16 gennaio 2008
Anche il mondo ci vede a rischio
L’assenza di una valida legge sul conflitto d’interessi è la principale ragione per la quale l’Italia nel 2007 è stata relegata al 35esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e dalla Freedom House americana. Sul piano internazionale siamo considerati fortemente a rischio, indietro addirittura rispetto a paesi privi di istituzioni democratiche, percorsi da ondate repressive o con un bassissimo livello di sviluppo civile.
Niente fa pensare peraltro che la situazione possa significativamente migliorare quest’anno, se consideriamo che fra i fattori che condizionano una vera libertà di stampa è entrato in gioco l’avanzato tentativo di impedire, con durissime sanzioni amministrative e perfino penali contro i giornalisti, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche anche quando, come prevede l’attuale normativa, siano liberate dal segreto istruttorio perché rese note agli imputati. Se pensiamo che la Camera dei deputati approvò il progetto di legge Mastella con solo sette deputati contrari (fra i quali, a suo onore, Beppe Giulietti) e che a niente valsero gli scioperi indetti dalla FNSI e il motivato parere contrario dell’Unione Europea, tanto che la battaglia è ancora incombente, c’è da pensare con un brivido alla suscettibilità della politica italiana su questo tema e al distacco nei confronti dell’opinione pubblica, che ha il diritto democratico di vedere illuminati tutti gli angoli bui del potere.
A riprova di questa inquietante divaricazione e dei guasti prodotti dall’enorme conflitto d’interessi ancora aperto, sono recentemente venute le reazioni alle rivelazioni sulle esplicite telefonate intercorse fra i vertici operativi di Mediaset e i dirigenti legati direttamente a Berlusconi all’interno della Rai, con particolare riferimento a Deborah Bergamini e a Saccà.
In queste due occasioni si è avverata l’antica metafora sullo stolto che quando il dito indica la luna si limita a guardare il dito…Una miriade di esponenti politici, di opposizione come della maggioranza, ha scatenato una campagna sulla responsabilità professionale ed etica della stampa e di singoli giornalisti, sottovalutando o ignorando totalmente il contenuto delle intercettazioni. E’ così passato in secondo piano prima la gravità del “golpe” tentato e in buona parte riuscito sul Servizio Pubblico da parte dell’azienda televisiva di proprietà dell’allora capo del governo, attraverso una sorta di “quinta colonna” che ha alterato per anni funzioni, autonomia, capacità competitiva, scelte editoriali e produttive. Come tanti altri dirigenti della Rai, io stesso, allora Direttore di Rai News 24, ho personalmente avvertito sulla pelle della Testata l’evidente anomalia e la sopraffazione in corso sugli interessi generali e le prospettive aziendali. Poi il tentativo, sempre mediante vincoli di “sudditanza” politica e personale di personaggi che tradivano il mandato, di usare la Rai come mezzo di pressione per influenzare il voto di esponenti politici dello schieramento di governo. Non sappiamo ovviamente se e in quale misura queste vicende assumeranno peso giudiziario e come influiranno sui disastrati e instabili equilibri di gestione del Servizio Pubblico, ma siamo assolutamente certi della loro rilevanza morale e politica, del diritto dei cittadini a conoscerle fino in fondo e del conseguente dovere dell’informazione di descriverle ed analizzarle. Allo stesso tempo si può non coglierne l’ulteriore urgenza di una legislazione che spezzi il perpetuarsi del conflitto d’interessi e che cambi allo stesso tempo profondamente la normativa del Servizio Pubblico, mettendolo in condizione di reale autonomia dal potere politico e rinnovandone la missione culturale?
Voglio però sottolineare che, quando parliamo di conflitto d’interessi, non possiamo riferirci esclusivamente alla posizione dominante di Silvio Berlusconi, certo centrale e decisiva per qualsiasi futuro assetto politico come per determinare equilibri e opportunità di un mercato editoriale competitivo, dotato di regole condivise e all’altezza di una democrazia matura.
Su questo punto il governo deve senza ulteriori indugi aprire sul serio il confronto in Parlamento, facendo sì – come giustamente sottolinea Giulietti – che la fondamentale trattativa per arrivare a definire una nuova, corretta legge elettorale, non ponga in alcun modo in secondo piano il confronto legislativo sul conflitto d’interessi e sul sia pur timido progetto Gentiloni per la riforma della Rai.
Sia per l’uno che per l’altro aspetto, così evidentemente diversi e distanti, è infatti in gioco la democrazia.
Partiamo dunque da qui, ma non dimentichiamo che l’Italia è ormai immersa in una inquietante deriva nella quale fattori di crisi investono tutti i poteri previsti dalla Costituzione, che vedono ciascuno la presenza di piccoli o macroscopici conflitti d’interesse e comportamenti al di fuori o al di sopra di ogni regola, che tradiscono il mandato e le competenze istituzionali dei gruppi e di singoli rappresentanti… Si potrebbero elencare a lungo le contraddizioni, le deviazioni, i condizionamenti, le interferenze, gli interessi corporativi e di casta – intrisi di sottopotere ed arrivismo se non in alcuni casi di arricchimento personale – che costellano i percorsi legislativi e parlamentari, del governo, della stessa magistratura (come dimostrano le recenti polemiche innescate dalla dura denuncia di Ilda Boccassini). Per non parlare della società italiana, che appare
a ogni livello frammentata in interessi di parte, in angusti egoismi di consorterie, in individualismi anarcoidi, ben al di fuori dal rispetto degli altri e dall’osservanza di regole e leggi certe per tutti, sempre più priva di principi etici validi al di fuori del ristretto confine del giardino di casa, del proprio tavolo di ufficio, della propria autovettura.
E’ contro questa deriva che continuano a combattere spezzoni della società civile, sia ben chiaro insieme con tante persone oneste e motivate in ogni settore, a partire ovviamente da quello delle responsabilità politiche e amministrative, sempre però in posizioni di minoranza, come un esercito assediato e diviso che stenta a tenere il campo, a riconoscersi in obiettivi e sedi collegate di comando, a mantenere un solo schieramento di fronte alle multiformi “invasioni barbariche”.
E ancora una volta l’informazione è contaminata e partecipe in vari modi della deriva invece che della resistenza alla devastazione, venendo molto spesso meno a quell’impegno di illuminazione e conoscenza critica della realtà, che consentirebbe di saldare fronti comuni più vasti e consapevoli, di ripristinare una scala corretta di ideali, di modelli positivi, di capacità critica, di comportamenti pubblici e privati nello spirito della Costituzione.
Se il personaggio e il ruolo assunti da Berlusconi sono ormai divenuti totalizzanti nella vita e nell’immaginario del Paese, parametro insostituibile di antitetiche scelte politiche, come di quelle civili, sociali e culturali, traiamone almeno un esempio emblematico di ciò che è divenuta e di ciò che invece non dovrebbe essere la realtà, a partire da quella dell’informazione.
Due mesi fa, l’11 Novembre 2007, dal palco di Montecatini, dinanzi ai Comitati del Buon Governo costruiti da Marcello Dell’Utri, Berlusconi si mise al fianco il senatore siciliano, un braccio fraternamente attorno alle spalle e inscenò una sua strenua e dettagliata difesa, in attesa del verdetto di secondo grado dopo la condanna in Assise per partecipazione esterna all’organizzazione mafiosa. Ovviamente silenzio su questa sentenza, su altre di natura penale già passate in giudicato, su notissime circostanze di conoscenze e frequentazioni mafiose. Non contento di questo gesto di considerazione e amicizia, che a suo tempo si era ben guardato di fare pubblicamente nei confronti del suo avvocato Cesare Previti, il Cavaliere ha esteso la difesa al ricordo del capo-mafia Vittorio Mangano, a suo tempo per anni fattore dei possedimenti ad Arcore e in stretti rapporti con lo stesso Dell’Utri.
Mangano, morto di malattia mentre scontava in carcere una definitiva condanna per partecipazione a omicidi, traffici di droga, racket, estorsioni e che il giudice Paolo Borsellino definì nell’ultima intervista televisiva come uno dei capi-fila della mafia al Nord, è stato ricordato da Berlusconi solo come un buon uomo vittima di magistrati feroci. Inutilmente – sono parole testuali – questi magistrati cercarono di suggerirgli “accuse inventate” contro Marcello Dell’Utri e contro lui stesso. Insomma, possiamo tranquillamente dire, il ritratto lusinghiero di un vero “ uomo d’onore”, dipinto con un linguaggio e un racconto, al di là delle omissioni e delle evidenti menzogne, davvero degni di Cosa Nostra…
Cosa sarebbe accaduto nella stampa e nelle televisioni di mezzo mondo, se un ex-premier potentissimo e leader dell’opposizione si fosse lasciato andare a questo sfogo pubblico, evidentemente calcolato e probabilmente da qualcuno richiesto? E cosa si sarebbe mosso in Parlamento e nell’opinione pubblica? Da noi non è avvenuto alcunché: due giorni di smilza cronaca, qualche raro commento dei “soliti fogli comunisti”, l’indignazione di pochi siti pervicacemente contestatori (per fortuna almeno il sonoro originale è ascoltabile sul salvifico You Tube).
Questa è oggi l’Italia e non solo quella dell’informazione.
di Roberto Morrione
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16 gennaio 2008
Anche il mondo ci vede a rischio
L’assenza di una valida legge sul conflitto d’interessi è la principale ragione per la quale l’Italia nel 2007 è stata relegata al 35esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e dalla Freedom House americana. Sul piano internazionale siamo considerati fortemente a rischio, indietro addirittura rispetto a paesi privi di istituzioni democratiche, percorsi da ondate repressive o con un bassissimo livello di sviluppo civile.
Niente fa pensare peraltro che la situazione possa significativamente migliorare quest’anno, se consideriamo che fra i fattori che condizionano una vera libertà di stampa è entrato in gioco l’avanzato tentativo di impedire, con durissime sanzioni amministrative e perfino penali contro i giornalisti, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche anche quando, come prevede l’attuale normativa, siano liberate dal segreto istruttorio perché rese note agli imputati. Se pensiamo che la Camera dei deputati approvò il progetto di legge Mastella con solo sette deputati contrari (fra i quali, a suo onore, Beppe Giulietti) e che a niente valsero gli scioperi indetti dalla FNSI e il motivato parere contrario dell’Unione Europea, tanto che la battaglia è ancora incombente, c’è da pensare con un brivido alla suscettibilità della politica italiana su questo tema e al distacco nei confronti dell’opinione pubblica, che ha il diritto democratico di vedere illuminati tutti gli angoli bui del potere.
A riprova di questa inquietante divaricazione e dei guasti prodotti dall’enorme conflitto d’interessi ancora aperto, sono recentemente venute le reazioni alle rivelazioni sulle esplicite telefonate intercorse fra i vertici operativi di Mediaset e i dirigenti legati direttamente a Berlusconi all’interno della Rai, con particolare riferimento a Deborah Bergamini e a Saccà.
In queste due occasioni si è avverata l’antica metafora sullo stolto che quando il dito indica la luna si limita a guardare il dito…Una miriade di esponenti politici, di opposizione come della maggioranza, ha scatenato una campagna sulla responsabilità professionale ed etica della stampa e di singoli giornalisti, sottovalutando o ignorando totalmente il contenuto delle intercettazioni. E’ così passato in secondo piano prima la gravità del “golpe” tentato e in buona parte riuscito sul Servizio Pubblico da parte dell’azienda televisiva di proprietà dell’allora capo del governo, attraverso una sorta di “quinta colonna” che ha alterato per anni funzioni, autonomia, capacità competitiva, scelte editoriali e produttive. Come tanti altri dirigenti della Rai, io stesso, allora Direttore di Rai News 24, ho personalmente avvertito sulla pelle della Testata l’evidente anomalia e la sopraffazione in corso sugli interessi generali e le prospettive aziendali. Poi il tentativo, sempre mediante vincoli di “sudditanza” politica e personale di personaggi che tradivano il mandato, di usare la Rai come mezzo di pressione per influenzare il voto di esponenti politici dello schieramento di governo. Non sappiamo ovviamente se e in quale misura queste vicende assumeranno peso giudiziario e come influiranno sui disastrati e instabili equilibri di gestione del Servizio Pubblico, ma siamo assolutamente certi della loro rilevanza morale e politica, del diritto dei cittadini a conoscerle fino in fondo e del conseguente dovere dell’informazione di descriverle ed analizzarle. Allo stesso tempo si può non coglierne l’ulteriore urgenza di una legislazione che spezzi il perpetuarsi del conflitto d’interessi e che cambi allo stesso tempo profondamente la normativa del Servizio Pubblico, mettendolo in condizione di reale autonomia dal potere politico e rinnovandone la missione culturale?
Voglio però sottolineare che, quando parliamo di conflitto d’interessi, non possiamo riferirci esclusivamente alla posizione dominante di Silvio Berlusconi, certo centrale e decisiva per qualsiasi futuro assetto politico come per determinare equilibri e opportunità di un mercato editoriale competitivo, dotato di regole condivise e all’altezza di una democrazia matura.
Su questo punto il governo deve senza ulteriori indugi aprire sul serio il confronto in Parlamento, facendo sì – come giustamente sottolinea Giulietti – che la fondamentale trattativa per arrivare a definire una nuova, corretta legge elettorale, non ponga in alcun modo in secondo piano il confronto legislativo sul conflitto d’interessi e sul sia pur timido progetto Gentiloni per la riforma della Rai.
Sia per l’uno che per l’altro aspetto, così evidentemente diversi e distanti, è infatti in gioco la democrazia.
Partiamo dunque da qui, ma non dimentichiamo che l’Italia è ormai immersa in una inquietante deriva nella quale fattori di crisi investono tutti i poteri previsti dalla Costituzione, che vedono ciascuno la presenza di piccoli o macroscopici conflitti d’interesse e comportamenti al di fuori o al di sopra di ogni regola, che tradiscono il mandato e le competenze istituzionali dei gruppi e di singoli rappresentanti… Si potrebbero elencare a lungo le contraddizioni, le deviazioni, i condizionamenti, le interferenze, gli interessi corporativi e di casta – intrisi di sottopotere ed arrivismo se non in alcuni casi di arricchimento personale – che costellano i percorsi legislativi e parlamentari, del governo, della stessa magistratura (come dimostrano le recenti polemiche innescate dalla dura denuncia di Ilda Boccassini). Per non parlare della società italiana, che appare
a ogni livello frammentata in interessi di parte, in angusti egoismi di consorterie, in individualismi anarcoidi, ben al di fuori dal rispetto degli altri e dall’osservanza di regole e leggi certe per tutti, sempre più priva di principi etici validi al di fuori del ristretto confine del giardino di casa, del proprio tavolo di ufficio, della propria autovettura.
E’ contro questa deriva che continuano a combattere spezzoni della società civile, sia ben chiaro insieme con tante persone oneste e motivate in ogni settore, a partire ovviamente da quello delle responsabilità politiche e amministrative, sempre però in posizioni di minoranza, come un esercito assediato e diviso che stenta a tenere il campo, a riconoscersi in obiettivi e sedi collegate di comando, a mantenere un solo schieramento di fronte alle multiformi “invasioni barbariche”.
E ancora una volta l’informazione è contaminata e partecipe in vari modi della deriva invece che della resistenza alla devastazione, venendo molto spesso meno a quell’impegno di illuminazione e conoscenza critica della realtà, che consentirebbe di saldare fronti comuni più vasti e consapevoli, di ripristinare una scala corretta di ideali, di modelli positivi, di capacità critica, di comportamenti pubblici e privati nello spirito della Costituzione.
Se il personaggio e il ruolo assunti da Berlusconi sono ormai divenuti totalizzanti nella vita e nell’immaginario del Paese, parametro insostituibile di antitetiche scelte politiche, come di quelle civili, sociali e culturali, traiamone almeno un esempio emblematico di ciò che è divenuta e di ciò che invece non dovrebbe essere la realtà, a partire da quella dell’informazione.
Due mesi fa, l’11 Novembre 2007, dal palco di Montecatini, dinanzi ai Comitati del Buon Governo costruiti da Marcello Dell’Utri, Berlusconi si mise al fianco il senatore siciliano, un braccio fraternamente attorno alle spalle e inscenò una sua strenua e dettagliata difesa, in attesa del verdetto di secondo grado dopo la condanna in Assise per partecipazione esterna all’organizzazione mafiosa. Ovviamente silenzio su questa sentenza, su altre di natura penale già passate in giudicato, su notissime circostanze di conoscenze e frequentazioni mafiose. Non contento di questo gesto di considerazione e amicizia, che a suo tempo si era ben guardato di fare pubblicamente nei confronti del suo avvocato Cesare Previti, il Cavaliere ha esteso la difesa al ricordo del capo-mafia Vittorio Mangano, a suo tempo per anni fattore dei possedimenti ad Arcore e in stretti rapporti con lo stesso Dell’Utri.
Mangano, morto di malattia mentre scontava in carcere una definitiva condanna per partecipazione a omicidi, traffici di droga, racket, estorsioni e che il giudice Paolo Borsellino definì nell’ultima intervista televisiva come uno dei capi-fila della mafia al Nord, è stato ricordato da Berlusconi solo come un buon uomo vittima di magistrati feroci. Inutilmente – sono parole testuali – questi magistrati cercarono di suggerirgli “accuse inventate” contro Marcello Dell’Utri e contro lui stesso. Insomma, possiamo tranquillamente dire, il ritratto lusinghiero di un vero “ uomo d’onore”, dipinto con un linguaggio e un racconto, al di là delle omissioni e delle evidenti menzogne, davvero degni di Cosa Nostra…
Cosa sarebbe accaduto nella stampa e nelle televisioni di mezzo mondo, se un ex-premier potentissimo e leader dell’opposizione si fosse lasciato andare a questo sfogo pubblico, evidentemente calcolato e probabilmente da qualcuno richiesto? E cosa si sarebbe mosso in Parlamento e nell’opinione pubblica? Da noi non è avvenuto alcunché: due giorni di smilza cronaca, qualche raro commento dei “soliti fogli comunisti”, l’indignazione di pochi siti pervicacemente contestatori (per fortuna almeno il sonoro originale è ascoltabile sul salvifico You Tube).
Questa è oggi l’Italia e non solo quella dell’informazione.
di Roberto Morrione
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