22 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio



Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla
 

di Gianni Petrosillo 

21 giugno 2013

Attiviamoci e Ripartiamo

Sono passati diversi mesi, ma continuo a crederci e a sperare. Perché in genere, quando prendo una decisione e faccio una scelta, è mia abitudine riflettere accuratamente, perché se sbaglio me ne assumo la responsabilità, non la scarico sugli altri. Il M5S non rappresentava e non rappresenta per me, solo “la protesta” o “l’unica alternativa possibile”.
Il M5S esprime quella volontà di Cambiamento Pragmatico, di Rivoluzione Culturale che parte dalle idee, dagli ideali, dai diritti ma lì non si ferma… La vocazione reale del movimento è tradurre in atti, in fatti delle bellissime e altisonanti parole svuotate di contenuto e credibilità, da parte di chi ne ha abusato senza prevedere che prima o poi sarebbero diventate inefficaci.
Ho votato Grillo e il Movimento perché in quell’ultimo comizio a San Giovanni rivolgendosi ad una piazza gremita e a quanti, come me, lo seguivano in diretta streaming, ha detto: “Se voti il Movimento 5 Stelle, ti metti in gioco in prima persona”. Tu diventi parte del cambiamento che vuoi attuare, te ne assumi la responsabilità, se vuoi il cambiamento, tu devi cambiare.
Vi sembrerà strano, ma sono state queste le parole che mi hanno convinta a votare.
Per la prima volta, qualcuno non mi stava dicendo “Dimmi che ti serve, che a te ci penso io”, ma faceva appello al mio senso critico e non mi stava chiedendo fiducia, ma mi stava dando fiducia, quindi il mio voto e il mio impegno quotidiano avrebbero contato.
Ciascuno di noi sarebbe stato riabilitato a pensare, a ragionare, sarebbe stato rispettato e avrebbe avuto la giusta importanza all’interno di quel Sistema che ci vuole solo sudditi. Quando leggo i post nel suo Blog credo di coglierne sempre il senso, perché non è una questione di interpretazione, ma di prospettiva.
L’utilizzo di un linguaggio forte che scuote e spaventa, è per me un invito ad andare oltre le parole, a provare ad interrogarsi sul perché. La continua denuncia da parte sua (mentre i Parlamentari stanno lavorando all’interno dell’Istituzione) è il tentativo di tenerci desti e concentrati, un invito a non abbassare la guardia, perché non abbiamo ancora finito, ma appena cominciato…
In molti non condividono perché avrebbero voglia di essere rassicurati, di ricevere delle buone notizie, di raccogliere già i frutti ….. ma quella X apposta sulla scheda elettorale era soltanto un seme che ciascuno di noi ha piantato… 9’000’000 di semi.
Possiamo scegliere di abbandonare i germogli spuntati alle intemperie, rinunciando completamente al raccolto o continuare a prendercene cura. Non è stato solo Grillo a sbagliare, abbiamo sbagliato tutti. Mi rivolgo soprattutto agli Attivisti, alla cosiddetta Base del Movimento, agli iscritti entro il 31/12/2012.
Ho sempre ritenuto giusto il criterio per cui a votare fossero le persone impegnate nel progetto fin da principio, perché certi diritti si conquistano e si acquisiscono combattendo sul campo le battaglie, perché così ne apprezzi davvero il valore. Salire sul carro del vincitore è facile, quanto saltare giù nel momento in cui la strada diventa impervia.
Tuttavia, diversi episodi accaduti recentemente, mi hanno portato a delle conclusioni. Chi deve cambiare toni e registro sono proprio quegli attivisti che avendo più diritto ad esprimere il loro pensiero, non hanno tenuto conto di noi altri che sommati siamo 8’950’000. “Liberarsi di pesi morti”, “Accuse di trolleraggio”, “Spammare o bannare”, “Espellere gente dai meetup” o “Creare più gruppi all’interno di uno stesso paese o città”, escludere dal dialogo chiunque la pensi in modo diverso (vi ricordo che essendo un movimento trasversale ci saranno spesso voci in disaccordo), non farà altro che dividerci e frammentare quella comunità che condivideva gli stessi sogni e gli stessi progetti… L’obiettivo non dovrebbe essere quello di ritagliarsi un piccolo spazio all’interno di un Sistema marcio, ma convincere le persone a cambiare, a continuare a credere nel progetto, a partecipare.
Sul caso “Gambaro”: nutrivo forti sospetti che la sua reale intenzione fosse quella di fare la martire ed uscirne pulita… bene, anzi male, non sapremo mai la verità, perché è stata espulsa. A chi ha giovato? A noi non di certo. Il mio è solo un appello: se Grillo è un megafono che dice ciò che in tanti pensano, mi auguro davvero che ciascuno pensi bene a ciò che sta facendo, anche a nome di chi ancora non ha la possibilità di far sentire la propria voce.
Non ci sono solo Grillo e i 163, ops, 159 eletti in Parlamento, ci sono circa 50’000 iscritti certificati… E a voi che mi rivolgo. Allo stato dell’arte la democrazia diretta è un sogno, un progetto difficilmente realizzabile, pertanto fino a quando ciascuno non avrà la possibilità di esprimersi, voi ci state rappresentando.
Se tenete al Movimento, dovreste tenere anche a tutti quelli che lo hanno votato. Se tenete al Movimento non potete farvi guidare solo dall’impulso personale e soggettivo, ma provare a valutare l’impatto e le conseguenze delle vostre scelte, provare a farvi interpreti anche di chi al momento è escluso dalle decisioni… provare ad includere e a incoraggiare le persone a resistere, a partecipare e a perseguire le battaglie che sono di tutti…
Se credete di esseri i soli a voler lottare per cambiare, rimarrete soli. Se il Movimento fallisce, non fallisce Grillo, falliamo tutti e anche quelli che non lo hanno votato perché non avranno più la possibilità di ricredersi e di farlo…
Se il Movimento è migliore deve dimostrare di esserlo..
Se tutti siamo il Movimento dobbiamo poter essere orgogliosi di farne parte.
Se tutti siamo in Movimento dobbiamo tirare dentro e non buttar fuori.
Prima di fare click… Pensiamoci!!!!!
 Stella Maria Dolores Giorgitto

20 giugno 2013

Il «leone impaziente» di sbranare






caccia tramonto
Quando il presidente Napolitano incontrò l’anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l’alta considerazione con cui l’Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla dinastia hashemita». 

È in questo spirito, sicuramente, che l’Italia partecipa in Giordania all’esercitazione «Eager Lion» (leone impaziente) sotto comando Usa, in corso dal 9 al 20 giugno. Vi partecipano 19 paesi, uniti dal «comune scopo di rafforzare la sicurezza e stabilità regionale». Minacciate, non hanno dubbi, dalla Siria di Assad che usa armi chimiche per schiacciare la ribellione. Le «prove» sono state fornite dalla Cia, la stessa che dieci anni fa fornì la documentazione fotografica, mostrata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza, sul possesso da parte dell’Iraq di 500 tonnellate di armi chimiche e biologiche e di laboratori mobili per la guerra biologica. Dopo si è scoperto, come ha riconosciuto lo stesso Powell, che tali armi non esistevano e che i laboratori mobili erano in realtà generatori di gas per palloni aerostatici ad uso meteorologico. I giochi però ormai erano fatti: le «prove» della Cia erano servite a giustificare la guerra contro l’Iraq. 

Poco importa quindi se, una volta vinta la guerra contro la Siria, si scoprirà che sono stati i «ribelli» a usare armi chimiche, come ha dichiarato Carla Del Ponte della Commissione Onu sui crimini di guerra. A insindacabile giudizio di Washington, la Siria ha superato la «linea rossa» e il presidente Obama, a malincuore, ha deciso di fornire armi ai «ribelli». Nascondendo il fatto, emerso dall’inchiesta del New York Times (26 marzo), che dal gennaio 2012 la Cia fornisce armi ai «ribelli», facendole arrivare con un ponte aereo in Turchia e Giordania e addestrando qui le forze infiltrate in Siria. 

Su questo sfondo si svolge la «Eager Lion», una vera propria esercitazione di guerra con forze aeree, aviotrasportate, navali, anfibie e terrestri, comprendenti oltre 8mila uomini. Tra cui militari italiani, incluso probabilmente il 185° reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi della Brigata Folgore. A fianco di militari di specchiata fede democratica, come quelli sauditi, yemeniti, qatariani e altri. 

Tutti agli ordini del Comando centrale degli Stati uniti, la cui «area di responsabilità» abbraccia Medio Oriente e Asia Centrale (inclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan), più l’Egitto. Quale sia il reale scopo della «Eager Lion» è dimostrato dal fatto che, finita l’esercitazione, il Pentagono lascerà in Giordania i caccia F-16 e i missili terra-aria Patriot. Questi si aggiungeranno ai Patriot statuniteni, tedeschi e olandesi già schierati in Turchia al confine con la Siria.

Tutto è pronto per una «limitata no-fly zone», estesa 40 km all’interno della Siria, che – secondo funzionari Usa intervistati dal Wall Street Journal – servirà a «proteggere i campi di addestramento dei ribelli e la fornitura delle armi». La no-fly zone sarà imposta dai caccia Usa che, decollando dalla Giordania e dalle portaerei, potranno distruggere con i loro missili gli aerei e le difese anti-aeree della Siria senza sorvolare il suo territorio. La no-fly zone, quindi, «non richiederà una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu». 

Il costo previsto è di «appena» 50 milioni di dollari (37 milioni di euro) al giorno che, assicura Washington, saranno pagati anche dagli alleati. Non si sa ancora quale sarà la quota italiana, ma il governo i soldi li troverà, spremendo le casse pubbliche e tagliando ancora le spese sociali.



di Manlio Dinucci

22 giugno 2013

L'inganno dell'Euroamerica, che non porterà affatto più libero scambio



Nella distrazione generale, soprattutto della pubblica opinione, prosegue il lavorio internazionale, di Usa ed Europa, per la creazione di un’area di libero scambio tra le due unioni che non sarà né libera né paritaria. Si era detto che con la globalizzazione i confini fra gli Stati si sarebbero dissolti, poiché laddove circolano le merci depongono le armi gli eserciti, la civiltà dell’integrazione economica e sociale si estende determinando la nascita di un superiore modello culturale di partecipazione e di solidarietà mondiale, finalizzato alla prosperità generale. Ma, allora, come mai si rende necessario creare dei cortili di esclusività ristretta per rendere la libertà sempre più libera?

E’ un bel paradosso, in quanto un accordo di tale specie include alcuni ed esclude altri, oppure, per essere più chiari, può servire sia per imprigionare una parte di quelli che vi aderiscono, in primis le nazioni più deboli convinte di ricevere tutele subendo, invece, gravi condizionamenti, che per circondare ed isolare i nemici più forti. Dunque, per attivare forme subdole di protezionismo, che nascondono precisi piani politici, non c’è nulla di meglio che creare un’area circoscritta di privilegio e chiamarla free-trade talks, un dominio apparentemente aperto ma surrettiziamente coercitivo dove vige la legge del più prepotente.

Gli Stati Uniti, non a caso, stanno promuovendo dette intese in quelle zone del pianeta dove operano superpotenze che mettono a repentaglio la sua egemonia. In Europa si temono i russi e nel Pacifico i cinesi. Ed voilà che nascono spazi di commercio e di canali diplomatici facilitati per frenare l’avanzata degli Stati emergenti e riemergenti, i quali non si piegano a determinate prescrizioni geopolitiche unipolari.

Noi italiani, che siamo doppiamente autolesionisti, siamo entusiasti dell’iniziativa. Siamo da sempre un popolo di camerieri e servire è la nostra massima aspirazione. Non c’è bastata l’Ue che ha destabilizzato affari e sovranità nazionale, vogliamo proprio toccare il fondo per stare tranquilli e facciamo i salti di gioia per questa nuova opportunità nella quale daremo, sicuramente, il peggio di noi stessi.

Perché dico questo? Ho le prove del masochismo nostrano. Sentite un po’ cosa dice il sottosegretario allo sviluppo economico,  Carlo Calenda, ribattezzato per l’occasione segretario al sottosviluppo. Costui, dopo il tentativo francese di porre dei limiti all’audiovisivo per non perdere la partita con l'industria cinematografica Usa, teme ritorsioni da parte di Washington che potrebbe escludere dall’accordo alcuni ambiti chiave, danneggiando l’Italia. E quali sarebbero questi ambiti fondamentali? “...il tessile, l’oreficeria, la pelletteria…” dopodiché il viceministro è convinto dell’utilità di introdurre dazi sui prodotti cinesi, e chiede pure all’UE di sposare una linea condivisa e coerente su queste tematiche. Quindi il problema sarebbero i gialli che ci fanno neri in comparti industriali di precedenti ondate tecnologiche e non tutti quei tramatori alle nostre spalle, compresi i sedicenti partner più stretti, che vorrebbero smantellare i nostri asset strategici, a compartecipazione pubblica, nei settori di punta, dall’aerospaziale all’energetico.

I più grandi economisti euroamericani sono convinti che, grazie alla creazione dell’area di libero-scambio transatlantica, si aumenteranno i volumi di commercio internazionale di circa 100 mld annui. Può essere, ma occorre vedere come si distribuiranno i vantaggi tra i compartecipanti. Inoltre, trattandosi degli stessi dottori laureati che, appena qualche anno fa, non avevano previsto nessuna crisi sistemica, blaterando di piccole recessioni ricorsive, non c’è da stare troppo a sentirli. Più che la scienza triste l’economia è diventata la religione delle balle dove vince e fa carriera chi le spara più grosse.

Diciamo, pertanto, come stanno davvero le questioni. Questo patto, al quale gli statunitensi non credevano, difatti J. W. Bush lo aveva fatto naufragare poiché distante dalla sua visione strategica, è stato ripescato da Obama che teme l’estendersi dell’ascendente russo su determinati membri europei in difficoltà (ma non solo, si pensi agli affari del gas tra Berlino e Mosca e a quelli, purtroppo quasi naufragati, con l’Italia), e che vuole, al contempo, penetrare ancor più pesantemente nel vecchio continente per farne un punto d’osservazione e di controllo di teatri vicini, dove regna l’instabilità e l’incertezza.

Che la reale preoccupazione della Casa Bianca sia il Cremlino lo segnala anche il giornalista di Libero Carlo Pelanda il quale così ripercorre gli avvenimenti: “Nell’autunno del 2006 la Russia costrinse la Germania a definire confini certi della Ue affinché la loro estensione ad est non destabilizzasse la Federazione russa e sia Ucraina sia Bielorussia (nonché Georgia) ne restassero fuori per essere riassorbiti nel futuro dalla Russia stessa. Tale pressione fu fatta ricattando la Germania sul piano delle forniture di gas. Per inciso, Romania e Bulgaria furono incluse a razzo nella Ue, ma come segnale di fine dell’espansione europea. Una sorta di nuova Yalta. Questa storia è poco nota e penso mai sia apparsa sui giornali per nascondere una sconfitta storica della Ue a conduzione tedesca. Berlino cercò la sponda americana per segnalare ai russi che poteva contro-dissuadere ed alla fine Mosca e Berlino si accordarono. La mossa fu strumentale e lasciò freddi gli americani. Ora, appunto, è diverso: l’America è apertissima all’idea e la ha proposta…Perseguire l’Euroamerica significa creare l’organo di governo mondiale, basato sul criterio occidentale e non asiatico, del futuro. Ed anche dare un senso all’Europa fin qui fatta”.

Visto? Non c’è nulla di meglio dell'ideologia del libero-scambio per innalzare cortine di ferro e predisporsi, senza farsi notare, alla guerra. Il povero Frédéric Bastiat non aveva capito nulla
 

di Gianni Petrosillo 

21 giugno 2013

Attiviamoci e Ripartiamo

Sono passati diversi mesi, ma continuo a crederci e a sperare. Perché in genere, quando prendo una decisione e faccio una scelta, è mia abitudine riflettere accuratamente, perché se sbaglio me ne assumo la responsabilità, non la scarico sugli altri. Il M5S non rappresentava e non rappresenta per me, solo “la protesta” o “l’unica alternativa possibile”.
Il M5S esprime quella volontà di Cambiamento Pragmatico, di Rivoluzione Culturale che parte dalle idee, dagli ideali, dai diritti ma lì non si ferma… La vocazione reale del movimento è tradurre in atti, in fatti delle bellissime e altisonanti parole svuotate di contenuto e credibilità, da parte di chi ne ha abusato senza prevedere che prima o poi sarebbero diventate inefficaci.
Ho votato Grillo e il Movimento perché in quell’ultimo comizio a San Giovanni rivolgendosi ad una piazza gremita e a quanti, come me, lo seguivano in diretta streaming, ha detto: “Se voti il Movimento 5 Stelle, ti metti in gioco in prima persona”. Tu diventi parte del cambiamento che vuoi attuare, te ne assumi la responsabilità, se vuoi il cambiamento, tu devi cambiare.
Vi sembrerà strano, ma sono state queste le parole che mi hanno convinta a votare.
Per la prima volta, qualcuno non mi stava dicendo “Dimmi che ti serve, che a te ci penso io”, ma faceva appello al mio senso critico e non mi stava chiedendo fiducia, ma mi stava dando fiducia, quindi il mio voto e il mio impegno quotidiano avrebbero contato.
Ciascuno di noi sarebbe stato riabilitato a pensare, a ragionare, sarebbe stato rispettato e avrebbe avuto la giusta importanza all’interno di quel Sistema che ci vuole solo sudditi. Quando leggo i post nel suo Blog credo di coglierne sempre il senso, perché non è una questione di interpretazione, ma di prospettiva.
L’utilizzo di un linguaggio forte che scuote e spaventa, è per me un invito ad andare oltre le parole, a provare ad interrogarsi sul perché. La continua denuncia da parte sua (mentre i Parlamentari stanno lavorando all’interno dell’Istituzione) è il tentativo di tenerci desti e concentrati, un invito a non abbassare la guardia, perché non abbiamo ancora finito, ma appena cominciato…
In molti non condividono perché avrebbero voglia di essere rassicurati, di ricevere delle buone notizie, di raccogliere già i frutti ….. ma quella X apposta sulla scheda elettorale era soltanto un seme che ciascuno di noi ha piantato… 9’000’000 di semi.
Possiamo scegliere di abbandonare i germogli spuntati alle intemperie, rinunciando completamente al raccolto o continuare a prendercene cura. Non è stato solo Grillo a sbagliare, abbiamo sbagliato tutti. Mi rivolgo soprattutto agli Attivisti, alla cosiddetta Base del Movimento, agli iscritti entro il 31/12/2012.
Ho sempre ritenuto giusto il criterio per cui a votare fossero le persone impegnate nel progetto fin da principio, perché certi diritti si conquistano e si acquisiscono combattendo sul campo le battaglie, perché così ne apprezzi davvero il valore. Salire sul carro del vincitore è facile, quanto saltare giù nel momento in cui la strada diventa impervia.
Tuttavia, diversi episodi accaduti recentemente, mi hanno portato a delle conclusioni. Chi deve cambiare toni e registro sono proprio quegli attivisti che avendo più diritto ad esprimere il loro pensiero, non hanno tenuto conto di noi altri che sommati siamo 8’950’000. “Liberarsi di pesi morti”, “Accuse di trolleraggio”, “Spammare o bannare”, “Espellere gente dai meetup” o “Creare più gruppi all’interno di uno stesso paese o città”, escludere dal dialogo chiunque la pensi in modo diverso (vi ricordo che essendo un movimento trasversale ci saranno spesso voci in disaccordo), non farà altro che dividerci e frammentare quella comunità che condivideva gli stessi sogni e gli stessi progetti… L’obiettivo non dovrebbe essere quello di ritagliarsi un piccolo spazio all’interno di un Sistema marcio, ma convincere le persone a cambiare, a continuare a credere nel progetto, a partecipare.
Sul caso “Gambaro”: nutrivo forti sospetti che la sua reale intenzione fosse quella di fare la martire ed uscirne pulita… bene, anzi male, non sapremo mai la verità, perché è stata espulsa. A chi ha giovato? A noi non di certo. Il mio è solo un appello: se Grillo è un megafono che dice ciò che in tanti pensano, mi auguro davvero che ciascuno pensi bene a ciò che sta facendo, anche a nome di chi ancora non ha la possibilità di far sentire la propria voce.
Non ci sono solo Grillo e i 163, ops, 159 eletti in Parlamento, ci sono circa 50’000 iscritti certificati… E a voi che mi rivolgo. Allo stato dell’arte la democrazia diretta è un sogno, un progetto difficilmente realizzabile, pertanto fino a quando ciascuno non avrà la possibilità di esprimersi, voi ci state rappresentando.
Se tenete al Movimento, dovreste tenere anche a tutti quelli che lo hanno votato. Se tenete al Movimento non potete farvi guidare solo dall’impulso personale e soggettivo, ma provare a valutare l’impatto e le conseguenze delle vostre scelte, provare a farvi interpreti anche di chi al momento è escluso dalle decisioni… provare ad includere e a incoraggiare le persone a resistere, a partecipare e a perseguire le battaglie che sono di tutti…
Se credete di esseri i soli a voler lottare per cambiare, rimarrete soli. Se il Movimento fallisce, non fallisce Grillo, falliamo tutti e anche quelli che non lo hanno votato perché non avranno più la possibilità di ricredersi e di farlo…
Se il Movimento è migliore deve dimostrare di esserlo..
Se tutti siamo il Movimento dobbiamo poter essere orgogliosi di farne parte.
Se tutti siamo in Movimento dobbiamo tirare dentro e non buttar fuori.
Prima di fare click… Pensiamoci!!!!!
 Stella Maria Dolores Giorgitto

20 giugno 2013

Il «leone impaziente» di sbranare






caccia tramonto
Quando il presidente Napolitano incontrò l’anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l’alta considerazione con cui l’Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla dinastia hashemita». 

È in questo spirito, sicuramente, che l’Italia partecipa in Giordania all’esercitazione «Eager Lion» (leone impaziente) sotto comando Usa, in corso dal 9 al 20 giugno. Vi partecipano 19 paesi, uniti dal «comune scopo di rafforzare la sicurezza e stabilità regionale». Minacciate, non hanno dubbi, dalla Siria di Assad che usa armi chimiche per schiacciare la ribellione. Le «prove» sono state fornite dalla Cia, la stessa che dieci anni fa fornì la documentazione fotografica, mostrata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza, sul possesso da parte dell’Iraq di 500 tonnellate di armi chimiche e biologiche e di laboratori mobili per la guerra biologica. Dopo si è scoperto, come ha riconosciuto lo stesso Powell, che tali armi non esistevano e che i laboratori mobili erano in realtà generatori di gas per palloni aerostatici ad uso meteorologico. I giochi però ormai erano fatti: le «prove» della Cia erano servite a giustificare la guerra contro l’Iraq. 

Poco importa quindi se, una volta vinta la guerra contro la Siria, si scoprirà che sono stati i «ribelli» a usare armi chimiche, come ha dichiarato Carla Del Ponte della Commissione Onu sui crimini di guerra. A insindacabile giudizio di Washington, la Siria ha superato la «linea rossa» e il presidente Obama, a malincuore, ha deciso di fornire armi ai «ribelli». Nascondendo il fatto, emerso dall’inchiesta del New York Times (26 marzo), che dal gennaio 2012 la Cia fornisce armi ai «ribelli», facendole arrivare con un ponte aereo in Turchia e Giordania e addestrando qui le forze infiltrate in Siria. 

Su questo sfondo si svolge la «Eager Lion», una vera propria esercitazione di guerra con forze aeree, aviotrasportate, navali, anfibie e terrestri, comprendenti oltre 8mila uomini. Tra cui militari italiani, incluso probabilmente il 185° reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi della Brigata Folgore. A fianco di militari di specchiata fede democratica, come quelli sauditi, yemeniti, qatariani e altri. 

Tutti agli ordini del Comando centrale degli Stati uniti, la cui «area di responsabilità» abbraccia Medio Oriente e Asia Centrale (inclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan), più l’Egitto. Quale sia il reale scopo della «Eager Lion» è dimostrato dal fatto che, finita l’esercitazione, il Pentagono lascerà in Giordania i caccia F-16 e i missili terra-aria Patriot. Questi si aggiungeranno ai Patriot statuniteni, tedeschi e olandesi già schierati in Turchia al confine con la Siria.

Tutto è pronto per una «limitata no-fly zone», estesa 40 km all’interno della Siria, che – secondo funzionari Usa intervistati dal Wall Street Journal – servirà a «proteggere i campi di addestramento dei ribelli e la fornitura delle armi». La no-fly zone sarà imposta dai caccia Usa che, decollando dalla Giordania e dalle portaerei, potranno distruggere con i loro missili gli aerei e le difese anti-aeree della Siria senza sorvolare il suo territorio. La no-fly zone, quindi, «non richiederà una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu». 

Il costo previsto è di «appena» 50 milioni di dollari (37 milioni di euro) al giorno che, assicura Washington, saranno pagati anche dagli alleati. Non si sa ancora quale sarà la quota italiana, ma il governo i soldi li troverà, spremendo le casse pubbliche e tagliando ancora le spese sociali.



di Manlio Dinucci