Due paroline sulla "democrazia"
Oggi
lascio per un po’ da parte la questione su cui tutti si sono buttati a
capofitto, quella del berlusca condannato. Per il momento attendiamo
che le galline starnazzanti depositino qualche uovo, se ne sono capaci,
poi ne riparleremo. Quello su cui voglio dire due parole è altro,
anche se non è disgiunto da quanto accade nell’attuale pollaio. Farò
qualche pensiero, terra terra, sulla democrazia. E’ ora di finirla di
considerare democratici quei paesi in cui si tengono le “libere
elezioni”. Ed è altrettanto ora di finirla di prendere per democratici
quei gran chiacchieroni che sproloquiano appunto su questo o quel regime
elettorale. Perché democrazia, in sostanza, vorrebbe dire “governo del
popolo” (mi sembra almeno). Tuttavia, ci si accorge senza difficoltà
che i vari regimi elettorali creano spesso impedimenti a coloro che
devono governare; poiché per governare è necessario prendere decisioni
rilevanti, mai discusse nelle campagne elettorali, e certi regimi di
votazione mettono capo a Parlamenti e schieramenti maggioritari incerti,
divisi, dove appunto è pressoché impossibile prendere queste decisioni
con la necessaria rapidità.
Il problema centrale non è però quello
appena ricordato. Che cosa significa in realtà “governo del popolo”
per la gente comune? Chiunque parli nei vari “luoghi pubblici” con
tipici esponenti di questo popolo – in cui si trovano senz’altro
persone intelligenti, concrete, che lavorano e producono e si orientano
con una certa sicurezza se non addirittura saggezza in questioni della
vita quotidiana – si accorge che, nel 95% dei casi (e sono già molto
cauto), essi non hanno la più pallida idea dei caratteri dell’attività
politica. Spesso dicono che la “politica è sporca”; tuttavia, poi
cadono nell’illusione secondo cui tutto ciò che appare alla luce del
Sole è sostanzialmente vero, rappresenta l’effettiva posta in gioco. Le
alternative da decidere, ne sono convinti, sono proprio quelle che
sono state loro presentate; e le motivazioni ufficiali per cui si
prende questa o quella decisione sono per loro le sole sul tappeto,
mentre sono invece la pura superficie “epifenomenica” dei processi in
corso. Al massimo, poiché per semplice simpatia epidermica (spesso
guardando in TV come si presenta questo o quel personaggio) molti si
schierano a favore di un dato partito, di un dato orientamento, ecc.,
le decisioni giuste sono quelle prese dai “simpatici” (che sono per
definizione gli “onesti”), quelle sbagliate promanano dagli
“antipatici” (magari delinquenti perché lo dichiarano i “simpatici”).
La politica è un gioco, in cui ogni giocatore, così com’è da che mondo è
mondo, cerca di attuare le migliori mosse per prevalere. Mai visto un
giocatore rivelare agli astanti quale sarà il comportamento cui ha
deciso di attenersi nella speranza di risultare vittorioso. Solo gli
ignari, fra gli astanti, chiederebbero ai giocatori come intendano
realmente muoversi o almeno l’indicazione del loro orientamento di fondo
(la strategia e la tattica seguite). Eppure, qualcuno pretenderebbe
che in politica i giocatori esplicitassero agli elettori (al popolo) le
loro reali intenzioni nel gioco teso a sconfiggere gli avversari.
Un’autentica assurdità.
Ovviamente, si può sostenere l’utilità e
convenienza di condurre il gioco in presenza di spettatori che, come
accade sovente in ogni vicenda della vita degli esseri umani, tendono
alla fine a schierarsi da una parte o dall’altra, per un giocatore o
per l’altro. Escludere i “tifosi”, dire loro di mettersi a cuccia in
casa propria attendendo il risultato finale, senza mai partecipare
nemmeno alla pura e semplice visione del gioco, del suo farsi momento
per momento – cioè seguendo momento per momento come si configurano
“sul campo” (del conflitto) i movimenti dei giocatori – può essere
negativo, può far crescere l’insoddisfazione del popolo. Se il
giocatore, seguito da esso (o dalla sua maggioranza) vince, tutto va
bene: il popolo festeggia, tripudia, e il giocatore rinsalda il suo
potere. Se però perde, rischia ancora più grosso del giocatore che ha
ammesso alla visione del gioco il popolo: il quale, alla fin fine, si
scaglia sempre addosso al perdente, ma certamente con particolare
virulenza se nemmeno gli si è fatta vedere la partita.
E’ quindi
meglio, nelle normali contingenze, consentire al popolo di assistere ai
giochi e di schierarsi in opposte “tifoserie”. Semmai, qualora un
“gladiatore” finisse a terra in situazione di grave pericolo, si può
chiedere l’intervento dell’“imperatore” con il suo pollice verso o
alzato. Facendo un esempio attuale (anche se un po’ banale), qualcuno
può chiedere all’“ultimo monarca d’Italia” di concedere la grazia al
contendente gettato a terra con qualche artifizio e indubbio “raggiro”
(si ha quanto meno l’impressione che certi “patti” siano stati elusi).
Vi sono tuttavia congiunture specifiche in cui è proprio necessario
escludere il popolo perfino dal “tifo” per i vari giocatori, poiché uno
di essi ha bisogno di una più completa libertà di movimento e della
indiscussa e cieca fiducia dei suoi “supporters” nella realizzazione
delle sue finalità strategico-tattiche. La “democrazia” (le “libere
elezioni”) viene messa sotto sequestro temporaneo (più o meno lungo, ma
mai per sempre).
Un’ottima lezione in tal senso si ha nel film “La
villeggiatura” (1973) di Marco Leto che narra quanto accaduto ad un
certo prof. Rossini: personaggio e vicenda inventate, ma non il fatto
del non giuramento di fedeltà al fascismo di 13 prof. universitari (su
poco meno di 3000), e del confino o incarceramento di alcuni altri che
scelsero l’aperta attività antifascista. Vi è una bella scena,
decisiva, in cui il prof. e il disincantato Commissario di polizia (un
grande Adolfo Celi), “servitore dello Stato” con qualsiasi regime ed in
qualsiasi congiuntura, giocano a scacchi. Ad un certo punto, per
esigenze “didattiche”, il Commissario abolisce ogni regola del normale
gioco e si mangia tutte le pedine dell’avversario perché ormai se ne è
creato il potere in vista di uno “scopo superiore” (giudicato tale dal
giocatore in questione, ma che è comunque realmente tale per lui e in
quella specifica congiuntura). Il Commissario aggiunge, però, che si
tratta di una congiuntura sicuramente temporanea. Di conseguenza,
tornerà il tempo del ripristino di certe regole, con le “tifoserie”
nuovamente ammesse alla visione del gioco e alla chiassosa
manifestazione di sostegno nei confronti dei propri beniamini; e
allora, in quel tempo futuro, lui e il prof. si troveranno nuovamente a
far parte di schieramenti avversi, e in piena “recita democratica”.
Posta la questione della “democrazia” sui suoi più corretti binari –
seguendo un ragionamento molto semplice e privo di dotte disquisizioni
“teoretiche” – quali conclusioni, diciamo pratiche (cioè “per noi”), se
ne possono trarre? Il nostro blog non è nato, né cresciuto, con la
primaria esigenza di “fare politica”, cioè di prendere partito
nell’ambito di questa o quella “tifoseria”. Talvolta ha senza dubbio
assunto posizioni che sfioravano il “tifo”; in tal caso, è inevitabile
il cosiddetto “torcere il bastone in un senso”, quasi sempre per
rispondere ad altri che lo piegavano “nell’altro senso”. Ciò è avvenuto,
e avverrà ancora, consapevolmente e dunque per scelta precisa di chi
scrive.
In linea generale, però, il blog ha finalità di analisi:
certamente da definirsi politica, ma non nello stesso significato della
più esplicita “presa di partito” (cioè della scelta di schierarsi da
una parte o dall’altra). Si tratta di un’analisi che non può non
rifarsi a determinate impostazioni teoriche, dunque all’assunzione di
determinate categorie elaborate nel dibattito sempre in corso nelle
varie “scuole di pensiero” formatesi nella scienza sociale. Nessuna
pretesa di assurgere alla Verità, alla analisi della realtà sociale
così com’essa è, con la massima “obiettività” e “neutralità”. Tuttavia,
il “prima logico” è rappresentato dall’elaborazione e sviluppo di
categorie teoriche con le quali procedere all’interpretazione dei
“fatti” nel corso dei processi in svolgimento in specifiche congiunture
storiche. Dopo di che, ci si dedica appunto all’analisi e
all’eventuale presa di posizione in base a quest’ultima. Il che implica
comunque una “spassionatezza”; non l’obiettività fattuale che certuni
raccontano, ma senz’altro un atteggiamento in qualche modo freddo e
distaccato rispetto all’aperta passionalità della scelta “tifosa”.
In ogni caso, mi interessava dire basta allo sproloquiare sulla
democrazia. Quest’ultima è soltanto la scelta di far partecipare il
popolo al tifo per questa o quella delle ristrette élites che
rappresentano i giocatori nel campo del conflitto politico in ambito
sociale. Il popolo acclama o inveisce più o meno vivacemente; senza
dubbio, quando gli animi troppo si accendono, ne possono risultare
disturbi anche forti, di fronte ai quali – se una data società non vuole
soccombere, nel senso di disgregarsi e non trovare più un
coordinamento possibile per uno scorrevole svolgimento degli eventi nel
suo ambito – è indispensabile comportarsi come il Commissario nel film
prima citato: non si rispettano più le regole del gioco e si portano
via con la forza tutte le pedine delle altre parti in lotta. Se ciò non
fosse possibile, quella società decade, si imbastardisce sempre più e,
spesso, cade allora sotto la predominanza di un’altra, che ne assicura
la sopravvivenza; comportandosi però come il ragno che, dopo aver
punto (e paralizzato) le sue vittime, garantisce la continuazione della
loro vita (in piena “immobilità”) per nutrirsi sempre meglio di carne
viva e non putrefatta.
Quindi, mente lucida e la si smetta con le
litanie su regimi impossibili, ultrautopici (perfino più utopici del
comunismo come ancora qualche residuo di sciagurati lo pensa con
“sindrome religiosa”). Il “governo del popolo” è una contraddizione in
termini. Amen!
di Gianfranco La Grassa
Due paroline sulla "democrazia"
Oggi
lascio per un po’ da parte la questione su cui tutti si sono buttati a
capofitto, quella del berlusca condannato. Per il momento attendiamo
che le galline starnazzanti depositino qualche uovo, se ne sono capaci,
poi ne riparleremo. Quello su cui voglio dire due parole è altro,
anche se non è disgiunto da quanto accade nell’attuale pollaio. Farò
qualche pensiero, terra terra, sulla democrazia. E’ ora di finirla di
considerare democratici quei paesi in cui si tengono le “libere
elezioni”. Ed è altrettanto ora di finirla di prendere per democratici
quei gran chiacchieroni che sproloquiano appunto su questo o quel regime
elettorale. Perché democrazia, in sostanza, vorrebbe dire “governo del
popolo” (mi sembra almeno). Tuttavia, ci si accorge senza difficoltà
che i vari regimi elettorali creano spesso impedimenti a coloro che
devono governare; poiché per governare è necessario prendere decisioni
rilevanti, mai discusse nelle campagne elettorali, e certi regimi di
votazione mettono capo a Parlamenti e schieramenti maggioritari incerti,
divisi, dove appunto è pressoché impossibile prendere queste decisioni
con la necessaria rapidità.
Il problema centrale non è però quello
appena ricordato. Che cosa significa in realtà “governo del popolo”
per la gente comune? Chiunque parli nei vari “luoghi pubblici” con
tipici esponenti di questo popolo – in cui si trovano senz’altro
persone intelligenti, concrete, che lavorano e producono e si orientano
con una certa sicurezza se non addirittura saggezza in questioni della
vita quotidiana – si accorge che, nel 95% dei casi (e sono già molto
cauto), essi non hanno la più pallida idea dei caratteri dell’attività
politica. Spesso dicono che la “politica è sporca”; tuttavia, poi
cadono nell’illusione secondo cui tutto ciò che appare alla luce del
Sole è sostanzialmente vero, rappresenta l’effettiva posta in gioco. Le
alternative da decidere, ne sono convinti, sono proprio quelle che
sono state loro presentate; e le motivazioni ufficiali per cui si
prende questa o quella decisione sono per loro le sole sul tappeto,
mentre sono invece la pura superficie “epifenomenica” dei processi in
corso. Al massimo, poiché per semplice simpatia epidermica (spesso
guardando in TV come si presenta questo o quel personaggio) molti si
schierano a favore di un dato partito, di un dato orientamento, ecc.,
le decisioni giuste sono quelle prese dai “simpatici” (che sono per
definizione gli “onesti”), quelle sbagliate promanano dagli
“antipatici” (magari delinquenti perché lo dichiarano i “simpatici”).
La politica è un gioco, in cui ogni giocatore, così com’è da che mondo è
mondo, cerca di attuare le migliori mosse per prevalere. Mai visto un
giocatore rivelare agli astanti quale sarà il comportamento cui ha
deciso di attenersi nella speranza di risultare vittorioso. Solo gli
ignari, fra gli astanti, chiederebbero ai giocatori come intendano
realmente muoversi o almeno l’indicazione del loro orientamento di fondo
(la strategia e la tattica seguite). Eppure, qualcuno pretenderebbe
che in politica i giocatori esplicitassero agli elettori (al popolo) le
loro reali intenzioni nel gioco teso a sconfiggere gli avversari.
Un’autentica assurdità.
Ovviamente, si può sostenere l’utilità e
convenienza di condurre il gioco in presenza di spettatori che, come
accade sovente in ogni vicenda della vita degli esseri umani, tendono
alla fine a schierarsi da una parte o dall’altra, per un giocatore o
per l’altro. Escludere i “tifosi”, dire loro di mettersi a cuccia in
casa propria attendendo il risultato finale, senza mai partecipare
nemmeno alla pura e semplice visione del gioco, del suo farsi momento
per momento – cioè seguendo momento per momento come si configurano
“sul campo” (del conflitto) i movimenti dei giocatori – può essere
negativo, può far crescere l’insoddisfazione del popolo. Se il
giocatore, seguito da esso (o dalla sua maggioranza) vince, tutto va
bene: il popolo festeggia, tripudia, e il giocatore rinsalda il suo
potere. Se però perde, rischia ancora più grosso del giocatore che ha
ammesso alla visione del gioco il popolo: il quale, alla fin fine, si
scaglia sempre addosso al perdente, ma certamente con particolare
virulenza se nemmeno gli si è fatta vedere la partita.
E’ quindi
meglio, nelle normali contingenze, consentire al popolo di assistere ai
giochi e di schierarsi in opposte “tifoserie”. Semmai, qualora un
“gladiatore” finisse a terra in situazione di grave pericolo, si può
chiedere l’intervento dell’“imperatore” con il suo pollice verso o
alzato. Facendo un esempio attuale (anche se un po’ banale), qualcuno
può chiedere all’“ultimo monarca d’Italia” di concedere la grazia al
contendente gettato a terra con qualche artifizio e indubbio “raggiro”
(si ha quanto meno l’impressione che certi “patti” siano stati elusi).
Vi sono tuttavia congiunture specifiche in cui è proprio necessario
escludere il popolo perfino dal “tifo” per i vari giocatori, poiché uno
di essi ha bisogno di una più completa libertà di movimento e della
indiscussa e cieca fiducia dei suoi “supporters” nella realizzazione
delle sue finalità strategico-tattiche. La “democrazia” (le “libere
elezioni”) viene messa sotto sequestro temporaneo (più o meno lungo, ma
mai per sempre).
Un’ottima lezione in tal senso si ha nel film “La
villeggiatura” (1973) di Marco Leto che narra quanto accaduto ad un
certo prof. Rossini: personaggio e vicenda inventate, ma non il fatto
del non giuramento di fedeltà al fascismo di 13 prof. universitari (su
poco meno di 3000), e del confino o incarceramento di alcuni altri che
scelsero l’aperta attività antifascista. Vi è una bella scena,
decisiva, in cui il prof. e il disincantato Commissario di polizia (un
grande Adolfo Celi), “servitore dello Stato” con qualsiasi regime ed in
qualsiasi congiuntura, giocano a scacchi. Ad un certo punto, per
esigenze “didattiche”, il Commissario abolisce ogni regola del normale
gioco e si mangia tutte le pedine dell’avversario perché ormai se ne è
creato il potere in vista di uno “scopo superiore” (giudicato tale dal
giocatore in questione, ma che è comunque realmente tale per lui e in
quella specifica congiuntura). Il Commissario aggiunge, però, che si
tratta di una congiuntura sicuramente temporanea. Di conseguenza,
tornerà il tempo del ripristino di certe regole, con le “tifoserie”
nuovamente ammesse alla visione del gioco e alla chiassosa
manifestazione di sostegno nei confronti dei propri beniamini; e
allora, in quel tempo futuro, lui e il prof. si troveranno nuovamente a
far parte di schieramenti avversi, e in piena “recita democratica”.
Posta la questione della “democrazia” sui suoi più corretti binari –
seguendo un ragionamento molto semplice e privo di dotte disquisizioni
“teoretiche” – quali conclusioni, diciamo pratiche (cioè “per noi”), se
ne possono trarre? Il nostro blog non è nato, né cresciuto, con la
primaria esigenza di “fare politica”, cioè di prendere partito
nell’ambito di questa o quella “tifoseria”. Talvolta ha senza dubbio
assunto posizioni che sfioravano il “tifo”; in tal caso, è inevitabile
il cosiddetto “torcere il bastone in un senso”, quasi sempre per
rispondere ad altri che lo piegavano “nell’altro senso”. Ciò è avvenuto,
e avverrà ancora, consapevolmente e dunque per scelta precisa di chi
scrive.
In linea generale, però, il blog ha finalità di analisi:
certamente da definirsi politica, ma non nello stesso significato della
più esplicita “presa di partito” (cioè della scelta di schierarsi da
una parte o dall’altra). Si tratta di un’analisi che non può non
rifarsi a determinate impostazioni teoriche, dunque all’assunzione di
determinate categorie elaborate nel dibattito sempre in corso nelle
varie “scuole di pensiero” formatesi nella scienza sociale. Nessuna
pretesa di assurgere alla Verità, alla analisi della realtà sociale
così com’essa è, con la massima “obiettività” e “neutralità”. Tuttavia,
il “prima logico” è rappresentato dall’elaborazione e sviluppo di
categorie teoriche con le quali procedere all’interpretazione dei
“fatti” nel corso dei processi in svolgimento in specifiche congiunture
storiche. Dopo di che, ci si dedica appunto all’analisi e
all’eventuale presa di posizione in base a quest’ultima. Il che implica
comunque una “spassionatezza”; non l’obiettività fattuale che certuni
raccontano, ma senz’altro un atteggiamento in qualche modo freddo e
distaccato rispetto all’aperta passionalità della scelta “tifosa”.
In ogni caso, mi interessava dire basta allo sproloquiare sulla
democrazia. Quest’ultima è soltanto la scelta di far partecipare il
popolo al tifo per questa o quella delle ristrette élites che
rappresentano i giocatori nel campo del conflitto politico in ambito
sociale. Il popolo acclama o inveisce più o meno vivacemente; senza
dubbio, quando gli animi troppo si accendono, ne possono risultare
disturbi anche forti, di fronte ai quali – se una data società non vuole
soccombere, nel senso di disgregarsi e non trovare più un
coordinamento possibile per uno scorrevole svolgimento degli eventi nel
suo ambito – è indispensabile comportarsi come il Commissario nel film
prima citato: non si rispettano più le regole del gioco e si portano
via con la forza tutte le pedine delle altre parti in lotta. Se ciò non
fosse possibile, quella società decade, si imbastardisce sempre più e,
spesso, cade allora sotto la predominanza di un’altra, che ne assicura
la sopravvivenza; comportandosi però come il ragno che, dopo aver
punto (e paralizzato) le sue vittime, garantisce la continuazione della
loro vita (in piena “immobilità”) per nutrirsi sempre meglio di carne
viva e non putrefatta.
Quindi, mente lucida e la si smetta con le
litanie su regimi impossibili, ultrautopici (perfino più utopici del
comunismo come ancora qualche residuo di sciagurati lo pensa con
“sindrome religiosa”). Il “governo del popolo” è una contraddizione in
termini. Amen!
di Gianfranco La Grassa
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