12 agosto 2013

Da Berlusconi a Grillo: storia delle promesse







   
   
Tanto rumore per la condanna di B. Minacce di guerra civile. Il Paese “spaccato”. Ma, al di là del rumore e del colore, che influenza ha avuto B. sul percorso reale del Paese? Nessuna: la sua azione non ha spostato di un grado l’Italia dalla sua rotta di deindustrializzazione, indebitamento, impoverimento, declassamento, assoggettamento a potenze e capitali stranieri. E l’azione dei suoi rivali? Idem!

Del resto, un paese pervaso storicamente da mentalità non liberali (socialismo, comunismo, fascismo, cattolicesimo), come poteva divenire liberale?

Vediamo che, invece, la partecipazione politica tende a scadere in forme di irrazionalità più rozze, cioè dall’ideologismo al tribalismo incentrato su capi carismatici e affiliazioni identitarie. Un paese  storicamente assuefatto a che la legge sia usata dal potere secondo la sua convenienza, ed elusa quando possibile da chi non ha potere, come potrebbe cambiare per decreto? Un paese storicamente abituato a un potere che si compera il consenso col clientelismo nella spesa pubblica e nel pubblico impiego, come potrebbe divenire efficiente in qualche anno e per azione di forze interne ad esso? La storia, il passato, i costumi consolidati, le formae mentis tradizionali, sono tutte cose molto reali e molto solide.

Ma anche le altre forze politiche e le altre ideologie hanno avuto influenza nulla sulla rotta del Paese descritta sopra.

La sinistra prometteva più sicurezza sociale, più lavoro, più equità nei redditi, più servizi pubblici, e abbiamo avuto esattamente il contrario.

Bossi prometteva l’indipendenza della Padania o perlomeno il federalismo, nonché controllo dell’immigrazione, e abbiamo avuto più centralismo, romano ed europeo, e più immigrazione selvaggia.

Il prof. Monti prometteva il salvataggio dell’economia mediante le sue grandi capacità tecniche: si è rivelato un tecnico dell’autoaffondamento, precipitando il Paese nell’avvitamento fiscale e nel pessimismo più distruttivo.

Letta, con la sua enorme maggioranza parlamentare, doveva fare grandi cose a tambur battente, sempre per salvare il Paese, e semplicemente rinvia le decisioni e sta ad aspettare mentre il Paese brucia.

L’europeismo e l’Euro promettevano solidarietà, stabilità, risanamento, crescita, convergenza economica e unificazione politica, e hanno dato il contrario: avvitamento recessivo, sovraindebitamento, miseria, sopraffazione tedesca, divergenza delle economie, contrapposizione di interessi.

Mercatismo, globalizzazione, liberalizzazione e privatizzazione promettevano sviluppo economico, equità, razionale distribuzione delle risorse e dei redditi, stabilità, e abbiamo avuto il contrario: instabilità, crisi strutturale, depressione, concentrazione dei redditi e dei poteri in mano a pochi monopolisti, disoccupazione, dilagare della povertà in tutto il mondo.

Il partito dei magistrati prometteva di debellare la corruzione e la mafia, e ora abbiamo più corruzione più mafia; la cessione dei gioielli nazionali e dei poteri politici al capitale finanziario straniero è stata nascosta col polverone mediatico-emozionale di Mani Pulite (“Di Pietro facci sognare”), e l’eliminazione col mezzo giudiziario dei partiti popolari diversi dal PCI e dai suoi succedanei metamorfici è servita non a fare pulizia, ma a togliere di mezzo le forze politiche radicate nella gente e che potevano opporsi alle logiche della finanza predatrice.

A quest’ultima neppure B. si è veramente opposto, perché ha votato tutti i provvedimenti normativi da essa voluti, limitandosi a cercare di inserirsi qua e là più per conquistare un ruolo personale che per cambiare un tracciato non negoziabile. La sua maggiore influenza è stata proprio quella di aiutare a nascondere quelle logiche e quelle strategie all’opinione pubblica, mentre venivano portate avanti, mentre veniva creato un sistema monetario europeo volutamente sbagliato e che avrebbe prodotto ciò che ora stiamo subendo. A nasconderle dietro una rappresentazione teatrale in cui la gente, compreso il ceto imprenditoriale, veniva coinvolta nella finzione che la realtà, che ciò che contava, fosse la lotta di B. liberale contro il comunismo e i magistrati comunisti, ovvero della democrazia e della legalità contro B. caimano e delinquente professionale.

 Potevano andare diversamente, le cose, in Italia? Poteva una qualche forza nazionale cambiare il corso della storia di questo Paese? Potevano riformarlo, risanarlo, rilanciarlo, ammodernarlo, queste forze politiche e giudiziarie? No, non ne avevano la possibilità, perché il potere effettivo su questo Paese, gli strumenti di politica macroeconomica dello Stato, erano stati ceduti precedentemente, cioè nel 1981-83 con la sapiente riforma monetaria Draghi-Andreatta (privatizzazione della gestione della Banca d’Italia, rifinanziamento del debito pubblico affidato ai mercati speculativi, conseguente raddoppio del debito sul pil in pochi anni, destabilizzazione finanziaria); e poi, irreversibilmente, con gli accordi sul panfilo Britannia nel 1992, Maastricht, l’Euro. Da allora, il timone dell’Italia non è più in Italia, il comandante vero sta all’estero, e dall’estero ultimamente decide anche i governi italiani. Ogni promessa di cambiare il Paese, fatta da partiti nazionali, è pura millanteria, regolarmente smentita dai fatti. L’alternanza al potere sposta al più, da una parta all’altra, le opportunità di affari con lo Stato e il carico fiscale. Cioè ha influenza solo sulla spartizione. Ai fini propriamente politici, votare è ininfluente.

Adesso tocca a Grillo e alle sue, di promesse. Grillo le canta sull’ultima spiaggia, oramai al tramonto di questo Paese, ormai privato dei caratteri della statehood (Eigenstaatlichkeit), e ridotto a un governatorato. Cambiare l’Italia, semplicemente non glielo permetteranno, i fratelli maggiori europei. Per farlo, dovrebbe rompere e scontrarsi con una struttura internazionale da cui l’Italia è in dipendente per materie prime ed esportazioni. Senza contare che l’Italia è un paese occupato militarmente dagli USA con decine di loro basi militari sul territorio.

Ecco, gli USA, solo gli USA, con l’appoggio intra-europeo di Londra, potrebbero mettere Grillo in condizioni di farlo, ammesso che riesca ad adunare adeguate forze popolari, magari alleandosi ad altri movimenti antisistema.

OK, allora domani (?) si cambia il Paese. Ma qual è il modello? Come farlo funzionare? Questo non lo sanno nemmeno a Washington, temo.

di Marco Della Luna 

11 agosto 2013

La corsa verso l'abisso


di Ida Magli - 05/08/2013



   
   
La società italiana e il suo governo attuale sembrano davvero un camion che perde pezzi mentre corre sempre più in fretta verso un precipizio. Nessuno mette mano al freno, anzi: l’aspetto più terrificante della situazione è l’assoluta tranquillità del pilota e di coloro che lo circondano. Guardano tutti la strada davanti a sé senza vedere neanche il più piccolo ostacolo. La condanna di Berlusconi, a detta di tutti i protagonisti della conduzione politica, non cambierà nulla all’assetto del governo Letta; anzi c’è perfino chi dall’alto di un posto di comando privilegiato, si affanna a “blindarlo”, come usano dire i giornalisti, tanto è ritenuto indispensabile a salvare il paese dall’inevitabile catastrofe che seguirebbe alla sua caduta. Tutto questo è stato affermato di nuovo ieri sera davanti alla condanna di Berlusconi.

Ebbene, le colpe di Berlusconi di cui gli italiani si possono lamentare non sono certo quelle condannate dalla magistratura, ma gravi colpe politiche che non si sa se attribuire a una strategia personale, che in ogni caso è stata fallimentare, oppure a un’assoluta volontà di conservare l’Italia nell’area europea, anche questa strategia fallimentare. La gravissima situazione economica e sociale dell’Italia dipende dal fatto che apparteniamo all’”orrida idea dell’euro” (per dirla col premio Nobel Amarthya Sen), dal debito pubblico che continua a crescere perché siamo costretti a pagare il denaro che adoperiamo ai Rothschild, ai Rockfeller, ai Draghi, ai sovrani d’Inghilterra, di Spagna, del Belgio, d’Olanda, che possiedono le banche centrali e in particolare la Bce. Le tasse non possono diminuire, la disoccupazione neppure, se non ci si riappropria della sovranità monetaria e non si abbandonano le normative europee sulla libertà del mercato.

Ma la maggiore colpa di Berlusconi è quella di essersi inchinato davanti alla chiamata di Mario Monti da parte del Presidente della Repubblica. È stato quello il momento decisivo. Quando ha accettato di venir meno alle regole della democrazia, dimettendosi senza la ratifica del Parlamento, controfirmando la nomina di Monti a senatore a vita (non c’erano le condizioni richieste dalla Costituzione) e obbligando il suo partito a votare i decreti di Monti, ha mancato a tutti i doveri di un politico a capo di un grande partito, in pratica facendo fare a questo partito il contrario di ciò che volevano i suoi elettori. Di questi elettori bisogna dire una verità che è stata volutamente tenuta nascosta un po’ da tutti in quanto è stata attribuita al carisma personale di Berlusconi gran parte del suo successo. La realtà è un’altra: chi non voleva votare la Sinistra, non aveva altre possibilità. E non è questione di tener lontano il “comunismo”, come ha ripetuto in continuazione Berlusconi: anche se è stata quasi sempre al governo prima la Democrazia cristiana, poi Berlusconi, l’Italia è diventata a poco a poco una società pienamente social-comunista, con l’annientamento della borghesia, con l’ugualitarismo e la statalizzazione di tutte le strutture sociali: Scuola, Sanità, Pensioni, cui è bastato qualche referendum (divorzio, aborto) e, come ultima pennellata, qualche decreto montiano sul controllo di tutti i movimenti di denaro e dei conti correnti per trovarsi in pieno comunismo. Se non ci sono le fucilazioni di Stalin è perché non ce n’è bisogno: nessuno si ribella e sono tutti d’accordo, dal Presidente della Repubblica ai partiti di destra e di sinistra. L’unico segno di negazione sono i suicidi, ma quale soluzione migliore per i potenti di quella in cui l’eventuale oppositore si fa fuori da sé? La magistratura ne dà atto non vedendoci nessun indizio di colpe da parte di nessuno. Proprio in questi giorni ha archiviato il suicidio del dirigente del Monte dei Paschi di Siena, David Rossi: è stato un atto volontario. In concreto, dunque, ormai si disputa su inezie: lo spostamento della scadenza di una tassa, l’aumento dell’Iva. I veri problemi non esistono più perché la servitù all’Europa e al suo ugualitarismo mondialista è stata completata con il governo Letta e la democrazia fa finta di sussistere con il nome di “larghe intese”.

Di questo Berlusconi non parla neanche nei suoi progetti per il futuro partito. Tornare allo spirito del ’94? Com’è possibile che non si renda conto che nel ’94 il panorama era del tutto diverso tanto che non c’era nemmeno l’euro? No, così l’Italia è perduta. È lo scopo dell’Ue: eliminare gli Stati nazionali. I parlamentari del Pdl facciano il loro dovere; se non riescono a convincerlo che non si può tradire lo spirito con il quale sono stati eletti, non obbediscano a Berlusconi. Quelli che sono al governo si dimettano e tutti insieme diano un segnale di coraggio, di dignità e di rispetto per gli italiani.

di  Ida Magli

10 agosto 2013

Due paroline sulla "democrazia"






Oggi lascio per un po’ da parte la questione su cui tutti si sono buttati a capofitto, quella del berlusca condannato. Per il momento attendiamo che le galline starnazzanti depositino qualche uovo, se ne sono capaci, poi ne riparleremo. Quello su cui voglio dire due parole è altro, anche se non è disgiunto da quanto accade nell’attuale pollaio. Farò qualche pensiero, terra terra, sulla democrazia. E’ ora di finirla di considerare democratici quei paesi in cui si tengono le “libere elezioni”. Ed è altrettanto ora di finirla di prendere per democratici quei gran chiacchieroni che sproloquiano appunto su questo o quel regime elettorale. Perché democrazia, in sostanza, vorrebbe dire “governo del popolo” (mi sembra almeno). Tuttavia, ci si accorge senza difficoltà che i vari regimi elettorali creano spesso impedimenti a coloro che devono governare; poiché per governare è necessario prendere decisioni rilevanti, mai discusse nelle campagne elettorali, e certi regimi di votazione mettono capo a Parlamenti e schieramenti maggioritari incerti, divisi, dove appunto è pressoché impossibile prendere queste decisioni con la necessaria rapidità.
Il problema centrale non è però quello appena ricordato. Che cosa significa in realtà “governo del popolo” per la gente comune? Chiunque parli nei vari “luoghi pubblici” con tipici esponenti di questo popolo – in cui si trovano senz’altro persone intelligenti, concrete, che lavorano e producono e si orientano con una certa sicurezza se non addirittura saggezza in questioni della vita quotidiana – si accorge che, nel 95% dei casi (e sono già molto cauto), essi non hanno la più pallida idea dei caratteri dell’attività politica. Spesso dicono che la “politica è sporca”; tuttavia, poi cadono nell’illusione secondo cui tutto ciò che appare alla luce del Sole è sostanzialmente vero, rappresenta l’effettiva posta in gioco. Le alternative da decidere, ne sono convinti, sono proprio quelle che sono state loro presentate; e le motivazioni ufficiali per cui si prende questa o quella decisione sono per loro le sole sul tappeto, mentre sono invece la pura superficie “epifenomenica” dei processi in corso. Al massimo, poiché per semplice simpatia epidermica (spesso guardando in TV come si presenta questo o quel personaggio) molti si schierano a favore di un dato partito, di un dato orientamento, ecc., le decisioni giuste sono quelle prese dai “simpatici” (che sono per definizione gli “onesti”), quelle sbagliate promanano dagli “antipatici” (magari delinquenti perché lo dichiarano i “simpatici”).
La politica è un gioco, in cui ogni giocatore, così com’è da che mondo è mondo, cerca di attuare le migliori mosse per prevalere. Mai visto un giocatore rivelare agli astanti quale sarà il comportamento cui ha deciso di attenersi nella speranza di risultare vittorioso. Solo gli ignari, fra gli astanti, chiederebbero ai giocatori come intendano realmente muoversi o almeno l’indicazione del loro orientamento di fondo (la strategia e la tattica seguite). Eppure, qualcuno pretenderebbe che in politica i giocatori esplicitassero agli elettori (al popolo) le loro reali intenzioni nel gioco teso a sconfiggere gli avversari. Un’autentica assurdità.
Ovviamente, si può sostenere l’utilità e convenienza di condurre il gioco in presenza di spettatori che, come accade sovente in ogni vicenda della vita degli esseri umani, tendono alla fine a schierarsi da una parte o dall’altra, per un giocatore o per l’altro. Escludere i “tifosi”, dire loro di mettersi a cuccia in casa propria attendendo il risultato finale, senza mai partecipare nemmeno alla pura e semplice visione del gioco, del suo farsi momento per momento – cioè seguendo momento per momento come si configurano “sul campo” (del conflitto) i movimenti dei giocatori – può essere negativo, può far crescere l’insoddisfazione del popolo. Se il giocatore, seguito da esso (o dalla sua maggioranza) vince, tutto va bene: il popolo festeggia, tripudia, e il giocatore rinsalda il suo potere. Se però perde, rischia ancora più grosso del giocatore che ha ammesso alla visione del gioco il popolo: il quale, alla fin fine, si scaglia sempre addosso al perdente, ma certamente con particolare virulenza se nemmeno gli si è fatta vedere la partita.
E’ quindi meglio, nelle normali contingenze, consentire al popolo di assistere ai giochi e di schierarsi in opposte “tifoserie”. Semmai, qualora un “gladiatore” finisse a terra in situazione di grave pericolo, si può chiedere l’intervento dell’“imperatore” con il suo pollice verso o alzato. Facendo un esempio attuale (anche se un po’ banale), qualcuno può chiedere all’“ultimo monarca d’Italia” di concedere la grazia al contendente gettato a terra con qualche artifizio e indubbio “raggiro” (si ha quanto meno l’impressione che certi “patti” siano stati elusi). Vi sono tuttavia congiunture specifiche in cui è proprio necessario escludere il popolo perfino dal “tifo” per i vari giocatori, poiché uno di essi ha bisogno di una più completa libertà di movimento e della indiscussa e cieca fiducia dei suoi “supporters” nella realizzazione delle sue finalità strategico-tattiche. La “democrazia” (le “libere elezioni”) viene messa sotto sequestro temporaneo (più o meno lungo, ma mai per sempre).
Un’ottima lezione in tal senso si ha nel film “La villeggiatura” (1973) di Marco Leto che narra quanto accaduto ad un certo prof. Rossini: personaggio e vicenda inventate, ma non il fatto del non giuramento di fedeltà al fascismo di 13 prof. universitari (su poco meno di 3000), e del confino o incarceramento di alcuni altri che scelsero l’aperta attività antifascista. Vi è una bella scena, decisiva, in cui il prof. e il disincantato Commissario di polizia (un grande Adolfo Celi), “servitore dello Stato” con qualsiasi regime ed in qualsiasi congiuntura, giocano a scacchi. Ad un certo punto, per esigenze “didattiche”, il Commissario abolisce ogni regola del normale gioco e si mangia tutte le pedine dell’avversario perché ormai se ne è creato il potere in vista di uno “scopo superiore” (giudicato tale dal giocatore in questione, ma che è comunque realmente tale per lui e in quella specifica congiuntura). Il Commissario aggiunge, però, che si tratta di una congiuntura sicuramente temporanea. Di conseguenza, tornerà il tempo del ripristino di certe regole, con le “tifoserie” nuovamente ammesse alla visione del gioco e alla chiassosa manifestazione di sostegno nei confronti dei propri beniamini; e allora, in quel tempo futuro, lui e il prof. si troveranno nuovamente a far parte di schieramenti avversi, e in piena “recita democratica”.
Posta la questione della “democrazia” sui suoi più corretti binari – seguendo un ragionamento molto semplice e privo di dotte disquisizioni “teoretiche” – quali conclusioni, diciamo pratiche (cioè “per noi”), se ne possono trarre? Il nostro blog non è nato, né cresciuto, con la primaria esigenza di “fare politica”, cioè di prendere partito nell’ambito di questa o quella “tifoseria”. Talvolta ha senza dubbio assunto posizioni che sfioravano il “tifo”; in tal caso, è inevitabile il cosiddetto “torcere il bastone in un senso”, quasi sempre per rispondere ad altri che lo piegavano “nell’altro senso”. Ciò è avvenuto, e avverrà ancora, consapevolmente e dunque per scelta precisa di chi scrive.
In linea generale, però, il blog ha finalità di analisi: certamente da definirsi politica, ma non nello stesso significato della più esplicita “presa di partito” (cioè della scelta di schierarsi da una parte o dall’altra). Si tratta di un’analisi che non può non rifarsi a determinate impostazioni teoriche, dunque all’assunzione di determinate categorie elaborate nel dibattito sempre in corso nelle varie “scuole di pensiero” formatesi nella scienza sociale. Nessuna pretesa di assurgere alla Verità, alla analisi della realtà sociale così com’essa è, con la massima “obiettività” e “neutralità”. Tuttavia, il “prima logico” è rappresentato dall’elaborazione e sviluppo di categorie teoriche con le quali procedere all’interpretazione dei “fatti” nel corso dei processi in svolgimento in specifiche congiunture storiche. Dopo di che, ci si dedica appunto all’analisi e all’eventuale presa di posizione in base a quest’ultima. Il che implica comunque una “spassionatezza”; non l’obiettività fattuale che certuni raccontano, ma senz’altro un atteggiamento in qualche modo freddo e distaccato rispetto all’aperta passionalità della scelta “tifosa”.
In ogni caso, mi interessava dire basta allo sproloquiare sulla democrazia. Quest’ultima è soltanto la scelta di far partecipare il popolo al tifo per questa o quella delle ristrette élites che rappresentano i giocatori nel campo del conflitto politico in ambito sociale. Il popolo acclama o inveisce più o meno vivacemente; senza dubbio, quando gli animi troppo si accendono, ne possono risultare disturbi anche forti, di fronte ai quali – se una data società non vuole soccombere, nel senso di disgregarsi e non trovare più un coordinamento possibile per uno scorrevole svolgimento degli eventi nel suo ambito – è indispensabile comportarsi come il Commissario nel film prima citato: non si rispettano più le regole del gioco e si portano via con la forza tutte le pedine delle altre parti in lotta. Se ciò non fosse possibile, quella società decade, si imbastardisce sempre più e, spesso, cade allora sotto la predominanza di un’altra, che ne assicura la sopravvivenza; comportandosi però come il ragno che, dopo aver punto (e paralizzato) le sue vittime, garantisce la continuazione della loro vita (in piena “immobilità”) per nutrirsi sempre meglio di carne viva e non putrefatta.
Quindi, mente lucida e la si smetta con le litanie su regimi impossibili, ultrautopici (perfino più utopici del comunismo come ancora qualche residuo di sciagurati lo pensa con “sindrome religiosa”). Il “governo del popolo” è una contraddizione in termini. Amen!


di Gianfranco La Grassa

12 agosto 2013

Da Berlusconi a Grillo: storia delle promesse







   
   
Tanto rumore per la condanna di B. Minacce di guerra civile. Il Paese “spaccato”. Ma, al di là del rumore e del colore, che influenza ha avuto B. sul percorso reale del Paese? Nessuna: la sua azione non ha spostato di un grado l’Italia dalla sua rotta di deindustrializzazione, indebitamento, impoverimento, declassamento, assoggettamento a potenze e capitali stranieri. E l’azione dei suoi rivali? Idem!

Del resto, un paese pervaso storicamente da mentalità non liberali (socialismo, comunismo, fascismo, cattolicesimo), come poteva divenire liberale?

Vediamo che, invece, la partecipazione politica tende a scadere in forme di irrazionalità più rozze, cioè dall’ideologismo al tribalismo incentrato su capi carismatici e affiliazioni identitarie. Un paese  storicamente assuefatto a che la legge sia usata dal potere secondo la sua convenienza, ed elusa quando possibile da chi non ha potere, come potrebbe cambiare per decreto? Un paese storicamente abituato a un potere che si compera il consenso col clientelismo nella spesa pubblica e nel pubblico impiego, come potrebbe divenire efficiente in qualche anno e per azione di forze interne ad esso? La storia, il passato, i costumi consolidati, le formae mentis tradizionali, sono tutte cose molto reali e molto solide.

Ma anche le altre forze politiche e le altre ideologie hanno avuto influenza nulla sulla rotta del Paese descritta sopra.

La sinistra prometteva più sicurezza sociale, più lavoro, più equità nei redditi, più servizi pubblici, e abbiamo avuto esattamente il contrario.

Bossi prometteva l’indipendenza della Padania o perlomeno il federalismo, nonché controllo dell’immigrazione, e abbiamo avuto più centralismo, romano ed europeo, e più immigrazione selvaggia.

Il prof. Monti prometteva il salvataggio dell’economia mediante le sue grandi capacità tecniche: si è rivelato un tecnico dell’autoaffondamento, precipitando il Paese nell’avvitamento fiscale e nel pessimismo più distruttivo.

Letta, con la sua enorme maggioranza parlamentare, doveva fare grandi cose a tambur battente, sempre per salvare il Paese, e semplicemente rinvia le decisioni e sta ad aspettare mentre il Paese brucia.

L’europeismo e l’Euro promettevano solidarietà, stabilità, risanamento, crescita, convergenza economica e unificazione politica, e hanno dato il contrario: avvitamento recessivo, sovraindebitamento, miseria, sopraffazione tedesca, divergenza delle economie, contrapposizione di interessi.

Mercatismo, globalizzazione, liberalizzazione e privatizzazione promettevano sviluppo economico, equità, razionale distribuzione delle risorse e dei redditi, stabilità, e abbiamo avuto il contrario: instabilità, crisi strutturale, depressione, concentrazione dei redditi e dei poteri in mano a pochi monopolisti, disoccupazione, dilagare della povertà in tutto il mondo.

Il partito dei magistrati prometteva di debellare la corruzione e la mafia, e ora abbiamo più corruzione più mafia; la cessione dei gioielli nazionali e dei poteri politici al capitale finanziario straniero è stata nascosta col polverone mediatico-emozionale di Mani Pulite (“Di Pietro facci sognare”), e l’eliminazione col mezzo giudiziario dei partiti popolari diversi dal PCI e dai suoi succedanei metamorfici è servita non a fare pulizia, ma a togliere di mezzo le forze politiche radicate nella gente e che potevano opporsi alle logiche della finanza predatrice.

A quest’ultima neppure B. si è veramente opposto, perché ha votato tutti i provvedimenti normativi da essa voluti, limitandosi a cercare di inserirsi qua e là più per conquistare un ruolo personale che per cambiare un tracciato non negoziabile. La sua maggiore influenza è stata proprio quella di aiutare a nascondere quelle logiche e quelle strategie all’opinione pubblica, mentre venivano portate avanti, mentre veniva creato un sistema monetario europeo volutamente sbagliato e che avrebbe prodotto ciò che ora stiamo subendo. A nasconderle dietro una rappresentazione teatrale in cui la gente, compreso il ceto imprenditoriale, veniva coinvolta nella finzione che la realtà, che ciò che contava, fosse la lotta di B. liberale contro il comunismo e i magistrati comunisti, ovvero della democrazia e della legalità contro B. caimano e delinquente professionale.

 Potevano andare diversamente, le cose, in Italia? Poteva una qualche forza nazionale cambiare il corso della storia di questo Paese? Potevano riformarlo, risanarlo, rilanciarlo, ammodernarlo, queste forze politiche e giudiziarie? No, non ne avevano la possibilità, perché il potere effettivo su questo Paese, gli strumenti di politica macroeconomica dello Stato, erano stati ceduti precedentemente, cioè nel 1981-83 con la sapiente riforma monetaria Draghi-Andreatta (privatizzazione della gestione della Banca d’Italia, rifinanziamento del debito pubblico affidato ai mercati speculativi, conseguente raddoppio del debito sul pil in pochi anni, destabilizzazione finanziaria); e poi, irreversibilmente, con gli accordi sul panfilo Britannia nel 1992, Maastricht, l’Euro. Da allora, il timone dell’Italia non è più in Italia, il comandante vero sta all’estero, e dall’estero ultimamente decide anche i governi italiani. Ogni promessa di cambiare il Paese, fatta da partiti nazionali, è pura millanteria, regolarmente smentita dai fatti. L’alternanza al potere sposta al più, da una parta all’altra, le opportunità di affari con lo Stato e il carico fiscale. Cioè ha influenza solo sulla spartizione. Ai fini propriamente politici, votare è ininfluente.

Adesso tocca a Grillo e alle sue, di promesse. Grillo le canta sull’ultima spiaggia, oramai al tramonto di questo Paese, ormai privato dei caratteri della statehood (Eigenstaatlichkeit), e ridotto a un governatorato. Cambiare l’Italia, semplicemente non glielo permetteranno, i fratelli maggiori europei. Per farlo, dovrebbe rompere e scontrarsi con una struttura internazionale da cui l’Italia è in dipendente per materie prime ed esportazioni. Senza contare che l’Italia è un paese occupato militarmente dagli USA con decine di loro basi militari sul territorio.

Ecco, gli USA, solo gli USA, con l’appoggio intra-europeo di Londra, potrebbero mettere Grillo in condizioni di farlo, ammesso che riesca ad adunare adeguate forze popolari, magari alleandosi ad altri movimenti antisistema.

OK, allora domani (?) si cambia il Paese. Ma qual è il modello? Come farlo funzionare? Questo non lo sanno nemmeno a Washington, temo.

di Marco Della Luna 

11 agosto 2013

La corsa verso l'abisso


di Ida Magli - 05/08/2013



   
   
La società italiana e il suo governo attuale sembrano davvero un camion che perde pezzi mentre corre sempre più in fretta verso un precipizio. Nessuno mette mano al freno, anzi: l’aspetto più terrificante della situazione è l’assoluta tranquillità del pilota e di coloro che lo circondano. Guardano tutti la strada davanti a sé senza vedere neanche il più piccolo ostacolo. La condanna di Berlusconi, a detta di tutti i protagonisti della conduzione politica, non cambierà nulla all’assetto del governo Letta; anzi c’è perfino chi dall’alto di un posto di comando privilegiato, si affanna a “blindarlo”, come usano dire i giornalisti, tanto è ritenuto indispensabile a salvare il paese dall’inevitabile catastrofe che seguirebbe alla sua caduta. Tutto questo è stato affermato di nuovo ieri sera davanti alla condanna di Berlusconi.

Ebbene, le colpe di Berlusconi di cui gli italiani si possono lamentare non sono certo quelle condannate dalla magistratura, ma gravi colpe politiche che non si sa se attribuire a una strategia personale, che in ogni caso è stata fallimentare, oppure a un’assoluta volontà di conservare l’Italia nell’area europea, anche questa strategia fallimentare. La gravissima situazione economica e sociale dell’Italia dipende dal fatto che apparteniamo all’”orrida idea dell’euro” (per dirla col premio Nobel Amarthya Sen), dal debito pubblico che continua a crescere perché siamo costretti a pagare il denaro che adoperiamo ai Rothschild, ai Rockfeller, ai Draghi, ai sovrani d’Inghilterra, di Spagna, del Belgio, d’Olanda, che possiedono le banche centrali e in particolare la Bce. Le tasse non possono diminuire, la disoccupazione neppure, se non ci si riappropria della sovranità monetaria e non si abbandonano le normative europee sulla libertà del mercato.

Ma la maggiore colpa di Berlusconi è quella di essersi inchinato davanti alla chiamata di Mario Monti da parte del Presidente della Repubblica. È stato quello il momento decisivo. Quando ha accettato di venir meno alle regole della democrazia, dimettendosi senza la ratifica del Parlamento, controfirmando la nomina di Monti a senatore a vita (non c’erano le condizioni richieste dalla Costituzione) e obbligando il suo partito a votare i decreti di Monti, ha mancato a tutti i doveri di un politico a capo di un grande partito, in pratica facendo fare a questo partito il contrario di ciò che volevano i suoi elettori. Di questi elettori bisogna dire una verità che è stata volutamente tenuta nascosta un po’ da tutti in quanto è stata attribuita al carisma personale di Berlusconi gran parte del suo successo. La realtà è un’altra: chi non voleva votare la Sinistra, non aveva altre possibilità. E non è questione di tener lontano il “comunismo”, come ha ripetuto in continuazione Berlusconi: anche se è stata quasi sempre al governo prima la Democrazia cristiana, poi Berlusconi, l’Italia è diventata a poco a poco una società pienamente social-comunista, con l’annientamento della borghesia, con l’ugualitarismo e la statalizzazione di tutte le strutture sociali: Scuola, Sanità, Pensioni, cui è bastato qualche referendum (divorzio, aborto) e, come ultima pennellata, qualche decreto montiano sul controllo di tutti i movimenti di denaro e dei conti correnti per trovarsi in pieno comunismo. Se non ci sono le fucilazioni di Stalin è perché non ce n’è bisogno: nessuno si ribella e sono tutti d’accordo, dal Presidente della Repubblica ai partiti di destra e di sinistra. L’unico segno di negazione sono i suicidi, ma quale soluzione migliore per i potenti di quella in cui l’eventuale oppositore si fa fuori da sé? La magistratura ne dà atto non vedendoci nessun indizio di colpe da parte di nessuno. Proprio in questi giorni ha archiviato il suicidio del dirigente del Monte dei Paschi di Siena, David Rossi: è stato un atto volontario. In concreto, dunque, ormai si disputa su inezie: lo spostamento della scadenza di una tassa, l’aumento dell’Iva. I veri problemi non esistono più perché la servitù all’Europa e al suo ugualitarismo mondialista è stata completata con il governo Letta e la democrazia fa finta di sussistere con il nome di “larghe intese”.

Di questo Berlusconi non parla neanche nei suoi progetti per il futuro partito. Tornare allo spirito del ’94? Com’è possibile che non si renda conto che nel ’94 il panorama era del tutto diverso tanto che non c’era nemmeno l’euro? No, così l’Italia è perduta. È lo scopo dell’Ue: eliminare gli Stati nazionali. I parlamentari del Pdl facciano il loro dovere; se non riescono a convincerlo che non si può tradire lo spirito con il quale sono stati eletti, non obbediscano a Berlusconi. Quelli che sono al governo si dimettano e tutti insieme diano un segnale di coraggio, di dignità e di rispetto per gli italiani.

di  Ida Magli

10 agosto 2013

Due paroline sulla "democrazia"






Oggi lascio per un po’ da parte la questione su cui tutti si sono buttati a capofitto, quella del berlusca condannato. Per il momento attendiamo che le galline starnazzanti depositino qualche uovo, se ne sono capaci, poi ne riparleremo. Quello su cui voglio dire due parole è altro, anche se non è disgiunto da quanto accade nell’attuale pollaio. Farò qualche pensiero, terra terra, sulla democrazia. E’ ora di finirla di considerare democratici quei paesi in cui si tengono le “libere elezioni”. Ed è altrettanto ora di finirla di prendere per democratici quei gran chiacchieroni che sproloquiano appunto su questo o quel regime elettorale. Perché democrazia, in sostanza, vorrebbe dire “governo del popolo” (mi sembra almeno). Tuttavia, ci si accorge senza difficoltà che i vari regimi elettorali creano spesso impedimenti a coloro che devono governare; poiché per governare è necessario prendere decisioni rilevanti, mai discusse nelle campagne elettorali, e certi regimi di votazione mettono capo a Parlamenti e schieramenti maggioritari incerti, divisi, dove appunto è pressoché impossibile prendere queste decisioni con la necessaria rapidità.
Il problema centrale non è però quello appena ricordato. Che cosa significa in realtà “governo del popolo” per la gente comune? Chiunque parli nei vari “luoghi pubblici” con tipici esponenti di questo popolo – in cui si trovano senz’altro persone intelligenti, concrete, che lavorano e producono e si orientano con una certa sicurezza se non addirittura saggezza in questioni della vita quotidiana – si accorge che, nel 95% dei casi (e sono già molto cauto), essi non hanno la più pallida idea dei caratteri dell’attività politica. Spesso dicono che la “politica è sporca”; tuttavia, poi cadono nell’illusione secondo cui tutto ciò che appare alla luce del Sole è sostanzialmente vero, rappresenta l’effettiva posta in gioco. Le alternative da decidere, ne sono convinti, sono proprio quelle che sono state loro presentate; e le motivazioni ufficiali per cui si prende questa o quella decisione sono per loro le sole sul tappeto, mentre sono invece la pura superficie “epifenomenica” dei processi in corso. Al massimo, poiché per semplice simpatia epidermica (spesso guardando in TV come si presenta questo o quel personaggio) molti si schierano a favore di un dato partito, di un dato orientamento, ecc., le decisioni giuste sono quelle prese dai “simpatici” (che sono per definizione gli “onesti”), quelle sbagliate promanano dagli “antipatici” (magari delinquenti perché lo dichiarano i “simpatici”).
La politica è un gioco, in cui ogni giocatore, così com’è da che mondo è mondo, cerca di attuare le migliori mosse per prevalere. Mai visto un giocatore rivelare agli astanti quale sarà il comportamento cui ha deciso di attenersi nella speranza di risultare vittorioso. Solo gli ignari, fra gli astanti, chiederebbero ai giocatori come intendano realmente muoversi o almeno l’indicazione del loro orientamento di fondo (la strategia e la tattica seguite). Eppure, qualcuno pretenderebbe che in politica i giocatori esplicitassero agli elettori (al popolo) le loro reali intenzioni nel gioco teso a sconfiggere gli avversari. Un’autentica assurdità.
Ovviamente, si può sostenere l’utilità e convenienza di condurre il gioco in presenza di spettatori che, come accade sovente in ogni vicenda della vita degli esseri umani, tendono alla fine a schierarsi da una parte o dall’altra, per un giocatore o per l’altro. Escludere i “tifosi”, dire loro di mettersi a cuccia in casa propria attendendo il risultato finale, senza mai partecipare nemmeno alla pura e semplice visione del gioco, del suo farsi momento per momento – cioè seguendo momento per momento come si configurano “sul campo” (del conflitto) i movimenti dei giocatori – può essere negativo, può far crescere l’insoddisfazione del popolo. Se il giocatore, seguito da esso (o dalla sua maggioranza) vince, tutto va bene: il popolo festeggia, tripudia, e il giocatore rinsalda il suo potere. Se però perde, rischia ancora più grosso del giocatore che ha ammesso alla visione del gioco il popolo: il quale, alla fin fine, si scaglia sempre addosso al perdente, ma certamente con particolare virulenza se nemmeno gli si è fatta vedere la partita.
E’ quindi meglio, nelle normali contingenze, consentire al popolo di assistere ai giochi e di schierarsi in opposte “tifoserie”. Semmai, qualora un “gladiatore” finisse a terra in situazione di grave pericolo, si può chiedere l’intervento dell’“imperatore” con il suo pollice verso o alzato. Facendo un esempio attuale (anche se un po’ banale), qualcuno può chiedere all’“ultimo monarca d’Italia” di concedere la grazia al contendente gettato a terra con qualche artifizio e indubbio “raggiro” (si ha quanto meno l’impressione che certi “patti” siano stati elusi). Vi sono tuttavia congiunture specifiche in cui è proprio necessario escludere il popolo perfino dal “tifo” per i vari giocatori, poiché uno di essi ha bisogno di una più completa libertà di movimento e della indiscussa e cieca fiducia dei suoi “supporters” nella realizzazione delle sue finalità strategico-tattiche. La “democrazia” (le “libere elezioni”) viene messa sotto sequestro temporaneo (più o meno lungo, ma mai per sempre).
Un’ottima lezione in tal senso si ha nel film “La villeggiatura” (1973) di Marco Leto che narra quanto accaduto ad un certo prof. Rossini: personaggio e vicenda inventate, ma non il fatto del non giuramento di fedeltà al fascismo di 13 prof. universitari (su poco meno di 3000), e del confino o incarceramento di alcuni altri che scelsero l’aperta attività antifascista. Vi è una bella scena, decisiva, in cui il prof. e il disincantato Commissario di polizia (un grande Adolfo Celi), “servitore dello Stato” con qualsiasi regime ed in qualsiasi congiuntura, giocano a scacchi. Ad un certo punto, per esigenze “didattiche”, il Commissario abolisce ogni regola del normale gioco e si mangia tutte le pedine dell’avversario perché ormai se ne è creato il potere in vista di uno “scopo superiore” (giudicato tale dal giocatore in questione, ma che è comunque realmente tale per lui e in quella specifica congiuntura). Il Commissario aggiunge, però, che si tratta di una congiuntura sicuramente temporanea. Di conseguenza, tornerà il tempo del ripristino di certe regole, con le “tifoserie” nuovamente ammesse alla visione del gioco e alla chiassosa manifestazione di sostegno nei confronti dei propri beniamini; e allora, in quel tempo futuro, lui e il prof. si troveranno nuovamente a far parte di schieramenti avversi, e in piena “recita democratica”.
Posta la questione della “democrazia” sui suoi più corretti binari – seguendo un ragionamento molto semplice e privo di dotte disquisizioni “teoretiche” – quali conclusioni, diciamo pratiche (cioè “per noi”), se ne possono trarre? Il nostro blog non è nato, né cresciuto, con la primaria esigenza di “fare politica”, cioè di prendere partito nell’ambito di questa o quella “tifoseria”. Talvolta ha senza dubbio assunto posizioni che sfioravano il “tifo”; in tal caso, è inevitabile il cosiddetto “torcere il bastone in un senso”, quasi sempre per rispondere ad altri che lo piegavano “nell’altro senso”. Ciò è avvenuto, e avverrà ancora, consapevolmente e dunque per scelta precisa di chi scrive.
In linea generale, però, il blog ha finalità di analisi: certamente da definirsi politica, ma non nello stesso significato della più esplicita “presa di partito” (cioè della scelta di schierarsi da una parte o dall’altra). Si tratta di un’analisi che non può non rifarsi a determinate impostazioni teoriche, dunque all’assunzione di determinate categorie elaborate nel dibattito sempre in corso nelle varie “scuole di pensiero” formatesi nella scienza sociale. Nessuna pretesa di assurgere alla Verità, alla analisi della realtà sociale così com’essa è, con la massima “obiettività” e “neutralità”. Tuttavia, il “prima logico” è rappresentato dall’elaborazione e sviluppo di categorie teoriche con le quali procedere all’interpretazione dei “fatti” nel corso dei processi in svolgimento in specifiche congiunture storiche. Dopo di che, ci si dedica appunto all’analisi e all’eventuale presa di posizione in base a quest’ultima. Il che implica comunque una “spassionatezza”; non l’obiettività fattuale che certuni raccontano, ma senz’altro un atteggiamento in qualche modo freddo e distaccato rispetto all’aperta passionalità della scelta “tifosa”.
In ogni caso, mi interessava dire basta allo sproloquiare sulla democrazia. Quest’ultima è soltanto la scelta di far partecipare il popolo al tifo per questa o quella delle ristrette élites che rappresentano i giocatori nel campo del conflitto politico in ambito sociale. Il popolo acclama o inveisce più o meno vivacemente; senza dubbio, quando gli animi troppo si accendono, ne possono risultare disturbi anche forti, di fronte ai quali – se una data società non vuole soccombere, nel senso di disgregarsi e non trovare più un coordinamento possibile per uno scorrevole svolgimento degli eventi nel suo ambito – è indispensabile comportarsi come il Commissario nel film prima citato: non si rispettano più le regole del gioco e si portano via con la forza tutte le pedine delle altre parti in lotta. Se ciò non fosse possibile, quella società decade, si imbastardisce sempre più e, spesso, cade allora sotto la predominanza di un’altra, che ne assicura la sopravvivenza; comportandosi però come il ragno che, dopo aver punto (e paralizzato) le sue vittime, garantisce la continuazione della loro vita (in piena “immobilità”) per nutrirsi sempre meglio di carne viva e non putrefatta.
Quindi, mente lucida e la si smetta con le litanie su regimi impossibili, ultrautopici (perfino più utopici del comunismo come ancora qualche residuo di sciagurati lo pensa con “sindrome religiosa”). Il “governo del popolo” è una contraddizione in termini. Amen!


di Gianfranco La Grassa