Il «leone impaziente» di sbranare
Quando il presidente Napolitano incontrò l’anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l’alta considerazione con cui l’Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla dinastia hashemita».
È in questo spirito, sicuramente, che l’Italia partecipa in Giordania all’esercitazione «Eager Lion» (leone impaziente) sotto comando Usa, in corso dal 9 al 20 giugno. Vi partecipano 19 paesi, uniti dal «comune scopo di rafforzare la sicurezza e stabilità regionale». Minacciate, non hanno dubbi, dalla Siria di Assad che usa armi chimiche per schiacciare la ribellione. Le «prove» sono state fornite dalla Cia, la stessa che dieci anni fa fornì la documentazione fotografica, mostrata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza, sul possesso da parte dell’Iraq di 500 tonnellate di armi chimiche e biologiche e di laboratori mobili per la guerra biologica. Dopo si è scoperto, come ha riconosciuto lo stesso Powell, che tali armi non esistevano e che i laboratori mobili erano in realtà generatori di gas per palloni aerostatici ad uso meteorologico. I giochi però ormai erano fatti: le «prove» della Cia erano servite a giustificare la guerra contro l’Iraq.
Poco importa quindi se, una volta vinta la guerra contro la Siria, si scoprirà che sono stati i «ribelli» a usare armi chimiche, come ha dichiarato Carla Del Ponte della Commissione Onu sui crimini di guerra. A insindacabile giudizio di Washington, la Siria ha superato la «linea rossa» e il presidente Obama, a malincuore, ha deciso di fornire armi ai «ribelli». Nascondendo il fatto, emerso dall’inchiesta del New York Times (26 marzo), che dal gennaio 2012 la Cia fornisce armi ai «ribelli», facendole arrivare con un ponte aereo in Turchia e Giordania e addestrando qui le forze infiltrate in Siria.
Su questo sfondo si svolge la «Eager Lion», una vera propria esercitazione di guerra con forze aeree, aviotrasportate, navali, anfibie e terrestri, comprendenti oltre 8mila uomini. Tra cui militari italiani, incluso probabilmente il 185° reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi della Brigata Folgore. A fianco di militari di specchiata fede democratica, come quelli sauditi, yemeniti, qatariani e altri.
Tutti agli ordini del Comando centrale degli Stati uniti, la cui «area di responsabilità» abbraccia Medio Oriente e Asia Centrale (inclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan), più l’Egitto. Quale sia il reale scopo della «Eager Lion» è dimostrato dal fatto che, finita l’esercitazione, il Pentagono lascerà in Giordania i caccia F-16 e i missili terra-aria Patriot. Questi si aggiungeranno ai Patriot statuniteni, tedeschi e olandesi già schierati in Turchia al confine con la Siria.
Tutto è pronto per una «limitata no-fly zone», estesa 40 km all’interno della Siria, che – secondo funzionari Usa intervistati dal Wall Street Journal – servirà a «proteggere i campi di addestramento dei ribelli e la fornitura delle armi». La no-fly zone sarà imposta dai caccia Usa che, decollando dalla Giordania e dalle portaerei, potranno distruggere con i loro missili gli aerei e le difese anti-aeree della Siria senza sorvolare il suo territorio. La no-fly zone, quindi, «non richiederà una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu».
Il costo previsto è di «appena» 50 milioni di dollari (37 milioni di euro) al giorno che, assicura Washington, saranno pagati anche dagli alleati. Non si sa ancora quale sarà la quota italiana, ma il governo i soldi li troverà, spremendo le casse pubbliche e tagliando ancora le spese sociali.
di Manlio Dinucci
Il «leone impaziente» di sbranare
Quando il presidente Napolitano incontrò l’anno scorso in Giordania S.M. Re Abdallah II, gli espresse «l’alta considerazione con cui l’Italia guarda alla volontà di pace e alla linea di moderazione da sempre perseguita dalla dinastia hashemita».
È in questo spirito, sicuramente, che l’Italia partecipa in Giordania all’esercitazione «Eager Lion» (leone impaziente) sotto comando Usa, in corso dal 9 al 20 giugno. Vi partecipano 19 paesi, uniti dal «comune scopo di rafforzare la sicurezza e stabilità regionale». Minacciate, non hanno dubbi, dalla Siria di Assad che usa armi chimiche per schiacciare la ribellione. Le «prove» sono state fornite dalla Cia, la stessa che dieci anni fa fornì la documentazione fotografica, mostrata da Colin Powell al Consiglio di sicurezza, sul possesso da parte dell’Iraq di 500 tonnellate di armi chimiche e biologiche e di laboratori mobili per la guerra biologica. Dopo si è scoperto, come ha riconosciuto lo stesso Powell, che tali armi non esistevano e che i laboratori mobili erano in realtà generatori di gas per palloni aerostatici ad uso meteorologico. I giochi però ormai erano fatti: le «prove» della Cia erano servite a giustificare la guerra contro l’Iraq.
Poco importa quindi se, una volta vinta la guerra contro la Siria, si scoprirà che sono stati i «ribelli» a usare armi chimiche, come ha dichiarato Carla Del Ponte della Commissione Onu sui crimini di guerra. A insindacabile giudizio di Washington, la Siria ha superato la «linea rossa» e il presidente Obama, a malincuore, ha deciso di fornire armi ai «ribelli». Nascondendo il fatto, emerso dall’inchiesta del New York Times (26 marzo), che dal gennaio 2012 la Cia fornisce armi ai «ribelli», facendole arrivare con un ponte aereo in Turchia e Giordania e addestrando qui le forze infiltrate in Siria.
Su questo sfondo si svolge la «Eager Lion», una vera propria esercitazione di guerra con forze aeree, aviotrasportate, navali, anfibie e terrestri, comprendenti oltre 8mila uomini. Tra cui militari italiani, incluso probabilmente il 185° reggimento Ricognizione Acquisizione Obiettivi della Brigata Folgore. A fianco di militari di specchiata fede democratica, come quelli sauditi, yemeniti, qatariani e altri.
Tutti agli ordini del Comando centrale degli Stati uniti, la cui «area di responsabilità» abbraccia Medio Oriente e Asia Centrale (inclusi Siria, Iraq, Iran e Afghanistan), più l’Egitto. Quale sia il reale scopo della «Eager Lion» è dimostrato dal fatto che, finita l’esercitazione, il Pentagono lascerà in Giordania i caccia F-16 e i missili terra-aria Patriot. Questi si aggiungeranno ai Patriot statuniteni, tedeschi e olandesi già schierati in Turchia al confine con la Siria.
Tutto è pronto per una «limitata no-fly zone», estesa 40 km all’interno della Siria, che – secondo funzionari Usa intervistati dal Wall Street Journal – servirà a «proteggere i campi di addestramento dei ribelli e la fornitura delle armi». La no-fly zone sarà imposta dai caccia Usa che, decollando dalla Giordania e dalle portaerei, potranno distruggere con i loro missili gli aerei e le difese anti-aeree della Siria senza sorvolare il suo territorio. La no-fly zone, quindi, «non richiederà una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu».
Il costo previsto è di «appena» 50 milioni di dollari (37 milioni di euro) al giorno che, assicura Washington, saranno pagati anche dagli alleati. Non si sa ancora quale sarà la quota italiana, ma il governo i soldi li troverà, spremendo le casse pubbliche e tagliando ancora le spese sociali.
di Manlio Dinucci
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