08 maggio 2008
Mossad: vista dall'Interno
Una testimonianza che non può dunque esser tacciata di faziosità o “antisemitismo”, vista la penna da cui proviene. Quali siano gli “argomenti” che abbiano poi convinto il Buffa a offrire i suoi servigi a Sion, ce lo suggerisce forse involontariamente lui stesso riferendosi alle motivazione che hanno portato Victor Ostrovsky a scrivere il libro: “Ha semplicemente badato al sodo. Voleva far soldi. Come spesso li vuole chi ragiona come lui, compresi coloro che lo hanno allevato nello Stato d’Israle”. I soldi, il loro dio diventato il nostro.
“Quando un agente del Mossad sta a pranzo con un amico, l’amicizia non si può certo definire reciproca”. Una premessa che è tutto un programma. Anzi un vero e proprio leitmotiv che accompagna ossessivamente questo interessante viaggio nel pianeta Mossad. Un libro che il servizio segreto israeliano ha inutilmente tentato di non far pubblicare e che invece è puntualmente divenuto un best seller.
Bisogna dire che l’autore trasuda sionismo da tutti i pori. Più che raccontare fatti, si vanta delle imprese proprie o altrui. Disprezza solo i propri nemici interni al Mossad (che per la cronaca vuol dire “Organizzazione”) e rivela di aver agito solo per i prevedibili lauti guadagni, non certo perché folgorato sulla via di Damasco (ma questa è una cosa che accadde solo ai gentili come Saulo, ossia San Paolo). Anzi proprio la premessa del libro, la “captatio benevolentiae” iniziale del tipo: “L’ho scritto perché non riuscivo proprio più a digerire il male fatto dal Mossad”, fa pensare ad una “excusatio non petita”. Che notoriamente è parente stretta del lapsus freudiano.
Fin qui le puntualizzazioni necessarie per non farsi prendere in giro dall’ex capitano del Mossad Victor Ostrovsky. Che non ci appare destinato a passare alla storia per la propria onestà e dirittura morale. In compenso, il libro è un’antologia di fatti e di aneddoti (alcuni dei quali esileranti nella loro veste tragicomica), che la dicono lunga sul funzionamento del più efficiente servizio segreto del mondo. Un florilegio talmente ricco che non si sa letteralmente da che parte cominciare.
Forse dal sesso. Che per i caporioni del Mossad è una vera e propria droga. Quanti sanno che almeno una volta a settimana, nella piscina di un palazzo di Tel Aviv (dove è quasi impossibile accedere se non si fa parte della confraternita) si svolgono orge che farebbero impallidire i disegnatori di pornofumetti, e al cui confronto il “Caligola” di Tinto Brass sembrerebbe un film da parrocchia?
Il nostro Ostrovsky racconta quasi scandalizzato di quando, lui giovane cadetto del Mossad, è rimasto di sasso nel vedere in questa mitica piscina un alto colonnello del servizio trastullarsi allegramente con due giovani reclute. Pare, a sentire sempre Ostrovsky, che questo del sesso sia l’unico diversivo ammesso all’interno dell’organizzazione. Niente droghe, niente superalcolici, esami settimanali contro ogni tipo di malattie veneree e soprattutto contro l’Aids, ma in quella piscina, tra esseri umani di un mondo a parte, poteva e può succedere di tutto.
Il sesso è anche una costante della ‘deception’ usata dal Mossad per intrappolare le proprie vittime. Lo stesso motto dell’organizzazione è un inno al tradimento: “By way of deception thou shalt do war”, che significa più o meno “vincerai la guerra attraverso l’inganno”. La frase è presa in prestito da Shakespeare, ma gli israeliani gli hanno dato un significato incontestabilmente più reale.
Ostrovsky racconta, con compiacimente neppure velato, che per il Mossad tutto il mondo al di fuori di Israele è un bersaglio possibile. Un ‘target’, per la precisione. L’agente segreto non ha amici: ha solo Israele da difendere. In cambio, può praticare tutti i più loschi traffici che crede sia per arricchirsi (l’etica del Mossad non lo proibisce), sia per evitare qualsivoglia danno (anche solo ipotetico) per lo stato di Israele.
Questo spiega il grande livello di infiltrazione di agenti segreti sionisti nei traffici d’armi e di droga e soprattutto nella compravendita di materiale radioattivo.
Possono ingannare, quindi, avendo qualcuno da tradire. Per questo gli scapoli sono mal visti all’interno del servizio. Sesso sì, ma salvando le apparenze. Tanto, per i week-end fuori Tel Aviv con l’amante è lo stesso Mossad che assicura la discrezione con le consorti tranquillizzandole e facendole sentire fiere delle presunte responsabilità dei mariti così spesso in missione speciale.
Il sesso è stata l’arma con la quale gli Israeliani sono arrivati ad abbindolare lo scienziato irakeno che lavorava alla bomba atomica per Saddam. A Parigi con la moglie, conducendo una vita apparentemente ritirata, Butrus Eben Halim stava progettando una sezione del reattore nucleare di Tuwaitha (vicino a Baghdad) che sarebbe stata riempita con uranio acquistato dai francesi e in seguito adibita alla costruzione della bomba atomica irakena.
Era il 1978. Il Mossad aveva già messo gli occhi addosso ad Halim, ma non sapeva come agganciarlo. Allora ricorse all’espediente più antico. Cherchez la femme. Che nella fattispecie era un’agente del servizio segreto. Lei faceva di tutto per farsi notare da Halim vicino alla fermata del metrò che lo scienziato usava per andare al lavoro nel centro di ricerca nucleare di Parigi. Un travet della bomba atomica, un Fantozzi irakeno, che alla fine fu irretito da questa bionda bellissima ed appariscente che aspettava tutti i giorni davanti la fermata di Villejuif un misterioso accompagnatore in Ferrari. Qualcuno, si potrebbe obiettare, avrebbe anche mangiato la foglia. Ma Halim non lo fece. Anzi chiuse gli occhi, o, per meglio rendere l’idea, li sgranò davanti a tanto fascino. L’uomo della Ferrari se lo fece amico lasciandogli intendere che la donna non era altro che una disponibile entreneuse. Il resto venne da solo. Coinvolto in un losco traffico d’uranio con il Sudafrica, Halim venne ricattato e accettò di cedere anche le piantine del reattore irakeno. Un bel giorno il carico di uranio che doveva arrivare in Irak fu fatto saltare in aria da agenti del Mossad in piena Parigi. Grazie alle indicazioni di Halim, infatti, erano riusciti a sapere quando e come il prezioso carico avrebbe preso il volo per l’Irak. Il camioncino venne bloccato da un finto incidente (tipica tattica da agguato terrorista) e, mentre le guardie di scorta tentavano di soccorrere la falsa vittima, qualcuno molto lestamente fece esplodere il furgone con il suo preziosissimo carico appena acquistato da Saddam per svariati miliardi, grazie al gentile interessamento di un non meglio identificato gentiluomo di campagna francese.
Ormai Halim aveva mangiato la foglia e sicuramente non si bevve la favola dell’attentato rivendicato dagli “eco-terroristi”. Il Mossad gli offrì un salvacondotto e una via di scampo all’estero. Ma sua moglie Shamira nel frattempo era tornata in Irak e lo aveva anche denunciato, come sospetto collaborazionista, alla polizia segreta di Saddam Hussein. Ciononostante, Halim volle a tutti i costi tornare a Baghdad. Per amore. Non si sa (ma non dovrebbe essere difficile immaginarlo) che fine abbia fatto una volta tornato in patria.
Il 7 giugno 1981, due dozzine di bombardieri israeliani, con simboli arabi dipinti sulla carlinga, mimetizzati dietro un Boeing di linea che in realtà conteneva tecnologia di disturbo radar (come gli Awacks che sono stati determinanti per accecare la contraerea di Saddam nella guerra del Golfo), scaricarono il loro esplosivo precisamente sui punti disegnati nelle cartine estorte ad Halim. Il reattore irakeno venne così messo fuori uso e il sogno nucleare del raìs di Baghdad si infranse. Per nostra fortuna. Un classico caso di fine che giustifica i mezzi.
In certi altri casi narrati da Ostrovsky anche il fine lascia a desiderare. Ma i mezzi sono sempre gli stessi. Ricatto sessuale. “È impossibile trovare una persona che non abbia almeno un segreto inconfessabile”, insegnano nella “stimata” accademia del Mossad a Tel Aviv.
I maestri degli “007” israeliani insegnano anche a prendersi gioco dei servizi segreti alleati, sempre a sentire questo capitano ormai transfuga. Ad esempio, spesso inglesi ed americani hanno mandato nuovi congegni di spionaggio (laser o tecnologia) in Israele perché venissero collaudati dai rinomatissimi esperti del Mossad. Peccato che questi ultimi, oltre a collaudarli, li aprivano e ne fotografavano i meccanismi segreti. Poi li risigillavano e li restituivano, apparentemente intatti, al mittente.
Probabilmente qualcuno già sapeva o aveva qualche sospetto su tali stratagemmi. Certo è che Ostrovsky li ha spiattellati a tutto il mondo con questo volume. Intuibile il disagio dei dirigenti del servizio segreto israeliano. Non si trattava più di vanterie o dei tanti “rambismi” pure contenuti nel libro, ma di vere e proprie gaffe al limite dell’incidente diplomatico. Questo spiega e giustifica i tanti e vani tentativi che Israele ha messo in atto per cercare di evitare l’uscita del libro. Ma stavolta la stessa logica utilitaristica si è ribaltata contro i caporioni del Mossad. È la legge del taglione: “Chi di spada ferisce, ecc.”.
Ostrovsky, non è certo un idealista né un pentito (per quanto riesca difficile dare un significato decente a questo termine). Ha semplicemente badato al sodo. Voleva far soldi. Come spesso li vuole chi ragiona come lui, compresi coloro che lo hanno allevato nello Stato d’Israle.
Dimitri Buffa
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08 maggio 2008
Mossad: vista dall'Interno
Una testimonianza che non può dunque esser tacciata di faziosità o “antisemitismo”, vista la penna da cui proviene. Quali siano gli “argomenti” che abbiano poi convinto il Buffa a offrire i suoi servigi a Sion, ce lo suggerisce forse involontariamente lui stesso riferendosi alle motivazione che hanno portato Victor Ostrovsky a scrivere il libro: “Ha semplicemente badato al sodo. Voleva far soldi. Come spesso li vuole chi ragiona come lui, compresi coloro che lo hanno allevato nello Stato d’Israle”. I soldi, il loro dio diventato il nostro.
“Quando un agente del Mossad sta a pranzo con un amico, l’amicizia non si può certo definire reciproca”. Una premessa che è tutto un programma. Anzi un vero e proprio leitmotiv che accompagna ossessivamente questo interessante viaggio nel pianeta Mossad. Un libro che il servizio segreto israeliano ha inutilmente tentato di non far pubblicare e che invece è puntualmente divenuto un best seller.
Bisogna dire che l’autore trasuda sionismo da tutti i pori. Più che raccontare fatti, si vanta delle imprese proprie o altrui. Disprezza solo i propri nemici interni al Mossad (che per la cronaca vuol dire “Organizzazione”) e rivela di aver agito solo per i prevedibili lauti guadagni, non certo perché folgorato sulla via di Damasco (ma questa è una cosa che accadde solo ai gentili come Saulo, ossia San Paolo). Anzi proprio la premessa del libro, la “captatio benevolentiae” iniziale del tipo: “L’ho scritto perché non riuscivo proprio più a digerire il male fatto dal Mossad”, fa pensare ad una “excusatio non petita”. Che notoriamente è parente stretta del lapsus freudiano.
Fin qui le puntualizzazioni necessarie per non farsi prendere in giro dall’ex capitano del Mossad Victor Ostrovsky. Che non ci appare destinato a passare alla storia per la propria onestà e dirittura morale. In compenso, il libro è un’antologia di fatti e di aneddoti (alcuni dei quali esileranti nella loro veste tragicomica), che la dicono lunga sul funzionamento del più efficiente servizio segreto del mondo. Un florilegio talmente ricco che non si sa letteralmente da che parte cominciare.
Forse dal sesso. Che per i caporioni del Mossad è una vera e propria droga. Quanti sanno che almeno una volta a settimana, nella piscina di un palazzo di Tel Aviv (dove è quasi impossibile accedere se non si fa parte della confraternita) si svolgono orge che farebbero impallidire i disegnatori di pornofumetti, e al cui confronto il “Caligola” di Tinto Brass sembrerebbe un film da parrocchia?
Il nostro Ostrovsky racconta quasi scandalizzato di quando, lui giovane cadetto del Mossad, è rimasto di sasso nel vedere in questa mitica piscina un alto colonnello del servizio trastullarsi allegramente con due giovani reclute. Pare, a sentire sempre Ostrovsky, che questo del sesso sia l’unico diversivo ammesso all’interno dell’organizzazione. Niente droghe, niente superalcolici, esami settimanali contro ogni tipo di malattie veneree e soprattutto contro l’Aids, ma in quella piscina, tra esseri umani di un mondo a parte, poteva e può succedere di tutto.
Il sesso è anche una costante della ‘deception’ usata dal Mossad per intrappolare le proprie vittime. Lo stesso motto dell’organizzazione è un inno al tradimento: “By way of deception thou shalt do war”, che significa più o meno “vincerai la guerra attraverso l’inganno”. La frase è presa in prestito da Shakespeare, ma gli israeliani gli hanno dato un significato incontestabilmente più reale.
Ostrovsky racconta, con compiacimente neppure velato, che per il Mossad tutto il mondo al di fuori di Israele è un bersaglio possibile. Un ‘target’, per la precisione. L’agente segreto non ha amici: ha solo Israele da difendere. In cambio, può praticare tutti i più loschi traffici che crede sia per arricchirsi (l’etica del Mossad non lo proibisce), sia per evitare qualsivoglia danno (anche solo ipotetico) per lo stato di Israele.
Questo spiega il grande livello di infiltrazione di agenti segreti sionisti nei traffici d’armi e di droga e soprattutto nella compravendita di materiale radioattivo.
Possono ingannare, quindi, avendo qualcuno da tradire. Per questo gli scapoli sono mal visti all’interno del servizio. Sesso sì, ma salvando le apparenze. Tanto, per i week-end fuori Tel Aviv con l’amante è lo stesso Mossad che assicura la discrezione con le consorti tranquillizzandole e facendole sentire fiere delle presunte responsabilità dei mariti così spesso in missione speciale.
Il sesso è stata l’arma con la quale gli Israeliani sono arrivati ad abbindolare lo scienziato irakeno che lavorava alla bomba atomica per Saddam. A Parigi con la moglie, conducendo una vita apparentemente ritirata, Butrus Eben Halim stava progettando una sezione del reattore nucleare di Tuwaitha (vicino a Baghdad) che sarebbe stata riempita con uranio acquistato dai francesi e in seguito adibita alla costruzione della bomba atomica irakena.
Era il 1978. Il Mossad aveva già messo gli occhi addosso ad Halim, ma non sapeva come agganciarlo. Allora ricorse all’espediente più antico. Cherchez la femme. Che nella fattispecie era un’agente del servizio segreto. Lei faceva di tutto per farsi notare da Halim vicino alla fermata del metrò che lo scienziato usava per andare al lavoro nel centro di ricerca nucleare di Parigi. Un travet della bomba atomica, un Fantozzi irakeno, che alla fine fu irretito da questa bionda bellissima ed appariscente che aspettava tutti i giorni davanti la fermata di Villejuif un misterioso accompagnatore in Ferrari. Qualcuno, si potrebbe obiettare, avrebbe anche mangiato la foglia. Ma Halim non lo fece. Anzi chiuse gli occhi, o, per meglio rendere l’idea, li sgranò davanti a tanto fascino. L’uomo della Ferrari se lo fece amico lasciandogli intendere che la donna non era altro che una disponibile entreneuse. Il resto venne da solo. Coinvolto in un losco traffico d’uranio con il Sudafrica, Halim venne ricattato e accettò di cedere anche le piantine del reattore irakeno. Un bel giorno il carico di uranio che doveva arrivare in Irak fu fatto saltare in aria da agenti del Mossad in piena Parigi. Grazie alle indicazioni di Halim, infatti, erano riusciti a sapere quando e come il prezioso carico avrebbe preso il volo per l’Irak. Il camioncino venne bloccato da un finto incidente (tipica tattica da agguato terrorista) e, mentre le guardie di scorta tentavano di soccorrere la falsa vittima, qualcuno molto lestamente fece esplodere il furgone con il suo preziosissimo carico appena acquistato da Saddam per svariati miliardi, grazie al gentile interessamento di un non meglio identificato gentiluomo di campagna francese.
Ormai Halim aveva mangiato la foglia e sicuramente non si bevve la favola dell’attentato rivendicato dagli “eco-terroristi”. Il Mossad gli offrì un salvacondotto e una via di scampo all’estero. Ma sua moglie Shamira nel frattempo era tornata in Irak e lo aveva anche denunciato, come sospetto collaborazionista, alla polizia segreta di Saddam Hussein. Ciononostante, Halim volle a tutti i costi tornare a Baghdad. Per amore. Non si sa (ma non dovrebbe essere difficile immaginarlo) che fine abbia fatto una volta tornato in patria.
Il 7 giugno 1981, due dozzine di bombardieri israeliani, con simboli arabi dipinti sulla carlinga, mimetizzati dietro un Boeing di linea che in realtà conteneva tecnologia di disturbo radar (come gli Awacks che sono stati determinanti per accecare la contraerea di Saddam nella guerra del Golfo), scaricarono il loro esplosivo precisamente sui punti disegnati nelle cartine estorte ad Halim. Il reattore irakeno venne così messo fuori uso e il sogno nucleare del raìs di Baghdad si infranse. Per nostra fortuna. Un classico caso di fine che giustifica i mezzi.
In certi altri casi narrati da Ostrovsky anche il fine lascia a desiderare. Ma i mezzi sono sempre gli stessi. Ricatto sessuale. “È impossibile trovare una persona che non abbia almeno un segreto inconfessabile”, insegnano nella “stimata” accademia del Mossad a Tel Aviv.
I maestri degli “007” israeliani insegnano anche a prendersi gioco dei servizi segreti alleati, sempre a sentire questo capitano ormai transfuga. Ad esempio, spesso inglesi ed americani hanno mandato nuovi congegni di spionaggio (laser o tecnologia) in Israele perché venissero collaudati dai rinomatissimi esperti del Mossad. Peccato che questi ultimi, oltre a collaudarli, li aprivano e ne fotografavano i meccanismi segreti. Poi li risigillavano e li restituivano, apparentemente intatti, al mittente.
Probabilmente qualcuno già sapeva o aveva qualche sospetto su tali stratagemmi. Certo è che Ostrovsky li ha spiattellati a tutto il mondo con questo volume. Intuibile il disagio dei dirigenti del servizio segreto israeliano. Non si trattava più di vanterie o dei tanti “rambismi” pure contenuti nel libro, ma di vere e proprie gaffe al limite dell’incidente diplomatico. Questo spiega e giustifica i tanti e vani tentativi che Israele ha messo in atto per cercare di evitare l’uscita del libro. Ma stavolta la stessa logica utilitaristica si è ribaltata contro i caporioni del Mossad. È la legge del taglione: “Chi di spada ferisce, ecc.”.
Ostrovsky, non è certo un idealista né un pentito (per quanto riesca difficile dare un significato decente a questo termine). Ha semplicemente badato al sodo. Voleva far soldi. Come spesso li vuole chi ragiona come lui, compresi coloro che lo hanno allevato nello Stato d’Israle.
Dimitri Buffa
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