Nell’antica Grecia era chiamato l’Essere, nel Medioevo Dio, nel Rinascimento la Natura. Nell’Illuminismo è diventato l’Individuo e nel mondo moderno il Denaro. Ogni epoca ha avuto il suo massimo referente culturale. Ma, ad ogni tappa della storia, la civiltà è scesa di un gradino, personalizzando l’archetipo, abbassandolo a principio razionale, a soggetto tangibile, infine a semplice cosa. Ma il denaro è ben più di una semplice cosa, è un simbolo, è il centro di una deforme ma seducente metafisica. Intorno al denaro si è creato un invisibile impero mondiale, cui obbediscono la cultura, la politica, la scienza, le arti, la vita quotidiana di ognuno. Si tratta di qualcosa che racchiude un richiamo alla potenza. Giacché, attraverso di esso, in una società che fa coincidere la realizzazione sociale con la quantità di denaro posseduta, l’uomo ha il potere di ottenere ciò che vuole. Compreso il potere sulle coscienze. L’avere o il volere molto denaro va oltre la semplice disponibilità materiale. Va oltre anche il dato economico. Investe gli aspetti psicologici della personalità, li condiziona, spesso li padroneggia. In questo valore metafisico attribuito al denaro, già Nietzsche individuò l’elemento tipico di un’attitudine non economica, ma appunto psicologica, presente in un certo tipo d’uomo di bassa lega. In Aurora del 1887, leggiamo: «Quel che si faceva un tempo “per amore d’Iddio”, lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado».
La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.
Mai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.
Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».
La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza…
La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.
di Luca Leonello Rimbotti
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21 maggio 2009
Il denaro come schiavitù psicologica
Nell’antica Grecia era chiamato l’Essere, nel Medioevo Dio, nel Rinascimento la Natura. Nell’Illuminismo è diventato l’Individuo e nel mondo moderno il Denaro. Ogni epoca ha avuto il suo massimo referente culturale. Ma, ad ogni tappa della storia, la civiltà è scesa di un gradino, personalizzando l’archetipo, abbassandolo a principio razionale, a soggetto tangibile, infine a semplice cosa. Ma il denaro è ben più di una semplice cosa, è un simbolo, è il centro di una deforme ma seducente metafisica. Intorno al denaro si è creato un invisibile impero mondiale, cui obbediscono la cultura, la politica, la scienza, le arti, la vita quotidiana di ognuno. Si tratta di qualcosa che racchiude un richiamo alla potenza. Giacché, attraverso di esso, in una società che fa coincidere la realizzazione sociale con la quantità di denaro posseduta, l’uomo ha il potere di ottenere ciò che vuole. Compreso il potere sulle coscienze. L’avere o il volere molto denaro va oltre la semplice disponibilità materiale. Va oltre anche il dato economico. Investe gli aspetti psicologici della personalità, li condiziona, spesso li padroneggia. In questo valore metafisico attribuito al denaro, già Nietzsche individuò l’elemento tipico di un’attitudine non economica, ma appunto psicologica, presente in un certo tipo d’uomo di bassa lega. In Aurora del 1887, leggiamo: «Quel che si faceva un tempo “per amore d’Iddio”, lo si fa oggi per amore del denaro, cioè per amore di ciò che oggi dà sentimento di potenza e buona coscienza al massimo grado».
La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.
Mai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.
Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».
La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza…
La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.
di Luca Leonello Rimbotti
La libidine di denaro è quella specie di invasamento che ha soppiantato le figure della trascendenza, pervenendo a una pervertita disposizione all’adorazione. Una vera mistica invertita di segno, ma egualmente in grado di possedere l’anima. La patologia del vitello d’oro, in cui si era ravvisata - dall’antichità fino all’avvento della borghesia - una tipologia umana di rango inferiore, divenne a un certo punto l’anima della civiltà, il suo credo interiore, il motivo del suo esistere. Si era appena agli inizi del moderno capitalismo, quando Marx - tra i primi e i più violenti - condannò la metamorfosi del denaro da mezzo per gli scambi a idolo divinizzato, scaricandone la responsabilità sugli ebrei: «Il denaro è il geloso dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro dio può esistere…Il dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un dio mondano. La cambiale è il dio reale dell’ebreo…». Tuttavia, l’avvento del denaro in qualità di dispotico regolatore dei destini non è stato il passaggio da un totem metafisico ad uno materiale. L’idolatria del denaro non è esattamente il culto per un oggetto: molto più sottilmente, nella società scaturita dal dominio liberaldemocratico, ciò che viene sottoposto ad adorazione non sono tanto i soldi, quanto il significato di potenza cui essi rimandano. Il potere dei soldi è soprattutto immateriale. Questo è il cuore della loro pericolosità.
Mai come oggi, queste vecchie intuizioni sono giuste: la presente dittatura mondiale della finanza, fondata sulla creazione dal nulla di denaro virtuale e sulla circolazione di ricchezza telematica, del tutto astratta dal lavoro, ne è la più schiacciante conferma. L’idea di accumulo, essenziale nella mentalità acquisitiva e utilitarista, è un’idea totalitaria. Guida gli atti e governa le menti. Di più: è come l’offerta sacrificale dell’animista, raccoglie e ammassa valore in lode di una onnipotenza. Verso la fine dell’Ottocento, il sociologo Georg Simmel [nella foto sopra] si occupò proprio di questi aspetti per così dire filosofici e trascendenti del denaro. Il mito della ricchezza crea stati d’animo, incide sugli immaginari, decide sui valori. Nel suo breve scritto risalente al 1889, La psicologia del denaro, recentemente ripubblicato dalle Edizioni di Ar, Simmel precisava le intuizioni di Marx e Nietzsche: il denaro, come un nuovo e degenere Dio assoluto, infonde pace e sicurezza nei suoi devoti, ricoprendo la stessa funzione di elemento supremo. Una divinità assolutista che non riconosce più le appartenenze storiche. Nessuna lega, associazione, classe, casta o nazione vale più di fronte all’irrompere del denaro. Principio democratico assoluto e assoluto livellatore delle differenze antropologiche, il denaro offre a ognuno, basta che lo voglia e lo sappia maneggiare, la possibilità di realizzare le proprie aspettative materiali e simboliche. Col denaro, ogni qualità umana si annulla: avendo denaro, chiunque può affermarsi, indipendentemente dal suo valore come uomo. Certo, perché si diffondesse la fede in questo mezzo di scambio elevato a idolo, c’era stato bisogno che diventasse egemone quel tipo bio-psichico particolare che è il borghese.
Alla festa del mercato riesce bene quel genere di uomo malato col cervello di bambino di cui parlava Sombart. Il capitalista come adolescente immaturo, che vuole i suoi balocchi sempre più grandi, sempre più numerosi…Una volta andato al potere questo sotto-tipo umano, la seduzione del denaro non ha trovato più ostacoli…ed oggi le figure egemoni sulla scena del capitalismo saranno altrettante controfigure dell’effimero e del fatuo, come effimeri sono i soldi e il mondo che promettono: il manager mondano, la starlette televisiva, l’intellettualino gay, i divi del pettegolezzo, lo speculatore filantropo…Simmel, già ai suoi tempi, realizzò che il denaro stava cambiando ruolo: da mezzo diventava fine, secondo un procedimento che definiva come «elevazione psicologica del mezzo alla dignità di scopo finale». Il mondo moderno è tutto giocato sull’attrezzatura psichica. Dalla cura psicanalitica somministrata alle masse borghesi per sostenerne la fragilità caratteriale fino alle manipolazioni propagandistiche del marketing, e fino ai ricatti psicologici che governano le leggi della Borsa, la psiche condizionata è oggi il luogo della decisione. La politica non esiste. Il mito comunitario è affossato. Si ha un intero sistema mondiale che si regge sulla virtualità del denaro finanziario e sulla finzione del possesso materiale ottenuto per via speculativa. E certo Simmel è stato acuto e precoce nell’osservare che l’omologazione capitalistica comprende l’azzeramento della diversità qualitativa dell’uomo, la sua riduzione a semplice oggetto casuale di possesso: «Il fatto che nel traffico monetario una persona abbia il medesimo valore di un’altra, si fonda su di una semplice circostanza: nessuna di loro vale, a valere è soltanto il denaro».
La sociologia tedesca tardo-ottocentesca è importante perché studiò la società moderna come esito del dominio. Si combinava bene con la scuola sociologica italiana, che vide nella lotta delle élites il segreto della leadership politica. Se Max Weber individuò il dominio nella dialettica verticale comando-obbedienza, Simmel studiò invece più che altro l’aspetto orizzontale dei rapporti sociali, quelli incentrati sull’interazione-scambio. E quindi assegnò al denaro, che domina l’idea di scambio, un’importanza centrale nella società liberale. Era una discesa di valore. Una perdita di qualità per l’uomo. Nel suo libro del 1908 su Il dominio, Simmel scrisse che la concezione tradizionale della supremazia sociale manteneva inalterato il valore per l’altro, sia pure subordinandolo: per dire, il feudatario proteggeva e rispettava il suo contadino, cui riconosceva il ruolo della controparte sociale. Il mercante, invece, e il capitalista finanziario di ultima generazione in specie, che riconosce importanza solo al denaro, è per eccellenza l’egoista individuale, colui che non riconosce per nulla l’altro, ma solo se stesso e la propria determinazione all’accumulo. In una conferenza del 1896 sul denaro nella cultura moderna, Simmel sostenne che i reticoli sociali delle società tradizionali, ad esempio le corporazioni, erano associazioni di mestiere che curavano i loro interessi, ma soprattutto erano comunità di vita nelle quali l’individuo riconosceva i propri valori di affinità, reciprocità, comunanza. Al contrario, la società capitalistica ha promosso associazionismi che, diceva Simmel, «pretendono dai loro membri soltanto contributi in denaro o che mirano a un mero interesse monetario». Basta pensare all’associazionismo paramassonico dei miliardari americani (e ai suoi omologhi transnazionali: i vari Lyon’s, Rotary…), nel quale si attua la classica doppia faccia della morale usuraria: la beneficenza. Al beneficato, tuttavia, mai si dava o si dà in mano il denaro…al declassato spettava - e ancora oggi, da parte delle onlus, si attua lo stesso principio discriminante…- soltanto la merce (il piatto di minestra, il vestito), oppure la struttura (l’ospizio, il ricovero). È noto come, per il puritanesimo e per lo stesso san Tommaso, l’uso del capitale usurario per beneficenza conduca diritto all’indulgenza plenaria dei peccati…su questa specie di indulto teologico, del resto, nacquero i primi Monti di Pietà, con tutto quello che è seguito in termini di acquisto in solido della buona coscienza, fino all’attuale degenerata industria dell’accoglienza…
La smania di ricchezza, scrive Simmel in La psicologia del denaro, è sempre stata la via emancipatoria dei repressi (i liberti nell’antichità, gli ugonotti, gli ebrei…), ma secondo un processo storico che Francesco Ingravalle, nella sua postfazione, definisce di omologazione e di spersonalizzazione, tanto che può dirsi che sia il denaro a maneggiare l’uomo e non più l’uomo il denaro: «Il denaro emancipa l’individuo e, al culmine di tale processo di emancipazione, lo dissolve come individuo, speciale e irripetibile, esalta le qualità individuali in termini di “fantasia imprenditoriale” e poi le “standardizza”, le riduce a funzioni di un meccanismo globale e onnipervadente». Fino all’epoca moderna, la ricchezza era comunitaria. In Europa, la regola era che il contadino viveva sulla sua terra. Il demanio pubblico era a disposizione dei bisogni collettivi. Il raro latifondo era soggetto a una pletora di servitù e limitazioni. L’indebitamento del ceto contadino e l’espropriazione dei popoli data da quando il capitalista, padrone del grande mercato urbano e della decisione politica, ha trasformato il popolo prima in proletariato da soma, poi in borghesia universale sradicata. Karl Polany scrisse che in tal modo «una popolazione di dignitosi contadini veniva trasformata in una folla di mendicanti e di ladri». Su questa folla di precari allo sbando prospera il denaro dei pochissimi. Oggi è un denaro senza terra, senza lavoro né fabbrica, senza sacrificio, senza legami, senza origine, senza rapporto con la moneta e persino senza alcun reale valore.
di Luca Leonello Rimbotti
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