Invece di essere sottoposte ad un processo di riorganizzazione e di ridimensionamento, le banche americane “too big to fail”, quelle troppo grandi per essere lasciate fallire, hanno bypassato tutte le limitazioni e i controlli (i Chinese walls), che separavano il sistema bancario da quello commerciale, per “invadere” e impossessarsi di ampi settori dell’economia reale. Altro che riforma del sistema bancario!
Esse stanno penetrando le sfere commerciali non finanziarie, allargando i loro business nei settori di produzione e di distribuzione dell’energia, delle materie prime e delle imprese di pubblici servizi.
Una recente indagine fatta da parlamentari americani, concentrata in particolare sulle nuove attività commerciali svolte dalla JP Morgan Chase, la banca Usa numero uno, dalla Goldman Sachs e dalla Morgan Stanley, ha portato ad una richiesta di intervento e di controllo da parte della Federal Reserve. Però la stessa Fed è messa sotto osservazione per il suo coinvolgimento in simili processi.
Orami è evidente che le banche in questione si stanno trasformando in grandi corporation e multinazionali. Gli effetti dirompenti per l’economia industriale potrebbero essere imprevedibili e incalcolabili.
La JP Morgan Chase, per esempio, gestisce in California la distribuzione dell’energia che è prodotta da impianti da essa posseduti. In atto c’è un’indagine per provare se abbia anche manipolato i prezzi delle bollette di energia.
Si ricordi che in passato la Enron, la multinazionale dell’energia, fallì per aver “giocato” con la speculazione in derivati. La JP Morgan ora sembra percorrere la strada al contrario, dalla finanza alla produzione e ai servizi legati all’energia.
La Goldman Sachs starebbe facendo incetta di grandissime quantità di alluminio accumulate in attesa che il mercato lieviti. In merito riteniamo di dover segnalare che la Coca Cola, grande utilizzatore di lattine in alluminio, avrebbe presentato uno specifico esposto presso il London Metal Exchange, la borsa delle materie prime di Londra.
La GS starebbe anche espandendo le sue attività alla gestione dei porti, degli aeroporti e delle autostrade a pedaggio, nonché alla commercializzazione di materie prime strategiche, compreso l’uranio, e di altre risorse energetiche.
La Morgan Stanley starebbe diventando sempre più una multinazionale del petrolio. Nel giugno 2012 avrebbe importato negli Usa 4 milioni barili. Anch’essa è impegnata nella produzione e nel commercio di materie prime, metalli e materiali preziosi. Possiede centri di produzione e di distribuzione di energia elettrica e di gas anche in Europa. E’ coinvolta anche nei settori dei trasporti e della logistica.
Più volte è stato evidenziato che le tre suddette banche sono coinvolte nelle operazioni internazionali in derivati finanziari, anche in quelli sulle commodity, sulle materie prime e sui prodotti alimentari. Ciò oggettivamente rivela un evidente conflitto di interessi.
In questo modo le grandi banche americane purtroppo dettano legge e comportamenti all’intero mondo bancario globale, spostandolo dai servizi finanziari alle attività commerciali e a quelle di gestione e di produzione industriale.
Di conseguenza i rischi vengono accresciuti, sia per la possibilità di manipolazione dei prezzi e sia per le inevitabili ricadute di eventuali crisi bancarie sui rifornimenti industriali.
Dopo la crisi finanziaria le 5 maggiori banche americane, la JP Morgan Chase, la Bank of America, la Citigroup, la Wells Fargo e la Goldman Sachs, hanno ingigantito i loro bilanci e i loro business. Nel 2007 possedevano asset pari al 43% del Pil americano. Alla fine del 2011 gli asset erano pari al 56% del Pil, raggiungendo un ammontare di ben 8,5 trilioni di dollari.
Tale concentrazione di potere finanziario ed economico sta mettendo a rischio anche il sistema delle banche regionali e di quelle che effettuano solo la raccolta di risparmio.
Più volte e in varie sedi si è affermato la necessità di riformare le istituzioni finanziarie “too big to fail”. Ma nulla si è fatto!
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi
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