31 luglio 2009

C'è un tesoretto segreto per i deputati


Ci sono mille modi per sprecare soldi: regalandoli a destra e a manca con prodigalità sospetta, buttandoli dalla finestra per il solo gusto di vederli volare, non volendoli risparmiare per principio, comprando cose inutili, conducendo un tenore di vita superiore alle proprie risorse... Quando di mezzo ci sono soldi pubblici il metodo più semplice è pretenderne tanti sapendo che sono troppi e poi utilizzarne pochi con l’intenzione di mettere la differenza al «pizzo», come dicono a Roma. Alla Camera dei deputati si sono specializzati proprio in questo sistema: da anni battono cassa al Tesoro chiedendo e prendendo 10 per poi spendere 7 e mettere 3 da parte. Qualche volta chiedono 9 e poi si atteggiano a Quintino Sella del Terzo millennio; in realtà è come se continuassero a sprecare 2, perché potrebbero fin da principio rivendicare il giusto senza giochetti. Qualche giorno fa, per esempio, è stata diffusa la notizia che per tre anni la Camera non chiederà un incremento della propria dotazione allo Stato e qualcuno ha salutato il fatto come un esempio di rigore, per una volta proveniente dall’alto. Ma è un abbaglio perché i soldi richiesti da Montecitorio restano ugualmente e strutturalmente in eccesso rispetto alle spese preventivate, che non sono né poche né oculate, anzi. Nonostante la crisi, i parlamentari non hanno perso il vizio di non farsi mancare nulla. E i cospicui avanzi di cassa portati a bilancio non sono frutto di parsimonia, ma di un artificio contabile giocato sulla differenza tra bilancio di cassa e di competenza. La riprova è data dal fatto che le spese vere non diminuiscono, ma crescono anno dopo anno: dell’1,5 per cento nel 2008 e dell’1,3 nel 2009 secondo il bilancio di previsione. Senza rinunciare a quasi nessuno dei privilegi che si sono autoconcessi, i deputati nel corso degli anni hanno messo da parte un fondo cassa che non è uno scherzo, un tesoretto di oltre 343 milioni di euro a fine 2008, così come risulta dal conto consuntivo approvato due settimane fa, salito già a 370 milioni a luglio 2009 e quindi pari a più di un terzo dei- l’intera dotazione annuale di Montecitorio, che nel 2008 è stata di 978 milioni. Una dotazione particolarmente ricca e calcolata in modo assai singolare. Dal momento che i deputati sono 630, il doppio dei senatori, e i dipendenti pure (1.800 circa contro i 990 del Senato dopo gli ultimi pensionamenti di luglio), e poiché il Senato ha un bilancio di circa 500 milioni, alla Camera, sostengono i deputati, deve essere erogata una dotazione doppia. Senza considerare, però, che molte spese fisse risultano praticamente identiche dall’una e dall’altra parte. L’aula in cui si vota, per esempio, è una in entrambe le camere, così come il numero delle leggi approvate è ovviamente lo stesso, e le commissioni idem, e via di questo passo. Anche per la Camera dovrebbe valere il principio elementare delle economie di scala, ma forse a Montecitorio le leggi dell’economia valgono a corrente alternata. Ogni volta che si accingono a redigere un nuovo bilancio i deputati questori partono in pratica con un abbuono ricco e quindi se volessero potrebbero davvero offrire il buon esempio all’inclita e al vulgo chiedendo al Tesoro una dotazione ridotta rispetto alla solita. Potrebbero fare il bel gesto invitando il ministro Giulio Tremonti a utilizzare per qualche buona causa più urgente la differenza, una volta tanto ottenendo l’applauso sincero di chi li ha votati. Potrebbero, magari, indirizzare quel surplus ai terremotati dell’Abruzzo; i terremotati, però, non pagano gli interessi, le banche sì: circa 15,4 milioni di curo nel 2008 su depositi e conti correnti della Camera. Ma perché mai a Montecitorio insistono con il trucchetto di succhiare tanto per spendere meno? Che senso ha? Quel di più probabilmente è richiesto per affrontare gli imprevisti, oltre che per lucrare gli interessi. In primo luogo le temutissime interruzioni di legislatura. Quando capitano, e in Italia purtroppo capitano abbastanza spesso, per le camere è un trauma, non solo perché è come se ai peones di Montecitorio e Palazzo Madama franasse il terreno sotto i piedi, ma anche da un punto di vista economico. La fine repentina della legislatura costa un sacco di soldi, dalle spese minime, come quelle per l’imballaggio delle carte dei parlamentari decaduti, al- l’imbiancatura degli uffici per i nuovi arrivati, dalle buonuscite per chi deve dire addio al Palazzo al numero delle pensioni che ovviamente cresce. Le pensioni risultano proprio uno dei capitoli di spesa più cospicui di Montecitorio, 175 milioni circa, anche perché sono concesse con criteri decisamente più generosi rispetto a quelli richiesti ai comuni mortali. Se, per esempio, ai dipendenti normali servono almeno 36 anni di contributi, ai deputati ne bastano 5, un settimo, per un vitalizio baby di tutto rispetto: 3.300 euro. E poi fra gli imprevisti ci può stare anche l’aumento delle indennità. È vero che deputati e senatori hanno giurato che non avrebbero votato aumenti fino alla fine della legislatura, ma di mezzo c’è la crisi: chi potrebbe giurare che, passata la tempesta, a Montecitorio e a Palazzo Madama non tornino subito a far festa con un ritocchino? Perché nel frattempo nessuno si impegna sul serio nel disboscamento della fitta giungla di privilegi parlamentari grandi e piccoli. Dal telefono ai viaggi gratis, dai 4 mila euro al mese per le spese di soggiorno agli altri 4.190 per la cura dei «rapporti con il proprio collegio di appartenenza», ottenuti a titolo di rimborso, sia che quelle spese ci siano state o no, a prescindere, come avrebbe detto Totò, dal momento che non sono richieste ricevute o pezze d’appoggio. I quattrini vengono erogati sulla fiducia, e forse è anche per questo che chi li prende viene chiamato onorevole. Qualche giorno fa la deputata radicale Rita Bernardini ha cercato di correggere l’andazzo: la sua proposta è stata approvata da 49 deputati e respinta da 428. Una maggioranza schiacciante, per una volta bipartisan.
di Daniele Martini

Omicidio di massa?




Con l’avvicinarsi della data prevista per la distribuzione del vaccino anti virus influenzale pandemico A/H1N1 della Baxter, una giornalista investigativa austriaca avvisa il mondo che sta per essere commesso il più grande crimine della storia dell’umanità. Jane Burgermeister ha recentemente sporto denuncia presso l’FBI contro l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le Nazioni Unite (ONU) e molti dei funzionari di più alto rango di governi e società in merito al bioterrorismo e ai tentativi di provocare massacri. Ha inoltre preparato un’ingiunzione contro l’obbligo di vaccinazione, che è stata presentata in America. Queste azioni seguono le accuse che ha lei stessa presentato lo scorso aprile contro la Baxter AG e l’austriaca Avir Green Hills Biotechnology per aver prodotto un vaccino contaminato contro l’influenza aviaria, sostenendo che sia stata un’azione intenzionale per causare una pandemia e trarne profitto.

Riassunto delle accuse e allegazioni presentate all’FBI in Austria il 10 giugno 2009

Nelle sue accuse la Burgermeister presenta prove di atti di bioterrorismo, ossia in violazione della legge degli USA, da parte di un gruppo operante all’interno degli USA secondo le direttive di banchieri internazionali che controllano la Federal Reserve, come pure l’OMS, l’ONU e la NATO. Tale bioterrorismo è finalizzato a provocare un genocidio di massa contro la popolazione statunitense mediante l’uso del virus della pandemia influenzale geneticamente ingegnerizzato con l’intento di causare la morte. Questo gruppo si è impossessato di alti uffici governativi negli USA. In modo specifico vengono portate le prove che gli imputati come Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, David Tabarro, coordinatore ONU per l’influenza umana e aviaria, Margaret Chan, direttore generale dell’OMS, Kathleen Sibelius, segretario alla salute e ai servizi sociali, Janet Napolitano, segretario del dipartimento di sicurezza nazionale, David de Rotschild, banchiere, David Rockefeller, banchiere, George Soros, banchiere, Werner Faymann, cancelliere austriaco, e Alois Stoger, ministro della sanità austriaco, ed altri fanno parte di questo gruppo criminale internazionale che ha sviluppato, prodotto, accumulato ed utilizzato armi biologiche per eliminare la popolazione degli USA e di altri paesi per motivi economici e politici.

I capi d’accusa sostengono che questi imputati abbiano cospirato tra loro e con altri per ideare e finanziare, nonché partecipare alla fase finale dell’attuazione di un programma internazionale segreto di armi biologiche, che avrebbe coinvolto le società farmaceutiche Baxter e Novartis. Hanno fatto questo bioingegnerizzando e poi distribuendo agenti biologici letali, specificamente il virus dell’influenza “aviaria” e il “virus dell’influenza suina” per avere il pretesto di attuare un programma di vaccinazione obbligatoria di massa che sarebbe stato il mezzo per poter somministrare un agente biologico tossico per provocare la morte e altre lesioni alla popolazione degli Stati Uniti. Quest’azione è in diretta violazione del Biological Weapons Anti-terrorism Act.

Le accuse mosse dalla Burgermeister comprendono le prove che la Baxter AG, la sussidiaria austriaca della Baxter International, ha deliberatamente fatto uscire 72 chili di virus vivo dell’influenza aviaria, fornito dall’OMS durante l’inverno del 2009 a 16 laboratori in quattro paesi. Sostiene che ciò offra una chiara prova che le società farmaceutiche e le stesse agenzie governative internazionali sono attivamente impegnate nella produzione, nello sviluppo, nella fabbricazione e nella distribuzione di agenti biologici classificati come le più letali armi biologiche sulla terra al fine di provocare una pandemia e causare una strage.

Nei capi d’accusa di aprile, ha notato che il laboratorio della Baxter in Austria, uno dei presunti laboratori di biosicurezza più sicuri al mondo, non ha rispettato le norme più basilari ed essenziali per la conservazione dei 72 chili della sostanza patogena classificata come arma biologica in modo sicuro separandola da tutte le altre sostanze secondo le rigorose regolamentazioni del livello di biosicurezza, ma ha lasciato che venisse mischiata con il virus dell’influenza comune e l’ha inviata dai suoi stabilimenti di Orth nel Donau.

A febbraio quando un membro dello staff al BioTest nella Repubblica Ceca ha testato su dei furetti il materiale destinato ai vaccini candidati, i furetti sono morti. Questo incidente non è stato seguito da alcuna investigazione da parte dell’OMS, né dell’UE o delle autorità sanitarie austriache. Non c’è stata alcuna indagine sul contenuto del materiale virale, e non vi è alcun dato sulla sequenza genetica del virus messo in circolazione.

In risposta alle domande del parlamento il 20 maggio Alois Stoger, ministro della sanità austriaco ha rivelato che l’incidente non era stato trattato come un errore di biosicurezza, come avrebbe dovuto essere, ma come un’infrazione del codice veterinario. È stato mandato un medico veterinario al laboratorio per una breve ispezione.

Il dossier della Burgermeister rivela che la messa in circolazione del virus sarebbe stata un passo essenziale per provocare una pandemia che avrebbe permesso all’OMS di dichiarare una pandemia di livello 6. Elenca le leggi e i decreti che avrebbero permesso all’ONU e all’OMS di prendere il controllo degli Stati Uniti nel caso di una pandemia. Sarebbero inoltre entrate in vigore leggi che richiedono di osservare l’obbligo di vaccinazione negli Stati Uniti in condizioni di pandemia dichiarata.

La Burgermeister sostiene che l’intera questione della pandemia di “influenza suina” si poggia su un’enorme menzogna e che non esista virus in natura che rappresenti una minaccia per la popolazione. Porta le prove che inducono a credere che sia l’influenza aviaria che l’influenza suina siano state in effetti bioingegnerizzate in laboratorio usando i finanziamenti forniti dall’OMS e da altre agenzie governative, insieme ad altri. Questa “influenza suina” è un ibrido in parte dell’influenza suina, in parte dell’influenza umana e in parte dell’influenza aviaria, una cosa che può solo venire da un laboratorio secondo molti esperti.
L’asserzione dell’OMS che l’“influenza suina” si sta diffondendo e che deve essere dichiarata la pandemia ignora le cause fondamentali. I virus che sono stati messi in circolazione sono stati creati e messi in circolazione con l’aiuto dell’OMS, e l’OMS è enormemente responsabile della pandemia in primis. In aggiunta i sintomi della presunta “influenza suina” sono indistinguibili da quelli della comune influenza e del raffreddore. L’“influenza suina” non provoca la morte più spesso di quanto faccia la comune influenza.

[La Burgermeister] nota che i dati relativi ai decessi registrati per l’“influenza suina” non sono coerenti e che non c’è chiarezza in merito a come è stato documentato il numero dei “decessi”.

Non c’è potenziale per una pandemia a meno che non vengano effettuate vaccinazioni in massa per usare l’influenza come un’arma con il pretesto di proteggere la popolazione. Esistono motivi ragionevoli per credere che i vaccini obbligatori saranno contaminati deliberatamente con malattie che sono progettate specificamente per provocare la morte.

Viene fatto riferimento ad un vaccino approvato della Novartis contro l’influenza aviaria che ha ucciso 21 persone senza tetto in Polonia durante l’estate del 2008 e che aveva come “misura primaria di outcome” un “tasso di eventi avverso”, rientrando pertanto nella definizione di arma biologica dello stesso governo statunitense (un agente biologico progettato per causare un tasso di eventi avversi, ossia morte o lesioni gravi) con un delivery system[1] (iniezione). [la Burgermeister] sostiene che il medesimo complesso di società farmaceutiche internazionali e di agenzie governative internazionali che hanno sviluppato e messo in circolazione il materiale della pandemia abbia tratto profitto dall’aver causato la pandemia mediante contratti per la fornitura dei vaccini. I media controllati dal gruppo che sta ingegnerizzando l’intero ordine del giorno dell’ “influenza suina” sta diffondendo notizie false per convincere la popolazione degli Stati Uniti a sottoporsi alle pericolose vaccinazioni.

I cittadini degli USA subiranno danni e lesioni sostanziali ed irreparabili se verranno obbligati a sottoporsi a questa vaccinazione [di efficacia] non provata senza il loro consenso secondo il Model State Emergency Health Powers Act, il Natonal Emergency Act, la National Security Presidential Directive/NSPD 51, la Homeland Security Presidential Directive/HSPD-20, e l’International Partnership on Avian and Pandemic Influenza.

La Burgermeister accusa coloro che sono menzionati nelle sue allegazioni di aver attuato e/o accelerato a partire dal 2008 negli USA l’implementazione di leggi e regolamentazioni ideate per togliere ai cittadini statunitensi i loro legittimi diritti costituzionali di rifiutare un’iniezione. Queste persone hanno creato disposizioni o hanno lasciato in essere disposizioni tali da rendere criminale il rifiuto di un’iniezione contro i virus pandemici. Hanno imposto altre sanzioni eccessive e crudeli come l’imprigionamento e/o la quarantena nei campi FEMA impedendo al tempo stesso ai cittadini americani di presentare domanda di risarcimento per lesioni o morte causati dalle iniezioni forzate. Questo viola le leggi che disciplinano la corruzione federale e l’abuso di ufficio, come pure [quelle] della costituzione e della Bill of Rights. Attraverso queste azioni, gli accusati citati hanno gettato le basi di un genocidio di massa.

Usando l’ “influenza suina” come pretesto, gli accusati hanno prepianificato la strage della popolazione statunitense per mezzo della vaccinazione forzata. Hanno installato una rete estesa di campi di concentrazione FEMA nonché identificato siti per tumulazioni di massa, e sono stati coinvolti nell’ideazione e nell’attuazione di uno schema per consegnare il potere in tutta America ad un sindacato criminale internazionale che usa l’ONU e l’OMS come una facciata per coprire le attività criminali organizzate influenzate da un racket illegale, in violazione alle leggi che disciplinano il tradimento.

[La Burgermeister] accusa il complesso di società farmaceutiche di cui fanno parte la Baxter, la Novartis e la Sanofi Aventis di essere coinvolto in un programma di armi biologiche basato all’estero con un duplice scopo, finanziato dal predetto sindacato criminale e progettato per attuare stragi di massa e ridurre la popolazione mondiale di oltre 5 bilioni nei prossimi dieci anni. Il loro piano è di spargere il terrore per giustificare l’atto di obbligare la gente a rinunciare ai propri diritti, e per costringerla a quarantene di massa nei campi FEMA. Le case, le società e le fattorie, le terre di quelli che venissero uccisi saranno nelle mani di questo sindacato.

Eliminando la popolazione del Nordamerica, l’elite internazionale avrà accesso alle risorse naturali della regione quali l’ acqua e le terre con giacimenti di petrolio non sviluppate. Ed eliminando gli USA e la loro costituzione democratica includendoli in un’unione nordamericana, il gruppo criminale internazionale avrà il controllo totale del Nordamerica.

I punti salienti del dossier completo

Il dossier completo dell’azione del 10 giugno è un documento di 69 pagine che porta le prove per corroborare tutte le accuse.

Queste comprendono:

-un insieme di fatti che delineano linee temporali e fatti che stabiliscono la “causa probabile”[2] , definizioni e ruoli dell’ONU e dell’OMS, e la storia e gli incidenti dal momento dello scoppio dell’ “influenza suina” nell’aprile del 2009.

-Le prove che i vaccini per l’ “influenza suina” sono definiti come armi biologiche dalle agenzie governative e nelle regolamentazioni che classificano e limitano le vaccinazioni, e la paura dei paesi esteri che i vaccini contro l’ “influenza suina” saranno usati per la guerra biologica.

-Le prove scientifiche che il virus dell’ “influenza suina” è stato bioingegnerizzao in modo da sembrare come il virus influenzale spagnolo del 1918, con citazioni tratte da Swine Flu 2009 is Weaponized 1918 Spanish Flu di A. True Ott, Ph.D., N.D., e da una relazione della rivista Science Magazine di Dr. Jeffrey Taubenberger et. Al.

-La sequenza del genoma dell’ “influenza suina”.

-Le prove della deliberata messa in circolazione del virus dell’ “influenza suina” in Messico.

-Le prove del coinvolgimento del presidente Obama che descrivono il suo viaggio in Messico che ha coinciso con il recente scoppio dell’ “influenza suina” e con la morte di molti ufficiali che hanno partecipato al viaggio. Viene avanzata l’ipotesi che il presidente non sia mai stato sottoposto ai controlli per l’ “influenza suina” perché era già stato vaccinato.

-Le prove in merito al ruolo della Baxter e dell’OMS nella produzione e messa in circolazione di materiale virale pandemico in Austria comprendono una dichiarazione di un funzionario della Baxter che asseriva che l’H5N1 distribuito per errore nella Repubblica Ceca è stato ricevuto da un centro di riferimento dell’OMS. Questo comprende la descrizione di prove e allegazioni dalle accuse della Burgermeister presentate in Austria ad aprile che sono al momento in corso di indagine.

-Prove che la Baxter è un elemento di una rete segreta di armi biologiche.

-Prove che la Baxter ha deliberatamente contaminato il materiale vaccinico.

-Prove che la Novartis sta usando i vaccini come armi biologiche.

-Prove del ruolo dell’OMS nel programma di armi biologiche.

-Prove della manipolazione da parte dell’OMS dei dati della malattia per giustificare la dichiarazione della pandemia di livello 6 al fine di prendere il controllo degli USA.

-Prove del ruolo della FDA [Food and Drug Administration] nella copertura del programma di armi biologiche.

-Prove del ruolo del Canada’s National Microbiology Lab nel programma di armi biologiche. Prove del coinvolgimento di scienziati che lavorano per il NIBSC nel Regno Unito [National Institute for Biological Standards and Control]e per il CDC [center] nella creazione dell’ “influenza suina”.

-Prove che le vaccinazioni hanno provocato l’influenza letale spagnola del 1918, tra cui il parere del Dott. Jerry Tennant che l’uso diffuso dell’aspirina durante l’inverno che è seguito alla fine della prima guerra mondiale potrebbe essere stato un fattore chiave che avrebbe contribuito all’anticipo della pandemia sopprimendo il sistema immunitario ed abbassando la temperatura corporea, consentendo al virus influenzale di moltiplicarsi. Anche il Tamiflu e il Relenza abbassano la temperatura corporea, e ci si può pertanto aspettare che contribuiscano alla trasmissione della pandemia. Prove della manipolazione del contesto legale per consentire il genocidio con impunità.

-Questioni costituzionali: la legalità o l’illegalità di mettere a rischio la vita, la salute e il bene collettivo con le vaccinazioni di massa.

-La questione dell’immunità e del risarcimento come prova dell’intento di commettere un crimine.

-Prove dell’esistenza di un sindacato criminale corporativo internazionale.

-Prove dell’esistenza degli “ Illuminati”.

-Prove dell’ordine del giorno di riduzione della popolazione degli Illuminati/Bilderberg e del loro coinvolgimento nell’ingegnerizzazione e messa in circolazione del virus dell’ “influenza suina” artificiale.

-Prove che l’uso dell’influenza come arma è stato discusso durante l’incontro del gruppo Bilderberg ad Atene dal 14 al 17 maggio 2009, come parte del loro ordine del giorno di genocidio, compreso un elenco dei partecipanti che, secondo una dichiarazione fatta una volta da Pierre Trudeau, si considerano geneticamente superiori al resto dell’umanità.

I media tengono gli Americani allo scuro sulla minaccia che incombe su di loro

Jane Burgermeister ha la doppia nazionalità irlandese/austriaca ed ha scritto per la rivista Nature, per il British Medical Journal, e per American Project. È corrispondente europea del sito web Renewable Energy World. Ha scritto molto sul cambiamento climatico, la biotecnologia e l’ecologia.

Oltre alle accuse contro la Baxter AG e la Avir Green Hills Biotechnology di aprile che sono attualmente sottoposte a indagine, ha sporto denuncia contro l’OMS e la Baxter insieme ad altri riguardo al caso delle fiale di “influenza suina” destinate ad un laboratorio di ricerca che sono esplose in un affollato treno intercity in Svizzera.

A suo parere il controllo dei media da parte dell’elite dominante ha consentito al sindacato criminale mondiale di portare avanti indisturbato il suo ordine del giorno, mentre il resto della gente rimane allo scuro su quello che succede realmente. Le sue denunce sono un tentativo di aggirare il controllo mediatico e di portare alla luce la verità.

La sua maggiore preoccupazione è che “nonostante il fatto che la Baxter sia stata colta in flagrante vicina al provocare una pandemia, stanno andando anche loro avanti, insieme alle loro società farmaceutiche alleate, con la fornitura del vaccino per le pandemie”. La Baxter si sta affrettando per far arrivare questo vaccino sul mercato a luglio.




NOTE:

[1] ndt via di somministrazione
[2] ndt ‘probable cause’ o sussistenza probabile della causa

DI BARBARA MILTON

Barbara è una psicologa scolastica e autrice di libri di finanza personale, è guarita da un tumore al seno usando trattamenti “alternativi”, è un’esistenzialista nata, studia la natura in tutti i suoi aspetti.

30 luglio 2009

Il costo del “bailout” raggiunge la cifra di 24 trilioni di dollari


L’ultima volta che siamo stati in grado di ottenere una misura del costo totale del salvataggio, era pari a circa 8,5 trilioni di dollari. Passati otto mesi da quella linea, la cifra è quasi triplicata.

La cifra di 23,7 trilioni di dollari ricomprende «circa 50 iniziative e programmi stabiliti dalle amministrazioni Bush e Obama, nonché dalla Federal Reserve», secondo l’Associated Press.

In un documento di asseverazione che sarà consegnato alla supervisione della Camera e al Comitato governativo di riforma domani [21 luglio 2009, Ndt], Neil Barofsky, l'ispettore generale per il programma TARP, dirà al Congresso che «il Dipartimento del Tesoro ha ripetutamente omesso di adottare raccomandazioni volte a rendere il programma TARP più responsabile e trasparente ».

Secondo Barofsky, i contribuenti sono al buio su chi ha ricevuto il denaro e su quel che ne fanno.

Come abbiamo più volte sottolineato, la destinazione di circa 2mila miliardi di fondi TARP è stata oggetto di un’azione legale presentata da Bloomberg alla fine dello scorso anno dopo che la Fed aveva rifiutato di rivelare i destinatari. La causa è ancora in corso, giacché Bloomberg tenta di scoprire i nomi delle istituzioni finanziarie private che hanno ricevuto il denaro.

Sarà il popolo americano in ultima analisi a doversi accollare tutto visto che il dollaro è svalutato poiché la Fed presta il denaro dal proprio bilancio o essenzialmente stampa solo più denaro, come ha spiegato un articolo della San Francisco Chronicle l'anno scorso.

I salari non terranno il passo dell'inflazione e, se si aggiunge all'equazione la serie di nuove tasse introdotte dall’amministrazione Obama, le conseguenze sono evidenti: un abbassamento del tenore di vita per milioni di appartenenti alla classe media americana.

Nel frattempo, Henry Paulson, uno dei principali architetti del “bailout” nonché l'uomo che ha perpetrato del terrorismo finanziario all’atto di minacciare il Congresso con scenari di legge marziale e rivolte alimentari, qualora non avessero approvato il primo pacchetto TARP, sfacciatamente s’intasca 200milioni in profitti Goldman Sachs esentasse mentre distribuisce miliardi in guadagni illeciti ai suoi compari banchieri, tutto questo dopo aver tirato un'esca e passare a cambiare l'intero centro del salvataggio dall’acquisto dei titoli di debito tossico fino a dare il denaro direttamente alle istituzioni finanziarie.

Abbiamo paura di pensare a quali saranno le cifre del salvataggio fra altri otto mesi. Triplicheranno ancora fino a 70 trilioni di dollari? Che ne dite di 100 trilioni di dollari?

L'unica cosa che può porre fine allo sfrenato saccheggio è il disegno di legge di Ron Paul volto all’auditing della Fed, che ha ricevuto un sostegno in Parlamento ma è stato bloccato da traditori occasionali prezzolati al Senato, che avrebbero invece dovuto vedere una continuazione del grande furto, anziché la responsabilità e la trasparenza.

Articolo originale: Paul Joseph Watson, Cost Of Bailout Hits A Whopping $24 Trillion Dollars. $80,000 for every American, «Prison Planet», Monday, July 20, 2009.

27 luglio 2009

I «nuovi» profitti delle banche



La notizia che alcune grandi banche statunitensi hanno dichiarato profitti di eccezionale ampiezza non implica che il sistema bancario stia diventando più disponibile all'erogazione di credito per facilitare le imprese in difficoltà. Al contrario, le società finanziarie si stanno allontanando dal credito e si concentrano invece in attività lucrative interne ai meccanismi speculativi. Con la crisi che pervade il sistema delle imprese sono tornati di moda i titoli spazzatura e altra robaccia simile ed è su questo tipo di terreno che vengono individuate possibilità di guadagni speculativi. Un'azienda vera che non riesce a vendere non può che avere una copertura limitata delle proprie passività.

Fino a che punto possono infatti essere sottoscritte passività aziendali che derivano dall'accumulo di camice, piatti, pentole e auto invendute? In definitiva la copertura può continuare solo se lo Stato incamera la produzione invenduta, come ben fece notare oltre 47 anni fa James Meade, un economista di Cambridge nonchè premio Nobel. Invece le passività (liabilities) finanziarie delle banche rappresentate dalle cartacce senza valore sono state sottoscritte dallo Stato in forma illimitata. Inoltre, fatto candidamente ammesso da Ben Bernanke in una rarisssima intervista televisa concessa alla Cbs lo scorso marzo, i «prestiti» della Banca Federale alle banche private per rifornirle di liquidità altro non erano che delle erogazioni simili allo stampare moneta.

Citiamolo perchè Bernanke svela i meccanismi con cui nel corso della crisi sono state non solo salvate ma anche arricchite le banche. Alla domanda dell'intervistatore se gli aiuti della Fed fossero finanziati dai soldi dei contribuenti Bernanke risponde: «Non sono soldi delle tasse. Le banche hanno dei conti con la Fed esattamente come lei ha un conto con una banca commerciale. Quindi per prestare a una banca noi usiamo semplicemente il computer per incrementare la grandezza del conto che la banca ha presso la Fed. È molto più simile a stampare moneta che all'erogazione di un prestito». Nell'intervista il governatore della Fed annuncia che tale sostegno, tramite l'emissione di moneta direttamente nei conti delle banche, continuerà fintanto che perdureranno condizioni di fragiltà finanziaria.
Con una tale illimitata copertura delle passività, cosa impossibile per le aziende industriali, la ricerca di guadagni speculativi diventa un gioco soprattutto considerando che il salvataggio e l'arricchimento delle banche è avvenuto con una strategia diretta a rafforzare la concentrazione finanziaria. La Goldman Sachs, ad esempio, si è vista sollevata da tutte le perdite della società assicuratrice Aig, le cui passività sono state assunte dal governo. Tuttavia malgrado il clima istituzionalmente favorevole alla concentrazione bancaria e ai giochi speculativi contro il credito per gli investimenti, molti dei profitti dichiarati sono dovuti a operazioni una tantum, quale la vendita da parte della Bank of America della sua quota nella China Construction Bank.
La realtà della crisi in corso si manifesta anche nelle dichiarzioni dei dirigenti di tali istituti i quali sostengono che i profitti forniranno da cuscinetto per le perdite che si stanno accumulando nel campo dei credito al consumo dato l'aumento del numero delle famiglie i cui debiti vanno in protesto.

La crisi attuale, nel cui ambito i comportamenti delle istituzioni finanziarie hanno avuto un ruolo aggravante, sta producendo un effetto opposto a quello della crisi del 1929-32. Allora venne creata la Federal Deposit Insurance Corporation con ampi poteri di intervento e di nazionalizzazione che portò ad una separazione tra mercato azuonario e sistema bancario commerciale. Oggi gli stessi colpevoli vengono rafforzati con le grandi multinazionali della contabilità finanziaria e le inaffidabili e squalificate agenzie di rating, incaricate di stilare le riforme stesse.
Non vi è un ritorno all'economia reale. Quest'ultima sta in Cina, il resto è un sottoinsieme del capitale finanziario che determina in forma preponderante sia le politiche correnti che le regole istituzionali.
di Joseph Halevi

26 luglio 2009

Deglobalizzare il pianeta

Nel 1991, sei anni prima che la crisi finanziaria investisse con devastante irruenza il sistema economico, apparentemente solidissimo, delle “tigri asiatiche”, con conseguenze catastrofiche per milioni di cittadini, Walden Bello mandava alle stampe Dragons in Distress. Asia’s Miracle Economies in Crisis, un testo che annunciava l’inevitabile tracollo di quel sistema.

Già allora infatti il fondatore (nel 1995) e direttore esecutivo dell’associazione Focus on the Global South si diceva convinto, come avrebbe ribadito in Domination. La fine di un’era (Nuovi Mondi Media, 2005), «che l’economia globale è ormai alla fine dell’onda lunga di espansione del capitalismo durata cinquant’anni, e all’inizio del suo declino», e che «uno dei sintomi della condizione patologica in cui versa l’economia è il peso preponderante assunto dal capitale finanziario».

Una condizione patologica che oggi appare in tutta la sua evidenza, e che alcuni, come questo attivista e sociologo filippino, già direttore dell’Institute for Food and Development Policy (Food First) di Oakland, California, oggi membro del Transnational Institute di Amsterdam e dell’International Forum on Globalisation, analizzano da tempo.



Nato a Manila nel 1945, docente di sociologia e pubblica amministrazione presso l’Università delle Filippine di Diliman, già visiting professor alle Università di Los Angeles, Irvine e Santa Barbara, Walden Bello ha cominciato ad accorgersi delle patologie del sistema politico-economico internazionale a metà degli anni Settanta, quando assunse un ruolo centrale nel movimento che si batteva contro la dittatura del presidente filippino Ferdinando Marcos, coordinando dagli Stati Uniti la coalizione Anti-Martial Law.

Fu allora infatti che, nel corso delle ricerche per le campagne per la promozione dei diritti umani nel suo paese, scoprì che il regime di Marcos era appoggiato finanziariamente da istituzioni come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. Per dimostrarlo, entrò illegalmente nel quartier generale della Banca mondiale, “recuperando” tremila pagine di documenti confidenziali che avrebbero costituito la base per il suo Development Debacle (1982).



Da allora, non ha mai smesso di dedicarsi all’analisi delle diseguaglianze generate dal sistema capitalistico, alla critica del finto multilateralismo delle istituzioni di Bretton Woods-WTO e alla denuncia dei progetti egemonici degli Stati Uniti. Vincitore nel 2003 del Right Livelihood Award (il premio Nobel alternativo), critico radicale del capitalismo e dell’imperialismo a stelle e strisce, Walden Bello ha fatto della combinazione tra la ricerca intellettuale e la militanza politica una vera e propria cifra distintiva, dando alle stampe diversi saggi, tra cui ricordiamo Il futuro incerto: globalizzazione e nuova resistenza e Deglobalizzazione (entrambi editi da Baldini Castoldi Dalai, rispettivamente nel 2002 e nel 2004), testi in cui ha trasferito «le lezioni apprese dai paesi in via di sviluppo negli ultimi 25 anni: che la politica commerciale deve essere subordinata allo sviluppo; che la tecnologia deve essere liberata dalla rigida normativa della proprietà intellettuale; che sono necessari controlli sui movimenti di capitali; che lo sviluppo richiede non meno, ma più intervento dello stato; e, soprattutto, che i deboli devono restare uniti perché da soli vanno a finire male».



Nel libro Domination. La fine di un’era, lei identifica tre elementi che segnalerebbero la fine dell’egemonia americana: una crisi da sovrapproduzione (dimensione economica), una crisi da sovraesposizione (dimensione strategico-militare) e una di legittimità (dimensione politico-ideologica). Ci vuole spiegare meglio a cosa si riferisce?

La crisi economica a cui stiamo assistendo da alcuni mesi può essere meglio compresa proprio se la intendiamo come crisi da sovrapproduzione, e deriva dalla straordinaria capacità produttiva del sistema capitalistico che supera e contraddice la limitata capacità di consumo e d’acquisto della popolazione, causata dalle continue e crescenti disuguaglianze nell’ambito della sfrenata competizione tra attori capitalisti.

La mia tesi, che ovviamente condivido con altri, è che a partire dalla metà degli anni Settanta questa crisi abbia raggiunto un livello tale da spingere il capitale a ricorrere a tre vie d’uscita: la ristrutturazione neoliberista, la globalizzazione e la “finanziarizzazione”.

Strumenti che però non hanno funzionato, e anziché risolverla o mitigarla hanno aggravato la crisi da sovrapproduzione. Oggi assistiamo alla dimostrazione plateale di questo fallimento.

L’altra dimensione è la crisi da sovraesposizione, che si situa al livello dello Stato e riguarda la sua capacità di “proiettare” potere; sin dalla guerra in Afghanistan abbiamo sostenuto che gli Stati Uniti si stessero sovraesponendo, rendendo manifesto lo scarto tra gli obiettivi del sistema imperiale e la mancanza delle risorse per ottenerli. Non è un caso che sia stato facile prevedere, da parte mia e di altri, quel che oggi accade in Iraq e in Afghanistan.

La terza dimensione è quella della legittimità, senza la quale tutti i sistemi sono destinati al fallimento. Credo che il sistema democratico liberale, la cui diffusione è stata fortemente promossa dagli Stati Uniti soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sia oggi ampiamente discreditato a causa del modo in cui gli USA hanno usato la democrazia per promuovere i propri interessi strategici. Lo stesso è accaduto con le istituzioni multilaterali come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione mondiale per il commercio, che aspirano a presentarsi come democraticamente rispondenti ai diversi membri che le compongono, ma che continuano a servire alcuni, particolari e circoscritti interessi.

Credo che l’uso della democrazia e delle istituzioni multilaterali per promuovere e imporre obiettivi unilaterali abbiamo fortemente contribuito alla crisi di legittimità dell’impero americano. Se poi si mettono insieme tutti e tre gli elementi critici di cui abbiamo parlato, e a questi si aggiunge la crisi ambientale, si avrà di fronte l’immagine di una formidabile tempesta. Quella che ha ereditato Obama.



Secondo la sua analisi, dunque, la crisi attuale, più che come il risultato di una mancata regolamentazione del settore finanziario, andrebbe interpretata come l’incancrenirsi di una delle contraddizioni centrali del capitalismo globale…

È proprio così: la mancata regolamentazione è soltanto parte della risposta, così come l’avidità dimostrata dagli attori economici, mentre la parte più rilevante della risposta va individuata nella crisi del sistema in quanto tale, e nel fallimento del tentativo di superare la crisi dei profitti, che deriva dalla crisi da sovrapproduzione, attraverso le tre risposte a cui abbiamo accennato prima. In particolare, poi, la “finanziarizzazione”, attuata nella speranza di poter assorbire il surplus e creare profitto, ci ha piombati nel bel mezzo della crisi attuale. Una crisi che ci deve indurre a guardarci indietro, per capire che essa non investe semplicemente una questione di regole non rispettate, ma ha a che fare con la specifica dinamica del sistema capitalistico.



Come da anni critica i pericoli della “finanziarizzazione”, così da molto tempo sostiene anche che «ci sarebbe sicuramente bisogno di controlli sul movimento dei capitali, sia a livello regionale che locale». Eppure continua a dirsi scettico sull’istituzione di un’autorità monetaria mondiale. Perché ritiene che anche un’istituzione del genere possa essere controproducente?

Perché ritengo che le istituzioni centralizzate, anche laddove si suppone che operino per il multilateralismo, finiscano spesso sotto il controllo dei poteri dominanti. Questa è una delle ragioni per cui mi sono sempre opposto alla sostituzione di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Organizzazione mondiale del commercio con un’unica istituzione che gestisca la politica monetaria mondiale. Le istituzioni centralizzate hanno due difetti principali: il primo è che acquisiscono presto una sorta di vita propria, e tendono a soddisfare i propri interessi anziché rispondere ai bisogni di coloro ai quali dovrebbero offrire i propri servizi. L’altro è invece che, per il modo stesso in cui operano, i poteri dominanti trovano molto facilmente il modo di sovvertirne gli obiettivi, prendendone la direzione e orientandone il funzionamento verso la soddisfazione dei propri, particolaristici interessi anziché verso quelli della totalità dei paesi. Per questo credo che la risposta alla crisi del sistema multilaterale non vada cercata nella creazione di un nuovo gruppo di istituzioni centralizzate, ma nella promozione di un processo di decentralizzazione e regionalizzazione e nell’edificazione di un sistema di “checks and balances” fra istituzioni non eccessivamente potenti, che si possano controllare reciprocamente. Ciò di cui si ha bisogno per realizzare uno sviluppo sostenibile è lo spazio per i paesi più piccoli e deboli: le grandi istituzioni centralizzate non solo non creano spazio per le persone e per i paesi più vulnerabili, ma spesso finiscono per sottrarglielo.



Torniamo alla sua lettura della crisi attuale e, più in generale, del suo significato all’interno del sistema capitalistico contemporaneo. Ci può spiegare perché ritiene che la globalizzazione debba essere intesa come «il tentativo disperato del capitale globale di scappare dalla stagnazione e dai disequilibri caratteristici dell’economia globale negli anni Settanta e Ottanta» piuttosto che come una nuova fase nello sviluppo del capitalismo?

Mi capita spesso di ricordare che la mia analisi è fortemente debitrice delle tesi sviluppate da Rosa Luxemburg in quel libro lucido ed essenziale che è L’accumulazione del capitale, dove si sostiene che per estendere i tassi di profitto il capitalismo abbia bisogno di incorporare nel sistema sempre nuove aree del mondo, che siano semi-capitalistiche, non-capitalistiche o pre-capitalistiche. In questo senso io credo che la globalizzazione e la continua integrazione nel sistema capitalistico di nuove parti del mondo sia da intendere come una risposta alla crisi da sovrapproduzione piuttosto che una nuova e qualitativamente più elevata fase del capitalismo.

Insisto nel dire che la globalizzazione è una via d’uscita - fallimentare - alla crisi del capitalismo piuttosto che una sua nuova espressione.

Proprio su questo punto sono nati moltissimi errori all’interno del movimento progressista, perché si è creduto che i processi di globalizzazione fossero irreversibili. Invece sono del tutto reversibili.

Oggi molti, sulla scia di Stiglitz, sostengono che il processo irreversibile della globalizzazione debba essere “salvato” dall’influenza dei neoliberisti, grazie ai suggerimenti di qualche socialdemocratico. Io non la penso così.



Lei infatti è sempre stato lontano dalle posizioni “social-democratiche” di quanti immaginano sia possibile “umanizzare” la globalizzazione. Ha scritto: «il compito urgente che ci troviamo di fronte non è quello di orientare la globalizzazione guidata dalle corporation in una direzione “social-democratica”, ma fare in modo di ritirarci dalla globalizzazione». Perché ritiene che sia impossibile “umanizzare” la globalizzazione?

Perché l’integrazione globale dei mercati e delle società è guidata dalle dinamiche capitalistiche, dunque dal profitto, e non invece da una necessità radicata nei bisogni dell’uomo. Non si vede dove sia scritto che le economie debbano essere così strettamente intrecciate le une alle altre. Non è certo nella natura dell’uomo una cosa del genere, ma è un semplice strumento creato per cercare di risolvere una crisi di una certa economia, che contraddice i bisogni dell’uomo proprio perché è disumanizzante.

La rapida integrazione dei mercati è inoltre assolutamente controproducente, poiché elimina quelle barriere tra le economie che permetterebbero a ognuna di essere più indipendente e dunque più sana perché meno vulnerabile alle crisi delle altre: una grave crisi all’interno di un’economia non si tradurrebbe come accade oggi in una grave crisi per tutte le altre.

Per ora invece la globalizzazione ci ha assicurato che quando una delle principali economie mondiali entra in crisi la seguono anche le altre. La terza ragione è che la globalizzazione è guidata da pochi centri di potere dominanti, e risponde perfettamente alla logica del capitalismo di ridurre le dinamiche dell’economia a una manciata di centri di potere. Quelli che sostengono «la globalizzazione è irreversibile, dobbiamo soltanto umanizzarla» si illudono: è impossibile umanizzare la globalizzazione, dovremmo piuttosto capovolgerla.



Secondo la sua analisi, dovremmo passare dunque per un processo di “deglobalizzazione”, come scrive in modo argomentato nel suo omonimo libro. Ma com’è possibile ottenere uno «spostamento radicale verso un sistema della governance economica globale che sia decentralizzato e pluralistico» e che «sviluppi e rafforzi, anziché distruggerle, le economie nazionali»?

Quel che sta accadendo da qualche mese a questa parte dimostra che siamo parte di una catena “letale”, che ci strangola, e che l’integrazione economica può non essere così benefica come ci avevano promesso. La gente comune e gli stessi governi sembra si stiano finalmente rendendo conto che questo tipo di integrazione non funziona, anche perché, oltre a legare il destino di un’economia a quello delle altre, subordina la produzione locale alle dinamiche globali, costringendoci ad affidarci a un cibo che proviene da migliaia di chilometri di distanza, piuttosto che dai cortili vicino casa.

Sappiamo bene che i produttori locali, con bassi margini di profitto, sono stati strangolati dalla produzione delle grandi corporation, e pian piano sta diventando sempre più evidente come la globalizzazione sia servita soprattutto per promuovere gli interessi di queste corporation.

Mi sembra dunque che molte cose ci suggeriscano di puntare verso una minore integrazione dell’economia a livello globale, cercando invece un’integrazione di carattere nazionale.

Al tempo stesso, è importante sostenere il nuovo orientamento di quei paesi che riconoscono l’importanza del coordinamento regionale, come dimostra il caso dell’“Alba”, l’Alternativa bolivariana per le Americhe. La crisi della globalizzazione e della forzata integrazione globale porta alla riscoperta del nazionale e del regionale.



Restiamo sul tema della “deglobalizzazione”: qualcuno potrebbe facilmente obiettare che sia anacronistico, oltre che controproducente, pensare a una forma di autarchia economica. Lei però ha spesso sottolineato come la “deglobalizzazione” che propone non abbia niente a che fare con il ripiegamento autarchico, e rimandi piuttosto al «capovolgimento dei processi omogeneizzanti della globalizzazione neoliberista caratterizzati dalla produzione orientata all’esportazione, dalla privatizzazione e dalla deregulation». Dovremmo, per riprendere Karl Polanyi, reintegrare l’economia nella società?

Per prima cosa “deglobalizzazione” non significa ritirarsi dall’economia internazionale, ma istituire con essa una relazione che possa accrescere le capacità di ognuno anziché soffocarle o distruggerle.

Il vero problema del libero mercato e della globalizzazione guidata dalle corporation è che, nel processo di integrazione, le economie locali e le capacità nazionali vengono distrutte sotto il peso della presunta razionalità della divisione del lavoro, che nei fatti annienta ogni diversità.

Mi sembra però che ci stiamo avvicinando a comprendere che la diversità è essenziale anche per lo stato di salute dell’economia.

L’idea che il principale criterio di misura dell’economia debba essere quello della riduzione del costo unitario, o in altri termini l’efficienza, non può più essere sostenuta. Il criterio dell’efficienza contraddice il benessere generale. Piuttosto che di efficienza avremmo bisogno di efficacia, perché laddove si parla di efficacia si parla anche degli strumenti economici più adatti per assicurare la solidarietà sociale e per creare un sistema economico che sia subordinato ai valori e ai bisogni della società, non viceversa.

Gli avvenimenti degli ultimi mesi e degli anni che li hanno preceduti hanno spinto molti a interrogarsi sulla razionalità di un sistema che subordina i valori della società al mercato: dovremmo approfittare della crisi del sistema capitalistico per rivendicare la necessità di abbracciare la logica della solidarietà sociale. Quando si parla di economia internazionale dovremmo intendere non un liberato mercato esteso all’economia globale, ma un’economia che partecipi al sistema internazionale in modo tale da favorire le capacità di ogni attore anziché impedirne lo sviluppo e il rafforzamento. Si tratta dunque di promuovere il commercio dei popoli, o, come ha sostenuto il presidente venezuelano Hugo Chávez, una vera cooperazione economica, al cui interno il trattamento preferenziale sia riservato ai partner più vulnerabili, non a quelli più potenti. E’ ovvio che tutto questo contesta e contraddice la logica del capitalismo, e rimanda alla logica della solidarietà sociale. E’ a questo logica che dovremmo subordinare il commercio. Non sono l’unico che la pensa in questo modo. Anzi. È il momento giusto per affermarla con più convinzione. […]
di Walden Bello - Giuliano Battiston -

25 luglio 2009

Ritornano le minacce di fallimento?

L’Aquila è stato purtroppo un G8 veramente interlocutorio, una fermata di passaggio tra il G20 di Londra, dove le nuove regole della finanza sono state indicate senza però sfidare il peso e il modus operandi delle banche che ci hanno portato alla crisi globale, e il summit di Pittsburgh di fine settembre che rischia di sancire la superiorità del vecchio modello finanziario con “meno regole e meno stato”. Quello della City e di Wall Street!

Nonostante il fatto che i governi siano diventati con i soldi pubblici i creditori di ultima istanza di un sistema in bancarotta, nella partita tra l’autorità degli stati e le banche sono ancora le seconde a dettare le regole del gioco.

Anche Berlusconi, tra le esaltazioni del successo del summit, ha fatto una dichiarazione che merita una più attenta riflessione. “Si è manifestato il disappunto sul fatto che - ha detto nella conferenza stampa finale - sono riprese le speculazioni internazionali sugli hedge fund, sul petrolio come su altre materie prime, e anche per questo abbiamo dato mandato agli organi i internazionali di studiare un modo per intervenire”. In altre parole si ammette che dopo un anno, nonostante summit, decaloghi, tavole di condotta e quant’altro, certa finanza speculativa non ha mai cambiato comportamento e marcia speditamente verso una seconda fase della crisi.

Il Comptroller of the Currency, l’autority Americana che supervisiona anche il comportamento del sistema bancario, ha pubblicato recentemente il rapporto sugli andamenti finanziari del primo trimestre del 2009 in cui evidenzia che, nonostante la crisi e le annunciate misure antispeculative, i derivati over the counter (OTC) sottoscritti dalle banche USA sono saliti a 202.000 miliardi di dollari a fine marzo 2009, cioè 2.000 miliardi in più della fine del dicembre precedente.

Oltre il 90% di questa bolla è in mano solamente a 4 banche: la JP Morgan Chase, la Citi Bank, la Bank of America e la Goldman Sachs.

Ed è stata proprio quest’ultima, che vanta storiche amicizie e alleanze anche a casa nostra, a guidare questa ripresa speculativa nei prodotti derivati, portando la sua quota da 30 a 40.000 miliardi in solo tre mesi!

Da parte sua, la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea ha pubblicato a fine giugno il suo rapporto semestrale in cui riporta che il valore nozionale dei derivati a livello globale nel secondo semestre del 2008 era invece sceso di ben 100.000 miliardi di dollari, assestandosi comunque sempre intorno all’impressionante livello di quasi 600.000 miliardi.

La BRI si premura anche di sottolineare che, mentre il valore nozionale diminuiva, saliva invece di 5.000 miliardi quello del Gross Market Value, cioè il costo per rimpiazzare tutti i contratti esistenti ad un dato momento. Il significativo aumento di questo indice dimostra che la volatilità e i rischi delle operazioni in derivati finanziari nel periodo di crisi e di collassi bancari sono aumentati drammaticamente e con essi i costi, i premi da pagare, per i derivati stessi.

Questi dati rivelano che particolarmente in America, nell’epicentro della crisi finanziaria, il comportamento speculativo non è cambiato affatto, nonostante il gran parlare di nuove regole e di controlli più stringenti.

La stampa ha poi presentato come un sensazionale risultato del G8 dell’Aquila l’aver concordato un impegno di 20 miliardi di dollari a sostegno dell’Africa nella lotta contro la fame e contro le emergenze sanitarie. Certamente ogni aiuto allo sviluppo dell’Africa è una cosa buona e doverosa, anche se per il momento si tratta solo di numeri sulla carta.

Noi vorremmo, però, far notare la sproporzione fra gli aiuti per l’intero continente africano e i 182,5 miliardi di dollari messi a disposizione lo scorso settembre per il salvataggio del gigante americano delle assicurazioni AIG.

Certo che il suo fallimento avrebbe portato con sé l’interno sistema assicurativo e pensionistico americano, ma la differenza è davvero enorme.

Inoltre, proprio mentre si prometteva il sostegno all’Africa, l’AIG subiva un tracollo in borsa tanto da far ventilare una nuova minaccia di fallimento.

A questo proposito ricordiamo che in gioco c’è anche la “bomba” da 193 miliardi di dollari in CDS (credit default swaps, una sorta di polizze di assicurazione per obbligazioni ad alto rischio) che l’AIG ha venduto soprattutto in Europa e il cui vero valore è tutto da stabilire.

Perciò concordiamo pienamente con il presidente Giorgio Napolitano, che, parlando ai capi di stato e ad altri dirigenti internazionali a L’Aquila, ha sottolineato l’importanza e l’urgenza di una nuova Bretton Woods. Non solo – ha detto il presidente – per avere “un complesso di più esigenti regole e standard internazionali per la conduzione delle attività finanziarie ed economiche” ma per definire soprattutto un modello di società più giusta e lungimirante che si può esprimere “nella cooperazione fra civiltà”.
di Mario Lettieri - Paolo Raimondi -

24 luglio 2009

La crisi della “società del possesso” e la rinascita dell’umano


Oggi il mondo ha perso il gusto ad un reale rinnovamento, perché questo implica un dono di sé all’altro, ed una messa in discussione dell’Ego, e di ciò che si “possiede”. Quali sono le conseguenze nella nostra società di un tale atteggiamento caratterizzato da chiusura, difficoltà di relazione e scarsa lungimiranza?
Ne discutiamo con Claudio Risé, psicanalista e scrittore, che ha appena pubblicato il libro La crisi del dono. La nascita e il no alla vita (San Paolo Ed., 2009), un’opera che tratta i temi della nascita e della necessaria rinascita e trasformazione nel corso della vita dell’uomo, condizioni che portano ad un autentico rinnovamento e sviluppo nel mondo stesso.

Prof. Risé, la prima domanda sorge spontanea: esiste una relazione tra l’importante crisi economica che stiamo vivendo e il carattere di una società, come la nostra, che nel suo nuovo libro lei ha definito “società del possesso”? Quali sono le vie di uscita da questa stagnazione?
La società del possesso produce fatalmente crisi, proprio perché in essa importanti risorse, prodotte dalla genialità umana, dallo sviluppo economico, dalla ricerca scientifica e tecnologica, vengono continuamente sequestrate dalle categorie più avide, che finiscono col distruggerle in un folle gioco alla moltiplicazione dei guadagni e dei patrimoni individuali.
L’attuale crisi è nata dalla distruzione di enormi ricchezze, ad opera dall’alleanza tra l’avidità di risparmiatori convinti di poter aumentare a dismisura i propri patrimoni sia immobiliari che mobiliari, e fasce di finanza spregiudicata che lo lasciava credere possibile, per amministrarne le risorse.
Questa distruzione di energie nuove ha riprodotto, in campo finanziario ed economico, quella distruzione di vita nuova in nome della difesa e incremento degli interessi e possessi individuali, che io pongo nel mio libro alla base dell’attuale “crisi del dono”, e delle pratiche e legislazioni abortiste.
Da tutto ciò si esce tutelando lo sviluppo della nuova vita (nuove idee, visioni, saperi e tecniche), rispetto alla sua riduzione materialistica in possessi e guadagni immediati.

Nelle sue pagine è tracciato un itinerario che esamina le immagini riguardanti la nascita, accolta o rifiutata, presenti nell’inconscio, nel mito, e nella tradizione ebraico cristiana. Si tratta di un’impostazione piuttosto inusuale, soprattutto per quei lettori interessati a comprendere con immediatezza e concretezza i fenomeni della società in cui viviamo. Questo studio cosa ci spiega dell’oggi? E cosa ci insegna?
L’inconscio collettivo, espresso (come ha mostrato Carl Gustav Jung e la sua scuola) nei miti e nei cicli leggendari delle varie culture, come anche nella storia delle religioni, mostra gli aspetti invarianti, archetipici, della psiche umana. Per questo, come osservava la frase di Pasolini che riporto in esergo, non c’è niente di più concreto e attuale del mito: parlando di mille anni fa, svela con sorprendente precisione l’animo dell’uomo di oggi.
D’altra parte, l’inconscio collettivo registra anche (e anche questo Jung l’ha visto) i mutamenti manifestatisi nello psichismo umano dopo l’avvenimento cristiano, e la modifica da esso consentita e richiesta nei rapporti personali, nel sentimento di amore per l’altro, e di offerta di sé.
Il rinnovamento antropologico portato dal cristianesimo ha al proprio centro una nascita ed un dono, quello di Dio fatto uomo, destinato a provocare il rinnovamento del mondo, e di ogni singolo uomo, nella sua vita personale. Da allora in poi ogni uomo, ed ogni società, può scegliere tra il rinnovamento e la trasformazione di sé (la rinascita che Gesù indica a Nicodemo), o la difesa dell’esistente. Questa seconda soluzione, l’osservazione clinica lo mostra bene, innesca in realtà un processo regressivo, e di distruzione di vita.

Parlare di rinnovamento e rinascita significa parlare anche di bambini. Lei cita in esergo un passaggio di Elie Wiesel: “Hai paura di diventare grande? Sì, paura di diventare grande in un mondo che a dispetto delle sue magniloquenti dichiarazioni, non ama i bambini; ne fa piuttosto i bersagli del suo dispetto, della sua mancanza di fiducia in se stesso, della sua vendetta”.
Effettivamente lo stesso Wiesel, accompagnando Barak Obama nella visita di Buchenwald (5 giugno 2009), ha affermato che nonostante gli orrori della guerra il mondo non ha ancora imparato a garantire la dignità della vita umana. Condivide queste parole di Wiesel?

Assolutamente. La riduzione dell’essere umano ad oggetto, e l’annichilimento della sua dignità, continua ad essere la grande tentazione cui l’uomo è sottoposto, e spesso soggiace.
Le categorie linguistiche e retoriche del “politicamente corretto” sono funzionali alla copertura e al mascheramento di questa realtà drammatica. L’uomo è pronto ad uccidere l’altro uomo, il bambino che nasce, le idee, la personalità, o il carattere di un’altra persona (come quotidianamente accade nella lotta politica), pur di non cambiare, per affermare quello che ritiene il proprio interesse.

Trattando il tema della relazione tra uomini e donne Lei afferma che il bambino che nasce è una figura decisiva per lo sviluppo pieno dell’amore nella coppia. In che senso?
L’amore tra i due richiede sempre l’apertura ad un “terzo” per dispiegarsi completamente. Dal punto di vista trascendente si tratta, naturalmente, di Dio, che istituisce l’amore stesso, con il suo amore creativo, a cui occorre restare aperti, e rivolti. Nella dinamica della coppia il terzo è però anche il bambino (i bambini), e può estendersi ai figli simbolici della coppia: le idee, le iniziative, le opere.

Da quanto Lei dice nella sua opera il processo di secolarizzazione ha avuto un ruolo negativo nella relazione d’amore tra l’uomo e la donna, e in particolare sul matrimonio. Una domanda provocatoria: in un mondo senza Dio non è davvero possibile l’amore tra gli individui?
Il fatto è che, per fortuna, non basta negarlo, per fare sparire Dio. Molti atei fanno in realtà riferimento ad un principio superiore, di bene, che interiormente è vissuto come la personalità religiosa vive Dio.
Certo quando la negazione diventa sistemica, come è accaduto nei totalitarismi comunista e nazista, l’amore tra le persone tende a diventare problematico, e ad essere sostituito dall’obbedienza al Partito. Ciò continua ancora oggi, per certi versi, nelle sottoculture politiche che fanno riferimento a quelle realtà.

Secondo quanto Lei riporta nel libro La crisi del dono, molte donne, che diedero vita al movimento femminista negli anni ’70, si stanno oggi accorgendo della necessità di una rinnovata relazione tra uomo e donna. Non solo: anche il movimento degli uomini, presente in diverse forme anche in Italia, si sarebbe messo alla ricerca di una nuova visione. Quali sono i motivi di queste tendenze? E quali i possibili esiti?
Sia il disincanto femminista, che documento attraverso una serie di testi e posizioni note e autorevoli, sia il movimento degli uomini, cui ho sempre dedicato molta attenzione, sono realtà ormai affermatesi fin dagli anni ‘90. Per cui più che di tendenze parlerei di trasformazioni in corso da tempo, anche se meno visibili anche per via del prevalente silenzio loro riservato dalle comunicazioni di massa. Che preferiscono il mostro (o la star) in prima pagina, piuttosto che l’informazione sulla sottile e profonda trasformazione delle coscienze, inquietante anche per gli stessi operatori della comunicazione di massa, in gran parte devoti proprio a quella società secolarizzata del possesso, di cui appunto stiamo parlando.

In un suo precedente libro Felicità è donarsi. Contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro (Sperling & Kupfer, 2004) ha osservato che le principali vittime della società del possesso sono i giovani “costantemente impauriti dalla rappresentazione del mondo come penuria” sottolineata spesso dal sistema mediatico. Quali consigli darebbe a questi giovani, che non di rado esprimono le loro paure anche nei temi svolti nelle aule scolastiche?
“Non abbiate paura”, come non a caso hanno più volte ripetuto gli ultimi due Papi. La sete di possesso si nutre della cultura (assai diffusa anche in ambienti cattolici, perché d’“effetto”) che sottolinea il bisogno rispetto al dono, la penuria rispetto alle risorse, la paura rispetto alla fiducia, il malessere rispetto al piacere.
Gesù è grato e felice che il vaso con l’olio prezioso venga versato ai suoi piedi, è il dono che aumenta le nostre risorse, è spargere il vaso che ne assicura il continuo riempimento. Siate generosi: ogni piacere profondo comincia, e continua, nel dono.

Non mancano comunque i giovani che si impegnano con convinzione per difendere una visione della vita portatrice di rinnovamento, dignità e felicità. Basta pensare a tutti coloro che si danno da fare nell’ambito dei movimenti pro-life. A tutti questi giovani quale strada suggerisce per una migliore riuscita nei loro traguardi?
Mi sembrano già sulla strada, magari più di me! La difesa della vita è una strada, che sprigiona potenti forze di rinnovamento. Da nutrire sempre, con la devozione all’amore, ed alla bellezza.

*(Intervista a Claudio Risé, a cura di Antonello Vanni, da “Il Sussidiario”, 13 luglio 2009)

23 luglio 2009

Lo spaventapasseri e la vera catastrofe



Angelino Alfano e Joseph Cassano. Ovvero: lo spaventapasseri e la catastrofe, oppure, il fantasma degli idioti e la concretezza del vero male. Poi ci sono Giorgio e Laura. Parto da questi ultimi. Sono due lavoratori italiani (storie vere), licenziato il primo e cassintegrata con azienda in fallimento la seconda, padre separato lui e fidanzata lei. Laura è incinta di due settimane, lo avevano pianificato, ma ora il problema è duplice: manca il reddito sicuro e all’orizzonte sale lo spettro di una vita co.co.pro o peggio, visto che anche il compagno è precario. Questo getta su di lei l’ombra della decisione più tremenda: abortire? La depressione le sta annebbiando l’esistenza, nonostante i suoi 29 anni. Laura affronta oggi un naufragio di speranze prima ancora di averci potuto provare. Giorgio ha guai ancor più seri: un affitto e mezzo da pagare che non può più permettersi, e dunque la scelta forzata è la riunione sotto un unico tetto con l’ex moglie e la figlia. Ma ciò significa il ritorno nella stessa gabbia di due persone che si erano sbranate fino alla rottura, e già allora le conseguenze sulla piccola erano state pesantissime, fa pipì a letto e non parla più. Lo spettro di ulteriori traumi sull’innocente lo angoscia, così come assilla l’ex consorte. Vi si aggiunge la madre di lei che è allettata e necessita della badante, ora impossibile da mantenere. Ogni mattina Giorgio preferirebbe non svegliarsi più, ma a 42 anni è difficile che la natura gli doni quella via d’uscita. Vita e disperazione ordinarie in Italia oggi, sofferenze che scardinano vite umane, rispettivamente a Vicenza e a Rimini.

Angelino Alfano è l’uomo che ha tenuto Berlusconi fuori dalle corti di giustizia, finora. Male, bene, dipende dalle opinioni. Poi c’è Joseph Cassano. E’ l’uomo che ha distrutto la vita di Giorgio e di Laura, del vostro vicino di casa, o di un vostro ex compagno di scuola e dell’azienda in cui lavorava con altri 80 operai, oppure dell’artigiano sotto casa, della famiglia sfrattata ieri nel vostro palazzo, di vostro padre, la vostra forse, quella di moltissimi altri italiani, dei loro figli nel futuro, e assieme a queste vite ne ha distrutte altre che ancora persino devono nascere e che per decenni a venire pagheranno per colpa sua, qui, in Italia, nella vostra città, nella vostra borgata. Poi ci sono i centinaia di milioni di altri disperati, sparsi per il mondo, distrutti da Cassano, ma qui non ci interessano.

Antonio Di Pietro non sa neppure chi sia Joseph Cassano. Marco Travaglio meno che meno. Grillo? Zero, buio. Michele Santoro? Idem. Voi lo sapete? Di Pietro, Travaglio, Grillo e Santoro sanno però alla perfezione chi è Angelino Alfano, ve ne parlano a tamburo battente, strillano che è colui per colpa del quale “La Democrazia è in Pericolo in Italia”, e chiamano all’azione migliaia di italiani per fermarlo. Ora veniamo a Joseph.

Parto dal semplice per andare man mano verso il complesso. Joseph Cassano era il dipendente del gigante assicurativo americano AIG che da solo e in poco tempo ha innescato la più grave catastrofe finanziaria dal 1929, che oggi soffoca il mondo economico globale. Dal suo ufficio di Londra, costui ha orchestrato una truffa finanziaria di tale entità e di tale gravità da aver lacerato, con i suoi contraccolpi in crescita esponenziale, l’intero mantello produttivo del pianeta. Giorgio e Laura ne sanno qualcosa ora.

Cassano dirigeva un ufficio della AIG chiamato AIG Financial Products, sede londinese, con 377 dipendenti. Una inezia d’ufficio, se si pensa che AIG contava 150.000 assunti prima del crack. Ma a Joseph venne l’idea di scommettere qualcosa come 500 miliardi di dollari che non aveva, né li aveva la AIG, vendendo polizze assicurative sostanzialmente scoperte, cioè senza possedere il denaro per poterle eventualmente onorare. Tali polizze assicuravano le banche internazionali contro il rischio che i loro prestiti/mutui potessero rimanere scoperti, cosa che può accadere quando i titolari dei mutui/prestiti per svariati motivi dicono “non abbiamo più una lira da darvi”. In termini tecnici quelle polizze si chiamavano Credit Default Swaps. Cassano pensava: “Vuoi che tutte ste banche vengano tutte insieme a incassare le polizze tutte nello stesso periodo? Impossibile, per cui io intasco i loro soldi e se va male ne dovrò liquidare due o tre al massimo, cioè gli scoperti ordinari”. Joseph Cassano non fece a tempo a finire di pensare quella frase che praticamente tutte le banche del mondo da lui assicurate gli si presentarono in ufficio e gli dissero: “C’è stato un crack in America, qui i debitori non ci danno più un soldo, possiamo incassare le polizze signor Cassano?”. Panico. La AIG scopre così di avere un buco di 500 miliardi di dollari, le banche si ritrovano con scoperti per trilioni di dollari che nessuno gli ripagherà (1 trilione = mille miliardi di $), e cosa fanno? Chiudono i rubinetti del credito. Senza credito le aziende colano a picco, i mercati si fermano, l’economia crolla e i lavoratori pagano col 'sangue'. Ecco come Giorgio e Laura, a Vicenza e a Rimini, piangono oggi sulla rovina della loro vita e sul naufragio dei loro sogni. Tutto ciò avviene negli ultimi 2 anni.

Torniamo dall’inizio, e fate attenzione, perché la storia che segue vi mostra come lavorano i veri Padroni del Mondo, i veri attentatori alle vostre vite e i veri padroni di Silvio Berlusconi, cioè coloro che nessuno dei ‘paladini’ dell’Antisistema italiano si sogna di combattere, mentre vi fanno perdere tempo dietro a minuzie.

La catastrofe di cui sopra monta, esattamente come monta una tempesta tropicale, in anni non troppo lontani, cioè durante l’era Clinton (1993-2001), quando in America qualcuno pensa che la speculazione finanziaria può rendere molto di più se i governi la piantano di mettere i bastoni fra le ruote degli investitori. Ed è così che un drappello di politici sia repubblicani che democratici ottengono l’approvazione di una legge chiamata Gramm-Leach-Bliley Act, che liberalizza le transazioni finanziarie a scopo speculativo. Gli sponsor della legge sono il repubblicano Phil Gramm e i democratici Robert Rubin e Larry Summers, oggi consiglieri di Obama (sic), nonché Joe Biden, oggi vice-presidente (sic). Clinton la firmò nel 1999. Essa tagliava le ali a un’altra legge USA, la Glass-Steagall, che anni prima aveva voluto mettere un freno alla finanza selvaggia. Dietro le quinte, il lavoro delle lobbies bancarie e assicurative che avevano speso 350 milioni di dollari in finanziamenti ai politici giusti. A quel punto gli uomini di Wall St. e della City di Londra avevano briglia sciolta. Con l’aiuto dei migliori giovani matematici neolaureati, si misero a creare dei prodotti finanziari diabolici, astrusi, ma micidiali, che gli facevano guadagnare milioni di dollari in un battibaleno. Tali prodotti erano, e sono, così complessi che il Financial Times di Londra dovette incaricare Jillian Tet e il suo team di economisti di studiarli, cosa che li impegnò per anni prima di capirci qualcosa. Nel 2006 il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Calude Trichet, aveva già detto anch’egli testualmente “…non li riesco a capire”. Si trattava in maggioranza dei famosi Derivati, cioè prodotti finanziari il cui valore ‘deriva’, o meglio è garantito, dal valore di qualcos’altro. Esempio: vendono un prodotto finanziario a te in Italia dicendoti che ti renderà tot % all’anno. Tu gli dai i soldi, loro incassano, ma non ti dicono che quel prodotto è garantito dal mutuo di un altro tizio che sta a Chicago o a Bangkok, per esempio. Se il tizio di Chicago o di Bangkok paga le rate in regola tutto fila liscio, ma se per disgrazia smette di pagarle? I Derivati sono anche mille altre cose (come i Credit Default Swaps di cui sopra), ma sono sempre scommesse sul valore di qualcos’altro. Sono azzardi scellerati che oggi si sono sparsi per il mondo per un valore totale di… rullo di tamburi… 525.000 miliardi di dollari, tre volte il PIL mondiale, e questo grazie soprattutto al Gramm-Leach-Bliley Act di cui sopra.

Fra questi azzardi finanziari c’erano anche una colossale montagna di mutui dati agli americani senza tanti controlli, chiamati ‘sub-prime’, dati cioè a gente la cui posizione finanziaria era incerta ma che pensava di poter pagare le rate grazie al fatto che in America c’era una bolla immobiliare stupefacente in continua crescita. Cosa vuol dire? Vuol dire che John Smith lavoratore precario comprava una casa con un mutuo ‘sub-prime’ per 250.000 dollari, ma la casa nel giro di sei mesi aumentava di valore (bolla immobiliare) di 30.000 dollari, nel giro di un anno di 80.000, e via dicendo. Mr Smith poteva così sentirsi sicuro di poter ripagare il mutuo con facilità. Riassumendo: le banche USA davano via mutui come noccioline a chicchessia, i signori chicchessia sfruttavano la bolla immobiliare per ripagare i mutui e, attenzione ora, sapete cosa hanno pensato di fare le banche? Hanno pensato di impacchettare tutti questi mutui faciloni (sub-prime) e di vederli in giro per il mondo sotto forma di prodotti finanziari, cioè proprio quei prodotti Derivati di cui sopra (l’esempio di Chicago o Bangkok). Ma come tutte la bolle speculative, anche quella immobiliare americana scoppiò di colpo. Il mercato dell’immobile in America perse vertiginosamente 7 trilioni di dollari, di cui 1 trilione era stato sborsato dalle banche sotto forma di questi mutui scellerati. Eccoci all’AIG. Moltissimi debitori americani smisero di pagare le rate, la banche si trovarono con miliardi di dollari di scoperto, chi nel mondo (cittadini e banche come Unicredit) aveva comprato i derivati garantiti da quei mutui americani si trovò fregato, e quando le banche si rivolsero all’AIG per riscuotere le polizze fasulle di Joseph Cassano tutto andò in pezzi. Inclusa la vita di Giorgio e Laura.

Questa spirale disastrosa, pensate, sta costando all’intero sistema bancario americano e inglese la bancarotta. Cioè, in parole povere, con un buco che supera i 3.600 miliardi di dollari si può dire che i sistemi bancari di USA e GB siano in effetti falliti. Nella sola Inghilterra, una singola banca aveva uno scoperto per un ammontare superiore all’intero PIL nazionale. Le conseguenze nel mondo sono sotto gli occhi di tutti, e dritto in casa vostra oggi. Va fatta qui una prima riflessione: vi rendete conto che i giochi di una manciata di individui che distano dall’Italia migliaia di chilometri possono lacerare le vite degli italiani con una distruttività mille volte superiore a qualsiasi Lodo o processo berlusconiani? C’è qualcuno qui che vi sta mobilitando per difendervi? Nessuno. Perché? Perché a Di Pietro e a Travaglio non gliene frega un accidenti delle famiglie italiane vere, e del pericolo democratico che proviene da disastri del genere. Gli importa solo di quel nugolo di borghesi col deretano parato (dai genitori, spesso) che vanno a formare la maggioranza dei loro elettori/fans, e che fanno la loro fortuna politica/economica. Giorgio e Laura neppure li considerano.

Torniamo ai giochi finanziari scellerati. Gli istituti finanziari internazionali protagonisti di questi crimini facevano anche di peggio. Per esempio il cosiddetto ‘Banner Swapping’. La banca Tizio e la banca Caio si scambiavano 1 miliardo di dollari di Derivati, che come sappiamo avevano valore di carta straccia. Ma entrambe le banche scrivevano sui libri contabili che quello scambio era invece un incasso. Con un ‘incasso’ di 1 miliardo di dollari le azioni di quelle banche schizzavano in alto, e i manager si intascavano dei premi personali favolosi (i bonus). Il fatto poi che tutto questo fosse fasullo, veniva lasciato al futuro, chi se ne importa. Ma nel futuro ci sono le nostre vite di lavoratori, di cittadini, ci sono gente come Giorgio e Laura.

I bonus sono centrali per capire la filosofia politica che sta alla base non solo di questa catastrofe globale, ma anche di tutto il pensiero del Libero Mercato. Essa si riassume così: se io banca/investitore vinco intasco i profitti (i bonus ecc.), se perdo pagano i cittadini (gli Stati). E infatti oggi in tutto il mondo sono i contribuenti che stanno sborsando trilioni di dollari per salvare banche, banchieri, investitori e soci. Un dato: Obama sta elargendo quasi 3.000 miliardi di dollari al mondo finanziario in bancarotta, cioè ai Cassano d’America. Confrontate questo con i miseri 19 miliardi di dollari che il presidente USA ha garantito contro il fallimento della General Motors, dove chi lavora non sono yuppies rampanti con lo yacht a Malibù, ma gente vera con famiglie vere come Giorgio e Laura. Una logica scandalosa. Di fatto, essa si traduce in quelli che l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz ha chiamato “gli incentivi perversi” a scommettere col destino di milioni di lavoratori e di cittadini, poiché, ribadisce Stiglitz, i ricchi “intascano enormi profitti se le cose gli vanno bene, ma non pagano nulla se gli vanno male”, infatti chi paga siamo noi tutti. Un altro Nobel dell’economia, Paul Krugman, ha definito tale filosofia “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. E sapete come hanno fatto gli squali di Wall St. a ottenere questi indecenti favoritismi che noi tutti paghiamo? In due modi: primo, hanno elargito al buon presidente ‘progressista’ Barack Obama 38,6 milioni di dollari in campagna elettorale nel 2008; secondo gli hanno detto “poiché in questo disastro di Derivati nessuno ci capisce nulla a parte noi che li abbiamo creati, è meglio che non ci affondi, se no affondate tutti con noi”. Italiani inclusi.

E in Italia stanno accadendo cose simili. Perché anche da noi i vostri soldi stanno finendo nelle tasche degli scellerati, o di coloro che, per causa di questi criminali Padroni del Mondo, stanno oggi fallendo nella disperazione di migliaia di famiglie. Nel solo marzo del 2009, il governo di Roma ha stanziato 12,8 miliardi di euro per salvare il settore bancario e quello auto/elettrodomestici. Per darvi le proporzioni, è una cifra quasi identica a quella della finanziaria di quest’anno (13,1 miliardi), con la quale si sarebbe potuto aiutare tutt’Italia, incluso quel 38% delle famiglie italiane in difficoltà nella cui vita il lodo Alfano conta come un peto, e la cui capacità di partecipare alla vita democratica è distrutta quotidianamente dal perenne affanno per arrivare a fine mese.

Ma al peggio non c’è mai fine. Si è appena descritto in termini concreti uno degli agghiaccianti pericoli per le democrazie mondiali (già verificatosi) e per il welfare di milioni di cittadini, che costituisce, assieme a molto altro ahimè, la vera minaccia democratica a noi persone comuni, Italia inclusa, e di fronte a cui gli scandali strombazzati dai ‘paladini’ dell’Antisistema italiano sono minuzie. Viene dunque da chiedersi: cosa si sta facendo per combattere tali pericoli? Casa si è fatto? La risposta è disperante, e di nuovo è materia nascosta a quasi tutti voi e su cui i vostri ‘paladini’ tacciono. Durante l’ultimo G8 all’Aquila, sono state annunciate misure per ridare ordine alla finanza internazionale. Sono palliativi cosmetici. Nella realtà accade questo: il governo americano, che è quello che conta, ha chiamato per ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi infami che l’hanno creata. Invece di punire gli scellerati investitori, invece di fargli perdere ciò che avevano scommesso sulla nostra pelle, invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner hanno offerto agli Hedge Funds (il peggio degli scellerati di Wall St.) e ad altri gruppi di investitori selvaggi una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite, e cioè quei famosi Derivati carta straccia che anche noi abbiamo comprato. E’ l’ennesima truffa che ci distruggerà il futuro, a New York come a Teramo. Funziona così, e cerco di farla semplice: questi investitori hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se i Derivati che comprano dalle banche asfissiate ritorneranno a guadagnare, gli investitori sopraccitati si intascheranno i profitti; se invece rimarranno carta straccia, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA (cioè i contribuenti) e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano Non-Recourse Loans). Forse è difficile da capire, ma fidatevi, è così, è il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”.

Ciò che più importa, però, è che in tale modo si è ricreata una vera Cupola mondiale di investitori privati collusi col governo più potente del mondo, di fatto una colossale impresa zeppa all’inverosimile di questi prodotti finanziari esplosivi, che se esplode di nuovo ci trascinerà tutti in un abisso mai visto nella Storia dell’economia. Di nuovo, al timone di questo ordigno nucleare della finanza impazzita ci sono gli stessi personaggi che hanno causato il presente disastro economico planetario (Summers, Rubin, Liddy ecc.), perché sono gli unici che ne capiscono qualcosa. Noi, i cittadini, e pure i nostri politici, ne siamo esclusi del tutto, anche se le conseguenze di un eventuale nuovo crack, lo ripeto, le pagheremo noi, i nostri figli, il nostro futuro, in ogni singolo atto della nostra vita di comunità, e col ‘sangue’. Per tali motivi, quanto è già accaduto e qui descritto, e quanto sta accadendo, sono la vera minaccia alla democrazia che pende sui nostri capi oggi. Una minaccia agghiacciante, poiché la Storia ci insegna che nulla indebolisce la democrazia dei cittadini come il terrore economico, di cui i Padroni del Mondo sempre approfittano per ledere i nostri diritti. Ne capite la gravità? Capite perché la Società Civile Organizzata italiana, oggi ipnotizzata dai nostri falsi ‘paladini’, dovrebbe accantonare Alfano e occuparsi con ogni sua forza di Cassano? Quando la democrazia è alla fase terminale, esistono priorità urgenti, e gli sbraiti di Grillo, i libri fotocopia di Travaglio e le idiozie per mezzo stampa di Di Pietro non lo sono. L’ossessione contro Berlusconi oggi non lo è. Anzi, ci distraggono dal salvarci la vita.

Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info

21 luglio 2009

Il rapporto su «Piombo Fuso»: «A Gaza l’ordine era uccidere»

Le denunce raccolte in un rapporto di una ong israeliana per i diritti umani. I racconti di alcuni soldati: l’ordine era «se non sei sicuro, spara». La replica dei vertici di Tsahal: sono testimonianze «anonime e generiche».

Sparare senza preoccuparsi della sorte dei civili palestinesi: questa era la prassi seguita dall’esercito israeliano a Gaza durante l’operazione «piombo fuso», che dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio scorso ha provocato circa 1.300 morti, secondo le testimonianze di una trentina di soldati, che hanno partecipato alle operazioni di guerra, raccolte da «Breaking the silence», un’organizzazione composta da ex militari che si batte per il rispetto dei diritti umani. Il rapporto è composto da 112 pagine e raccoglie le testimonianze anche video di uomini «coinvolti nelle operazioni a ogni livello».
ROMPERE IL SILENZIO
Dalle testimonianze, raccolte dall’organizzazione non governativa israeliana (breakingthesilence.org.il) risulta chiaramente che era meglio colpire un innocente che attardarsi a individuare il nemico, perché la regola era «prima sparare e poi preoccuparsi». Un piano basato sull’imperativo di ridurre al minimo le perdite israeliane, avanzando sempre ad armi spianate. Secondo le testimonianze, l’ordine era: «Se non sei sicuro, spara». Il fuoco, racconta un soldato, «era dissennato, appena raggiunta la nostra nuova postazione cominciavamo a sparare contro tutti gli obiettivi sospetti». Perché, come dicevano i capi, «in guerra sono tutti tuoi nemici, non ci sono innocenti». Il rapporto della ong, finanziato da gruppi di attivisti per i diritti umani israeliani e dai governi di Spagna, Gran Bretagna, Olanda e dall’Ue, parla di «civili usati come scudi umani, costretti a entrare in siti sospetti davanti ai soldati che usavano la loro spalla per tenere il fucile puntato».
Secondo Mikhael Mankin, di Breaking the Silence, «le testimonianze provano che il modo immorale in cui la guerra è stata condotta era dovuto al sistema in vigore e non al comportamento individuale di soldati». «Si è dimostrato - continua - che le eccezioni in seno alle forze armate sono divenute la norma e ciò richiede una profonda riflessione e una seria discussione. Questo è un urgente appello alla società israeliana e alla sua dirigenza a guardare sobriamente alla follia delle nostre politiche». Nel dossier si ripetono, inoltre, le accuse sull’uso indiscriminato di armi al fosforo bianco nelle strade di Gaza da parte dell’Esercito dello Stato ebraico e si parla di «distruzioni totali non collegate a nessuna minaccia concreta per le forze israeliane», oltre che di «permissive» regole d’ingaggio. «Non siamo stati istruiti a sparare a ogni cosa che si muovesse - ha dichiarato un altro soldato - ma ci dicevano: «Se vi sentite minacciati sparate». Secondo uno dei testimoni citati dal rapporto, «l’obiettivo era terminare la missione con il minor numero possibile di perdite per l’Esercito senza chiedersi quale sarebbe stato il prezzo pagato dagli altri (i palestinesi ndr)». «Meglio colpire un innocente che esitare a sparare a un nemico», era l’ordine impartito dai vertici di Tsahal, secondo un’altra confessione pubblicata nel dossier di «Breaking the silence».
Barak: criticate me
In una minuziosa risposta alla denuncia, il portavoce militare israeliano, dopo aver ricordato che l’operazione Piombo Fuso fu lanciata in risposta a otto anni di tiri di razzi sulla popolazione civile nel sud di Israele, ha accusato l’ong di aver redatto un rapporto basato su «testimonianze anonime e generiche». L’ong, afferma il portavoce, «non ha avuto la decenza di presentare il rapporto alle forze armate e non ha permesso di investigare le testimonianze prima della sua pubblicazione pur continuando a diffamare le forze armate e i suoi ufficiali». Il portavoce militare sottolinea l’assenza «di ogni elemento atto a identificare gli autori delle testimonianze, il loro grado e la loro posizione al momento degli incidenti denunciati, l’unità di appartenenza, il modo in cui le testimonianze sono state raccolte e come la credibilità delle testimonianze sia stata verificata». «Le critiche rivolte alle forze di sicurezza israeliane da questo o quel gruppo sono inappropriate», taglia corto il ministro della Difesa Ehud Barak. «L’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr) sono uno degli eserciti che meglio rispettano l’etica al mondo e agiscono nel rispetto di alti valori morali. Ogni critica alle operazioni delle forze di sicurezza - aggiunge Barak - dovrebbe essere rivolta a me, in quanto ministro della Difesa israeliano».

20 luglio 2009

L'Unto del signore

Dobbiamo a un giornalista, Ferruccio Pinotti (che, negli anni scorsi, ha già pubblicato inchieste importanti come Poteri forti - 2005 -,Opus Dei segreta - 2006 - Fratelli d'Italia - 2007 - e Olocausto bianco - 2008 -) di aver scritto, insieme con il giornalista tedesco Udo Gumpel, per Rizzoli, un libro intitolato L'unto del signore (pp.300,11 euro) che rappresenta uno dei lavori più informati e interessanti sulla carriera di Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio in Italia, e sui suoi rapporti, stretti e intensi, con il Vaticano, con il Papa e con le alte gerarchie della Chiesa cattolica. L'ho letto con particolare attenzione. Ora desidero parlarne nel mio blog e mi riprometto, se mi sarà possibile, parlarne nella stampa italiana, probabilmente in quella on-line che è sicuramente più libera di quella che appare nelle edicole, e di parlarne adeguatamente perché gli italiani sappiano

(almeno quelli che riusciremo a raggiungere) del pactum sceleris -direbbero i latini - che lega da molti anni il leader del Popolo della Libertà con l'istituzione ecclesiastica, non con i cattolici italiani, tanti dei quali sono oggi, e magari da tempo, all'opposizione del suo governo e, in ogni caso, non immaginano nemmeno natura e obbiettivi di quel patto di potere. Silvio Berlusconi, già durante gli anni universitari, frequenta la residenza universitaria Torrescalla, un collegio dell'Opus Dei, e qui incontra quello che diventerà il suo più stretto collaboratore, il dottor, oggi senatore, Marcello Dell'Utri. Il quale ha raccontato: "A presentarmi Silvio Berlusconi fu il direttore della residenza universitaria di Palermo. Segesta, Bruno Padula, oggi vicario della Pelatura dell'Opus Dei in Sicilia." E, anche se Berlusconi è vicino alla laurea mentre Marcello è una matricola, tra i due si sviluppa un'immediata simpatia e quindi un sodalizio destinato a durare tutta la vita (p.15-16).

La carriera imprenditoriale di Silvio, che Pinotti ripercorre analiticamente prima di parlare del patto con il Vaticano , è assai veloce. Grazie a un prestito concesso dalla Banca Rasini, di cui il padre Luigi è direttore, Berlusconi fonda con Pietro Canali, la Cantieri Riuniti Milanesi e costruisce quattro palazzine per gli immigrati in via Alciati alla periferia di Milano.

Quindi nel 1963 fonda la Edilnord Sas, di cui è socio di opera. I capitali li fornisce la Finanzierunggesellschaft fur Residenten Ag di Lugano. La società costruisce un complesso di quattromila appartamenti a Brugherio, vicino Milano. E offre a Marcello Dell'Utri un lavoro come segretario del presidente dal 1964 al 1965. Tre anni dopo, nel 1968, per costruire Milano 2, Berlusconi fonda un'altra società La Edilnord Centri Residenziali. I capitali vengono da un'altra società svizzera Aktiengesellshaft fur Immobilienlagen in Residezzentren AG, una società rappresentata come la svizzera precedente, da Renzo Rezzonico. Proprio, in quel periodo, Berlusconi inizia a frequentare il mondo cattolico che conta. Del resto la Banca Rasini è un terminale forte della finanza vaticana. Dai documenti presenti nelle inchieste giudiziarie che lo hanno riguardato, ma anche in quelle giornalistiche che ne hanno seguito il percorso, emerge con chiarezza che la Rasini non era solo la banca nella quale lavorava il padre di Silvio ma anche l'istituto che finanziò i suoi inizi imprenditoriali negli anni sessanta e con l'aiuto del quale nacque, nella seconda metà degli anni settanta, la complessa costruzione societaria delle holding che detenevano il controllo della Fininvest.

"Vale a dire - raccontano Pinotti e Gumpel - 23 Srl, fondate nel 1978, intestate per il 90 per cento a Nicla Crocitto, un'anziana casalinga abitante a Milano 2 e per il 10 per cento al marito Armando Minna, già sindaco della Banca Rasini. Alla fine dell'anno escono di scena i due coniugi e subentrano due fiduciarie, Saf e Parmasid. In poco tempo il capitale sociale della Fininvest è quasi interamente controllato da questo opaco sistema di scatole cinesi, dietro cui il nome di Silvio scompare. Tra il 1978 e il 1983 nelle holding fluisce un fiume di denaro di provenienza non sempre verificabile attraverso la documentazione bancaria. "Da verbali che provengono dagli atti del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri emerge: "Da tabulati rinvenuti presso gli archivi della Banca Rasini si è rilevato che le denominazioni sociali delle holding "dalla prima alla ventiduesima" venivano censite come "servizi di parruccheria ed istituti di bellezza". Inoltre si veniva a conoscenza che le holding non erano solamente ventidue ma "trentotto" come peraltro riscontrato nelle schede di censimento." A queste si aggiungono altre cinque società, denominate Hodfin, nonché una società denominata Holding Elite.

"Quasi tutte le holding - commentano gli autori - cessavano i propri rapporti di conto corrente con la Rasini pochi mesi dopo il blitz antimafia del 14 febbraio 1983." (p.21) La Banca Rasini alla metà degli anni cinquanta era composta, per quanto riguarda la composizione societaria, quasi esclusivamente da milanesi (tra cui Carlo e Gian Angelo Rasini) eccetto il siciliano Giuseppe Azzaretto. Successivamente, negli anni sessanta e settanta, cresce il ruolo dei soci siciliani, rappresentati anche dal figlio di Azzaretto, Dario. Giuseppe Azzaretto, nato nel 1909 a Misilmeri, piccola frazione nell'hinterland di Palermo, può contare nella sua carriera imprenditoriale di forti appoggi della Santa Sede. Appartiene - ricorda Pinotti - ai potenti Cavalieri dell'Ordine di Malta e ai Cavalieri del Santo Sepolcro che hanno visto tra i propri adepti personaggi come Licio Gelli e Umberto Ortolani. In effetti, appena acquistarono il controllo della Banca Rasini il presidente dell'Istituto divenne Carlo Nasali Rocca di Corneliano, Cavaliere di Malta e fratello del cardinale Mario Nasali Rocca.

La baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, a lungo cliente privilegiata della Banca Rasini, in una lettera a Max Parisi del giornale "La Padania" scrive già nel 1998 che la Banca "formalmente era intestata alla famiglia Azzaretto ma nella realtà la Banca era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto era all'epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente (...) che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera." (p.23) Pinotti e Gumpel fanno seguire a questa importante testimonianza un lungo racconto sui particolari di quei rapporti e ricordano che, tra il 1983 e il 1984, la Banca entra nel controllo azionario dei Rovelli, una famiglia di imprenditori legata all'uomo politico siciliano e implicato nello scandalo Imi-Sir e concludono: "La Banca Rasini, dunque, sembra essere un vero e proprio feudo andreottiano e della finanza vaticana."(p.28)

Infine, tra il 1991 e il 1992, la Banca viene acquisita da un altro istituto noto: la Banca Popolare di Lodi che sarà protagonista, sotto la guida di Gianpiero Fiorani, di uno scandalo più recente di enormi proporzioni. A questo punto i due autori riportano parte di una testimonianza di Ezio Cartotto, l'ex dirigente democristiano che ha vissuto gli anni dell'esordio politico a fianco di Berlusconi. Nei vari incontri con Pinotti e Gumpel, Cartotto ha detto cose assai interessanti: "Ho sentito parlare dell'idea di Berlusconi di scendere in campo nel 1992, dopo le stragi, ma l'elaborazione era in effetti iniziata già prima. Personalmente ritenevo che la situazione italiana fosse destinata a cambiare radicalmente, tanto che nel 1991, prima delle stragi, ne avevo parlato con Arnaldo Forlani: già allora nell'aria c'era un'idea di rinnovamento." (p.113)

Continua Cartotto: "Con Dell'Utri ci siamo incontrati nel 1992, dopo la morte di Salvo Lima. Era un fatto grosso: chiunque abbia visto i funerali e la faccia di Andreotti in quell'occasione, aveva potuto rendersene conto. Era come se gli fosse caduto un masso addosso, era impetrito, una statua, distrutto. La classe politica era in fibrillazione. De Mita stava per dare mano libera ai suoi perché votassero Andreotti alla presidenza della repubblica, ma Falcone fu ucciso e allora Craxi stesso propose l'elezione di Scalfaro, dicendo: " E' stato mio ministro per cinque anni, è una persona per bene di cui ci si può fidare." Ma poi Scalfaro non chiama Craxi a formare il governo perché nel frattempo Bettino a Milano ha ricevuto un avviso di garanzia. Una sequenza di fatti che ha cambiato l'Italia." (p.114) Il progetto del partito di Berlusconi, insomma, nato tra il 1991 e il 1992, si concretizza nel 1993, in vista delle elezioni politiche del 1994. Secondo i magistrati di Palermo, Dell'Utri in quella fase - ricordano gli autori, è "il referente privilegiato di Cosa Nostra ancora prima della nascita della nuova formazione politica."(p.115). Secondo la lunga testimonianza di Cartotto, che non è stata mai smentita finora, Berlusconi tramite Gianni Letta, ex uomo e a lungo di Andreotti e il cardinale Bertone, segretario di Stato, è vicino all'attuale pontefice Joseph Ratzinger. Conta inoltre di rafforzare i rapporti con il Vaticano l'amicizia che il leader del Popolo della Libertà ha da molti anni con Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere attraverso Roberto Formigoni che potrebbe essere alla fine il suo erede politico. Il libro di Pinotti e Gumpel, nella seconda parte, riporta a ragione una serie di testimonianze di uomini della Chiesa cattolica, da don Vinicio Albanesi a don Albino Bazzotto, al vaticanista Giancarlo Zizola che sono, non da oggi, critici sull'intesa tra il Vaticano e Berlusconi e ne mettono in luce con chiarezza i veri obbiettivi di potere e di scambio di denaro che li caratterizzano dall'inizio ma che non hanno la forza di mettere in crisi l'accordo di vertice che dura ormai da più di quindici anni.

Un principio fondamentale della nostra costituzione, come la laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche, è stato scambiato dalla classe politica di governo (e da parte della opposizione) per ottenere l'appoggio politico e culturale del papato e delle alte gerarchie cattoliche. Oggi non esiste più e lo si vede con una legislazione sulle coppie di fatto, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico che non è degna di un paese moderno e civile. Se, nel nostro paese, esistesse una grande stampa libera e ci fossero canali televisivi indipendenti, l'intesa sarebbe stata da tempo denunciata e analizzata a fondo e, probabilmente, sarebbe entrata in crisi. Ma, con l'attuale situazione dei mass media, gran parte degli italiani non sa ancora nulla dei corposi retroscena dell'accordo e delle sue effettive motivazioni e non è in grado di respingere la propaganda ossessiva che le due parti, il Vaticano, da una parte, e il governo Berlusconi, dall'altra, fanno per nascondere la verità e andare avanti come nel passato. Per riassumere i risultati della ricerca sul percorso di Berlusconi e la sua politica che dura ormai da quasi vent'anni nel nostro paese è necessario sottolineare due punti, di solito assenti o secondari nella letteratura storica esistente. In primo luogo l'aiuto della finanza vaticana e di uomini politici legati al Vaticano come Giulio Andreotti che sono stati dall'inizio importanti per l'ascesa economica e poi politica dell'attuale presidente del Consiglio e leader del centro-destra. I suoi rapporti con le associazioni mafiose, come quelli del Vaticano, rimontano agli anni sessanta e settanta. Marcello Dell'Utri è stato, con ogni probabilità, il tramite principale di questi rapporti.

31 luglio 2009

C'è un tesoretto segreto per i deputati


Ci sono mille modi per sprecare soldi: regalandoli a destra e a manca con prodigalità sospetta, buttandoli dalla finestra per il solo gusto di vederli volare, non volendoli risparmiare per principio, comprando cose inutili, conducendo un tenore di vita superiore alle proprie risorse... Quando di mezzo ci sono soldi pubblici il metodo più semplice è pretenderne tanti sapendo che sono troppi e poi utilizzarne pochi con l’intenzione di mettere la differenza al «pizzo», come dicono a Roma. Alla Camera dei deputati si sono specializzati proprio in questo sistema: da anni battono cassa al Tesoro chiedendo e prendendo 10 per poi spendere 7 e mettere 3 da parte. Qualche volta chiedono 9 e poi si atteggiano a Quintino Sella del Terzo millennio; in realtà è come se continuassero a sprecare 2, perché potrebbero fin da principio rivendicare il giusto senza giochetti. Qualche giorno fa, per esempio, è stata diffusa la notizia che per tre anni la Camera non chiederà un incremento della propria dotazione allo Stato e qualcuno ha salutato il fatto come un esempio di rigore, per una volta proveniente dall’alto. Ma è un abbaglio perché i soldi richiesti da Montecitorio restano ugualmente e strutturalmente in eccesso rispetto alle spese preventivate, che non sono né poche né oculate, anzi. Nonostante la crisi, i parlamentari non hanno perso il vizio di non farsi mancare nulla. E i cospicui avanzi di cassa portati a bilancio non sono frutto di parsimonia, ma di un artificio contabile giocato sulla differenza tra bilancio di cassa e di competenza. La riprova è data dal fatto che le spese vere non diminuiscono, ma crescono anno dopo anno: dell’1,5 per cento nel 2008 e dell’1,3 nel 2009 secondo il bilancio di previsione. Senza rinunciare a quasi nessuno dei privilegi che si sono autoconcessi, i deputati nel corso degli anni hanno messo da parte un fondo cassa che non è uno scherzo, un tesoretto di oltre 343 milioni di euro a fine 2008, così come risulta dal conto consuntivo approvato due settimane fa, salito già a 370 milioni a luglio 2009 e quindi pari a più di un terzo dei- l’intera dotazione annuale di Montecitorio, che nel 2008 è stata di 978 milioni. Una dotazione particolarmente ricca e calcolata in modo assai singolare. Dal momento che i deputati sono 630, il doppio dei senatori, e i dipendenti pure (1.800 circa contro i 990 del Senato dopo gli ultimi pensionamenti di luglio), e poiché il Senato ha un bilancio di circa 500 milioni, alla Camera, sostengono i deputati, deve essere erogata una dotazione doppia. Senza considerare, però, che molte spese fisse risultano praticamente identiche dall’una e dall’altra parte. L’aula in cui si vota, per esempio, è una in entrambe le camere, così come il numero delle leggi approvate è ovviamente lo stesso, e le commissioni idem, e via di questo passo. Anche per la Camera dovrebbe valere il principio elementare delle economie di scala, ma forse a Montecitorio le leggi dell’economia valgono a corrente alternata. Ogni volta che si accingono a redigere un nuovo bilancio i deputati questori partono in pratica con un abbuono ricco e quindi se volessero potrebbero davvero offrire il buon esempio all’inclita e al vulgo chiedendo al Tesoro una dotazione ridotta rispetto alla solita. Potrebbero fare il bel gesto invitando il ministro Giulio Tremonti a utilizzare per qualche buona causa più urgente la differenza, una volta tanto ottenendo l’applauso sincero di chi li ha votati. Potrebbero, magari, indirizzare quel surplus ai terremotati dell’Abruzzo; i terremotati, però, non pagano gli interessi, le banche sì: circa 15,4 milioni di curo nel 2008 su depositi e conti correnti della Camera. Ma perché mai a Montecitorio insistono con il trucchetto di succhiare tanto per spendere meno? Che senso ha? Quel di più probabilmente è richiesto per affrontare gli imprevisti, oltre che per lucrare gli interessi. In primo luogo le temutissime interruzioni di legislatura. Quando capitano, e in Italia purtroppo capitano abbastanza spesso, per le camere è un trauma, non solo perché è come se ai peones di Montecitorio e Palazzo Madama franasse il terreno sotto i piedi, ma anche da un punto di vista economico. La fine repentina della legislatura costa un sacco di soldi, dalle spese minime, come quelle per l’imballaggio delle carte dei parlamentari decaduti, al- l’imbiancatura degli uffici per i nuovi arrivati, dalle buonuscite per chi deve dire addio al Palazzo al numero delle pensioni che ovviamente cresce. Le pensioni risultano proprio uno dei capitoli di spesa più cospicui di Montecitorio, 175 milioni circa, anche perché sono concesse con criteri decisamente più generosi rispetto a quelli richiesti ai comuni mortali. Se, per esempio, ai dipendenti normali servono almeno 36 anni di contributi, ai deputati ne bastano 5, un settimo, per un vitalizio baby di tutto rispetto: 3.300 euro. E poi fra gli imprevisti ci può stare anche l’aumento delle indennità. È vero che deputati e senatori hanno giurato che non avrebbero votato aumenti fino alla fine della legislatura, ma di mezzo c’è la crisi: chi potrebbe giurare che, passata la tempesta, a Montecitorio e a Palazzo Madama non tornino subito a far festa con un ritocchino? Perché nel frattempo nessuno si impegna sul serio nel disboscamento della fitta giungla di privilegi parlamentari grandi e piccoli. Dal telefono ai viaggi gratis, dai 4 mila euro al mese per le spese di soggiorno agli altri 4.190 per la cura dei «rapporti con il proprio collegio di appartenenza», ottenuti a titolo di rimborso, sia che quelle spese ci siano state o no, a prescindere, come avrebbe detto Totò, dal momento che non sono richieste ricevute o pezze d’appoggio. I quattrini vengono erogati sulla fiducia, e forse è anche per questo che chi li prende viene chiamato onorevole. Qualche giorno fa la deputata radicale Rita Bernardini ha cercato di correggere l’andazzo: la sua proposta è stata approvata da 49 deputati e respinta da 428. Una maggioranza schiacciante, per una volta bipartisan.
di Daniele Martini

Omicidio di massa?




Con l’avvicinarsi della data prevista per la distribuzione del vaccino anti virus influenzale pandemico A/H1N1 della Baxter, una giornalista investigativa austriaca avvisa il mondo che sta per essere commesso il più grande crimine della storia dell’umanità. Jane Burgermeister ha recentemente sporto denuncia presso l’FBI contro l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le Nazioni Unite (ONU) e molti dei funzionari di più alto rango di governi e società in merito al bioterrorismo e ai tentativi di provocare massacri. Ha inoltre preparato un’ingiunzione contro l’obbligo di vaccinazione, che è stata presentata in America. Queste azioni seguono le accuse che ha lei stessa presentato lo scorso aprile contro la Baxter AG e l’austriaca Avir Green Hills Biotechnology per aver prodotto un vaccino contaminato contro l’influenza aviaria, sostenendo che sia stata un’azione intenzionale per causare una pandemia e trarne profitto.

Riassunto delle accuse e allegazioni presentate all’FBI in Austria il 10 giugno 2009

Nelle sue accuse la Burgermeister presenta prove di atti di bioterrorismo, ossia in violazione della legge degli USA, da parte di un gruppo operante all’interno degli USA secondo le direttive di banchieri internazionali che controllano la Federal Reserve, come pure l’OMS, l’ONU e la NATO. Tale bioterrorismo è finalizzato a provocare un genocidio di massa contro la popolazione statunitense mediante l’uso del virus della pandemia influenzale geneticamente ingegnerizzato con l’intento di causare la morte. Questo gruppo si è impossessato di alti uffici governativi negli USA. In modo specifico vengono portate le prove che gli imputati come Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, David Tabarro, coordinatore ONU per l’influenza umana e aviaria, Margaret Chan, direttore generale dell’OMS, Kathleen Sibelius, segretario alla salute e ai servizi sociali, Janet Napolitano, segretario del dipartimento di sicurezza nazionale, David de Rotschild, banchiere, David Rockefeller, banchiere, George Soros, banchiere, Werner Faymann, cancelliere austriaco, e Alois Stoger, ministro della sanità austriaco, ed altri fanno parte di questo gruppo criminale internazionale che ha sviluppato, prodotto, accumulato ed utilizzato armi biologiche per eliminare la popolazione degli USA e di altri paesi per motivi economici e politici.

I capi d’accusa sostengono che questi imputati abbiano cospirato tra loro e con altri per ideare e finanziare, nonché partecipare alla fase finale dell’attuazione di un programma internazionale segreto di armi biologiche, che avrebbe coinvolto le società farmaceutiche Baxter e Novartis. Hanno fatto questo bioingegnerizzando e poi distribuendo agenti biologici letali, specificamente il virus dell’influenza “aviaria” e il “virus dell’influenza suina” per avere il pretesto di attuare un programma di vaccinazione obbligatoria di massa che sarebbe stato il mezzo per poter somministrare un agente biologico tossico per provocare la morte e altre lesioni alla popolazione degli Stati Uniti. Quest’azione è in diretta violazione del Biological Weapons Anti-terrorism Act.

Le accuse mosse dalla Burgermeister comprendono le prove che la Baxter AG, la sussidiaria austriaca della Baxter International, ha deliberatamente fatto uscire 72 chili di virus vivo dell’influenza aviaria, fornito dall’OMS durante l’inverno del 2009 a 16 laboratori in quattro paesi. Sostiene che ciò offra una chiara prova che le società farmaceutiche e le stesse agenzie governative internazionali sono attivamente impegnate nella produzione, nello sviluppo, nella fabbricazione e nella distribuzione di agenti biologici classificati come le più letali armi biologiche sulla terra al fine di provocare una pandemia e causare una strage.

Nei capi d’accusa di aprile, ha notato che il laboratorio della Baxter in Austria, uno dei presunti laboratori di biosicurezza più sicuri al mondo, non ha rispettato le norme più basilari ed essenziali per la conservazione dei 72 chili della sostanza patogena classificata come arma biologica in modo sicuro separandola da tutte le altre sostanze secondo le rigorose regolamentazioni del livello di biosicurezza, ma ha lasciato che venisse mischiata con il virus dell’influenza comune e l’ha inviata dai suoi stabilimenti di Orth nel Donau.

A febbraio quando un membro dello staff al BioTest nella Repubblica Ceca ha testato su dei furetti il materiale destinato ai vaccini candidati, i furetti sono morti. Questo incidente non è stato seguito da alcuna investigazione da parte dell’OMS, né dell’UE o delle autorità sanitarie austriache. Non c’è stata alcuna indagine sul contenuto del materiale virale, e non vi è alcun dato sulla sequenza genetica del virus messo in circolazione.

In risposta alle domande del parlamento il 20 maggio Alois Stoger, ministro della sanità austriaco ha rivelato che l’incidente non era stato trattato come un errore di biosicurezza, come avrebbe dovuto essere, ma come un’infrazione del codice veterinario. È stato mandato un medico veterinario al laboratorio per una breve ispezione.

Il dossier della Burgermeister rivela che la messa in circolazione del virus sarebbe stata un passo essenziale per provocare una pandemia che avrebbe permesso all’OMS di dichiarare una pandemia di livello 6. Elenca le leggi e i decreti che avrebbero permesso all’ONU e all’OMS di prendere il controllo degli Stati Uniti nel caso di una pandemia. Sarebbero inoltre entrate in vigore leggi che richiedono di osservare l’obbligo di vaccinazione negli Stati Uniti in condizioni di pandemia dichiarata.

La Burgermeister sostiene che l’intera questione della pandemia di “influenza suina” si poggia su un’enorme menzogna e che non esista virus in natura che rappresenti una minaccia per la popolazione. Porta le prove che inducono a credere che sia l’influenza aviaria che l’influenza suina siano state in effetti bioingegnerizzate in laboratorio usando i finanziamenti forniti dall’OMS e da altre agenzie governative, insieme ad altri. Questa “influenza suina” è un ibrido in parte dell’influenza suina, in parte dell’influenza umana e in parte dell’influenza aviaria, una cosa che può solo venire da un laboratorio secondo molti esperti.
L’asserzione dell’OMS che l’“influenza suina” si sta diffondendo e che deve essere dichiarata la pandemia ignora le cause fondamentali. I virus che sono stati messi in circolazione sono stati creati e messi in circolazione con l’aiuto dell’OMS, e l’OMS è enormemente responsabile della pandemia in primis. In aggiunta i sintomi della presunta “influenza suina” sono indistinguibili da quelli della comune influenza e del raffreddore. L’“influenza suina” non provoca la morte più spesso di quanto faccia la comune influenza.

[La Burgermeister] nota che i dati relativi ai decessi registrati per l’“influenza suina” non sono coerenti e che non c’è chiarezza in merito a come è stato documentato il numero dei “decessi”.

Non c’è potenziale per una pandemia a meno che non vengano effettuate vaccinazioni in massa per usare l’influenza come un’arma con il pretesto di proteggere la popolazione. Esistono motivi ragionevoli per credere che i vaccini obbligatori saranno contaminati deliberatamente con malattie che sono progettate specificamente per provocare la morte.

Viene fatto riferimento ad un vaccino approvato della Novartis contro l’influenza aviaria che ha ucciso 21 persone senza tetto in Polonia durante l’estate del 2008 e che aveva come “misura primaria di outcome” un “tasso di eventi avverso”, rientrando pertanto nella definizione di arma biologica dello stesso governo statunitense (un agente biologico progettato per causare un tasso di eventi avversi, ossia morte o lesioni gravi) con un delivery system[1] (iniezione). [la Burgermeister] sostiene che il medesimo complesso di società farmaceutiche internazionali e di agenzie governative internazionali che hanno sviluppato e messo in circolazione il materiale della pandemia abbia tratto profitto dall’aver causato la pandemia mediante contratti per la fornitura dei vaccini. I media controllati dal gruppo che sta ingegnerizzando l’intero ordine del giorno dell’ “influenza suina” sta diffondendo notizie false per convincere la popolazione degli Stati Uniti a sottoporsi alle pericolose vaccinazioni.

I cittadini degli USA subiranno danni e lesioni sostanziali ed irreparabili se verranno obbligati a sottoporsi a questa vaccinazione [di efficacia] non provata senza il loro consenso secondo il Model State Emergency Health Powers Act, il Natonal Emergency Act, la National Security Presidential Directive/NSPD 51, la Homeland Security Presidential Directive/HSPD-20, e l’International Partnership on Avian and Pandemic Influenza.

La Burgermeister accusa coloro che sono menzionati nelle sue allegazioni di aver attuato e/o accelerato a partire dal 2008 negli USA l’implementazione di leggi e regolamentazioni ideate per togliere ai cittadini statunitensi i loro legittimi diritti costituzionali di rifiutare un’iniezione. Queste persone hanno creato disposizioni o hanno lasciato in essere disposizioni tali da rendere criminale il rifiuto di un’iniezione contro i virus pandemici. Hanno imposto altre sanzioni eccessive e crudeli come l’imprigionamento e/o la quarantena nei campi FEMA impedendo al tempo stesso ai cittadini americani di presentare domanda di risarcimento per lesioni o morte causati dalle iniezioni forzate. Questo viola le leggi che disciplinano la corruzione federale e l’abuso di ufficio, come pure [quelle] della costituzione e della Bill of Rights. Attraverso queste azioni, gli accusati citati hanno gettato le basi di un genocidio di massa.

Usando l’ “influenza suina” come pretesto, gli accusati hanno prepianificato la strage della popolazione statunitense per mezzo della vaccinazione forzata. Hanno installato una rete estesa di campi di concentrazione FEMA nonché identificato siti per tumulazioni di massa, e sono stati coinvolti nell’ideazione e nell’attuazione di uno schema per consegnare il potere in tutta America ad un sindacato criminale internazionale che usa l’ONU e l’OMS come una facciata per coprire le attività criminali organizzate influenzate da un racket illegale, in violazione alle leggi che disciplinano il tradimento.

[La Burgermeister] accusa il complesso di società farmaceutiche di cui fanno parte la Baxter, la Novartis e la Sanofi Aventis di essere coinvolto in un programma di armi biologiche basato all’estero con un duplice scopo, finanziato dal predetto sindacato criminale e progettato per attuare stragi di massa e ridurre la popolazione mondiale di oltre 5 bilioni nei prossimi dieci anni. Il loro piano è di spargere il terrore per giustificare l’atto di obbligare la gente a rinunciare ai propri diritti, e per costringerla a quarantene di massa nei campi FEMA. Le case, le società e le fattorie, le terre di quelli che venissero uccisi saranno nelle mani di questo sindacato.

Eliminando la popolazione del Nordamerica, l’elite internazionale avrà accesso alle risorse naturali della regione quali l’ acqua e le terre con giacimenti di petrolio non sviluppate. Ed eliminando gli USA e la loro costituzione democratica includendoli in un’unione nordamericana, il gruppo criminale internazionale avrà il controllo totale del Nordamerica.

I punti salienti del dossier completo

Il dossier completo dell’azione del 10 giugno è un documento di 69 pagine che porta le prove per corroborare tutte le accuse.

Queste comprendono:

-un insieme di fatti che delineano linee temporali e fatti che stabiliscono la “causa probabile”[2] , definizioni e ruoli dell’ONU e dell’OMS, e la storia e gli incidenti dal momento dello scoppio dell’ “influenza suina” nell’aprile del 2009.

-Le prove che i vaccini per l’ “influenza suina” sono definiti come armi biologiche dalle agenzie governative e nelle regolamentazioni che classificano e limitano le vaccinazioni, e la paura dei paesi esteri che i vaccini contro l’ “influenza suina” saranno usati per la guerra biologica.

-Le prove scientifiche che il virus dell’ “influenza suina” è stato bioingegnerizzao in modo da sembrare come il virus influenzale spagnolo del 1918, con citazioni tratte da Swine Flu 2009 is Weaponized 1918 Spanish Flu di A. True Ott, Ph.D., N.D., e da una relazione della rivista Science Magazine di Dr. Jeffrey Taubenberger et. Al.

-La sequenza del genoma dell’ “influenza suina”.

-Le prove della deliberata messa in circolazione del virus dell’ “influenza suina” in Messico.

-Le prove del coinvolgimento del presidente Obama che descrivono il suo viaggio in Messico che ha coinciso con il recente scoppio dell’ “influenza suina” e con la morte di molti ufficiali che hanno partecipato al viaggio. Viene avanzata l’ipotesi che il presidente non sia mai stato sottoposto ai controlli per l’ “influenza suina” perché era già stato vaccinato.

-Le prove in merito al ruolo della Baxter e dell’OMS nella produzione e messa in circolazione di materiale virale pandemico in Austria comprendono una dichiarazione di un funzionario della Baxter che asseriva che l’H5N1 distribuito per errore nella Repubblica Ceca è stato ricevuto da un centro di riferimento dell’OMS. Questo comprende la descrizione di prove e allegazioni dalle accuse della Burgermeister presentate in Austria ad aprile che sono al momento in corso di indagine.

-Prove che la Baxter è un elemento di una rete segreta di armi biologiche.

-Prove che la Baxter ha deliberatamente contaminato il materiale vaccinico.

-Prove che la Novartis sta usando i vaccini come armi biologiche.

-Prove del ruolo dell’OMS nel programma di armi biologiche.

-Prove della manipolazione da parte dell’OMS dei dati della malattia per giustificare la dichiarazione della pandemia di livello 6 al fine di prendere il controllo degli USA.

-Prove del ruolo della FDA [Food and Drug Administration] nella copertura del programma di armi biologiche.

-Prove del ruolo del Canada’s National Microbiology Lab nel programma di armi biologiche. Prove del coinvolgimento di scienziati che lavorano per il NIBSC nel Regno Unito [National Institute for Biological Standards and Control]e per il CDC [center] nella creazione dell’ “influenza suina”.

-Prove che le vaccinazioni hanno provocato l’influenza letale spagnola del 1918, tra cui il parere del Dott. Jerry Tennant che l’uso diffuso dell’aspirina durante l’inverno che è seguito alla fine della prima guerra mondiale potrebbe essere stato un fattore chiave che avrebbe contribuito all’anticipo della pandemia sopprimendo il sistema immunitario ed abbassando la temperatura corporea, consentendo al virus influenzale di moltiplicarsi. Anche il Tamiflu e il Relenza abbassano la temperatura corporea, e ci si può pertanto aspettare che contribuiscano alla trasmissione della pandemia. Prove della manipolazione del contesto legale per consentire il genocidio con impunità.

-Questioni costituzionali: la legalità o l’illegalità di mettere a rischio la vita, la salute e il bene collettivo con le vaccinazioni di massa.

-La questione dell’immunità e del risarcimento come prova dell’intento di commettere un crimine.

-Prove dell’esistenza di un sindacato criminale corporativo internazionale.

-Prove dell’esistenza degli “ Illuminati”.

-Prove dell’ordine del giorno di riduzione della popolazione degli Illuminati/Bilderberg e del loro coinvolgimento nell’ingegnerizzazione e messa in circolazione del virus dell’ “influenza suina” artificiale.

-Prove che l’uso dell’influenza come arma è stato discusso durante l’incontro del gruppo Bilderberg ad Atene dal 14 al 17 maggio 2009, come parte del loro ordine del giorno di genocidio, compreso un elenco dei partecipanti che, secondo una dichiarazione fatta una volta da Pierre Trudeau, si considerano geneticamente superiori al resto dell’umanità.

I media tengono gli Americani allo scuro sulla minaccia che incombe su di loro

Jane Burgermeister ha la doppia nazionalità irlandese/austriaca ed ha scritto per la rivista Nature, per il British Medical Journal, e per American Project. È corrispondente europea del sito web Renewable Energy World. Ha scritto molto sul cambiamento climatico, la biotecnologia e l’ecologia.

Oltre alle accuse contro la Baxter AG e la Avir Green Hills Biotechnology di aprile che sono attualmente sottoposte a indagine, ha sporto denuncia contro l’OMS e la Baxter insieme ad altri riguardo al caso delle fiale di “influenza suina” destinate ad un laboratorio di ricerca che sono esplose in un affollato treno intercity in Svizzera.

A suo parere il controllo dei media da parte dell’elite dominante ha consentito al sindacato criminale mondiale di portare avanti indisturbato il suo ordine del giorno, mentre il resto della gente rimane allo scuro su quello che succede realmente. Le sue denunce sono un tentativo di aggirare il controllo mediatico e di portare alla luce la verità.

La sua maggiore preoccupazione è che “nonostante il fatto che la Baxter sia stata colta in flagrante vicina al provocare una pandemia, stanno andando anche loro avanti, insieme alle loro società farmaceutiche alleate, con la fornitura del vaccino per le pandemie”. La Baxter si sta affrettando per far arrivare questo vaccino sul mercato a luglio.




NOTE:

[1] ndt via di somministrazione
[2] ndt ‘probable cause’ o sussistenza probabile della causa

DI BARBARA MILTON

Barbara è una psicologa scolastica e autrice di libri di finanza personale, è guarita da un tumore al seno usando trattamenti “alternativi”, è un’esistenzialista nata, studia la natura in tutti i suoi aspetti.

30 luglio 2009

Il costo del “bailout” raggiunge la cifra di 24 trilioni di dollari


L’ultima volta che siamo stati in grado di ottenere una misura del costo totale del salvataggio, era pari a circa 8,5 trilioni di dollari. Passati otto mesi da quella linea, la cifra è quasi triplicata.

La cifra di 23,7 trilioni di dollari ricomprende «circa 50 iniziative e programmi stabiliti dalle amministrazioni Bush e Obama, nonché dalla Federal Reserve», secondo l’Associated Press.

In un documento di asseverazione che sarà consegnato alla supervisione della Camera e al Comitato governativo di riforma domani [21 luglio 2009, Ndt], Neil Barofsky, l'ispettore generale per il programma TARP, dirà al Congresso che «il Dipartimento del Tesoro ha ripetutamente omesso di adottare raccomandazioni volte a rendere il programma TARP più responsabile e trasparente ».

Secondo Barofsky, i contribuenti sono al buio su chi ha ricevuto il denaro e su quel che ne fanno.

Come abbiamo più volte sottolineato, la destinazione di circa 2mila miliardi di fondi TARP è stata oggetto di un’azione legale presentata da Bloomberg alla fine dello scorso anno dopo che la Fed aveva rifiutato di rivelare i destinatari. La causa è ancora in corso, giacché Bloomberg tenta di scoprire i nomi delle istituzioni finanziarie private che hanno ricevuto il denaro.

Sarà il popolo americano in ultima analisi a doversi accollare tutto visto che il dollaro è svalutato poiché la Fed presta il denaro dal proprio bilancio o essenzialmente stampa solo più denaro, come ha spiegato un articolo della San Francisco Chronicle l'anno scorso.

I salari non terranno il passo dell'inflazione e, se si aggiunge all'equazione la serie di nuove tasse introdotte dall’amministrazione Obama, le conseguenze sono evidenti: un abbassamento del tenore di vita per milioni di appartenenti alla classe media americana.

Nel frattempo, Henry Paulson, uno dei principali architetti del “bailout” nonché l'uomo che ha perpetrato del terrorismo finanziario all’atto di minacciare il Congresso con scenari di legge marziale e rivolte alimentari, qualora non avessero approvato il primo pacchetto TARP, sfacciatamente s’intasca 200milioni in profitti Goldman Sachs esentasse mentre distribuisce miliardi in guadagni illeciti ai suoi compari banchieri, tutto questo dopo aver tirato un'esca e passare a cambiare l'intero centro del salvataggio dall’acquisto dei titoli di debito tossico fino a dare il denaro direttamente alle istituzioni finanziarie.

Abbiamo paura di pensare a quali saranno le cifre del salvataggio fra altri otto mesi. Triplicheranno ancora fino a 70 trilioni di dollari? Che ne dite di 100 trilioni di dollari?

L'unica cosa che può porre fine allo sfrenato saccheggio è il disegno di legge di Ron Paul volto all’auditing della Fed, che ha ricevuto un sostegno in Parlamento ma è stato bloccato da traditori occasionali prezzolati al Senato, che avrebbero invece dovuto vedere una continuazione del grande furto, anziché la responsabilità e la trasparenza.

Articolo originale: Paul Joseph Watson, Cost Of Bailout Hits A Whopping $24 Trillion Dollars. $80,000 for every American, «Prison Planet», Monday, July 20, 2009.

27 luglio 2009

I «nuovi» profitti delle banche



La notizia che alcune grandi banche statunitensi hanno dichiarato profitti di eccezionale ampiezza non implica che il sistema bancario stia diventando più disponibile all'erogazione di credito per facilitare le imprese in difficoltà. Al contrario, le società finanziarie si stanno allontanando dal credito e si concentrano invece in attività lucrative interne ai meccanismi speculativi. Con la crisi che pervade il sistema delle imprese sono tornati di moda i titoli spazzatura e altra robaccia simile ed è su questo tipo di terreno che vengono individuate possibilità di guadagni speculativi. Un'azienda vera che non riesce a vendere non può che avere una copertura limitata delle proprie passività.

Fino a che punto possono infatti essere sottoscritte passività aziendali che derivano dall'accumulo di camice, piatti, pentole e auto invendute? In definitiva la copertura può continuare solo se lo Stato incamera la produzione invenduta, come ben fece notare oltre 47 anni fa James Meade, un economista di Cambridge nonchè premio Nobel. Invece le passività (liabilities) finanziarie delle banche rappresentate dalle cartacce senza valore sono state sottoscritte dallo Stato in forma illimitata. Inoltre, fatto candidamente ammesso da Ben Bernanke in una rarisssima intervista televisa concessa alla Cbs lo scorso marzo, i «prestiti» della Banca Federale alle banche private per rifornirle di liquidità altro non erano che delle erogazioni simili allo stampare moneta.

Citiamolo perchè Bernanke svela i meccanismi con cui nel corso della crisi sono state non solo salvate ma anche arricchite le banche. Alla domanda dell'intervistatore se gli aiuti della Fed fossero finanziati dai soldi dei contribuenti Bernanke risponde: «Non sono soldi delle tasse. Le banche hanno dei conti con la Fed esattamente come lei ha un conto con una banca commerciale. Quindi per prestare a una banca noi usiamo semplicemente il computer per incrementare la grandezza del conto che la banca ha presso la Fed. È molto più simile a stampare moneta che all'erogazione di un prestito». Nell'intervista il governatore della Fed annuncia che tale sostegno, tramite l'emissione di moneta direttamente nei conti delle banche, continuerà fintanto che perdureranno condizioni di fragiltà finanziaria.
Con una tale illimitata copertura delle passività, cosa impossibile per le aziende industriali, la ricerca di guadagni speculativi diventa un gioco soprattutto considerando che il salvataggio e l'arricchimento delle banche è avvenuto con una strategia diretta a rafforzare la concentrazione finanziaria. La Goldman Sachs, ad esempio, si è vista sollevata da tutte le perdite della società assicuratrice Aig, le cui passività sono state assunte dal governo. Tuttavia malgrado il clima istituzionalmente favorevole alla concentrazione bancaria e ai giochi speculativi contro il credito per gli investimenti, molti dei profitti dichiarati sono dovuti a operazioni una tantum, quale la vendita da parte della Bank of America della sua quota nella China Construction Bank.
La realtà della crisi in corso si manifesta anche nelle dichiarzioni dei dirigenti di tali istituti i quali sostengono che i profitti forniranno da cuscinetto per le perdite che si stanno accumulando nel campo dei credito al consumo dato l'aumento del numero delle famiglie i cui debiti vanno in protesto.

La crisi attuale, nel cui ambito i comportamenti delle istituzioni finanziarie hanno avuto un ruolo aggravante, sta producendo un effetto opposto a quello della crisi del 1929-32. Allora venne creata la Federal Deposit Insurance Corporation con ampi poteri di intervento e di nazionalizzazione che portò ad una separazione tra mercato azuonario e sistema bancario commerciale. Oggi gli stessi colpevoli vengono rafforzati con le grandi multinazionali della contabilità finanziaria e le inaffidabili e squalificate agenzie di rating, incaricate di stilare le riforme stesse.
Non vi è un ritorno all'economia reale. Quest'ultima sta in Cina, il resto è un sottoinsieme del capitale finanziario che determina in forma preponderante sia le politiche correnti che le regole istituzionali.
di Joseph Halevi

26 luglio 2009

Deglobalizzare il pianeta

Nel 1991, sei anni prima che la crisi finanziaria investisse con devastante irruenza il sistema economico, apparentemente solidissimo, delle “tigri asiatiche”, con conseguenze catastrofiche per milioni di cittadini, Walden Bello mandava alle stampe Dragons in Distress. Asia’s Miracle Economies in Crisis, un testo che annunciava l’inevitabile tracollo di quel sistema.

Già allora infatti il fondatore (nel 1995) e direttore esecutivo dell’associazione Focus on the Global South si diceva convinto, come avrebbe ribadito in Domination. La fine di un’era (Nuovi Mondi Media, 2005), «che l’economia globale è ormai alla fine dell’onda lunga di espansione del capitalismo durata cinquant’anni, e all’inizio del suo declino», e che «uno dei sintomi della condizione patologica in cui versa l’economia è il peso preponderante assunto dal capitale finanziario».

Una condizione patologica che oggi appare in tutta la sua evidenza, e che alcuni, come questo attivista e sociologo filippino, già direttore dell’Institute for Food and Development Policy (Food First) di Oakland, California, oggi membro del Transnational Institute di Amsterdam e dell’International Forum on Globalisation, analizzano da tempo.



Nato a Manila nel 1945, docente di sociologia e pubblica amministrazione presso l’Università delle Filippine di Diliman, già visiting professor alle Università di Los Angeles, Irvine e Santa Barbara, Walden Bello ha cominciato ad accorgersi delle patologie del sistema politico-economico internazionale a metà degli anni Settanta, quando assunse un ruolo centrale nel movimento che si batteva contro la dittatura del presidente filippino Ferdinando Marcos, coordinando dagli Stati Uniti la coalizione Anti-Martial Law.

Fu allora infatti che, nel corso delle ricerche per le campagne per la promozione dei diritti umani nel suo paese, scoprì che il regime di Marcos era appoggiato finanziariamente da istituzioni come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. Per dimostrarlo, entrò illegalmente nel quartier generale della Banca mondiale, “recuperando” tremila pagine di documenti confidenziali che avrebbero costituito la base per il suo Development Debacle (1982).



Da allora, non ha mai smesso di dedicarsi all’analisi delle diseguaglianze generate dal sistema capitalistico, alla critica del finto multilateralismo delle istituzioni di Bretton Woods-WTO e alla denuncia dei progetti egemonici degli Stati Uniti. Vincitore nel 2003 del Right Livelihood Award (il premio Nobel alternativo), critico radicale del capitalismo e dell’imperialismo a stelle e strisce, Walden Bello ha fatto della combinazione tra la ricerca intellettuale e la militanza politica una vera e propria cifra distintiva, dando alle stampe diversi saggi, tra cui ricordiamo Il futuro incerto: globalizzazione e nuova resistenza e Deglobalizzazione (entrambi editi da Baldini Castoldi Dalai, rispettivamente nel 2002 e nel 2004), testi in cui ha trasferito «le lezioni apprese dai paesi in via di sviluppo negli ultimi 25 anni: che la politica commerciale deve essere subordinata allo sviluppo; che la tecnologia deve essere liberata dalla rigida normativa della proprietà intellettuale; che sono necessari controlli sui movimenti di capitali; che lo sviluppo richiede non meno, ma più intervento dello stato; e, soprattutto, che i deboli devono restare uniti perché da soli vanno a finire male».



Nel libro Domination. La fine di un’era, lei identifica tre elementi che segnalerebbero la fine dell’egemonia americana: una crisi da sovrapproduzione (dimensione economica), una crisi da sovraesposizione (dimensione strategico-militare) e una di legittimità (dimensione politico-ideologica). Ci vuole spiegare meglio a cosa si riferisce?

La crisi economica a cui stiamo assistendo da alcuni mesi può essere meglio compresa proprio se la intendiamo come crisi da sovrapproduzione, e deriva dalla straordinaria capacità produttiva del sistema capitalistico che supera e contraddice la limitata capacità di consumo e d’acquisto della popolazione, causata dalle continue e crescenti disuguaglianze nell’ambito della sfrenata competizione tra attori capitalisti.

La mia tesi, che ovviamente condivido con altri, è che a partire dalla metà degli anni Settanta questa crisi abbia raggiunto un livello tale da spingere il capitale a ricorrere a tre vie d’uscita: la ristrutturazione neoliberista, la globalizzazione e la “finanziarizzazione”.

Strumenti che però non hanno funzionato, e anziché risolverla o mitigarla hanno aggravato la crisi da sovrapproduzione. Oggi assistiamo alla dimostrazione plateale di questo fallimento.

L’altra dimensione è la crisi da sovraesposizione, che si situa al livello dello Stato e riguarda la sua capacità di “proiettare” potere; sin dalla guerra in Afghanistan abbiamo sostenuto che gli Stati Uniti si stessero sovraesponendo, rendendo manifesto lo scarto tra gli obiettivi del sistema imperiale e la mancanza delle risorse per ottenerli. Non è un caso che sia stato facile prevedere, da parte mia e di altri, quel che oggi accade in Iraq e in Afghanistan.

La terza dimensione è quella della legittimità, senza la quale tutti i sistemi sono destinati al fallimento. Credo che il sistema democratico liberale, la cui diffusione è stata fortemente promossa dagli Stati Uniti soprattutto nei paesi in via di sviluppo, sia oggi ampiamente discreditato a causa del modo in cui gli USA hanno usato la democrazia per promuovere i propri interessi strategici. Lo stesso è accaduto con le istituzioni multilaterali come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e l’Organizzazione mondiale per il commercio, che aspirano a presentarsi come democraticamente rispondenti ai diversi membri che le compongono, ma che continuano a servire alcuni, particolari e circoscritti interessi.

Credo che l’uso della democrazia e delle istituzioni multilaterali per promuovere e imporre obiettivi unilaterali abbiamo fortemente contribuito alla crisi di legittimità dell’impero americano. Se poi si mettono insieme tutti e tre gli elementi critici di cui abbiamo parlato, e a questi si aggiunge la crisi ambientale, si avrà di fronte l’immagine di una formidabile tempesta. Quella che ha ereditato Obama.



Secondo la sua analisi, dunque, la crisi attuale, più che come il risultato di una mancata regolamentazione del settore finanziario, andrebbe interpretata come l’incancrenirsi di una delle contraddizioni centrali del capitalismo globale…

È proprio così: la mancata regolamentazione è soltanto parte della risposta, così come l’avidità dimostrata dagli attori economici, mentre la parte più rilevante della risposta va individuata nella crisi del sistema in quanto tale, e nel fallimento del tentativo di superare la crisi dei profitti, che deriva dalla crisi da sovrapproduzione, attraverso le tre risposte a cui abbiamo accennato prima. In particolare, poi, la “finanziarizzazione”, attuata nella speranza di poter assorbire il surplus e creare profitto, ci ha piombati nel bel mezzo della crisi attuale. Una crisi che ci deve indurre a guardarci indietro, per capire che essa non investe semplicemente una questione di regole non rispettate, ma ha a che fare con la specifica dinamica del sistema capitalistico.



Come da anni critica i pericoli della “finanziarizzazione”, così da molto tempo sostiene anche che «ci sarebbe sicuramente bisogno di controlli sul movimento dei capitali, sia a livello regionale che locale». Eppure continua a dirsi scettico sull’istituzione di un’autorità monetaria mondiale. Perché ritiene che anche un’istituzione del genere possa essere controproducente?

Perché ritengo che le istituzioni centralizzate, anche laddove si suppone che operino per il multilateralismo, finiscano spesso sotto il controllo dei poteri dominanti. Questa è una delle ragioni per cui mi sono sempre opposto alla sostituzione di Banca mondiale, Fondo monetario internazionale e Organizzazione mondiale del commercio con un’unica istituzione che gestisca la politica monetaria mondiale. Le istituzioni centralizzate hanno due difetti principali: il primo è che acquisiscono presto una sorta di vita propria, e tendono a soddisfare i propri interessi anziché rispondere ai bisogni di coloro ai quali dovrebbero offrire i propri servizi. L’altro è invece che, per il modo stesso in cui operano, i poteri dominanti trovano molto facilmente il modo di sovvertirne gli obiettivi, prendendone la direzione e orientandone il funzionamento verso la soddisfazione dei propri, particolaristici interessi anziché verso quelli della totalità dei paesi. Per questo credo che la risposta alla crisi del sistema multilaterale non vada cercata nella creazione di un nuovo gruppo di istituzioni centralizzate, ma nella promozione di un processo di decentralizzazione e regionalizzazione e nell’edificazione di un sistema di “checks and balances” fra istituzioni non eccessivamente potenti, che si possano controllare reciprocamente. Ciò di cui si ha bisogno per realizzare uno sviluppo sostenibile è lo spazio per i paesi più piccoli e deboli: le grandi istituzioni centralizzate non solo non creano spazio per le persone e per i paesi più vulnerabili, ma spesso finiscono per sottrarglielo.



Torniamo alla sua lettura della crisi attuale e, più in generale, del suo significato all’interno del sistema capitalistico contemporaneo. Ci può spiegare perché ritiene che la globalizzazione debba essere intesa come «il tentativo disperato del capitale globale di scappare dalla stagnazione e dai disequilibri caratteristici dell’economia globale negli anni Settanta e Ottanta» piuttosto che come una nuova fase nello sviluppo del capitalismo?

Mi capita spesso di ricordare che la mia analisi è fortemente debitrice delle tesi sviluppate da Rosa Luxemburg in quel libro lucido ed essenziale che è L’accumulazione del capitale, dove si sostiene che per estendere i tassi di profitto il capitalismo abbia bisogno di incorporare nel sistema sempre nuove aree del mondo, che siano semi-capitalistiche, non-capitalistiche o pre-capitalistiche. In questo senso io credo che la globalizzazione e la continua integrazione nel sistema capitalistico di nuove parti del mondo sia da intendere come una risposta alla crisi da sovrapproduzione piuttosto che una nuova e qualitativamente più elevata fase del capitalismo.

Insisto nel dire che la globalizzazione è una via d’uscita - fallimentare - alla crisi del capitalismo piuttosto che una sua nuova espressione.

Proprio su questo punto sono nati moltissimi errori all’interno del movimento progressista, perché si è creduto che i processi di globalizzazione fossero irreversibili. Invece sono del tutto reversibili.

Oggi molti, sulla scia di Stiglitz, sostengono che il processo irreversibile della globalizzazione debba essere “salvato” dall’influenza dei neoliberisti, grazie ai suggerimenti di qualche socialdemocratico. Io non la penso così.



Lei infatti è sempre stato lontano dalle posizioni “social-democratiche” di quanti immaginano sia possibile “umanizzare” la globalizzazione. Ha scritto: «il compito urgente che ci troviamo di fronte non è quello di orientare la globalizzazione guidata dalle corporation in una direzione “social-democratica”, ma fare in modo di ritirarci dalla globalizzazione». Perché ritiene che sia impossibile “umanizzare” la globalizzazione?

Perché l’integrazione globale dei mercati e delle società è guidata dalle dinamiche capitalistiche, dunque dal profitto, e non invece da una necessità radicata nei bisogni dell’uomo. Non si vede dove sia scritto che le economie debbano essere così strettamente intrecciate le une alle altre. Non è certo nella natura dell’uomo una cosa del genere, ma è un semplice strumento creato per cercare di risolvere una crisi di una certa economia, che contraddice i bisogni dell’uomo proprio perché è disumanizzante.

La rapida integrazione dei mercati è inoltre assolutamente controproducente, poiché elimina quelle barriere tra le economie che permetterebbero a ognuna di essere più indipendente e dunque più sana perché meno vulnerabile alle crisi delle altre: una grave crisi all’interno di un’economia non si tradurrebbe come accade oggi in una grave crisi per tutte le altre.

Per ora invece la globalizzazione ci ha assicurato che quando una delle principali economie mondiali entra in crisi la seguono anche le altre. La terza ragione è che la globalizzazione è guidata da pochi centri di potere dominanti, e risponde perfettamente alla logica del capitalismo di ridurre le dinamiche dell’economia a una manciata di centri di potere. Quelli che sostengono «la globalizzazione è irreversibile, dobbiamo soltanto umanizzarla» si illudono: è impossibile umanizzare la globalizzazione, dovremmo piuttosto capovolgerla.



Secondo la sua analisi, dovremmo passare dunque per un processo di “deglobalizzazione”, come scrive in modo argomentato nel suo omonimo libro. Ma com’è possibile ottenere uno «spostamento radicale verso un sistema della governance economica globale che sia decentralizzato e pluralistico» e che «sviluppi e rafforzi, anziché distruggerle, le economie nazionali»?

Quel che sta accadendo da qualche mese a questa parte dimostra che siamo parte di una catena “letale”, che ci strangola, e che l’integrazione economica può non essere così benefica come ci avevano promesso. La gente comune e gli stessi governi sembra si stiano finalmente rendendo conto che questo tipo di integrazione non funziona, anche perché, oltre a legare il destino di un’economia a quello delle altre, subordina la produzione locale alle dinamiche globali, costringendoci ad affidarci a un cibo che proviene da migliaia di chilometri di distanza, piuttosto che dai cortili vicino casa.

Sappiamo bene che i produttori locali, con bassi margini di profitto, sono stati strangolati dalla produzione delle grandi corporation, e pian piano sta diventando sempre più evidente come la globalizzazione sia servita soprattutto per promuovere gli interessi di queste corporation.

Mi sembra dunque che molte cose ci suggeriscano di puntare verso una minore integrazione dell’economia a livello globale, cercando invece un’integrazione di carattere nazionale.

Al tempo stesso, è importante sostenere il nuovo orientamento di quei paesi che riconoscono l’importanza del coordinamento regionale, come dimostra il caso dell’“Alba”, l’Alternativa bolivariana per le Americhe. La crisi della globalizzazione e della forzata integrazione globale porta alla riscoperta del nazionale e del regionale.



Restiamo sul tema della “deglobalizzazione”: qualcuno potrebbe facilmente obiettare che sia anacronistico, oltre che controproducente, pensare a una forma di autarchia economica. Lei però ha spesso sottolineato come la “deglobalizzazione” che propone non abbia niente a che fare con il ripiegamento autarchico, e rimandi piuttosto al «capovolgimento dei processi omogeneizzanti della globalizzazione neoliberista caratterizzati dalla produzione orientata all’esportazione, dalla privatizzazione e dalla deregulation». Dovremmo, per riprendere Karl Polanyi, reintegrare l’economia nella società?

Per prima cosa “deglobalizzazione” non significa ritirarsi dall’economia internazionale, ma istituire con essa una relazione che possa accrescere le capacità di ognuno anziché soffocarle o distruggerle.

Il vero problema del libero mercato e della globalizzazione guidata dalle corporation è che, nel processo di integrazione, le economie locali e le capacità nazionali vengono distrutte sotto il peso della presunta razionalità della divisione del lavoro, che nei fatti annienta ogni diversità.

Mi sembra però che ci stiamo avvicinando a comprendere che la diversità è essenziale anche per lo stato di salute dell’economia.

L’idea che il principale criterio di misura dell’economia debba essere quello della riduzione del costo unitario, o in altri termini l’efficienza, non può più essere sostenuta. Il criterio dell’efficienza contraddice il benessere generale. Piuttosto che di efficienza avremmo bisogno di efficacia, perché laddove si parla di efficacia si parla anche degli strumenti economici più adatti per assicurare la solidarietà sociale e per creare un sistema economico che sia subordinato ai valori e ai bisogni della società, non viceversa.

Gli avvenimenti degli ultimi mesi e degli anni che li hanno preceduti hanno spinto molti a interrogarsi sulla razionalità di un sistema che subordina i valori della società al mercato: dovremmo approfittare della crisi del sistema capitalistico per rivendicare la necessità di abbracciare la logica della solidarietà sociale. Quando si parla di economia internazionale dovremmo intendere non un liberato mercato esteso all’economia globale, ma un’economia che partecipi al sistema internazionale in modo tale da favorire le capacità di ogni attore anziché impedirne lo sviluppo e il rafforzamento. Si tratta dunque di promuovere il commercio dei popoli, o, come ha sostenuto il presidente venezuelano Hugo Chávez, una vera cooperazione economica, al cui interno il trattamento preferenziale sia riservato ai partner più vulnerabili, non a quelli più potenti. E’ ovvio che tutto questo contesta e contraddice la logica del capitalismo, e rimanda alla logica della solidarietà sociale. E’ a questo logica che dovremmo subordinare il commercio. Non sono l’unico che la pensa in questo modo. Anzi. È il momento giusto per affermarla con più convinzione. […]
di Walden Bello - Giuliano Battiston -

25 luglio 2009

Ritornano le minacce di fallimento?

L’Aquila è stato purtroppo un G8 veramente interlocutorio, una fermata di passaggio tra il G20 di Londra, dove le nuove regole della finanza sono state indicate senza però sfidare il peso e il modus operandi delle banche che ci hanno portato alla crisi globale, e il summit di Pittsburgh di fine settembre che rischia di sancire la superiorità del vecchio modello finanziario con “meno regole e meno stato”. Quello della City e di Wall Street!

Nonostante il fatto che i governi siano diventati con i soldi pubblici i creditori di ultima istanza di un sistema in bancarotta, nella partita tra l’autorità degli stati e le banche sono ancora le seconde a dettare le regole del gioco.

Anche Berlusconi, tra le esaltazioni del successo del summit, ha fatto una dichiarazione che merita una più attenta riflessione. “Si è manifestato il disappunto sul fatto che - ha detto nella conferenza stampa finale - sono riprese le speculazioni internazionali sugli hedge fund, sul petrolio come su altre materie prime, e anche per questo abbiamo dato mandato agli organi i internazionali di studiare un modo per intervenire”. In altre parole si ammette che dopo un anno, nonostante summit, decaloghi, tavole di condotta e quant’altro, certa finanza speculativa non ha mai cambiato comportamento e marcia speditamente verso una seconda fase della crisi.

Il Comptroller of the Currency, l’autority Americana che supervisiona anche il comportamento del sistema bancario, ha pubblicato recentemente il rapporto sugli andamenti finanziari del primo trimestre del 2009 in cui evidenzia che, nonostante la crisi e le annunciate misure antispeculative, i derivati over the counter (OTC) sottoscritti dalle banche USA sono saliti a 202.000 miliardi di dollari a fine marzo 2009, cioè 2.000 miliardi in più della fine del dicembre precedente.

Oltre il 90% di questa bolla è in mano solamente a 4 banche: la JP Morgan Chase, la Citi Bank, la Bank of America e la Goldman Sachs.

Ed è stata proprio quest’ultima, che vanta storiche amicizie e alleanze anche a casa nostra, a guidare questa ripresa speculativa nei prodotti derivati, portando la sua quota da 30 a 40.000 miliardi in solo tre mesi!

Da parte sua, la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea ha pubblicato a fine giugno il suo rapporto semestrale in cui riporta che il valore nozionale dei derivati a livello globale nel secondo semestre del 2008 era invece sceso di ben 100.000 miliardi di dollari, assestandosi comunque sempre intorno all’impressionante livello di quasi 600.000 miliardi.

La BRI si premura anche di sottolineare che, mentre il valore nozionale diminuiva, saliva invece di 5.000 miliardi quello del Gross Market Value, cioè il costo per rimpiazzare tutti i contratti esistenti ad un dato momento. Il significativo aumento di questo indice dimostra che la volatilità e i rischi delle operazioni in derivati finanziari nel periodo di crisi e di collassi bancari sono aumentati drammaticamente e con essi i costi, i premi da pagare, per i derivati stessi.

Questi dati rivelano che particolarmente in America, nell’epicentro della crisi finanziaria, il comportamento speculativo non è cambiato affatto, nonostante il gran parlare di nuove regole e di controlli più stringenti.

La stampa ha poi presentato come un sensazionale risultato del G8 dell’Aquila l’aver concordato un impegno di 20 miliardi di dollari a sostegno dell’Africa nella lotta contro la fame e contro le emergenze sanitarie. Certamente ogni aiuto allo sviluppo dell’Africa è una cosa buona e doverosa, anche se per il momento si tratta solo di numeri sulla carta.

Noi vorremmo, però, far notare la sproporzione fra gli aiuti per l’intero continente africano e i 182,5 miliardi di dollari messi a disposizione lo scorso settembre per il salvataggio del gigante americano delle assicurazioni AIG.

Certo che il suo fallimento avrebbe portato con sé l’interno sistema assicurativo e pensionistico americano, ma la differenza è davvero enorme.

Inoltre, proprio mentre si prometteva il sostegno all’Africa, l’AIG subiva un tracollo in borsa tanto da far ventilare una nuova minaccia di fallimento.

A questo proposito ricordiamo che in gioco c’è anche la “bomba” da 193 miliardi di dollari in CDS (credit default swaps, una sorta di polizze di assicurazione per obbligazioni ad alto rischio) che l’AIG ha venduto soprattutto in Europa e il cui vero valore è tutto da stabilire.

Perciò concordiamo pienamente con il presidente Giorgio Napolitano, che, parlando ai capi di stato e ad altri dirigenti internazionali a L’Aquila, ha sottolineato l’importanza e l’urgenza di una nuova Bretton Woods. Non solo – ha detto il presidente – per avere “un complesso di più esigenti regole e standard internazionali per la conduzione delle attività finanziarie ed economiche” ma per definire soprattutto un modello di società più giusta e lungimirante che si può esprimere “nella cooperazione fra civiltà”.
di Mario Lettieri - Paolo Raimondi -

24 luglio 2009

La crisi della “società del possesso” e la rinascita dell’umano


Oggi il mondo ha perso il gusto ad un reale rinnovamento, perché questo implica un dono di sé all’altro, ed una messa in discussione dell’Ego, e di ciò che si “possiede”. Quali sono le conseguenze nella nostra società di un tale atteggiamento caratterizzato da chiusura, difficoltà di relazione e scarsa lungimiranza?
Ne discutiamo con Claudio Risé, psicanalista e scrittore, che ha appena pubblicato il libro La crisi del dono. La nascita e il no alla vita (San Paolo Ed., 2009), un’opera che tratta i temi della nascita e della necessaria rinascita e trasformazione nel corso della vita dell’uomo, condizioni che portano ad un autentico rinnovamento e sviluppo nel mondo stesso.

Prof. Risé, la prima domanda sorge spontanea: esiste una relazione tra l’importante crisi economica che stiamo vivendo e il carattere di una società, come la nostra, che nel suo nuovo libro lei ha definito “società del possesso”? Quali sono le vie di uscita da questa stagnazione?
La società del possesso produce fatalmente crisi, proprio perché in essa importanti risorse, prodotte dalla genialità umana, dallo sviluppo economico, dalla ricerca scientifica e tecnologica, vengono continuamente sequestrate dalle categorie più avide, che finiscono col distruggerle in un folle gioco alla moltiplicazione dei guadagni e dei patrimoni individuali.
L’attuale crisi è nata dalla distruzione di enormi ricchezze, ad opera dall’alleanza tra l’avidità di risparmiatori convinti di poter aumentare a dismisura i propri patrimoni sia immobiliari che mobiliari, e fasce di finanza spregiudicata che lo lasciava credere possibile, per amministrarne le risorse.
Questa distruzione di energie nuove ha riprodotto, in campo finanziario ed economico, quella distruzione di vita nuova in nome della difesa e incremento degli interessi e possessi individuali, che io pongo nel mio libro alla base dell’attuale “crisi del dono”, e delle pratiche e legislazioni abortiste.
Da tutto ciò si esce tutelando lo sviluppo della nuova vita (nuove idee, visioni, saperi e tecniche), rispetto alla sua riduzione materialistica in possessi e guadagni immediati.

Nelle sue pagine è tracciato un itinerario che esamina le immagini riguardanti la nascita, accolta o rifiutata, presenti nell’inconscio, nel mito, e nella tradizione ebraico cristiana. Si tratta di un’impostazione piuttosto inusuale, soprattutto per quei lettori interessati a comprendere con immediatezza e concretezza i fenomeni della società in cui viviamo. Questo studio cosa ci spiega dell’oggi? E cosa ci insegna?
L’inconscio collettivo, espresso (come ha mostrato Carl Gustav Jung e la sua scuola) nei miti e nei cicli leggendari delle varie culture, come anche nella storia delle religioni, mostra gli aspetti invarianti, archetipici, della psiche umana. Per questo, come osservava la frase di Pasolini che riporto in esergo, non c’è niente di più concreto e attuale del mito: parlando di mille anni fa, svela con sorprendente precisione l’animo dell’uomo di oggi.
D’altra parte, l’inconscio collettivo registra anche (e anche questo Jung l’ha visto) i mutamenti manifestatisi nello psichismo umano dopo l’avvenimento cristiano, e la modifica da esso consentita e richiesta nei rapporti personali, nel sentimento di amore per l’altro, e di offerta di sé.
Il rinnovamento antropologico portato dal cristianesimo ha al proprio centro una nascita ed un dono, quello di Dio fatto uomo, destinato a provocare il rinnovamento del mondo, e di ogni singolo uomo, nella sua vita personale. Da allora in poi ogni uomo, ed ogni società, può scegliere tra il rinnovamento e la trasformazione di sé (la rinascita che Gesù indica a Nicodemo), o la difesa dell’esistente. Questa seconda soluzione, l’osservazione clinica lo mostra bene, innesca in realtà un processo regressivo, e di distruzione di vita.

Parlare di rinnovamento e rinascita significa parlare anche di bambini. Lei cita in esergo un passaggio di Elie Wiesel: “Hai paura di diventare grande? Sì, paura di diventare grande in un mondo che a dispetto delle sue magniloquenti dichiarazioni, non ama i bambini; ne fa piuttosto i bersagli del suo dispetto, della sua mancanza di fiducia in se stesso, della sua vendetta”.
Effettivamente lo stesso Wiesel, accompagnando Barak Obama nella visita di Buchenwald (5 giugno 2009), ha affermato che nonostante gli orrori della guerra il mondo non ha ancora imparato a garantire la dignità della vita umana. Condivide queste parole di Wiesel?

Assolutamente. La riduzione dell’essere umano ad oggetto, e l’annichilimento della sua dignità, continua ad essere la grande tentazione cui l’uomo è sottoposto, e spesso soggiace.
Le categorie linguistiche e retoriche del “politicamente corretto” sono funzionali alla copertura e al mascheramento di questa realtà drammatica. L’uomo è pronto ad uccidere l’altro uomo, il bambino che nasce, le idee, la personalità, o il carattere di un’altra persona (come quotidianamente accade nella lotta politica), pur di non cambiare, per affermare quello che ritiene il proprio interesse.

Trattando il tema della relazione tra uomini e donne Lei afferma che il bambino che nasce è una figura decisiva per lo sviluppo pieno dell’amore nella coppia. In che senso?
L’amore tra i due richiede sempre l’apertura ad un “terzo” per dispiegarsi completamente. Dal punto di vista trascendente si tratta, naturalmente, di Dio, che istituisce l’amore stesso, con il suo amore creativo, a cui occorre restare aperti, e rivolti. Nella dinamica della coppia il terzo è però anche il bambino (i bambini), e può estendersi ai figli simbolici della coppia: le idee, le iniziative, le opere.

Da quanto Lei dice nella sua opera il processo di secolarizzazione ha avuto un ruolo negativo nella relazione d’amore tra l’uomo e la donna, e in particolare sul matrimonio. Una domanda provocatoria: in un mondo senza Dio non è davvero possibile l’amore tra gli individui?
Il fatto è che, per fortuna, non basta negarlo, per fare sparire Dio. Molti atei fanno in realtà riferimento ad un principio superiore, di bene, che interiormente è vissuto come la personalità religiosa vive Dio.
Certo quando la negazione diventa sistemica, come è accaduto nei totalitarismi comunista e nazista, l’amore tra le persone tende a diventare problematico, e ad essere sostituito dall’obbedienza al Partito. Ciò continua ancora oggi, per certi versi, nelle sottoculture politiche che fanno riferimento a quelle realtà.

Secondo quanto Lei riporta nel libro La crisi del dono, molte donne, che diedero vita al movimento femminista negli anni ’70, si stanno oggi accorgendo della necessità di una rinnovata relazione tra uomo e donna. Non solo: anche il movimento degli uomini, presente in diverse forme anche in Italia, si sarebbe messo alla ricerca di una nuova visione. Quali sono i motivi di queste tendenze? E quali i possibili esiti?
Sia il disincanto femminista, che documento attraverso una serie di testi e posizioni note e autorevoli, sia il movimento degli uomini, cui ho sempre dedicato molta attenzione, sono realtà ormai affermatesi fin dagli anni ‘90. Per cui più che di tendenze parlerei di trasformazioni in corso da tempo, anche se meno visibili anche per via del prevalente silenzio loro riservato dalle comunicazioni di massa. Che preferiscono il mostro (o la star) in prima pagina, piuttosto che l’informazione sulla sottile e profonda trasformazione delle coscienze, inquietante anche per gli stessi operatori della comunicazione di massa, in gran parte devoti proprio a quella società secolarizzata del possesso, di cui appunto stiamo parlando.

In un suo precedente libro Felicità è donarsi. Contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro (Sperling & Kupfer, 2004) ha osservato che le principali vittime della società del possesso sono i giovani “costantemente impauriti dalla rappresentazione del mondo come penuria” sottolineata spesso dal sistema mediatico. Quali consigli darebbe a questi giovani, che non di rado esprimono le loro paure anche nei temi svolti nelle aule scolastiche?
“Non abbiate paura”, come non a caso hanno più volte ripetuto gli ultimi due Papi. La sete di possesso si nutre della cultura (assai diffusa anche in ambienti cattolici, perché d’“effetto”) che sottolinea il bisogno rispetto al dono, la penuria rispetto alle risorse, la paura rispetto alla fiducia, il malessere rispetto al piacere.
Gesù è grato e felice che il vaso con l’olio prezioso venga versato ai suoi piedi, è il dono che aumenta le nostre risorse, è spargere il vaso che ne assicura il continuo riempimento. Siate generosi: ogni piacere profondo comincia, e continua, nel dono.

Non mancano comunque i giovani che si impegnano con convinzione per difendere una visione della vita portatrice di rinnovamento, dignità e felicità. Basta pensare a tutti coloro che si danno da fare nell’ambito dei movimenti pro-life. A tutti questi giovani quale strada suggerisce per una migliore riuscita nei loro traguardi?
Mi sembrano già sulla strada, magari più di me! La difesa della vita è una strada, che sprigiona potenti forze di rinnovamento. Da nutrire sempre, con la devozione all’amore, ed alla bellezza.

*(Intervista a Claudio Risé, a cura di Antonello Vanni, da “Il Sussidiario”, 13 luglio 2009)

23 luglio 2009

Lo spaventapasseri e la vera catastrofe



Angelino Alfano e Joseph Cassano. Ovvero: lo spaventapasseri e la catastrofe, oppure, il fantasma degli idioti e la concretezza del vero male. Poi ci sono Giorgio e Laura. Parto da questi ultimi. Sono due lavoratori italiani (storie vere), licenziato il primo e cassintegrata con azienda in fallimento la seconda, padre separato lui e fidanzata lei. Laura è incinta di due settimane, lo avevano pianificato, ma ora il problema è duplice: manca il reddito sicuro e all’orizzonte sale lo spettro di una vita co.co.pro o peggio, visto che anche il compagno è precario. Questo getta su di lei l’ombra della decisione più tremenda: abortire? La depressione le sta annebbiando l’esistenza, nonostante i suoi 29 anni. Laura affronta oggi un naufragio di speranze prima ancora di averci potuto provare. Giorgio ha guai ancor più seri: un affitto e mezzo da pagare che non può più permettersi, e dunque la scelta forzata è la riunione sotto un unico tetto con l’ex moglie e la figlia. Ma ciò significa il ritorno nella stessa gabbia di due persone che si erano sbranate fino alla rottura, e già allora le conseguenze sulla piccola erano state pesantissime, fa pipì a letto e non parla più. Lo spettro di ulteriori traumi sull’innocente lo angoscia, così come assilla l’ex consorte. Vi si aggiunge la madre di lei che è allettata e necessita della badante, ora impossibile da mantenere. Ogni mattina Giorgio preferirebbe non svegliarsi più, ma a 42 anni è difficile che la natura gli doni quella via d’uscita. Vita e disperazione ordinarie in Italia oggi, sofferenze che scardinano vite umane, rispettivamente a Vicenza e a Rimini.

Angelino Alfano è l’uomo che ha tenuto Berlusconi fuori dalle corti di giustizia, finora. Male, bene, dipende dalle opinioni. Poi c’è Joseph Cassano. E’ l’uomo che ha distrutto la vita di Giorgio e di Laura, del vostro vicino di casa, o di un vostro ex compagno di scuola e dell’azienda in cui lavorava con altri 80 operai, oppure dell’artigiano sotto casa, della famiglia sfrattata ieri nel vostro palazzo, di vostro padre, la vostra forse, quella di moltissimi altri italiani, dei loro figli nel futuro, e assieme a queste vite ne ha distrutte altre che ancora persino devono nascere e che per decenni a venire pagheranno per colpa sua, qui, in Italia, nella vostra città, nella vostra borgata. Poi ci sono i centinaia di milioni di altri disperati, sparsi per il mondo, distrutti da Cassano, ma qui non ci interessano.

Antonio Di Pietro non sa neppure chi sia Joseph Cassano. Marco Travaglio meno che meno. Grillo? Zero, buio. Michele Santoro? Idem. Voi lo sapete? Di Pietro, Travaglio, Grillo e Santoro sanno però alla perfezione chi è Angelino Alfano, ve ne parlano a tamburo battente, strillano che è colui per colpa del quale “La Democrazia è in Pericolo in Italia”, e chiamano all’azione migliaia di italiani per fermarlo. Ora veniamo a Joseph.

Parto dal semplice per andare man mano verso il complesso. Joseph Cassano era il dipendente del gigante assicurativo americano AIG che da solo e in poco tempo ha innescato la più grave catastrofe finanziaria dal 1929, che oggi soffoca il mondo economico globale. Dal suo ufficio di Londra, costui ha orchestrato una truffa finanziaria di tale entità e di tale gravità da aver lacerato, con i suoi contraccolpi in crescita esponenziale, l’intero mantello produttivo del pianeta. Giorgio e Laura ne sanno qualcosa ora.

Cassano dirigeva un ufficio della AIG chiamato AIG Financial Products, sede londinese, con 377 dipendenti. Una inezia d’ufficio, se si pensa che AIG contava 150.000 assunti prima del crack. Ma a Joseph venne l’idea di scommettere qualcosa come 500 miliardi di dollari che non aveva, né li aveva la AIG, vendendo polizze assicurative sostanzialmente scoperte, cioè senza possedere il denaro per poterle eventualmente onorare. Tali polizze assicuravano le banche internazionali contro il rischio che i loro prestiti/mutui potessero rimanere scoperti, cosa che può accadere quando i titolari dei mutui/prestiti per svariati motivi dicono “non abbiamo più una lira da darvi”. In termini tecnici quelle polizze si chiamavano Credit Default Swaps. Cassano pensava: “Vuoi che tutte ste banche vengano tutte insieme a incassare le polizze tutte nello stesso periodo? Impossibile, per cui io intasco i loro soldi e se va male ne dovrò liquidare due o tre al massimo, cioè gli scoperti ordinari”. Joseph Cassano non fece a tempo a finire di pensare quella frase che praticamente tutte le banche del mondo da lui assicurate gli si presentarono in ufficio e gli dissero: “C’è stato un crack in America, qui i debitori non ci danno più un soldo, possiamo incassare le polizze signor Cassano?”. Panico. La AIG scopre così di avere un buco di 500 miliardi di dollari, le banche si ritrovano con scoperti per trilioni di dollari che nessuno gli ripagherà (1 trilione = mille miliardi di $), e cosa fanno? Chiudono i rubinetti del credito. Senza credito le aziende colano a picco, i mercati si fermano, l’economia crolla e i lavoratori pagano col 'sangue'. Ecco come Giorgio e Laura, a Vicenza e a Rimini, piangono oggi sulla rovina della loro vita e sul naufragio dei loro sogni. Tutto ciò avviene negli ultimi 2 anni.

Torniamo dall’inizio, e fate attenzione, perché la storia che segue vi mostra come lavorano i veri Padroni del Mondo, i veri attentatori alle vostre vite e i veri padroni di Silvio Berlusconi, cioè coloro che nessuno dei ‘paladini’ dell’Antisistema italiano si sogna di combattere, mentre vi fanno perdere tempo dietro a minuzie.

La catastrofe di cui sopra monta, esattamente come monta una tempesta tropicale, in anni non troppo lontani, cioè durante l’era Clinton (1993-2001), quando in America qualcuno pensa che la speculazione finanziaria può rendere molto di più se i governi la piantano di mettere i bastoni fra le ruote degli investitori. Ed è così che un drappello di politici sia repubblicani che democratici ottengono l’approvazione di una legge chiamata Gramm-Leach-Bliley Act, che liberalizza le transazioni finanziarie a scopo speculativo. Gli sponsor della legge sono il repubblicano Phil Gramm e i democratici Robert Rubin e Larry Summers, oggi consiglieri di Obama (sic), nonché Joe Biden, oggi vice-presidente (sic). Clinton la firmò nel 1999. Essa tagliava le ali a un’altra legge USA, la Glass-Steagall, che anni prima aveva voluto mettere un freno alla finanza selvaggia. Dietro le quinte, il lavoro delle lobbies bancarie e assicurative che avevano speso 350 milioni di dollari in finanziamenti ai politici giusti. A quel punto gli uomini di Wall St. e della City di Londra avevano briglia sciolta. Con l’aiuto dei migliori giovani matematici neolaureati, si misero a creare dei prodotti finanziari diabolici, astrusi, ma micidiali, che gli facevano guadagnare milioni di dollari in un battibaleno. Tali prodotti erano, e sono, così complessi che il Financial Times di Londra dovette incaricare Jillian Tet e il suo team di economisti di studiarli, cosa che li impegnò per anni prima di capirci qualcosa. Nel 2006 il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Calude Trichet, aveva già detto anch’egli testualmente “…non li riesco a capire”. Si trattava in maggioranza dei famosi Derivati, cioè prodotti finanziari il cui valore ‘deriva’, o meglio è garantito, dal valore di qualcos’altro. Esempio: vendono un prodotto finanziario a te in Italia dicendoti che ti renderà tot % all’anno. Tu gli dai i soldi, loro incassano, ma non ti dicono che quel prodotto è garantito dal mutuo di un altro tizio che sta a Chicago o a Bangkok, per esempio. Se il tizio di Chicago o di Bangkok paga le rate in regola tutto fila liscio, ma se per disgrazia smette di pagarle? I Derivati sono anche mille altre cose (come i Credit Default Swaps di cui sopra), ma sono sempre scommesse sul valore di qualcos’altro. Sono azzardi scellerati che oggi si sono sparsi per il mondo per un valore totale di… rullo di tamburi… 525.000 miliardi di dollari, tre volte il PIL mondiale, e questo grazie soprattutto al Gramm-Leach-Bliley Act di cui sopra.

Fra questi azzardi finanziari c’erano anche una colossale montagna di mutui dati agli americani senza tanti controlli, chiamati ‘sub-prime’, dati cioè a gente la cui posizione finanziaria era incerta ma che pensava di poter pagare le rate grazie al fatto che in America c’era una bolla immobiliare stupefacente in continua crescita. Cosa vuol dire? Vuol dire che John Smith lavoratore precario comprava una casa con un mutuo ‘sub-prime’ per 250.000 dollari, ma la casa nel giro di sei mesi aumentava di valore (bolla immobiliare) di 30.000 dollari, nel giro di un anno di 80.000, e via dicendo. Mr Smith poteva così sentirsi sicuro di poter ripagare il mutuo con facilità. Riassumendo: le banche USA davano via mutui come noccioline a chicchessia, i signori chicchessia sfruttavano la bolla immobiliare per ripagare i mutui e, attenzione ora, sapete cosa hanno pensato di fare le banche? Hanno pensato di impacchettare tutti questi mutui faciloni (sub-prime) e di vederli in giro per il mondo sotto forma di prodotti finanziari, cioè proprio quei prodotti Derivati di cui sopra (l’esempio di Chicago o Bangkok). Ma come tutte la bolle speculative, anche quella immobiliare americana scoppiò di colpo. Il mercato dell’immobile in America perse vertiginosamente 7 trilioni di dollari, di cui 1 trilione era stato sborsato dalle banche sotto forma di questi mutui scellerati. Eccoci all’AIG. Moltissimi debitori americani smisero di pagare le rate, la banche si trovarono con miliardi di dollari di scoperto, chi nel mondo (cittadini e banche come Unicredit) aveva comprato i derivati garantiti da quei mutui americani si trovò fregato, e quando le banche si rivolsero all’AIG per riscuotere le polizze fasulle di Joseph Cassano tutto andò in pezzi. Inclusa la vita di Giorgio e Laura.

Questa spirale disastrosa, pensate, sta costando all’intero sistema bancario americano e inglese la bancarotta. Cioè, in parole povere, con un buco che supera i 3.600 miliardi di dollari si può dire che i sistemi bancari di USA e GB siano in effetti falliti. Nella sola Inghilterra, una singola banca aveva uno scoperto per un ammontare superiore all’intero PIL nazionale. Le conseguenze nel mondo sono sotto gli occhi di tutti, e dritto in casa vostra oggi. Va fatta qui una prima riflessione: vi rendete conto che i giochi di una manciata di individui che distano dall’Italia migliaia di chilometri possono lacerare le vite degli italiani con una distruttività mille volte superiore a qualsiasi Lodo o processo berlusconiani? C’è qualcuno qui che vi sta mobilitando per difendervi? Nessuno. Perché? Perché a Di Pietro e a Travaglio non gliene frega un accidenti delle famiglie italiane vere, e del pericolo democratico che proviene da disastri del genere. Gli importa solo di quel nugolo di borghesi col deretano parato (dai genitori, spesso) che vanno a formare la maggioranza dei loro elettori/fans, e che fanno la loro fortuna politica/economica. Giorgio e Laura neppure li considerano.

Torniamo ai giochi finanziari scellerati. Gli istituti finanziari internazionali protagonisti di questi crimini facevano anche di peggio. Per esempio il cosiddetto ‘Banner Swapping’. La banca Tizio e la banca Caio si scambiavano 1 miliardo di dollari di Derivati, che come sappiamo avevano valore di carta straccia. Ma entrambe le banche scrivevano sui libri contabili che quello scambio era invece un incasso. Con un ‘incasso’ di 1 miliardo di dollari le azioni di quelle banche schizzavano in alto, e i manager si intascavano dei premi personali favolosi (i bonus). Il fatto poi che tutto questo fosse fasullo, veniva lasciato al futuro, chi se ne importa. Ma nel futuro ci sono le nostre vite di lavoratori, di cittadini, ci sono gente come Giorgio e Laura.

I bonus sono centrali per capire la filosofia politica che sta alla base non solo di questa catastrofe globale, ma anche di tutto il pensiero del Libero Mercato. Essa si riassume così: se io banca/investitore vinco intasco i profitti (i bonus ecc.), se perdo pagano i cittadini (gli Stati). E infatti oggi in tutto il mondo sono i contribuenti che stanno sborsando trilioni di dollari per salvare banche, banchieri, investitori e soci. Un dato: Obama sta elargendo quasi 3.000 miliardi di dollari al mondo finanziario in bancarotta, cioè ai Cassano d’America. Confrontate questo con i miseri 19 miliardi di dollari che il presidente USA ha garantito contro il fallimento della General Motors, dove chi lavora non sono yuppies rampanti con lo yacht a Malibù, ma gente vera con famiglie vere come Giorgio e Laura. Una logica scandalosa. Di fatto, essa si traduce in quelli che l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz ha chiamato “gli incentivi perversi” a scommettere col destino di milioni di lavoratori e di cittadini, poiché, ribadisce Stiglitz, i ricchi “intascano enormi profitti se le cose gli vanno bene, ma non pagano nulla se gli vanno male”, infatti chi paga siamo noi tutti. Un altro Nobel dell’economia, Paul Krugman, ha definito tale filosofia “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. E sapete come hanno fatto gli squali di Wall St. a ottenere questi indecenti favoritismi che noi tutti paghiamo? In due modi: primo, hanno elargito al buon presidente ‘progressista’ Barack Obama 38,6 milioni di dollari in campagna elettorale nel 2008; secondo gli hanno detto “poiché in questo disastro di Derivati nessuno ci capisce nulla a parte noi che li abbiamo creati, è meglio che non ci affondi, se no affondate tutti con noi”. Italiani inclusi.

E in Italia stanno accadendo cose simili. Perché anche da noi i vostri soldi stanno finendo nelle tasche degli scellerati, o di coloro che, per causa di questi criminali Padroni del Mondo, stanno oggi fallendo nella disperazione di migliaia di famiglie. Nel solo marzo del 2009, il governo di Roma ha stanziato 12,8 miliardi di euro per salvare il settore bancario e quello auto/elettrodomestici. Per darvi le proporzioni, è una cifra quasi identica a quella della finanziaria di quest’anno (13,1 miliardi), con la quale si sarebbe potuto aiutare tutt’Italia, incluso quel 38% delle famiglie italiane in difficoltà nella cui vita il lodo Alfano conta come un peto, e la cui capacità di partecipare alla vita democratica è distrutta quotidianamente dal perenne affanno per arrivare a fine mese.

Ma al peggio non c’è mai fine. Si è appena descritto in termini concreti uno degli agghiaccianti pericoli per le democrazie mondiali (già verificatosi) e per il welfare di milioni di cittadini, che costituisce, assieme a molto altro ahimè, la vera minaccia democratica a noi persone comuni, Italia inclusa, e di fronte a cui gli scandali strombazzati dai ‘paladini’ dell’Antisistema italiano sono minuzie. Viene dunque da chiedersi: cosa si sta facendo per combattere tali pericoli? Casa si è fatto? La risposta è disperante, e di nuovo è materia nascosta a quasi tutti voi e su cui i vostri ‘paladini’ tacciono. Durante l’ultimo G8 all’Aquila, sono state annunciate misure per ridare ordine alla finanza internazionale. Sono palliativi cosmetici. Nella realtà accade questo: il governo americano, che è quello che conta, ha chiamato per ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi infami che l’hanno creata. Invece di punire gli scellerati investitori, invece di fargli perdere ciò che avevano scommesso sulla nostra pelle, invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner hanno offerto agli Hedge Funds (il peggio degli scellerati di Wall St.) e ad altri gruppi di investitori selvaggi una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite, e cioè quei famosi Derivati carta straccia che anche noi abbiamo comprato. E’ l’ennesima truffa che ci distruggerà il futuro, a New York come a Teramo. Funziona così, e cerco di farla semplice: questi investitori hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se i Derivati che comprano dalle banche asfissiate ritorneranno a guadagnare, gli investitori sopraccitati si intascheranno i profitti; se invece rimarranno carta straccia, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA (cioè i contribuenti) e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano Non-Recourse Loans). Forse è difficile da capire, ma fidatevi, è così, è il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”.

Ciò che più importa, però, è che in tale modo si è ricreata una vera Cupola mondiale di investitori privati collusi col governo più potente del mondo, di fatto una colossale impresa zeppa all’inverosimile di questi prodotti finanziari esplosivi, che se esplode di nuovo ci trascinerà tutti in un abisso mai visto nella Storia dell’economia. Di nuovo, al timone di questo ordigno nucleare della finanza impazzita ci sono gli stessi personaggi che hanno causato il presente disastro economico planetario (Summers, Rubin, Liddy ecc.), perché sono gli unici che ne capiscono qualcosa. Noi, i cittadini, e pure i nostri politici, ne siamo esclusi del tutto, anche se le conseguenze di un eventuale nuovo crack, lo ripeto, le pagheremo noi, i nostri figli, il nostro futuro, in ogni singolo atto della nostra vita di comunità, e col ‘sangue’. Per tali motivi, quanto è già accaduto e qui descritto, e quanto sta accadendo, sono la vera minaccia alla democrazia che pende sui nostri capi oggi. Una minaccia agghiacciante, poiché la Storia ci insegna che nulla indebolisce la democrazia dei cittadini come il terrore economico, di cui i Padroni del Mondo sempre approfittano per ledere i nostri diritti. Ne capite la gravità? Capite perché la Società Civile Organizzata italiana, oggi ipnotizzata dai nostri falsi ‘paladini’, dovrebbe accantonare Alfano e occuparsi con ogni sua forza di Cassano? Quando la democrazia è alla fase terminale, esistono priorità urgenti, e gli sbraiti di Grillo, i libri fotocopia di Travaglio e le idiozie per mezzo stampa di Di Pietro non lo sono. L’ossessione contro Berlusconi oggi non lo è. Anzi, ci distraggono dal salvarci la vita.

Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info

21 luglio 2009

Il rapporto su «Piombo Fuso»: «A Gaza l’ordine era uccidere»

Le denunce raccolte in un rapporto di una ong israeliana per i diritti umani. I racconti di alcuni soldati: l’ordine era «se non sei sicuro, spara». La replica dei vertici di Tsahal: sono testimonianze «anonime e generiche».

Sparare senza preoccuparsi della sorte dei civili palestinesi: questa era la prassi seguita dall’esercito israeliano a Gaza durante l’operazione «piombo fuso», che dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio scorso ha provocato circa 1.300 morti, secondo le testimonianze di una trentina di soldati, che hanno partecipato alle operazioni di guerra, raccolte da «Breaking the silence», un’organizzazione composta da ex militari che si batte per il rispetto dei diritti umani. Il rapporto è composto da 112 pagine e raccoglie le testimonianze anche video di uomini «coinvolti nelle operazioni a ogni livello».
ROMPERE IL SILENZIO
Dalle testimonianze, raccolte dall’organizzazione non governativa israeliana (breakingthesilence.org.il) risulta chiaramente che era meglio colpire un innocente che attardarsi a individuare il nemico, perché la regola era «prima sparare e poi preoccuparsi». Un piano basato sull’imperativo di ridurre al minimo le perdite israeliane, avanzando sempre ad armi spianate. Secondo le testimonianze, l’ordine era: «Se non sei sicuro, spara». Il fuoco, racconta un soldato, «era dissennato, appena raggiunta la nostra nuova postazione cominciavamo a sparare contro tutti gli obiettivi sospetti». Perché, come dicevano i capi, «in guerra sono tutti tuoi nemici, non ci sono innocenti». Il rapporto della ong, finanziato da gruppi di attivisti per i diritti umani israeliani e dai governi di Spagna, Gran Bretagna, Olanda e dall’Ue, parla di «civili usati come scudi umani, costretti a entrare in siti sospetti davanti ai soldati che usavano la loro spalla per tenere il fucile puntato».
Secondo Mikhael Mankin, di Breaking the Silence, «le testimonianze provano che il modo immorale in cui la guerra è stata condotta era dovuto al sistema in vigore e non al comportamento individuale di soldati». «Si è dimostrato - continua - che le eccezioni in seno alle forze armate sono divenute la norma e ciò richiede una profonda riflessione e una seria discussione. Questo è un urgente appello alla società israeliana e alla sua dirigenza a guardare sobriamente alla follia delle nostre politiche». Nel dossier si ripetono, inoltre, le accuse sull’uso indiscriminato di armi al fosforo bianco nelle strade di Gaza da parte dell’Esercito dello Stato ebraico e si parla di «distruzioni totali non collegate a nessuna minaccia concreta per le forze israeliane», oltre che di «permissive» regole d’ingaggio. «Non siamo stati istruiti a sparare a ogni cosa che si muovesse - ha dichiarato un altro soldato - ma ci dicevano: «Se vi sentite minacciati sparate». Secondo uno dei testimoni citati dal rapporto, «l’obiettivo era terminare la missione con il minor numero possibile di perdite per l’Esercito senza chiedersi quale sarebbe stato il prezzo pagato dagli altri (i palestinesi ndr)». «Meglio colpire un innocente che esitare a sparare a un nemico», era l’ordine impartito dai vertici di Tsahal, secondo un’altra confessione pubblicata nel dossier di «Breaking the silence».
Barak: criticate me
In una minuziosa risposta alla denuncia, il portavoce militare israeliano, dopo aver ricordato che l’operazione Piombo Fuso fu lanciata in risposta a otto anni di tiri di razzi sulla popolazione civile nel sud di Israele, ha accusato l’ong di aver redatto un rapporto basato su «testimonianze anonime e generiche». L’ong, afferma il portavoce, «non ha avuto la decenza di presentare il rapporto alle forze armate e non ha permesso di investigare le testimonianze prima della sua pubblicazione pur continuando a diffamare le forze armate e i suoi ufficiali». Il portavoce militare sottolinea l’assenza «di ogni elemento atto a identificare gli autori delle testimonianze, il loro grado e la loro posizione al momento degli incidenti denunciati, l’unità di appartenenza, il modo in cui le testimonianze sono state raccolte e come la credibilità delle testimonianze sia stata verificata». «Le critiche rivolte alle forze di sicurezza israeliane da questo o quel gruppo sono inappropriate», taglia corto il ministro della Difesa Ehud Barak. «L’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr) sono uno degli eserciti che meglio rispettano l’etica al mondo e agiscono nel rispetto di alti valori morali. Ogni critica alle operazioni delle forze di sicurezza - aggiunge Barak - dovrebbe essere rivolta a me, in quanto ministro della Difesa israeliano».

20 luglio 2009

L'Unto del signore

Dobbiamo a un giornalista, Ferruccio Pinotti (che, negli anni scorsi, ha già pubblicato inchieste importanti come Poteri forti - 2005 -,Opus Dei segreta - 2006 - Fratelli d'Italia - 2007 - e Olocausto bianco - 2008 -) di aver scritto, insieme con il giornalista tedesco Udo Gumpel, per Rizzoli, un libro intitolato L'unto del signore (pp.300,11 euro) che rappresenta uno dei lavori più informati e interessanti sulla carriera di Silvio Berlusconi, attuale presidente del Consiglio in Italia, e sui suoi rapporti, stretti e intensi, con il Vaticano, con il Papa e con le alte gerarchie della Chiesa cattolica. L'ho letto con particolare attenzione. Ora desidero parlarne nel mio blog e mi riprometto, se mi sarà possibile, parlarne nella stampa italiana, probabilmente in quella on-line che è sicuramente più libera di quella che appare nelle edicole, e di parlarne adeguatamente perché gli italiani sappiano

(almeno quelli che riusciremo a raggiungere) del pactum sceleris -direbbero i latini - che lega da molti anni il leader del Popolo della Libertà con l'istituzione ecclesiastica, non con i cattolici italiani, tanti dei quali sono oggi, e magari da tempo, all'opposizione del suo governo e, in ogni caso, non immaginano nemmeno natura e obbiettivi di quel patto di potere. Silvio Berlusconi, già durante gli anni universitari, frequenta la residenza universitaria Torrescalla, un collegio dell'Opus Dei, e qui incontra quello che diventerà il suo più stretto collaboratore, il dottor, oggi senatore, Marcello Dell'Utri. Il quale ha raccontato: "A presentarmi Silvio Berlusconi fu il direttore della residenza universitaria di Palermo. Segesta, Bruno Padula, oggi vicario della Pelatura dell'Opus Dei in Sicilia." E, anche se Berlusconi è vicino alla laurea mentre Marcello è una matricola, tra i due si sviluppa un'immediata simpatia e quindi un sodalizio destinato a durare tutta la vita (p.15-16).

La carriera imprenditoriale di Silvio, che Pinotti ripercorre analiticamente prima di parlare del patto con il Vaticano , è assai veloce. Grazie a un prestito concesso dalla Banca Rasini, di cui il padre Luigi è direttore, Berlusconi fonda con Pietro Canali, la Cantieri Riuniti Milanesi e costruisce quattro palazzine per gli immigrati in via Alciati alla periferia di Milano.

Quindi nel 1963 fonda la Edilnord Sas, di cui è socio di opera. I capitali li fornisce la Finanzierunggesellschaft fur Residenten Ag di Lugano. La società costruisce un complesso di quattromila appartamenti a Brugherio, vicino Milano. E offre a Marcello Dell'Utri un lavoro come segretario del presidente dal 1964 al 1965. Tre anni dopo, nel 1968, per costruire Milano 2, Berlusconi fonda un'altra società La Edilnord Centri Residenziali. I capitali vengono da un'altra società svizzera Aktiengesellshaft fur Immobilienlagen in Residezzentren AG, una società rappresentata come la svizzera precedente, da Renzo Rezzonico. Proprio, in quel periodo, Berlusconi inizia a frequentare il mondo cattolico che conta. Del resto la Banca Rasini è un terminale forte della finanza vaticana. Dai documenti presenti nelle inchieste giudiziarie che lo hanno riguardato, ma anche in quelle giornalistiche che ne hanno seguito il percorso, emerge con chiarezza che la Rasini non era solo la banca nella quale lavorava il padre di Silvio ma anche l'istituto che finanziò i suoi inizi imprenditoriali negli anni sessanta e con l'aiuto del quale nacque, nella seconda metà degli anni settanta, la complessa costruzione societaria delle holding che detenevano il controllo della Fininvest.

"Vale a dire - raccontano Pinotti e Gumpel - 23 Srl, fondate nel 1978, intestate per il 90 per cento a Nicla Crocitto, un'anziana casalinga abitante a Milano 2 e per il 10 per cento al marito Armando Minna, già sindaco della Banca Rasini. Alla fine dell'anno escono di scena i due coniugi e subentrano due fiduciarie, Saf e Parmasid. In poco tempo il capitale sociale della Fininvest è quasi interamente controllato da questo opaco sistema di scatole cinesi, dietro cui il nome di Silvio scompare. Tra il 1978 e il 1983 nelle holding fluisce un fiume di denaro di provenienza non sempre verificabile attraverso la documentazione bancaria. "Da verbali che provengono dagli atti del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri emerge: "Da tabulati rinvenuti presso gli archivi della Banca Rasini si è rilevato che le denominazioni sociali delle holding "dalla prima alla ventiduesima" venivano censite come "servizi di parruccheria ed istituti di bellezza". Inoltre si veniva a conoscenza che le holding non erano solamente ventidue ma "trentotto" come peraltro riscontrato nelle schede di censimento." A queste si aggiungono altre cinque società, denominate Hodfin, nonché una società denominata Holding Elite.

"Quasi tutte le holding - commentano gli autori - cessavano i propri rapporti di conto corrente con la Rasini pochi mesi dopo il blitz antimafia del 14 febbraio 1983." (p.21) La Banca Rasini alla metà degli anni cinquanta era composta, per quanto riguarda la composizione societaria, quasi esclusivamente da milanesi (tra cui Carlo e Gian Angelo Rasini) eccetto il siciliano Giuseppe Azzaretto. Successivamente, negli anni sessanta e settanta, cresce il ruolo dei soci siciliani, rappresentati anche dal figlio di Azzaretto, Dario. Giuseppe Azzaretto, nato nel 1909 a Misilmeri, piccola frazione nell'hinterland di Palermo, può contare nella sua carriera imprenditoriale di forti appoggi della Santa Sede. Appartiene - ricorda Pinotti - ai potenti Cavalieri dell'Ordine di Malta e ai Cavalieri del Santo Sepolcro che hanno visto tra i propri adepti personaggi come Licio Gelli e Umberto Ortolani. In effetti, appena acquistarono il controllo della Banca Rasini il presidente dell'Istituto divenne Carlo Nasali Rocca di Corneliano, Cavaliere di Malta e fratello del cardinale Mario Nasali Rocca.

La baronessa Maria Giuseppina Cordopatri, a lungo cliente privilegiata della Banca Rasini, in una lettera a Max Parisi del giornale "La Padania" scrive già nel 1998 che la Banca "formalmente era intestata alla famiglia Azzaretto ma nella realtà la Banca era controllata da Giulio Andreotti. Il commendator Giuseppe Azzaretto era all'epoca uomo di fiducia di Andreotti. Il punto saliente (...) che non è stato evidenziato è che quando la mafia siciliana si impossessa della Banca Rasini, la banca è già di Andreotti. Lasciai la Banca Rasini quando la lasciarono gli Azzaretto, cui subentrò, mi fu detto, una società svizzera." (p.23) Pinotti e Gumpel fanno seguire a questa importante testimonianza un lungo racconto sui particolari di quei rapporti e ricordano che, tra il 1983 e il 1984, la Banca entra nel controllo azionario dei Rovelli, una famiglia di imprenditori legata all'uomo politico siciliano e implicato nello scandalo Imi-Sir e concludono: "La Banca Rasini, dunque, sembra essere un vero e proprio feudo andreottiano e della finanza vaticana."(p.28)

Infine, tra il 1991 e il 1992, la Banca viene acquisita da un altro istituto noto: la Banca Popolare di Lodi che sarà protagonista, sotto la guida di Gianpiero Fiorani, di uno scandalo più recente di enormi proporzioni. A questo punto i due autori riportano parte di una testimonianza di Ezio Cartotto, l'ex dirigente democristiano che ha vissuto gli anni dell'esordio politico a fianco di Berlusconi. Nei vari incontri con Pinotti e Gumpel, Cartotto ha detto cose assai interessanti: "Ho sentito parlare dell'idea di Berlusconi di scendere in campo nel 1992, dopo le stragi, ma l'elaborazione era in effetti iniziata già prima. Personalmente ritenevo che la situazione italiana fosse destinata a cambiare radicalmente, tanto che nel 1991, prima delle stragi, ne avevo parlato con Arnaldo Forlani: già allora nell'aria c'era un'idea di rinnovamento." (p.113)

Continua Cartotto: "Con Dell'Utri ci siamo incontrati nel 1992, dopo la morte di Salvo Lima. Era un fatto grosso: chiunque abbia visto i funerali e la faccia di Andreotti in quell'occasione, aveva potuto rendersene conto. Era come se gli fosse caduto un masso addosso, era impetrito, una statua, distrutto. La classe politica era in fibrillazione. De Mita stava per dare mano libera ai suoi perché votassero Andreotti alla presidenza della repubblica, ma Falcone fu ucciso e allora Craxi stesso propose l'elezione di Scalfaro, dicendo: " E' stato mio ministro per cinque anni, è una persona per bene di cui ci si può fidare." Ma poi Scalfaro non chiama Craxi a formare il governo perché nel frattempo Bettino a Milano ha ricevuto un avviso di garanzia. Una sequenza di fatti che ha cambiato l'Italia." (p.114) Il progetto del partito di Berlusconi, insomma, nato tra il 1991 e il 1992, si concretizza nel 1993, in vista delle elezioni politiche del 1994. Secondo i magistrati di Palermo, Dell'Utri in quella fase - ricordano gli autori, è "il referente privilegiato di Cosa Nostra ancora prima della nascita della nuova formazione politica."(p.115). Secondo la lunga testimonianza di Cartotto, che non è stata mai smentita finora, Berlusconi tramite Gianni Letta, ex uomo e a lungo di Andreotti e il cardinale Bertone, segretario di Stato, è vicino all'attuale pontefice Joseph Ratzinger. Conta inoltre di rafforzare i rapporti con il Vaticano l'amicizia che il leader del Popolo della Libertà ha da molti anni con Comunione e Liberazione e la Compagnia delle Opere attraverso Roberto Formigoni che potrebbe essere alla fine il suo erede politico. Il libro di Pinotti e Gumpel, nella seconda parte, riporta a ragione una serie di testimonianze di uomini della Chiesa cattolica, da don Vinicio Albanesi a don Albino Bazzotto, al vaticanista Giancarlo Zizola che sono, non da oggi, critici sull'intesa tra il Vaticano e Berlusconi e ne mettono in luce con chiarezza i veri obbiettivi di potere e di scambio di denaro che li caratterizzano dall'inizio ma che non hanno la forza di mettere in crisi l'accordo di vertice che dura ormai da più di quindici anni.

Un principio fondamentale della nostra costituzione, come la laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche, è stato scambiato dalla classe politica di governo (e da parte della opposizione) per ottenere l'appoggio politico e culturale del papato e delle alte gerarchie cattoliche. Oggi non esiste più e lo si vede con una legislazione sulle coppie di fatto, sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico che non è degna di un paese moderno e civile. Se, nel nostro paese, esistesse una grande stampa libera e ci fossero canali televisivi indipendenti, l'intesa sarebbe stata da tempo denunciata e analizzata a fondo e, probabilmente, sarebbe entrata in crisi. Ma, con l'attuale situazione dei mass media, gran parte degli italiani non sa ancora nulla dei corposi retroscena dell'accordo e delle sue effettive motivazioni e non è in grado di respingere la propaganda ossessiva che le due parti, il Vaticano, da una parte, e il governo Berlusconi, dall'altra, fanno per nascondere la verità e andare avanti come nel passato. Per riassumere i risultati della ricerca sul percorso di Berlusconi e la sua politica che dura ormai da quasi vent'anni nel nostro paese è necessario sottolineare due punti, di solito assenti o secondari nella letteratura storica esistente. In primo luogo l'aiuto della finanza vaticana e di uomini politici legati al Vaticano come Giulio Andreotti che sono stati dall'inizio importanti per l'ascesa economica e poi politica dell'attuale presidente del Consiglio e leader del centro-destra. I suoi rapporti con le associazioni mafiose, come quelli del Vaticano, rimontano agli anni sessanta e settanta. Marcello Dell'Utri è stato, con ogni probabilità, il tramite principale di questi rapporti.