce mettere l’accento sugli aspetti atemporali della sua esistenza e la questione del “corpo mistico” della Nazione non è considerata un’ubbia o un anacronismo. Riemergono rapidamente i miti cristiani: per la maggior parte dei pensatori di “destra” la Nazione rinvia, alla fine, al trittico “une foi, une loi, un Roi” [una fede, una legge, un Re]. I problemi cominciano, d’altra parte, con l’ingresso nell’età moderna, con l’emergere di un pluralismo religioso (la Riforma) che distrugge l’idea di un’unicità religiosa. Alcuni autori contemporanei, e fra di essi personalità così opposte come Carl Shmitt e von Hayek, fanno riferimento a “meta-valori” come origine della “legge”: tali valori strutturerebbero quindi lo spazio della Nazione. Il riferimento al cristianesimo è esplicito in Carl Shmitt. Non occorre essere grandi studiosi per scorgere una riproposizione della metafisica; qui però si pone un problema, cioè quello delle guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa nel Rinascimento. In effetti dalla fine del XVI secolo, grazie a un personaggio come Bodin, si sviluppa l’idea che la legge trae la sua legittimità dalla necessità di far coesistere interessi e credenze diversi nell’ambito di un medesimo spazio territoriale. 
Non è un caso che Bodin sia certo l’autore dei famosi Sei Libri della Repubblica (5), ma anche del meno famoso, ma non meno importante, “Colloquium Heptaplomeres” (6) o “Colloquio dei sette”, che pone le basi dello Stato laico a partire dalla constatazione che in materia di religione è impossibile convincere con argomentazioni che fanno appello alla Ragione. Da quel momento, all’epoca delle guerre di religione in Francia, l’importante non è sapere se si è cattolici o ugonotti ma se si è francesi o alleati col re di Spagna. E’ stato solo ponendo il problema in questi termini che si è potuto ricostruire uno spazio politico collettivo. Ma per questo occorreva capire chi era francese e chi non lo era. Il pensiero “di destra” non si è mai ripreso da questa rivoluzione che obbliga a pensare l’origine della legge e i compromessi sociali al di fuori da qualsiasi riferimento a una norma “divina” o semplicemente fondamentale. Da questo punto di vista, la Nazione e lo Stato post-Bodin sono incompatibili con tutti i fanatismi religiosi, tutte le letture letterali di una religione, che si tratti di cristiani, ebrei o musulmani (o altri...). 
Per i pensatori “di sinistra” la Nazione è prima di tutto una costruzione sociale: una constatazione rassicurante con cui si crede di aver liquidato la questione metafisica. Niente è meno sicuro. A quella prima riflessione, che è profondamente vera, gli intellettuali aggiungono due aporie. Se sono marxisti, non concepiscono questa costruzione sociale che attraverso il prisma della “lotta di classe che porrà fine alla lotta fra le classi”: in breve, il ritorno hegeliano della contraddizione. Ma questa non è che una rappresentazione che conduce a sminuire l’importanza della Nazione come spazio abitato (e anche popolato) dalla democrazia. Dal momento che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo metterà fine allo sfruttamento, che importanza ha questa “reliquia del passato” che sono la Nazione e lo Stato? D’altra parte, in una società senza conflitti lo Stato non è più necessario...Appena abbiamo creduto di esserci liberati della zavorra metafisica, eccola di nuovo. E Lenin, che scriveva Stato e rivoluzione qualche mese prima dell’ottobre del ‘17, dovette riconoscere, sotto la spinta della necessità, l’importanza dello Stato e l’esistenza di conflitti sociali legittimi anche nella società post-rivoluzionaria. Per alcuni marxisti (non tutti: lo so perfettamente), quell’atteggiamento si accompagna a una sottovalutazione fondamentale della democrazia stessa: quest’ultima diventa strumentale rispetto all’obiettivo della fine dello sfruttamento. Sappiamo a quali derive ciò abbia condotto. 
Se invece sono marxiani e non marxisti (la differenza, per i non iniziati, è che un marxiano cerca di essere fedele al metodo di Marx, mentre un marxista a una tradizione interpretativa di Marx), non hanno prismi teologici ma considerano in generale il cambiamento sociale come legato ai tempi brevi, ciò che d’altra parte è piuttosto normale quando si vuole cambiare il mondo. Il problema è che la Nazione, e lo Stato-Nazione con essa, sono costruzioni sociali che dipendono dai tempi lunghi e si estendono su parecchi secoli. Della cultura politica che ne deriva, e che differisce notevolmente da una Nazione all’altra, siamo impregnati, consapevolmente o meno; questa cultura non è altro che il linguaggio in cui possiamo esprimere tanto i conflitti che le soluzioni. Da questo punto di vista, anche se le analisi sono molto diverse, tra una visione metafisica dello Stato e della Nazione, articolata intorno alla nozione di “corpo mistico”, e una concezione che invece li considera come prodotti di una costruzione sociale di lunghissima durata, non c’è una differenza radicale a questo livello di analisi. La differenza è piuttosto che, per coloro che intendono pensare la Nazione e lo Stato nell’ambito di una costruzione sociale di lunga durata, è indispensabile attenersi alla duplice ingiunzione di Jean Bodin, che poggia da un lato sul principio che non possiamo fondare la Nazione e lo Stato su basi religiose poiché la religione non ci unisce più ma ci divide; dall’altro sulle condizioni di funzionamento della Nazione e dello Stato che devono dominare conflitti fra interessi e convinzioni diversi in nome della “cosa pubblica”, la Res Publica. 
L’opposizione non è dunque tra un sovranismo “di destra” e uno “di sinistra”: non c’è che un sovranismo. Ci sono però concezioni della Nazione che sono “di destra”, perché riconducono ad aporie religiose (e si parla qui tanto di religioni vere e proprie quanto di visioni teologiche) che non sono compatibili con un pieno sviluppo della democrazia. Ciò detto e precisato, condividiamo pienamente l’idea affermata da Frédéric Lordon che la sinistra, quella vera, avrebbe tutto l’interesse a riappropriarsi della Nazione come condizione necessaria all’esistenza della democrazia e della Res Publica. Beninteso, questa Nazione non è costituita su basi etniche ed è pronta ad accogliere in sé tutti coloro che vengono a farla vivere col loro lavoro ed energia, nel rispetto di leggi alla formazione delle quali contribuiscono. 

di Jacques Sapir 

NOTE 

1. Lordon F., «Ce que l’extrême droite ne nous prendra pas», articolo postato sul blog di Monde Diplomatique all’indirizzo:http://blog.mondediplo.net/2013-07-08-Ce-que-l-extreme-droite-ne-nous-prendra-pas 8 luglio 2013. 
2. Durand C., (sotto la direzione di), En finir avec l’Europe, La Fabrique éditions, Paris, 2013. 
3. Sapir J., «Europe: un livre, un sondage» articolo pubblicato su RussEurope il 16 maggio 2013,http://russeurope.hypotheses.org/1237 et Idem, «En finir avec l’Europe (seguito)», articolo pubblicato su RussEurope il 31 maggio 2013, http://russeurope.hypotheses.org/1306
5. Bodin, J. Les Six Livres de la République, Librairie Générale Française, Le Livre de Poche, con una presentazione di Gérard Mairet, Paris, 1993, 607 p. 
6. Bodin, J., Colloquium Heptaplomeres, opera scritta nel 1587 ma rimasta per lungo tempo manoscritta, non è stata pubblicata che nel 1858 a Lipsia da Ludwig Noack 

26 luglio 2013

Le grandi banche diventano corporation industriali



Invece di essere sottoposte ad un processo di riorganizzazione e di ridimensionamento, le banche americane “too big to fail”, quelle troppo grandi per essere lasciate fallire, hanno bypassato tutte le limitazioni e i controlli (i Chinese walls), che separavano il sistema bancario da quello commerciale, per “invadere” e impossessarsi di ampi settori dell’economia reale. Altro che riforma del sistema bancario! 
Esse stanno penetrando le sfere commerciali non finanziarie, allargando i loro business nei settori di produzione e di distribuzione dell’energia, delle materie prime e delle imprese di pubblici servizi. 
Una recente indagine fatta da parlamentari americani, concentrata in particolare sulle nuove attività commerciali svolte dalla JP Morgan Chase, la banca Usa numero uno, dalla Goldman Sachs e dalla Morgan Stanley, ha portato ad una richiesta di intervento e di controllo da parte della Federal Reserve. Però la stessa Fed è messa sotto osservazione per il suo coinvolgimento in simili processi. 
Orami è evidente che le banche in questione si stanno trasformando in grandi corporation e multinazionali. Gli effetti dirompenti per l’economia industriale potrebbero essere imprevedibili e incalcolabili. 
La JP Morgan Chase, per esempio, gestisce in California la distribuzione dell’energia che è prodotta da impianti da essa posseduti. In atto c’è un’indagine per provare se abbia anche manipolato i prezzi delle bollette di energia. 
Si ricordi che in passato la Enron, la multinazionale dell’energia, fallì per aver “giocato” con la speculazione in derivati. La JP Morgan ora sembra percorrere la strada al contrario, dalla finanza alla produzione e ai servizi legati all’energia. 
La Goldman Sachs starebbe facendo incetta di grandissime quantità di alluminio accumulate in attesa che il mercato lieviti. In merito riteniamo di dover segnalare che la Coca Cola, grande utilizzatore di lattine in alluminio, avrebbe presentato uno specifico esposto presso il London Metal Exchange, la borsa delle materie prime di Londra. 
La GS starebbe anche espandendo le sue attività alla gestione dei porti, degli aeroporti e delle autostrade a pedaggio, nonché alla commercializzazione di materie prime strategiche, compreso l’uranio, e di altre risorse energetiche. 
La Morgan Stanley starebbe diventando sempre più una multinazionale del petrolio. Nel giugno 2012 avrebbe importato negli Usa 4 milioni  barili. Anch’essa è impegnata nella produzione e nel commercio di materie prime, metalli e materiali preziosi. Possiede centri di produzione e di distribuzione di energia elettrica e di gas anche in  Europa. E’ coinvolta anche nei settori dei trasporti e della logistica. 
Più volte è stato evidenziato che le tre suddette banche sono coinvolte nelle operazioni internazionali in derivati finanziari, anche in quelli sulle commodity, sulle materie prime e sui prodotti alimentari. Ciò oggettivamente rivela un evidente conflitto di interessi. 
In questo modo le grandi banche americane purtroppo dettano legge e comportamenti all’intero mondo bancario globale, spostandolo dai servizi finanziari alle attività commerciali e a quelle di gestione e di produzione industriale. 
Di conseguenza i rischi vengono accresciuti, sia per la possibilità di manipolazione dei prezzi e sia per le inevitabili ricadute di eventuali crisi bancarie sui rifornimenti industriali. 
Dopo la crisi finanziaria le 5 maggiori banche americane, la JP Morgan Chase, la Bank of America, la Citigroup, la Wells Fargo e la Goldman Sachs, hanno ingigantito i loro bilanci e i loro business. Nel 2007 possedevano asset pari al 43% del Pil americano. Alla fine del 2011 gli asset erano pari al 56% del Pil, raggiungendo un ammontare di ben 8,5 trilioni di dollari. 
Tale concentrazione di potere finanziario ed economico sta mettendo a rischio anche il sistema delle banche regionali e di quelle che effettuano solo la raccolta di risparmio. 

Più volte e in varie sedi si è affermato la necessità di riformare le istituzioni finanziarie “too big to fail”. Ma nulla si è fatto!

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

25 luglio 2013

Il MES batte un golpe…




Chi ha il potere di creare moneta LEGALE (cioè obbligatoria) tassa invisibilmente la comunità del potere d’acquisto corrispondente che si arroga. E’ un diritto sovrano, non può essere lasciato ai privati ai quali comunque può essere consentito di emettere moneta complementare a circolazione libera, a CORSO LIBERO, poiché l’uso della stessa non è imposto dallo Stato.
Lo Stato non può imporre ai cittadini, depauperandoli mostruosamente, di adottare una moneta privata per l’assolvimento delle obbligazioni. Si tratta di ALTO TRADIMENTO.
Per capire il sistema bancario, i punti da tener presenti sono tre:
1 – Nascono prima i prestiti dei depositi, il denaro virtuale viene creato dalla banca all’atto del prestito e dopo viene depositato.
2 – Le banche sono principalmente delle creatrici di denaro creditizio (virtuale) e svolgono solo marginalmente l’attività d’intermediazione finanziaria vera e propria.
3 – Le banche non hanno bisogno di percepire anche gli interessi, rubano già l’intero capitale all’atto della creazione del credito. Le banche non pagano tasse sul capitale rubato perché lo mettono al passivo del bilancio realizzando un’evasione doppia.
Se ne desume che le banconote in euro rappresentano un curioso caso di corpo del reato che è anche allo stesso tempo refurtiva e mezzo di riciclaggio.
Nota bene: si salvano solo gli euro metallici a signoraggio statale, contingentati però dall’UE: in Pochi spiccioli all’Italia la dimostrazione che una decisione della BCE ci strozza nel tetto imposto di emissione di valore da spiccioli pro capite, inusitatamente basso per l’Italia rispetto al pro capite degli altri Stati. Contingentati dalla BCE lo sono anche i titoli del debito pubblico, di cui la facoltà di emissione sarà prossimamente scippata semplicemente agli Stati per regalarla al MES. Il presidente del MES al momento è – in conflitto di interessi? in cumulo di poltrone? – il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, che è anche il presidente dell’Eurogruppo, subentrando a Juncker che era in carica dal 2005. Il ministro olandese, che è stato nominato dall’Eurogruppo con l’opposizione espressa della Spagna, rompendo con la tradizione che richiedeva l’elezione all’unanimità dei paesi, è lo stesso che ha deciso l’esproprio dei conti ciprioti e la cancellazione pura e semplice dei titoli dei piccoli obbligazionisti della banca olandese SNS nazionalizzata 
Si può dimostrare in Tribunale che ogni cittadino è stato derubato di 2 milioni di euro con la truffa della moneta privata e del debito pubblico. Ma la magistratura deve fare quel minimo sforzo che le consente di capire che, poiché tutta la moneta in circolazione è corpo del reato, le transazioni imposte in euro non hanno valore. In sostanza, se usi euro sei un riciclatore. Punto
Riepilogo: Durante la seconda guerra mondiale, fortemente voluta dall’esponente della mafia bancaria internazionale, il signor presidente Roosevelt, la mafia bancaria si mise d’accordo con la mafia “tradizionale” (criminalità comune organizzata) per organizzare lo sbarco in Sicilia e l’occupazione dell’Italia. La prima cosa che fecero gli americani, schiavi del dollaro privatizzato, organizzarono una bella emissione di moneta falsa per 140 miliardi che fu poi addebitata allo stato facendo mnascere il “debito pubblico” (se lo chiamavano “debito dell’occupante” magari nessuno voleva pagarlo…). Nel 1944 il bilancio dello stato vide l’ultimo anno di attivo. 70 anni dopo, dopo decine di basi militari d’occupazione che contaminano il territorio anche radioattivamente, in piena crisi artificiale ordita dai soliti oligarchi usurai… dimmi tu che facciamo.
Siamo riusciti a rinominare l’oligarchia bancaria come “democrazia”. Siamo in pieno democrazismo totalitario. Democrazismo sancito dai trattati UE laddove prescrivono agli Stati di passare dalle forche caudine dell’oligarchia bancaria (il mercato primario delle banche dealer) per rifornirsi di moneta.
Come si arriva al calcolo che 2 milioni di euro di rendita monetaria a testa sono il risultato della truffa monetaria del sistema bancario in Italia? Il calcolo, per difetto, è semplice: la massa dei titoli del debito pubblico venne usata dalle banche come base di riserva frazionaria nell’area euro che era il 2%. Significa che potevano creare il 98% con il 2% di riserva, e cioè circa 50 volte il valore dei titoli posti a riserva. Quindi le banche hanno creato soldi per 50 volte questo importo e li hanno riciclati prestandoli in circolazione. Il riflusso aggregato dei prestiti rappresenta il loro bottino: capitale + interessi. Limitandoci alla sola cifra di capitale creato di cui le banche si sono appropriate: 50 volte il debito pubblico. 100.000 miliardi di euro oltre a quelli che riescono a strappare agli Stati per i “salvataggi”. E’ scandaloso.

Comunque, la cifra totale risultante la dividi per il numero di abitanti ed ottieni l’importo pro-capite. Quindi, debito pubblico totale moltiplicato per 50 e diviso per il numero di abitanti. Vedete voi quanto viene. Il problema tecnico è il seguente: se le banche decidessero di rimborsare (basterebbe anche nazionalizzarle), non potrebbero farlo emettendo NUOVA moneta, poiché così creerebbero un altro nuovo debito verso la società. Quindi devono rimborsare con i mezzi propri e, siccome abbiamo accertato la criminalità di queste imprese, e quindi non vale la clausola della responsabilità limitata per le imprese criminali, ANCHE I SOCI DELLE BANCHE DEBBONO RIMBORSARE FINO ALL’ULTIMO COL PATRIMONIO PERSONALE.

di Marco Saba e Nicoletta Forcheri 

28 luglio 2013

Sovranità e nazione





Frédéric Lordon ha appena pubblicato un articolo importante (1) – Ce que l’extrême droite ne nous prendra pas – in cui affronta la questione essenziale della sovranità ma anche quella altrettanto essenziale della Nazione. Vediamo subito quale sia il nocciolo di questo articolo e le domande a cui cerca di rispondere, nel contesto della crisi dell’Euro, ma anche, più genericamente, della crisi dell’idea europea generata dagli sforzi di coloro che si proclamano i più ferventi difensori dell’Unione Europea. Tali questioni sono già state affrontate nel libro a cura di Cédric Durand (2) e invito i lettori di questo blog a riferirsi al dibattito che ho avuto con lui in articoli precedenti. (3) 


Sovranismo di destra, sovranismo di sinistra? 

Prima di provare ad approfondire alcuni punti del testo con cui chiaramente concordo, e su cui ho preso posizione da più di dieci anni (4), conviene precisare una cosa. Frédéric Lordon scrive: 
“Poiché se questo ordine [il neo-liberalismo] in effetti si definisce come l’opera di dissoluzione sistematica della sovranità dei popoli, affinché possa dispiegarsi senza impacci la potenza dominante del capitale, ogni idea di porvi un limite non può avere altro senso che quello di una restaurazione di questa sovranità, senza mai poter escludere che tale restaurazione si dia come territorio – e, non se ne dispiaccia l’internazionalismo astratto, la sovranità presuppone la delimitazione di un territorio – quello delle nazioni esistenti...senza escludere simmetricamente che essa si proponga anche di ampliarlo!”. 
È un esordio che condivido pienamente, compreso il fatto che la sovranità implichi un territorio ma altresì la distinzione di ciò che è all’interno e ciò che è all’esterno. La frontiera è un elemento decisivo e addirittura costitutivo della democrazia, che questa frontiera sia territoriale o metaforica come nel caso dell’appartenenza a un’organizzazione. È ridicolo sentire gli stessi che rifiutano le frontiere attorno a un territorio difendere la distinzione membri/non membri quando il loro potere è in gioco. Sarebbe il colmo se ciascuno di noi potesse votare negli organismi di un partito politico, quale che esso sia, senza esserne membro! Con quest’esempio vediamo bene che l’esistenza della democrazia implica la chiusura dello spazio politico e che questa chiusura implica una “frontiera”. Dire questo non implica che non abbiamo niente in comune o che ci dobbiamo disinteressare di coloro che si trovano dall’altra parte del confine, che esso delimiti un’organizzazione o un paese. Ciò però consente di attribuire un senso alla distinzione membro/non membro, di conferirgli una pertinenza e quindi, per contrapposizione, di ritenere pericolose le idee che rifiutano questa distinzione. 
Fréderic Lordon non dice niente di diverso quando aggiunge che coloro che contrappongono la Nazione all’Internazionalismo non si rendono conto della vacuità di tale contrapposizione, dal momento che propongono “un internazionalismo politicamente vuoto poiché non indica mai le condizioni concrete della deliberazione collettiva, o, se le indica, non si accorge che sta semplicemente reinventando il principio (moderno) della nazione ma su una scala più ampia!”. 
Fréderic Lordon distingue poi ciò che chiama un “sovranismo di destra” da un “sovranismo di sinistra”, contrapponendo “Nazione” e “Popolo”: “potrebbe essere utile iniziare mostrando in che cosa un sovranismo di sinistra si differenzia chiaramente da un sovranismo di destra: quest’ultimo si concepisce generalmente come sovranità “della nazione”, mentre il primo rivendica di attribuire la sovranità “al popolo”. 
Mi pare che qui ci sia una confusione. La differenza fra destra e sinistra non deriva dalla sovranità, ma dalla maniera di concepire la Nazione. Da questo punto di vista, rifiuto l’idea che possa esserci un sovranismo “di destra” o “di sinistra”. C’è il sovranismo, condizione necessaria all’esistenza di un pensiero democratico, e ci sono le ideologie che rifiutano la sovranità e quindi, alla fine, la democrazia. 


Quali visioni della Nazione? 

Questo non vuol dire che non ci sia un pensiero di destra e un pensiero di sinistra, ma questa contrapposizione non passa per la questione della sovranità ma per quella della Nazione. Per un pensiero “di destra”, la Nazione “è” e di conseguenza ci si sofferma poco sulla sua origine. Si preferisce mettere l’accento sugli aspetti atemporali della sua esistenza e la questione del “corpo mistico” della Nazione non è considerata un’ubbia o un anacronismo. Riemergono rapidamente i miti cristiani: per la maggior parte dei pensatori di “destra” la Nazione rinvia, alla fine, al trittico “une foi, une loi, un Roi” [una fede, una legge, un Re]. I problemi cominciano, d’altra parte, con l’ingresso nell’età moderna, con l’emergere di un pluralismo religioso (la Riforma) che distrugge l’idea di un’unicità religiosa. Alcuni autori contemporanei, e fra di essi personalità così opposte come Carl Shmitt e von Hayek, fanno riferimento a “meta-valori” come origine della “legge”: tali valori strutturerebbero quindi lo spazio della Nazione. Il riferimento al cristianesimo è esplicito in Carl Shmitt. Non occorre essere grandi studiosi per scorgere una riproposizione della metafisica; qui però si pone un problema, cioè quello delle guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa nel Rinascimento. In effetti dalla fine del XVI secolo, grazie a un personaggio come Bodin, si sviluppa l’idea che la legge trae la sua legittimità dalla necessità di far coesistere interessi e credenze diversi nell’ambito di un medesimo spazio territoriale. 
Non è un caso che Bodin sia certo l’autore dei famosi Sei Libri della Repubblica (5), ma anche del meno famoso, ma non meno importante, “Colloquium Heptaplomeres” (6) o “Colloquio dei sette”, che pone le basi dello Stato laico a partire dalla constatazione che in materia di religione è impossibile convincere con argomentazioni che fanno appello alla Ragione. Da quel momento, all’epoca delle guerre di religione in Francia, l’importante non è sapere se si è cattolici o ugonotti ma se si è francesi o alleati col re di Spagna. E’ stato solo ponendo il problema in questi termini che si è potuto ricostruire uno spazio politico collettivo. Ma per questo occorreva capire chi era francese e chi non lo era. Il pensiero “di destra” non si è mai ripreso da questa rivoluzione che obbliga a pensare l’origine della legge e i compromessi sociali al di fuori da qualsiasi riferimento a una norma “divina” o semplicemente fondamentale. Da questo punto di vista, la Nazione e lo Stato post-Bodin sono incompatibili con tutti i fanatismi religiosi, tutte le letture letterali di una religione, che si tratti di cristiani, ebrei o musulmani (o altri...). 
Per i pensatori “di sinistra” la Nazione è prima di tutto una costruzione sociale: una constatazione rassicurante con cui si crede di aver liquidato la questione metafisica. Niente è meno sicuro. A quella prima riflessione, che è profondamente vera, gli intellettuali aggiungono due aporie. Se sono marxisti, non concepiscono questa costruzione sociale che attraverso il prisma della “lotta di classe che porrà fine alla lotta fra le classi”: in breve, il ritorno hegeliano della contraddizione. Ma questa non è che una rappresentazione che conduce a sminuire l’importanza della Nazione come spazio abitato (e anche popolato) dalla democrazia. Dal momento che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo metterà fine allo sfruttamento, che importanza ha questa “reliquia del passato” che sono la Nazione e lo Stato? D’altra parte, in una società senza conflitti lo Stato non è più necessario...Appena abbiamo creduto di esserci liberati della zavorra metafisica, eccola di nuovo. E Lenin, che scriveva Stato e rivoluzione qualche mese prima dell’ottobre del ‘17, dovette riconoscere, sotto la spinta della necessità, l’importanza dello Stato e l’esistenza di conflitti sociali legittimi anche nella società post-rivoluzionaria. Per alcuni marxisti (non tutti: lo so perfettamente), quell’atteggiamento si accompagna a una sottovalutazione fondamentale della democrazia stessa: quest’ultima diventa strumentale rispetto all’obiettivo della fine dello sfruttamento. Sappiamo a quali derive ciò abbia condotto. 
Se invece sono marxiani e non marxisti (la differenza, per i non iniziati, è che un marxiano cerca di essere fedele al metodo di Marx, mentre un marxista a una tradizione interpretativa di Marx), non hanno prismi teologici ma considerano in generale il cambiamento sociale come legato ai tempi brevi, ciò che d’altra parte è piuttosto normale quando si vuole cambiare il mondo. Il problema è che la Nazione, e lo Stato-Nazione con essa, sono costruzioni sociali che dipendono dai tempi lunghi e si estendono su parecchi secoli. Della cultura politica che ne deriva, e che differisce notevolmente da una Nazione all’altra, siamo impregnati, consapevolmente o meno; questa cultura non è altro che il linguaggio in cui possiamo esprimere tanto i conflitti che le soluzioni. Da questo punto di vista, anche se le analisi sono molto diverse, tra una visione metafisica dello Stato e della Nazione, articolata intorno alla nozione di “corpo mistico”, e una concezione che invece li considera come prodotti di una costruzione sociale di lunghissima durata, non c’è una differenza radicale a questo livello di analisi. La differenza è piuttosto che, per coloro che intendono pensare la Nazione e lo Stato nell’ambito di una costruzione sociale di lunga durata, è indispensabile attenersi alla duplice ingiunzione di Jean Bodin, che poggia da un lato sul principio che non possiamo fondare la Nazione e lo Stato su basi religiose poiché la religione non ci unisce più ma ci divide; dall’altro sulle condizioni di funzionamento della Nazione e dello Stato che devono dominare conflitti fra interessi e convinzioni diversi in nome della “cosa pubblica”, la Res Publica. 
L’opposizione non è dunque tra un sovranismo “di destra” e uno “di sinistra”: non c’è che un sovranismo. Ci sono però concezioni della Nazione che sono “di destra”, perché riconducono ad aporie religiose (e si parla qui tanto di religioni vere e proprie quanto di visioni teologiche) che non sono compatibili con un pieno sviluppo della democrazia. Ciò detto e precisato, condividiamo pienamente l’idea affermata da Frédéric Lordon che la sinistra, quella vera, avrebbe tutto l’interesse a riappropriarsi della Nazione come condizione necessaria all’esistenza della democrazia e della Res Publica. Beninteso, questa Nazione non è costituita su basi etniche ed è pronta ad accogliere in sé tutti coloro che vengono a farla vivere col loro lavoro ed energia, nel rispetto di leggi alla formazione delle quali contribuiscono. 

di Jacques Sapir 

NOTE 

1. Lordon F., «Ce que l’extrême droite ne nous prendra pas», articolo postato sul blog di Monde Diplomatique all’indirizzo:http://blog.mondediplo.net/2013-07-08-Ce-que-l-extreme-droite-ne-nous-prendra-pas 8 luglio 2013. 
2. Durand C., (sotto la direzione di), En finir avec l’Europe, La Fabrique éditions, Paris, 2013. 
3. Sapir J., «Europe: un livre, un sondage» articolo pubblicato su RussEurope il 16 maggio 2013,http://russeurope.hypotheses.org/1237 et Idem, «En finir avec l’Europe (seguito)», articolo pubblicato su RussEurope il 31 maggio 2013, http://russeurope.hypotheses.org/1306
5. Bodin, J. Les Six Livres de la République, Librairie Générale Française, Le Livre de Poche, con una presentazione di Gérard Mairet, Paris, 1993, 607 p. 
6. Bodin, J., Colloquium Heptaplomeres, opera scritta nel 1587 ma rimasta per lungo tempo manoscritta, non è stata pubblicata che nel 1858 a Lipsia da Ludwig Noack 

26 luglio 2013

Le grandi banche diventano corporation industriali



Invece di essere sottoposte ad un processo di riorganizzazione e di ridimensionamento, le banche americane “too big to fail”, quelle troppo grandi per essere lasciate fallire, hanno bypassato tutte le limitazioni e i controlli (i Chinese walls), che separavano il sistema bancario da quello commerciale, per “invadere” e impossessarsi di ampi settori dell’economia reale. Altro che riforma del sistema bancario! 
Esse stanno penetrando le sfere commerciali non finanziarie, allargando i loro business nei settori di produzione e di distribuzione dell’energia, delle materie prime e delle imprese di pubblici servizi. 
Una recente indagine fatta da parlamentari americani, concentrata in particolare sulle nuove attività commerciali svolte dalla JP Morgan Chase, la banca Usa numero uno, dalla Goldman Sachs e dalla Morgan Stanley, ha portato ad una richiesta di intervento e di controllo da parte della Federal Reserve. Però la stessa Fed è messa sotto osservazione per il suo coinvolgimento in simili processi. 
Orami è evidente che le banche in questione si stanno trasformando in grandi corporation e multinazionali. Gli effetti dirompenti per l’economia industriale potrebbero essere imprevedibili e incalcolabili. 
La JP Morgan Chase, per esempio, gestisce in California la distribuzione dell’energia che è prodotta da impianti da essa posseduti. In atto c’è un’indagine per provare se abbia anche manipolato i prezzi delle bollette di energia. 
Si ricordi che in passato la Enron, la multinazionale dell’energia, fallì per aver “giocato” con la speculazione in derivati. La JP Morgan ora sembra percorrere la strada al contrario, dalla finanza alla produzione e ai servizi legati all’energia. 
La Goldman Sachs starebbe facendo incetta di grandissime quantità di alluminio accumulate in attesa che il mercato lieviti. In merito riteniamo di dover segnalare che la Coca Cola, grande utilizzatore di lattine in alluminio, avrebbe presentato uno specifico esposto presso il London Metal Exchange, la borsa delle materie prime di Londra. 
La GS starebbe anche espandendo le sue attività alla gestione dei porti, degli aeroporti e delle autostrade a pedaggio, nonché alla commercializzazione di materie prime strategiche, compreso l’uranio, e di altre risorse energetiche. 
La Morgan Stanley starebbe diventando sempre più una multinazionale del petrolio. Nel giugno 2012 avrebbe importato negli Usa 4 milioni  barili. Anch’essa è impegnata nella produzione e nel commercio di materie prime, metalli e materiali preziosi. Possiede centri di produzione e di distribuzione di energia elettrica e di gas anche in  Europa. E’ coinvolta anche nei settori dei trasporti e della logistica. 
Più volte è stato evidenziato che le tre suddette banche sono coinvolte nelle operazioni internazionali in derivati finanziari, anche in quelli sulle commodity, sulle materie prime e sui prodotti alimentari. Ciò oggettivamente rivela un evidente conflitto di interessi. 
In questo modo le grandi banche americane purtroppo dettano legge e comportamenti all’intero mondo bancario globale, spostandolo dai servizi finanziari alle attività commerciali e a quelle di gestione e di produzione industriale. 
Di conseguenza i rischi vengono accresciuti, sia per la possibilità di manipolazione dei prezzi e sia per le inevitabili ricadute di eventuali crisi bancarie sui rifornimenti industriali. 
Dopo la crisi finanziaria le 5 maggiori banche americane, la JP Morgan Chase, la Bank of America, la Citigroup, la Wells Fargo e la Goldman Sachs, hanno ingigantito i loro bilanci e i loro business. Nel 2007 possedevano asset pari al 43% del Pil americano. Alla fine del 2011 gli asset erano pari al 56% del Pil, raggiungendo un ammontare di ben 8,5 trilioni di dollari. 
Tale concentrazione di potere finanziario ed economico sta mettendo a rischio anche il sistema delle banche regionali e di quelle che effettuano solo la raccolta di risparmio. 

Più volte e in varie sedi si è affermato la necessità di riformare le istituzioni finanziarie “too big to fail”. Ma nulla si è fatto!

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi 

25 luglio 2013

Il MES batte un golpe…




Chi ha il potere di creare moneta LEGALE (cioè obbligatoria) tassa invisibilmente la comunità del potere d’acquisto corrispondente che si arroga. E’ un diritto sovrano, non può essere lasciato ai privati ai quali comunque può essere consentito di emettere moneta complementare a circolazione libera, a CORSO LIBERO, poiché l’uso della stessa non è imposto dallo Stato.
Lo Stato non può imporre ai cittadini, depauperandoli mostruosamente, di adottare una moneta privata per l’assolvimento delle obbligazioni. Si tratta di ALTO TRADIMENTO.
Per capire il sistema bancario, i punti da tener presenti sono tre:
1 – Nascono prima i prestiti dei depositi, il denaro virtuale viene creato dalla banca all’atto del prestito e dopo viene depositato.
2 – Le banche sono principalmente delle creatrici di denaro creditizio (virtuale) e svolgono solo marginalmente l’attività d’intermediazione finanziaria vera e propria.
3 – Le banche non hanno bisogno di percepire anche gli interessi, rubano già l’intero capitale all’atto della creazione del credito. Le banche non pagano tasse sul capitale rubato perché lo mettono al passivo del bilancio realizzando un’evasione doppia.
Se ne desume che le banconote in euro rappresentano un curioso caso di corpo del reato che è anche allo stesso tempo refurtiva e mezzo di riciclaggio.
Nota bene: si salvano solo gli euro metallici a signoraggio statale, contingentati però dall’UE: in Pochi spiccioli all’Italia la dimostrazione che una decisione della BCE ci strozza nel tetto imposto di emissione di valore da spiccioli pro capite, inusitatamente basso per l’Italia rispetto al pro capite degli altri Stati. Contingentati dalla BCE lo sono anche i titoli del debito pubblico, di cui la facoltà di emissione sarà prossimamente scippata semplicemente agli Stati per regalarla al MES. Il presidente del MES al momento è – in conflitto di interessi? in cumulo di poltrone? – il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, che è anche il presidente dell’Eurogruppo, subentrando a Juncker che era in carica dal 2005. Il ministro olandese, che è stato nominato dall’Eurogruppo con l’opposizione espressa della Spagna, rompendo con la tradizione che richiedeva l’elezione all’unanimità dei paesi, è lo stesso che ha deciso l’esproprio dei conti ciprioti e la cancellazione pura e semplice dei titoli dei piccoli obbligazionisti della banca olandese SNS nazionalizzata 
Si può dimostrare in Tribunale che ogni cittadino è stato derubato di 2 milioni di euro con la truffa della moneta privata e del debito pubblico. Ma la magistratura deve fare quel minimo sforzo che le consente di capire che, poiché tutta la moneta in circolazione è corpo del reato, le transazioni imposte in euro non hanno valore. In sostanza, se usi euro sei un riciclatore. Punto
Riepilogo: Durante la seconda guerra mondiale, fortemente voluta dall’esponente della mafia bancaria internazionale, il signor presidente Roosevelt, la mafia bancaria si mise d’accordo con la mafia “tradizionale” (criminalità comune organizzata) per organizzare lo sbarco in Sicilia e l’occupazione dell’Italia. La prima cosa che fecero gli americani, schiavi del dollaro privatizzato, organizzarono una bella emissione di moneta falsa per 140 miliardi che fu poi addebitata allo stato facendo mnascere il “debito pubblico” (se lo chiamavano “debito dell’occupante” magari nessuno voleva pagarlo…). Nel 1944 il bilancio dello stato vide l’ultimo anno di attivo. 70 anni dopo, dopo decine di basi militari d’occupazione che contaminano il territorio anche radioattivamente, in piena crisi artificiale ordita dai soliti oligarchi usurai… dimmi tu che facciamo.
Siamo riusciti a rinominare l’oligarchia bancaria come “democrazia”. Siamo in pieno democrazismo totalitario. Democrazismo sancito dai trattati UE laddove prescrivono agli Stati di passare dalle forche caudine dell’oligarchia bancaria (il mercato primario delle banche dealer) per rifornirsi di moneta.
Come si arriva al calcolo che 2 milioni di euro di rendita monetaria a testa sono il risultato della truffa monetaria del sistema bancario in Italia? Il calcolo, per difetto, è semplice: la massa dei titoli del debito pubblico venne usata dalle banche come base di riserva frazionaria nell’area euro che era il 2%. Significa che potevano creare il 98% con il 2% di riserva, e cioè circa 50 volte il valore dei titoli posti a riserva. Quindi le banche hanno creato soldi per 50 volte questo importo e li hanno riciclati prestandoli in circolazione. Il riflusso aggregato dei prestiti rappresenta il loro bottino: capitale + interessi. Limitandoci alla sola cifra di capitale creato di cui le banche si sono appropriate: 50 volte il debito pubblico. 100.000 miliardi di euro oltre a quelli che riescono a strappare agli Stati per i “salvataggi”. E’ scandaloso.

Comunque, la cifra totale risultante la dividi per il numero di abitanti ed ottieni l’importo pro-capite. Quindi, debito pubblico totale moltiplicato per 50 e diviso per il numero di abitanti. Vedete voi quanto viene. Il problema tecnico è il seguente: se le banche decidessero di rimborsare (basterebbe anche nazionalizzarle), non potrebbero farlo emettendo NUOVA moneta, poiché così creerebbero un altro nuovo debito verso la società. Quindi devono rimborsare con i mezzi propri e, siccome abbiamo accertato la criminalità di queste imprese, e quindi non vale la clausola della responsabilità limitata per le imprese criminali, ANCHE I SOCI DELLE BANCHE DEBBONO RIMBORSARE FINO ALL’ULTIMO COL PATRIMONIO PERSONALE.

di Marco Saba e Nicoletta Forcheri