24 febbraio 2008
Gli EURO-LADRI, qualcuno li protegge
BRUXELLES: Chris Davies è un euro-deputato britannico.
Per giunta, è membro della Commissione Controlllo Bilancio dell’Euro-parlamento.
Eppure, per vedere il documento, ha dovuto firmare un impegno alla segretezza, ha potuto leggerlo solo in una stanza chiusa da congegni di riconoscimento biometrico, sotto lo sguardo di guardie della sicurezza; ovviamente non ha avuto il permesso di fotocopiarlo, e neppure di prendere appunti.
Che cosa c’è di tanto delicato in quel rapporto, da imporre tali misure di segretezza?
Forse i piani di un super-missile comunitario, di un brevetto strategico, il piano per la fusione fredda?
Niente di tutto questo.
Il rapporto, stilato dagli uffici contabili di Bruxelles, documenta in dettaglio le ruberie, malversazioni, peculati e appropriazioni indebite compiute dai membri del Parlamento Europeo. Reati e delitti su «una scala così vasta», ha spiegato Davies alla BBC, «da impressionare. Coloro che hanno compiuto tali atti non meritano che anni di galera» (1).
Non ci sono i nomi dei malfattori da noi votati, ma solo le nazionalità.
Secondo Davies, «non» ci sono inglesi, né olandesi, né scandinavi (provate a immaginare quale Paese è invece ben rappresentato).
Davies, ha detto che la media delle appropriazioni indebite per ciascuno dei 785 euro-deputati ammonta a 166 mila euro.
Senza contare l’emolumento legale e i numerosi «benefit».
Hans Gert Poettering, il presidente dell’europarlamento, ha spiegato penosamente il fatto di aver sottratto il rapporto all’opinione pubblica con queste parole: «Vogliamo riformare il sistema, ma non possiamo mostrare questo rapporto al pubblico, se vogliamo che la gente voti alle elezioni europee l’anno prossimo».
Ha aggiunto, anche più penosamente: «Il documento non è segreto. E’ solo confidenziale. I deputati della Commissione Controllo Budget lo possono leggere nella stanza chiusa, solo non è aperto a tutti. Non è la stessa cosa che un documento segreto, il quale non può essere letto da nessuno».
Scusa ridicola, e smentita da due fatti: anzitutto, lo stesso Poettering ha chiesto ad Harald Roemer, segretario generale dell’assemblea europea, di prendere misure perché da questo rapporto non nascessero «danni collaterali» - fra cui evidentemente c’è anche il rischio che Poettering sia costretto a dimettersi a furor di popolo per il mancato controllo, o per complicità nelle malversazioni.
Il secondo fatto: OLAF, l’ufficio anti-frode della Unione Europea (un po’ polizia interna e un po’ euro-KGB) non era a conoscenza del rapporto, o almeno così dice (2).
Ne ha avuto nozione solo quando il britannico Chris Davies ha scritto allo stesso OLAF, e per copia a Roemer, in questi termini: «Le risultanze dell’inchiesta cadono sotto la giurisdizione dell’OLAF, e sono così gravi che si deve ritenere ne debbano conseguire procedure penali».
Allora OLAF ha chiesto una copia del documento, ed ha diramato agli euro-deputati una circolare in cui «si attende piena collaborazione da lorsignori e dalle autorità parlamentari».
Vedremo se seguiranno le necessarie inchieste penali.
Intanto, il Telegraph ha condotto una sua inchiesta giornalistica, fra i pochissimi funzionari che hanno potuto leggere il rapporto, ed ha appreso qualcosa sul genere di frodi usate.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di diversione dei fondi assegnati ad ogni parlamentare per il funzionamento del proprio ufficio - 166 mila euro annui appunto - e che dovrebbero pagare contabili, traduttori professionisti, aziende che forniscono servizi amministrativi.
Ma i ragionieri autori dell’indagine hanno appurato che per lo più l’intero fondo annuale viene devoluto dall’eurodeputato «ad una sola persona del suo staf» qualche volta un parente stretto.
Anzi, molti europarlamentari che consumano l’intero fondo non hanno alcun impiegato al loro servizio, o uno solo come portaborse tuttofare, per giunta un parente che non parla se non una sola lingua.
«In altri casi», ha detto una fonte al Telegraph, «risultano pagamenti ad aziende di servizi che, semplicemente, non esistono; in altri sono individui che lavorano per il singolo euro-deputato e ne sono i dipendenti».
In altri casi sono «creste» sui biglietti aerei e le spese d’ufficio, in modo da assorbire l’intero fondo.
Vogliamo provare a indovinare di quale o quali Paesi sono gli euro-deputati più attivi in questa ruberia?
Forse riusciremo a capire perché i nostro politici sono così entusiasticamente europeisti, e tanti desiderino diventare euro-parlamentari, benchè conoscano solo qualche dialetto irpino o romanesco o lumbard.
E come mai i giornali italioti non abbiano riportato una riga di questa informazione.
Per rispetto al loro amato presidente della repubblica, suppongo.
Non c’è che da notare che ad ogni strato di «politica» corrisponde una Casta, con relativo furto di denaro pubblico.
E gli strati che gravano sopra noi contribuenti sono tanti, si moltiplicano e sono molto «spessi», cioè affollati di percettori.
In Italia, si comincia dai consigli di zona delle grandi città (a Milano un presidente di consiglio di zona, di solito un partitante di mezza tacca, già riceve 2 mila euro mensili, più di un giovane ingegnere con responsabilità dirigenziali nell’industria privata), e poi via sovrapponendo: Comune, Provincia, Regione, Stato nazionale, aziende «partecipate», burocrazia europea…
E poi ancora gli organi globali, ONU, WTO, Fondo Monetario, Banca Mondiale.
Tutti con stipendi miliardari.
E noi paghiamo per tutti.
Si deve infine notare che le Caste hanno dato ai loro furti abitudinari uno status giuridico.
L’ultimo esempio ci riguarda: Padoa Schioppa, tra le mille cose di cui ha imbottito la Finanziaria, aveva decretato un «tetto» agli stipendi del personale di Bankitalia, che sono i più alti e costosi del pianeta.
Una cosina giusta, finalmente.
Ma la Banca Eentrale Europea ha bocciato il provvedimento, con la motivazione che il tetto di Stato ai compensi «mina l’indipendenza della Banca Centrale italiana».
Ragionamento di cui non si vede la logica - dopotutto, la magistratura non si assegna da sé i suoi emolumenti, e ciò non mina la sua autonomia - ma che si spiega nello spirito di Casta.
I privilegi indebiti sono «diritti acquisiti», i miliardi di stipendio «garanzia di indipendenza».
Non ci sarà mai modo di tagliarli, se non tagliando le teste, accorciando gli strati di «politica» che ci depredano.
L’appendimento dei responsabili a piedi in su a piazzale Loreto compirebbe la riforma.
Ma non osiamo sperare tanto.
M.Blondet
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24 febbraio 2008
Gli EURO-LADRI, qualcuno li protegge
BRUXELLES: Chris Davies è un euro-deputato britannico.
Per giunta, è membro della Commissione Controlllo Bilancio dell’Euro-parlamento.
Eppure, per vedere il documento, ha dovuto firmare un impegno alla segretezza, ha potuto leggerlo solo in una stanza chiusa da congegni di riconoscimento biometrico, sotto lo sguardo di guardie della sicurezza; ovviamente non ha avuto il permesso di fotocopiarlo, e neppure di prendere appunti.
Che cosa c’è di tanto delicato in quel rapporto, da imporre tali misure di segretezza?
Forse i piani di un super-missile comunitario, di un brevetto strategico, il piano per la fusione fredda?
Niente di tutto questo.
Il rapporto, stilato dagli uffici contabili di Bruxelles, documenta in dettaglio le ruberie, malversazioni, peculati e appropriazioni indebite compiute dai membri del Parlamento Europeo. Reati e delitti su «una scala così vasta», ha spiegato Davies alla BBC, «da impressionare. Coloro che hanno compiuto tali atti non meritano che anni di galera» (1).
Non ci sono i nomi dei malfattori da noi votati, ma solo le nazionalità.
Secondo Davies, «non» ci sono inglesi, né olandesi, né scandinavi (provate a immaginare quale Paese è invece ben rappresentato).
Davies, ha detto che la media delle appropriazioni indebite per ciascuno dei 785 euro-deputati ammonta a 166 mila euro.
Senza contare l’emolumento legale e i numerosi «benefit».
Hans Gert Poettering, il presidente dell’europarlamento, ha spiegato penosamente il fatto di aver sottratto il rapporto all’opinione pubblica con queste parole: «Vogliamo riformare il sistema, ma non possiamo mostrare questo rapporto al pubblico, se vogliamo che la gente voti alle elezioni europee l’anno prossimo».
Ha aggiunto, anche più penosamente: «Il documento non è segreto. E’ solo confidenziale. I deputati della Commissione Controllo Budget lo possono leggere nella stanza chiusa, solo non è aperto a tutti. Non è la stessa cosa che un documento segreto, il quale non può essere letto da nessuno».
Scusa ridicola, e smentita da due fatti: anzitutto, lo stesso Poettering ha chiesto ad Harald Roemer, segretario generale dell’assemblea europea, di prendere misure perché da questo rapporto non nascessero «danni collaterali» - fra cui evidentemente c’è anche il rischio che Poettering sia costretto a dimettersi a furor di popolo per il mancato controllo, o per complicità nelle malversazioni.
Il secondo fatto: OLAF, l’ufficio anti-frode della Unione Europea (un po’ polizia interna e un po’ euro-KGB) non era a conoscenza del rapporto, o almeno così dice (2).
Ne ha avuto nozione solo quando il britannico Chris Davies ha scritto allo stesso OLAF, e per copia a Roemer, in questi termini: «Le risultanze dell’inchiesta cadono sotto la giurisdizione dell’OLAF, e sono così gravi che si deve ritenere ne debbano conseguire procedure penali».
Allora OLAF ha chiesto una copia del documento, ed ha diramato agli euro-deputati una circolare in cui «si attende piena collaborazione da lorsignori e dalle autorità parlamentari».
Vedremo se seguiranno le necessarie inchieste penali.
Intanto, il Telegraph ha condotto una sua inchiesta giornalistica, fra i pochissimi funzionari che hanno potuto leggere il rapporto, ed ha appreso qualcosa sul genere di frodi usate.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di diversione dei fondi assegnati ad ogni parlamentare per il funzionamento del proprio ufficio - 166 mila euro annui appunto - e che dovrebbero pagare contabili, traduttori professionisti, aziende che forniscono servizi amministrativi.
Ma i ragionieri autori dell’indagine hanno appurato che per lo più l’intero fondo annuale viene devoluto dall’eurodeputato «ad una sola persona del suo staf» qualche volta un parente stretto.
Anzi, molti europarlamentari che consumano l’intero fondo non hanno alcun impiegato al loro servizio, o uno solo come portaborse tuttofare, per giunta un parente che non parla se non una sola lingua.
«In altri casi», ha detto una fonte al Telegraph, «risultano pagamenti ad aziende di servizi che, semplicemente, non esistono; in altri sono individui che lavorano per il singolo euro-deputato e ne sono i dipendenti».
In altri casi sono «creste» sui biglietti aerei e le spese d’ufficio, in modo da assorbire l’intero fondo.
Vogliamo provare a indovinare di quale o quali Paesi sono gli euro-deputati più attivi in questa ruberia?
Forse riusciremo a capire perché i nostro politici sono così entusiasticamente europeisti, e tanti desiderino diventare euro-parlamentari, benchè conoscano solo qualche dialetto irpino o romanesco o lumbard.
E come mai i giornali italioti non abbiano riportato una riga di questa informazione.
Per rispetto al loro amato presidente della repubblica, suppongo.
Non c’è che da notare che ad ogni strato di «politica» corrisponde una Casta, con relativo furto di denaro pubblico.
E gli strati che gravano sopra noi contribuenti sono tanti, si moltiplicano e sono molto «spessi», cioè affollati di percettori.
In Italia, si comincia dai consigli di zona delle grandi città (a Milano un presidente di consiglio di zona, di solito un partitante di mezza tacca, già riceve 2 mila euro mensili, più di un giovane ingegnere con responsabilità dirigenziali nell’industria privata), e poi via sovrapponendo: Comune, Provincia, Regione, Stato nazionale, aziende «partecipate», burocrazia europea…
E poi ancora gli organi globali, ONU, WTO, Fondo Monetario, Banca Mondiale.
Tutti con stipendi miliardari.
E noi paghiamo per tutti.
Si deve infine notare che le Caste hanno dato ai loro furti abitudinari uno status giuridico.
L’ultimo esempio ci riguarda: Padoa Schioppa, tra le mille cose di cui ha imbottito la Finanziaria, aveva decretato un «tetto» agli stipendi del personale di Bankitalia, che sono i più alti e costosi del pianeta.
Una cosina giusta, finalmente.
Ma la Banca Eentrale Europea ha bocciato il provvedimento, con la motivazione che il tetto di Stato ai compensi «mina l’indipendenza della Banca Centrale italiana».
Ragionamento di cui non si vede la logica - dopotutto, la magistratura non si assegna da sé i suoi emolumenti, e ciò non mina la sua autonomia - ma che si spiega nello spirito di Casta.
I privilegi indebiti sono «diritti acquisiti», i miliardi di stipendio «garanzia di indipendenza».
Non ci sarà mai modo di tagliarli, se non tagliando le teste, accorciando gli strati di «politica» che ci depredano.
L’appendimento dei responsabili a piedi in su a piazzale Loreto compirebbe la riforma.
Ma non osiamo sperare tanto.
M.Blondet
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