23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

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23 aprile 2009

Ripensare il mondo, per bio-regioni


Le città non devono sparire, ma cambiare, mettendosi al servizio delle loro bio-regioni. Così parlò Giuseppe Moretti, referente italiano dei bioregionalisti, intervistato da Daniel Tarozzi per Terranauta. Bioregionalismo? «E’ la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza sulla Terra, rispettando tutti gli esseri viventi». Da Francesco d’Assisi alla spirale della crisi planetaria: «La nostra non è un’ideologia, ma un’attitudine di buon senso e di umiltà». Meglio allora considerare la Terra come un insieme naturale di bio-regioni, regolate dal ciclo dell’acqua malgrado le devastazioni dell’homo tecnologicus: «Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la tecnologia non ci ha mai lasciato. Ma la tecnologia, di per sé, è neutra: dipende dall’uso che ne se fa. E oggi, finalmente, possiamo scegliere».




Nata negli Usa negli anni ‘90 e i primi 250 gruppi e poi sviluppatasi in Messico, Canada, Sud America, Australia, Asia ed Europa, la corrente bioregionalista che vede tra i suoi terra-mondo1massimi interpreti l’inglese Etain Addey (autrice di “Una gioia silenziosa”) annovera tra i suoi antenati italiani i fondatori della rivista “AAM Terra Nuova”, aggregazione informale ora sfociata nella Rete Bioregionale Italiana, che ad ogni solstizio pubblica i “Quaderni di vita bioregionale” ed ogni equinozio il giornale “Lato selvatico”. «Appartengo alla cosiddetta generazione degli anni ’60, non ho mai smesso di scrutare le idee dei movimenti alternativi», racconta Moretti. «Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città». Decisivi i contatti coi pionieri americani, come Peter Berg e Judy Golhaft.

Il bioregionalismo, spiega Moretti, considera il pianeta come un unico organismo vivente, suddiviso in bioregioni. «Sono le regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi. L’uomo è parte integrante di tutto questo, non il suo signore e padrone: l’umiltà è saggezza, visto il divario tra la mente umana e quella della natura». Ri-abitare la terra con occhi nuovi, dunque. Percepire «l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato» e comprendere che «dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra stessa salute», e che «dal diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende la nostra stessa libertà e giustizia».

«Ogni cosa è connessa l’una all’altra, su questa terra». Convizione che i buddisti fanno propria da migliaia di anni (i biologi da molto meno) e che ora i bioregionalisti ribadiscono, partendo dall’elemento più vitale: l’acqua. «Il ciclo dell’acqua – dice Moretti – fa della terra un unico grande bacino idrografico. E il bacino idrografico in cui ognuno etain-addey1di noi vive è il contesto della nostra pratica: un bacino idrografico è di fatto una bioregione, e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria bioregione, significa quindi assumersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai problemi che sono ormai su scala globale: ecco perché oggi è importante ri-abitare la terra in senso bioregionale».

Naturalmente, senza rifiutare scienza e tecnologia. «Oggi possiamo scegliere: di scaldare l’acqua con la legna o coi pannelli solari piuttosto che con l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto che essere succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere. Dobbiamo ri-ascoltare la nostra natura selvatica: consumare senza sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere».

Giuseppe Moretti e i bioregionalisti tifano per la Decrescita Felice, gli ecovillaggi, i seedsavers che custodiscono varietà antiche di semi; partecipano ai gruppi d’acquisto solidale e alla finanza etica, promuovono eco-tecnologie e prodotti a chilometri zero. «Le sorti del cambiamento non sono prerogativa di pochi, tutti possono incidere». Inutile aspettarsi miracoli dagli economisti: non hanno soluzioni, dice Moretti, a parte inventarsi «guazzabugli» grazie ai quali «a perderci sono sempre i più deboli». Non c’è da stare allegri: «Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico che economico o religioso, che difficilmente rinuncerà ai privilegi acquisiti».

Una rivoluzione culturale: a questo punta il bioregionalismo. «Non un cambiamento a livello di governi, ma un rivoltamento completo nel modo di intendere il nostro essere qui sulla terra». Illusioni da ex hippy? «Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività e caparbietà hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente, se stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura», constata Moretti. «Abbiamo fallito? Da quello che si vede sembra di sì, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo, pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’».

di Giuseppe Moretti

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