7 luglio 2009 Le definizioni si sono sprecate per il 30 giugno, giorno del ritiro delle forze americane dalle città irachene occupate, sia da parte del comando di occupazione americano sia da parte del governo di occupazione iracheno. Cominciamo dai discorsi del governo. La definizione più diffusa e ripetuta da parte dei politici iracheni è stata quella di "recupero della sovranità nazionale", a cui si è affiancata quella di "giorno storico". Il concetto di 'sovranità’ e di 'assunzione della sovranità’ suona stranamente nel nuovo Iraq. Il governatore Paul Bremer aveva già 'consegnato la sovranità’ a Iyad Allawi, il primo premier del governo di occupazione, il 28 giugno del 2004, fuggendo col favore delle tenebre per timore degli attacchi della resistenza. La celebrazione durò cinque minuti, durante i quali Bremer disse, rivolgendosi ad Allawi, Ajil al-Yawer, e Barham Salih (al-Yawer e Salih furono rispettivamente presidente e vice primo ministro del governo iracheno ad interim (N.d.T.) ): "ormai siete pronti per la sovranità; riteniamo che ciò sia una parte importante del nostro impegno in qualità di custodi temporanei finalizzato a restituirvi la sovranità". Allawi definì quel giorno (notate la somiglianza con il modo di rapportarsi al giorno del ritiro delle truppe americane da poco celebrato) come un "giorno storico". Al-Yawer aggiunse: "Questo è un giorno storico e felice". Bremer rispose ricordando i servizi resi dall’America nei loro confronti: "Senza dubbio la liberazione dell’Iraq è stata una fra le più grandi e nobili imprese". Da quel giorno l’ossessione dell’assunzione della 'sovranità’ non ha più abbandonato i politici (iracheni) dell’occupazione, forse perché la memoria di chi mente non si estende a tutte le menzogne quotidiane, e l’assunzione della sovranità è una menzogna che necessita di aggiunte e di 'abbellimenti’ ogni giorno. Così, il 'nuovo Iraq’ ha cominciato a riposare sugli allori della sovranità e del 'completamento della sovranità’. Nel novembre del 2008, il 'presidente’ Jalal Talabani disse che "la ratifica dell’accordo sul ritiro delle truppe americane dall’Iraq significa il completamento degli elementi di sovranità e indipendenza del paese". Senonché egli dimenticò ben presto queste parole, perché nel corso di una successiva intervista con il canale di stato Al-Iraqiya disse: "Purtroppo, molti dei nostri fratelli in Iraq non sanno ciò che avviene dietro le quinte; noi non siamo un paese libero e indipendente". Poi Talabani tornò a ricordare i meriti dei suoi padroni nel giorno d’inaugurazione della più grande ambasciata americana del mondo, nella capitale Baghdad, il 5 gennaio 2009. In quell’occasione egli affermò che "l’esistenza di un Iraq democratico, unito e indipendente non sarebbe stata possibile se non fosse stato per la decisione coraggiosa e storica del presidente George W. Bush di liberare l’Iraq". Egli tenne il suo discorso alla presenza del criminale di guerra e vicesegretario di stato americano John Negroponte, il quale a sua volta disse la sua sul concetto di 'sovranità’: "Avete consacrato la vostra vita di combattenti e uomini di stato a un Iraq libero, sovrano e unito". E’ bene ricordare che Negroponte è il padre spirituale degli squadroni della morte in America Latina e in Iraq, dei quali sono state vittime, secondo studi di livello mondiale, centinaia di migliaia di civili. Il primo ministro del secondo governo di occupazione, Ibrahim al-Jaafari, contribuì ad aggiungere nuove dimensioni al concetto di 'sovranità’. Il 1° luglio del 2005, egli disse che "il processo a Saddam Hussein rappresenterà una forma di sovranità irachena". Siccome il partito 'Daawa’ – una formazione politica di ispirazione confessionale – è quello che ha prodotto sia Jaafari che Maliki, non c’è da stupirsi della somiglianza dei loro discorsi sulla sovranità, sebbene i tempi siano cambiati. Ecco infatti Maliki rivolgere un discorso agli iracheni in occasione del ritiro delle truppe americane, durante il quale egli ha affermato: "La sovranità nazionale è una linea rossa che non può essere oltrepassata, in nessun caso". Si tratta di un tipo di vaneggiamento che ci ricorda le dichiarazioni dei leader del suo partito, e di quelli del SIIC (Supremo Consiglio Islamico Iracheno), quando dicevano che si sarebbero sbarazzati dell’occupazione in sei mesi, e che la 'sovranità’ era una linea rossa non oltrepassabile! Maliki ha proseguito il suo discorso dicendo: "Oggi l’Iraq è entrato in una nuova fase, dopo l’applicazione dell’accordo sul ritiro delle forze straniere". Ma lasciamo da parte il leitmotiv dell’ 'ingresso dell’Iraq in una nuova era’ poiché esso si smentisce per il solo fatto di essere ripetuto fino all’eccesso, e volgiamo il nostro sguardo a ciò che c’è di vero nel 'ritiro delle forze straniere’. In realtà esso non è più di un ritiro formale allo scopo di proteggere le forze di occupazione dagli attacchi della resistenza. Le truppe irachene saranno utilizzate come scudi umani per proteggerle e per mantenere invariato il loro potenziale bellico all’interno delle loro basi fortificate. Le truppe americane potranno tornare nelle strade qualora la situazione lo richiedesse, e continueranno inoltre ad essere libere di lanciare attacchi dal cielo e di utilizzare gli aerei senza pilota per compiere incursioni, bombardamenti e operazioni di monitoraggio. Le forze di occupazione continuano ad essere annidate nel cuore di Baghdad, all’interno della più grande ambasciata americana del mondo, all’ingresso della zona verde, lungo tutta l’autostrada che conduce all’aeroporto, e nelle zone di Baghdad Ovest, che sono state riclassificate come 'esterne alla città’. E mentre le truppe presenti nelle città hanno ridefinito i propri nomi per diventare forze di addestramento e di 'consulenza’, l’ultima inchiesta sull’Iraq rivela che il numero dei 'mercenari’, i contractor al soldo del Pentagono, è cresciuto del 23% dall’arrivo di Obama alla Casa Bianca. Secondo i dati americani di questo mese, si tratta di 126.000 contractor militari, ovvero non operanti nel settore dei servizi, né come camionisti o altro. Più del 30% di essi sono americani precedentemente impiegati nelle squadre delle missioni speciali. I rimanenti sono professionisti provenienti dall’America Latina, dal Sudafrica e da altre regioni che sono state sottoposte a esperienze di repressione dei movimenti di liberazione e della democrazia. Ciò significa che al ritiro di un certo numero di soldati dell’esercito americano regolare corrisponderà un aumento, in percentuale anche maggiore, di mercenari che godono di un’immunità superiore a quella dei militari dell’esercito americano, indipendentemente dai crimini che commettono. Questo è uno dei punti essenziali che i politici iracheni fanno finta di non vedere, e che di tanto in tanto si vantano di aver eliminato, come fece Jaafari nel settembre del 2005, quando mentì senza vergogna affermando: "D’ora in avanti la legge irachena sarà applicata a tutti i crimini commessi in Iraq, inclusi quelli commessi dalla forza multinazionale". Ed ecco che siamo ormai alla metà del 2009, e gli assassini circolano ancora liberamente in terra d’Iraq. Il general maggiore Robert Caslen, comandante delle forze americane nel nord dell’Iraq, ha dichiarato il 26 giugno che le truppe americane avrebbero circondato le città nel tentativo di ripetere la strategia di concentrazione delle forze che era stata applicata in precedenza dall’esercito, sotto il comando del generale David Petraeus. Egli ha anche ricordato che il governo iracheno ha accettato la presenza di forze americane 'non combattenti’ in alcune città. Ciò include il mantenimento di cinque posizioni nella città di Mosul anche dopo il giorno del 'ritiro’. Il governo iracheno, che si vanta della propria sovranità, è riuscito a trasformare questa sovranità, così come altri nobili concetti legati alla dignità e alla giustizia, in un concetto vuoto e privo di qualsiasi significato. Non so se le immagini del milione di vittime civili irachene, uccise a seguito dell’invasione e dell’occupazione dell’Iraq, sono sfilate davanti agli occhi di Maliki mentre leggeva il suo discorso sul rapporto paritario dell’Iraq con l’America, gettando la colpa dei mali del paese sulle spalle "dei terroristi, dei takfiriti (gruppi islamici estremisti che accusano di apostasia altri musulmani (N.d.T.) ), dei membri del regime baathista e delle bande criminali". Come se egli non avesse mai avuto notizia delle centinaia di rapporti pubblicati dalle organizzazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani, incluso l’ufficio delle Nazioni Unite in Iraq (UNAMI) che opera in collaborazione con il suo governo, i quali documentano le violazioni, i trattamenti umilianti, gli omicidi, e ogni altra forma di crimini commessi dalle forze di occupazione, da sole o in collaborazione con le sue forze di sicurezza e con le milizie del suo governo. Proteggere le forze di occupazione e tacere sui loro crimini è di per sé un crimine imperdonabile. Il cittadino iracheno continuerà ad essere vittima di questi crimini e di queste violazioni fino a quando le forze di occupazione rimarranno sulla nostra terra godendo dell’immunità rispetto alle nostre leggi. Le cose non cambiano molto se queste forze di occupazione si trovano all’interno o al di fuori delle città. Haifa Zangana è una scrittrice irachena; è stata prigioniera nelle carceri del regime di Saddam Hussein; attualmente risiede in Gran Bretagna; scrive abitualmente sul quotidiano al-Quds al-Arabi e collabora con giornali come il Guardian e al-Ahram Weekly |
11 luglio 2009
Le forze di occupazione in Iraq: ritiro dalle città o ridispiegamento?
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Le forze di occupazione in Iraq: ritiro dalle città o ridispiegamento?
7 luglio 2009 Le definizioni si sono sprecate per il 30 giugno, giorno del ritiro delle forze americane dalle città irachene occupate, sia da parte del comando di occupazione americano sia da parte del governo di occupazione iracheno. Cominciamo dai discorsi del governo. La definizione più diffusa e ripetuta da parte dei politici iracheni è stata quella di "recupero della sovranità nazionale", a cui si è affiancata quella di "giorno storico". Il concetto di 'sovranità’ e di 'assunzione della sovranità’ suona stranamente nel nuovo Iraq. Il governatore Paul Bremer aveva già 'consegnato la sovranità’ a Iyad Allawi, il primo premier del governo di occupazione, il 28 giugno del 2004, fuggendo col favore delle tenebre per timore degli attacchi della resistenza. La celebrazione durò cinque minuti, durante i quali Bremer disse, rivolgendosi ad Allawi, Ajil al-Yawer, e Barham Salih (al-Yawer e Salih furono rispettivamente presidente e vice primo ministro del governo iracheno ad interim (N.d.T.) ): "ormai siete pronti per la sovranità; riteniamo che ciò sia una parte importante del nostro impegno in qualità di custodi temporanei finalizzato a restituirvi la sovranità". Allawi definì quel giorno (notate la somiglianza con il modo di rapportarsi al giorno del ritiro delle truppe americane da poco celebrato) come un "giorno storico". Al-Yawer aggiunse: "Questo è un giorno storico e felice". Bremer rispose ricordando i servizi resi dall’America nei loro confronti: "Senza dubbio la liberazione dell’Iraq è stata una fra le più grandi e nobili imprese". Da quel giorno l’ossessione dell’assunzione della 'sovranità’ non ha più abbandonato i politici (iracheni) dell’occupazione, forse perché la memoria di chi mente non si estende a tutte le menzogne quotidiane, e l’assunzione della sovranità è una menzogna che necessita di aggiunte e di 'abbellimenti’ ogni giorno. Così, il 'nuovo Iraq’ ha cominciato a riposare sugli allori della sovranità e del 'completamento della sovranità’. Nel novembre del 2008, il 'presidente’ Jalal Talabani disse che "la ratifica dell’accordo sul ritiro delle truppe americane dall’Iraq significa il completamento degli elementi di sovranità e indipendenza del paese". Senonché egli dimenticò ben presto queste parole, perché nel corso di una successiva intervista con il canale di stato Al-Iraqiya disse: "Purtroppo, molti dei nostri fratelli in Iraq non sanno ciò che avviene dietro le quinte; noi non siamo un paese libero e indipendente". Poi Talabani tornò a ricordare i meriti dei suoi padroni nel giorno d’inaugurazione della più grande ambasciata americana del mondo, nella capitale Baghdad, il 5 gennaio 2009. In quell’occasione egli affermò che "l’esistenza di un Iraq democratico, unito e indipendente non sarebbe stata possibile se non fosse stato per la decisione coraggiosa e storica del presidente George W. Bush di liberare l’Iraq". Egli tenne il suo discorso alla presenza del criminale di guerra e vicesegretario di stato americano John Negroponte, il quale a sua volta disse la sua sul concetto di 'sovranità’: "Avete consacrato la vostra vita di combattenti e uomini di stato a un Iraq libero, sovrano e unito". E’ bene ricordare che Negroponte è il padre spirituale degli squadroni della morte in America Latina e in Iraq, dei quali sono state vittime, secondo studi di livello mondiale, centinaia di migliaia di civili. Il primo ministro del secondo governo di occupazione, Ibrahim al-Jaafari, contribuì ad aggiungere nuove dimensioni al concetto di 'sovranità’. Il 1° luglio del 2005, egli disse che "il processo a Saddam Hussein rappresenterà una forma di sovranità irachena". Siccome il partito 'Daawa’ – una formazione politica di ispirazione confessionale – è quello che ha prodotto sia Jaafari che Maliki, non c’è da stupirsi della somiglianza dei loro discorsi sulla sovranità, sebbene i tempi siano cambiati. Ecco infatti Maliki rivolgere un discorso agli iracheni in occasione del ritiro delle truppe americane, durante il quale egli ha affermato: "La sovranità nazionale è una linea rossa che non può essere oltrepassata, in nessun caso". Si tratta di un tipo di vaneggiamento che ci ricorda le dichiarazioni dei leader del suo partito, e di quelli del SIIC (Supremo Consiglio Islamico Iracheno), quando dicevano che si sarebbero sbarazzati dell’occupazione in sei mesi, e che la 'sovranità’ era una linea rossa non oltrepassabile! Maliki ha proseguito il suo discorso dicendo: "Oggi l’Iraq è entrato in una nuova fase, dopo l’applicazione dell’accordo sul ritiro delle forze straniere". Ma lasciamo da parte il leitmotiv dell’ 'ingresso dell’Iraq in una nuova era’ poiché esso si smentisce per il solo fatto di essere ripetuto fino all’eccesso, e volgiamo il nostro sguardo a ciò che c’è di vero nel 'ritiro delle forze straniere’. In realtà esso non è più di un ritiro formale allo scopo di proteggere le forze di occupazione dagli attacchi della resistenza. Le truppe irachene saranno utilizzate come scudi umani per proteggerle e per mantenere invariato il loro potenziale bellico all’interno delle loro basi fortificate. Le truppe americane potranno tornare nelle strade qualora la situazione lo richiedesse, e continueranno inoltre ad essere libere di lanciare attacchi dal cielo e di utilizzare gli aerei senza pilota per compiere incursioni, bombardamenti e operazioni di monitoraggio. Le forze di occupazione continuano ad essere annidate nel cuore di Baghdad, all’interno della più grande ambasciata americana del mondo, all’ingresso della zona verde, lungo tutta l’autostrada che conduce all’aeroporto, e nelle zone di Baghdad Ovest, che sono state riclassificate come 'esterne alla città’. E mentre le truppe presenti nelle città hanno ridefinito i propri nomi per diventare forze di addestramento e di 'consulenza’, l’ultima inchiesta sull’Iraq rivela che il numero dei 'mercenari’, i contractor al soldo del Pentagono, è cresciuto del 23% dall’arrivo di Obama alla Casa Bianca. Secondo i dati americani di questo mese, si tratta di 126.000 contractor militari, ovvero non operanti nel settore dei servizi, né come camionisti o altro. Più del 30% di essi sono americani precedentemente impiegati nelle squadre delle missioni speciali. I rimanenti sono professionisti provenienti dall’America Latina, dal Sudafrica e da altre regioni che sono state sottoposte a esperienze di repressione dei movimenti di liberazione e della democrazia. Ciò significa che al ritiro di un certo numero di soldati dell’esercito americano regolare corrisponderà un aumento, in percentuale anche maggiore, di mercenari che godono di un’immunità superiore a quella dei militari dell’esercito americano, indipendentemente dai crimini che commettono. Questo è uno dei punti essenziali che i politici iracheni fanno finta di non vedere, e che di tanto in tanto si vantano di aver eliminato, come fece Jaafari nel settembre del 2005, quando mentì senza vergogna affermando: "D’ora in avanti la legge irachena sarà applicata a tutti i crimini commessi in Iraq, inclusi quelli commessi dalla forza multinazionale". Ed ecco che siamo ormai alla metà del 2009, e gli assassini circolano ancora liberamente in terra d’Iraq. Il general maggiore Robert Caslen, comandante delle forze americane nel nord dell’Iraq, ha dichiarato il 26 giugno che le truppe americane avrebbero circondato le città nel tentativo di ripetere la strategia di concentrazione delle forze che era stata applicata in precedenza dall’esercito, sotto il comando del generale David Petraeus. Egli ha anche ricordato che il governo iracheno ha accettato la presenza di forze americane 'non combattenti’ in alcune città. Ciò include il mantenimento di cinque posizioni nella città di Mosul anche dopo il giorno del 'ritiro’. Il governo iracheno, che si vanta della propria sovranità, è riuscito a trasformare questa sovranità, così come altri nobili concetti legati alla dignità e alla giustizia, in un concetto vuoto e privo di qualsiasi significato. Non so se le immagini del milione di vittime civili irachene, uccise a seguito dell’invasione e dell’occupazione dell’Iraq, sono sfilate davanti agli occhi di Maliki mentre leggeva il suo discorso sul rapporto paritario dell’Iraq con l’America, gettando la colpa dei mali del paese sulle spalle "dei terroristi, dei takfiriti (gruppi islamici estremisti che accusano di apostasia altri musulmani (N.d.T.) ), dei membri del regime baathista e delle bande criminali". Come se egli non avesse mai avuto notizia delle centinaia di rapporti pubblicati dalle organizzazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani, incluso l’ufficio delle Nazioni Unite in Iraq (UNAMI) che opera in collaborazione con il suo governo, i quali documentano le violazioni, i trattamenti umilianti, gli omicidi, e ogni altra forma di crimini commessi dalle forze di occupazione, da sole o in collaborazione con le sue forze di sicurezza e con le milizie del suo governo. Proteggere le forze di occupazione e tacere sui loro crimini è di per sé un crimine imperdonabile. Il cittadino iracheno continuerà ad essere vittima di questi crimini e di queste violazioni fino a quando le forze di occupazione rimarranno sulla nostra terra godendo dell’immunità rispetto alle nostre leggi. Le cose non cambiano molto se queste forze di occupazione si trovano all’interno o al di fuori delle città. Haifa Zangana è una scrittrice irachena; è stata prigioniera nelle carceri del regime di Saddam Hussein; attualmente risiede in Gran Bretagna; scrive abitualmente sul quotidiano al-Quds al-Arabi e collabora con giornali come il Guardian e al-Ahram Weekly |
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