21 marzo 2008
Elezioni, perché piace a tutti l'abolizione delle preferenze
Uno dei pochi articoli che trattano l'abolizione delle preferenze, tutti ne parlano ma nessuno mette mano al cambiamento e, si è visto mai che un parlamento voti leggi contro sè stesso? Solo il popolo ha azzerato queste leggi, ma a quale prezzo?
Curiosamente, il polemico pronunciamento della Cei sul sistema elettorale italiano non ha suscitato reazioni troppo violente. Eppure l'argomento si sarebbe prestato: il Vangelo, in fondo, sui sistemi elettorali non si pronuncia e quindi un'incursione dei vescovi sul tema può risultare discutibile. Ben diverse sono le reazioni quando la Cei interviene, in piena legittimità a mio parere, su questioni come quelle eticamente sensibili, e viene poi duramente criticata e accusata di ingerenza.
Credo che al fondo di questo silenzio della politica ci sia molto imbarazzo: la destra, che ha fatto questa legge elettorale e dovrebbe difenderla, non reagisce, probabilmente per non aprire polemiche con la Chiesa; la sinistra non cavalca, come potrebbe, la polemica, probabilmente perché in fondo questo sistema elettorale non le dispiace troppo.
Si dimostra così quanto siano strumentali molte polemiche nei confronti degli interventi della gerarchia ecclesiastica; ma anche quanto sia profondo il malessere provocato dal vigente sistema elettorale: lo ha confermato del resto l'analoga, dura presa di posizione del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo.
I vescovi probabilmente esagerano quando considerano l'attuale legge elettorale una minaccia per la democrazia; ma centrano il bersaglio quando la leggono come espressione di una forzatura oligarchica, riconoscibile soprattutto nell'abolizione delle preferenze, che rende i vertici dei partiti assolutamente padroni del Parlamento. Una scorsa alle liste lo conferma ampiamente.
La questione è tanto più grave in quanto la nuova gestione "cesarista" dei partiti, di qualunque schieramento, ha di fatto abrogato la dialettica democratica all'interno di essi. Altro che "leggeri": i partiti come strumento (nobilissimo) di partecipazione politica non esistono più, sostituiti da macchine elettorali agli ordini del capo, dotato o di carisma proprio o di unzione plebiscitaria (le primarie). Da questo punto di vista, il modello berlusconiano ha fatto scuola e ha completamente permeato il sistema politico.
In queste condizioni, i candidati designati a diventare parlamentari non rispecchiano nemmeno più gli equilibri interni ai partiti e le loro articolazioni ideali, ma semplicemente la fedeltà al leader. Il che, paradossalmente, non serve nemmeno a ridurre i costi della politica: se, infatti, non ci sono più le correnti da finanziare, occorre garantire un nutrito esercito di gregari, sparpagliato (e stipendiato) in tutti gli organi istituzionali, che per questo conviene non sfoltire.
Alcuni degli autori della legge contestata osservano infastiditi che neanche la legge precedente consentiva di esprimere le preferenze. L'obiezione è speciosa: col sistema uninominale, infatti, ogni elettore si trova un candidato per ciascun partito (o alleanze di partiti) e dunque può decidere di scegliere una faccia più che un simbolo, di premiare una personalità che lo convince e di castigare quello che non gli piace, superando anche le strette preferenze di partito. Oggi, evidentemente, questo non è più possibile: chi vota, vota uno e compra tutto.
Non è vero, dunque, che l'abrogazione delle preferenze (il cui funzionamento era stato già opportunamente corretto) di per sé contribuisca a moralizzare la politica: è vero il contrario, perché fa degli eletti non più i titolari della rappresentanza degli interessi diffusi ma i portavoce (anzi, gli schiaccia-pulsanti) delle oligarchie concentrate. Ma, appunto, a tutti i partiti fa comodo così: perciò possono permettersi di ignorare i vescovi e di rimuovere il referendum che, comunque, incombe.
di Salvatore Carrubba
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21 marzo 2008
Elezioni, perché piace a tutti l'abolizione delle preferenze
Uno dei pochi articoli che trattano l'abolizione delle preferenze, tutti ne parlano ma nessuno mette mano al cambiamento e, si è visto mai che un parlamento voti leggi contro sè stesso? Solo il popolo ha azzerato queste leggi, ma a quale prezzo?
Curiosamente, il polemico pronunciamento della Cei sul sistema elettorale italiano non ha suscitato reazioni troppo violente. Eppure l'argomento si sarebbe prestato: il Vangelo, in fondo, sui sistemi elettorali non si pronuncia e quindi un'incursione dei vescovi sul tema può risultare discutibile. Ben diverse sono le reazioni quando la Cei interviene, in piena legittimità a mio parere, su questioni come quelle eticamente sensibili, e viene poi duramente criticata e accusata di ingerenza.
Credo che al fondo di questo silenzio della politica ci sia molto imbarazzo: la destra, che ha fatto questa legge elettorale e dovrebbe difenderla, non reagisce, probabilmente per non aprire polemiche con la Chiesa; la sinistra non cavalca, come potrebbe, la polemica, probabilmente perché in fondo questo sistema elettorale non le dispiace troppo.
Si dimostra così quanto siano strumentali molte polemiche nei confronti degli interventi della gerarchia ecclesiastica; ma anche quanto sia profondo il malessere provocato dal vigente sistema elettorale: lo ha confermato del resto l'analoga, dura presa di posizione del presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo.
I vescovi probabilmente esagerano quando considerano l'attuale legge elettorale una minaccia per la democrazia; ma centrano il bersaglio quando la leggono come espressione di una forzatura oligarchica, riconoscibile soprattutto nell'abolizione delle preferenze, che rende i vertici dei partiti assolutamente padroni del Parlamento. Una scorsa alle liste lo conferma ampiamente.
La questione è tanto più grave in quanto la nuova gestione "cesarista" dei partiti, di qualunque schieramento, ha di fatto abrogato la dialettica democratica all'interno di essi. Altro che "leggeri": i partiti come strumento (nobilissimo) di partecipazione politica non esistono più, sostituiti da macchine elettorali agli ordini del capo, dotato o di carisma proprio o di unzione plebiscitaria (le primarie). Da questo punto di vista, il modello berlusconiano ha fatto scuola e ha completamente permeato il sistema politico.
In queste condizioni, i candidati designati a diventare parlamentari non rispecchiano nemmeno più gli equilibri interni ai partiti e le loro articolazioni ideali, ma semplicemente la fedeltà al leader. Il che, paradossalmente, non serve nemmeno a ridurre i costi della politica: se, infatti, non ci sono più le correnti da finanziare, occorre garantire un nutrito esercito di gregari, sparpagliato (e stipendiato) in tutti gli organi istituzionali, che per questo conviene non sfoltire.
Alcuni degli autori della legge contestata osservano infastiditi che neanche la legge precedente consentiva di esprimere le preferenze. L'obiezione è speciosa: col sistema uninominale, infatti, ogni elettore si trova un candidato per ciascun partito (o alleanze di partiti) e dunque può decidere di scegliere una faccia più che un simbolo, di premiare una personalità che lo convince e di castigare quello che non gli piace, superando anche le strette preferenze di partito. Oggi, evidentemente, questo non è più possibile: chi vota, vota uno e compra tutto.
Non è vero, dunque, che l'abrogazione delle preferenze (il cui funzionamento era stato già opportunamente corretto) di per sé contribuisca a moralizzare la politica: è vero il contrario, perché fa degli eletti non più i titolari della rappresentanza degli interessi diffusi ma i portavoce (anzi, gli schiaccia-pulsanti) delle oligarchie concentrate. Ma, appunto, a tutti i partiti fa comodo così: perciò possono permettersi di ignorare i vescovi e di rimuovere il referendum che, comunque, incombe.
di Salvatore Carrubba
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