10 maggio 2009

A che servono gli economisti?

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A che servono gli economisti? A domandarselo non è solo il ministro Giulio Tremonti, ma anche la rivista americana "Business Week". L`accusa sollevata contro gli economisti è di essere stati incapaci di prevedere la crisi e di non avere una soluzione condivisa. A raccogliere le critiche sono anche il "Financial Times" e molti altri giornali. Quanto c`è di vero? Per quanto riguarda la capacità predittiva, l`accusa è fondata ma ingiusta. E vero che la maggior parte degli economisti non è stata in grado di pronosticare il tracollo, ma, come i terremoti, eventi finanziari di queste dimensioni sono difficili da aspettarsi. Per di più se una crisi fosse correttamente anticipata, potrebbe essere evitata, rendendo la previsione errata. In altre parole, se la maggior parte degli economisti avesse anticipato un crollo dei prezzi delle case, gli stessi prezzi non sarebbero saliti così vertiginosamente, rendendo errata la previsione di un crollo. Per definizione, quindi, le grandi crisi sono imprevedibili. Ciononostante la critica ha dei fondamenti. Anche se il compito principale degli economisti non è quello di fare le previsioni, una delle maggiori responsabilità di chi lavora al Fondo monetario internazionale o in una banca centrale è di metterci in guardia dai possibili rischi cui ci espone il nostro sistema finanziario. In questo senso noi tutti economisti, con poche eccezioni, abbiamo sbagliato. Purtroppo, questo fallimento non è un caso, ma è il risultato di incentivi perversi. Uno dei governatori della Riserva federale americana, Edward M. Gramlich, avverti per anni l`allora presidente dello stesso istituto centrale, Alan Greenspan, sui rischi di una crisi immobiliare. Purtroppo Gramlich morì di leucemia prima che le sue previsioni si avverassero. Malattia a parte, la sua posizione coraggiosa non gli conquistò molti amici: dire la verità non paga quando questa verità non è gradita a chi ci sta sopra. D`altra parte la favola del re nudo di Hans Christian Andersen non è stata inventata per gli economisti, purtroppo è universale. Ma questo non esime gli economisti dalle loro responsabilità. Non ci sono state abbastanza analisi critiche sui possibili rischi. Era troppo facile dire che tutto andava bene e ignorare che il re era nudo. La seconda accusa sollevata contro gli economisti è di avere visioni così contrastanti sui rimedi della crisi da risultare irrilevanti. Sembra un paradosso visto che nel 2006 Paul Krugman, vincitore dei premio Nobel in economia ed editorialista del "New York Times", scrisse nel suo libro di testo che «uno dei segreti della macroeconomia è quanto consenso è stato raggiunto negli ultimi settant`anni». Questo consenso sembra oggi svanito come neve al sole. Mentre lo stesso Krugman accusa Obama di aver approvato un piano fiscale troppo prudente, 250 economisti firmano un appello denunciando il piano dei capo della Casa Bianca come fiscalmente irresponsabile. La causa di questo dissenso è la straordinarietà della crisi attuale. Finché il ciclo economico seguiva delle fluttuazioni standard, era facile predire il futuro estrapolando il passato. Ma quando il ciclo rompe tutti gli schemi, la situazione diventa così lontana da quella ordinaria che nessuno sa cosa succederà. L in questi frangenti, dove l`analisi empirica non può farci da supporto per la mancanza di dati (per fortuna le grandi crisi sono rare), che l`ideologia prevale. Non sorprendentemente Krugman e i 250 economisti che hanno criticato il piano di Obama sono agli estremi opposti dello spettro politico. Ma il fatto più sorprendente di questa crisi è - come ebbi occasione di scrivere con Oliver Hart in un articolo apparso sul "Wall Street Journal" - che gli economisti sono oggi facilmente disposti a violare i loro stessi principi. Per esempio, quale principio economico giustifica il salvataggio di un`assicurazione come Aig? Non solo questo intervento si è tradotto in un trasferimento di denaro dal contribuente ai creditori della Aig ma, sussidiando i creditori, ha anche distrutto gli incentivi per i creditori futuri a selezionare i prenditori più affidabili. Questa obiezione è stata ignorata con l`alibi di dire che, quando una casa è in fiamme, il primo obiettivo sia quello di spegnere l`incendio. Ma così facendo si piantano i semi per la prossima crisi. L discutibile che gli economisti siano tra i principali responsabili di questa crisi, ma, con questo loro comportamento, sono certamente i principali responsabili della prossima.

di Luigi Zingales

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10 maggio 2009

A che servono gli economisti?

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A che servono gli economisti? A domandarselo non è solo il ministro Giulio Tremonti, ma anche la rivista americana "Business Week". L`accusa sollevata contro gli economisti è di essere stati incapaci di prevedere la crisi e di non avere una soluzione condivisa. A raccogliere le critiche sono anche il "Financial Times" e molti altri giornali. Quanto c`è di vero? Per quanto riguarda la capacità predittiva, l`accusa è fondata ma ingiusta. E vero che la maggior parte degli economisti non è stata in grado di pronosticare il tracollo, ma, come i terremoti, eventi finanziari di queste dimensioni sono difficili da aspettarsi. Per di più se una crisi fosse correttamente anticipata, potrebbe essere evitata, rendendo la previsione errata. In altre parole, se la maggior parte degli economisti avesse anticipato un crollo dei prezzi delle case, gli stessi prezzi non sarebbero saliti così vertiginosamente, rendendo errata la previsione di un crollo. Per definizione, quindi, le grandi crisi sono imprevedibili. Ciononostante la critica ha dei fondamenti. Anche se il compito principale degli economisti non è quello di fare le previsioni, una delle maggiori responsabilità di chi lavora al Fondo monetario internazionale o in una banca centrale è di metterci in guardia dai possibili rischi cui ci espone il nostro sistema finanziario. In questo senso noi tutti economisti, con poche eccezioni, abbiamo sbagliato. Purtroppo, questo fallimento non è un caso, ma è il risultato di incentivi perversi. Uno dei governatori della Riserva federale americana, Edward M. Gramlich, avverti per anni l`allora presidente dello stesso istituto centrale, Alan Greenspan, sui rischi di una crisi immobiliare. Purtroppo Gramlich morì di leucemia prima che le sue previsioni si avverassero. Malattia a parte, la sua posizione coraggiosa non gli conquistò molti amici: dire la verità non paga quando questa verità non è gradita a chi ci sta sopra. D`altra parte la favola del re nudo di Hans Christian Andersen non è stata inventata per gli economisti, purtroppo è universale. Ma questo non esime gli economisti dalle loro responsabilità. Non ci sono state abbastanza analisi critiche sui possibili rischi. Era troppo facile dire che tutto andava bene e ignorare che il re era nudo. La seconda accusa sollevata contro gli economisti è di avere visioni così contrastanti sui rimedi della crisi da risultare irrilevanti. Sembra un paradosso visto che nel 2006 Paul Krugman, vincitore dei premio Nobel in economia ed editorialista del "New York Times", scrisse nel suo libro di testo che «uno dei segreti della macroeconomia è quanto consenso è stato raggiunto negli ultimi settant`anni». Questo consenso sembra oggi svanito come neve al sole. Mentre lo stesso Krugman accusa Obama di aver approvato un piano fiscale troppo prudente, 250 economisti firmano un appello denunciando il piano dei capo della Casa Bianca come fiscalmente irresponsabile. La causa di questo dissenso è la straordinarietà della crisi attuale. Finché il ciclo economico seguiva delle fluttuazioni standard, era facile predire il futuro estrapolando il passato. Ma quando il ciclo rompe tutti gli schemi, la situazione diventa così lontana da quella ordinaria che nessuno sa cosa succederà. L in questi frangenti, dove l`analisi empirica non può farci da supporto per la mancanza di dati (per fortuna le grandi crisi sono rare), che l`ideologia prevale. Non sorprendentemente Krugman e i 250 economisti che hanno criticato il piano di Obama sono agli estremi opposti dello spettro politico. Ma il fatto più sorprendente di questa crisi è - come ebbi occasione di scrivere con Oliver Hart in un articolo apparso sul "Wall Street Journal" - che gli economisti sono oggi facilmente disposti a violare i loro stessi principi. Per esempio, quale principio economico giustifica il salvataggio di un`assicurazione come Aig? Non solo questo intervento si è tradotto in un trasferimento di denaro dal contribuente ai creditori della Aig ma, sussidiando i creditori, ha anche distrutto gli incentivi per i creditori futuri a selezionare i prenditori più affidabili. Questa obiezione è stata ignorata con l`alibi di dire che, quando una casa è in fiamme, il primo obiettivo sia quello di spegnere l`incendio. Ma così facendo si piantano i semi per la prossima crisi. L discutibile che gli economisti siano tra i principali responsabili di questa crisi, ma, con questo loro comportamento, sono certamente i principali responsabili della prossima.

di Luigi Zingales

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