Mario Monti vanta lunghi studi all'estero. Trascorre un anno presso la prestigiosa Università di Yale, dove diventa allievo di James Tobin, premio Nobel per l'Economia nel 1981. Non abbiamo prove di una sua affiliazione alla Skull and Bones, la celeberrima e potente società segreta di ispirazione mondialista che dal 1832 ha sede presso quel prestigioso ateneo statunitense. Abbiamo però la prova che il professore varesino rappresenti un autentico apostolo del pensiero mondialista. Alcune inequivocabili circostanze lo attestano.
Mario Monti era membro del Bilderberg Group. La notizia è passata sui media con una certa nonchalance. Istituito nel 1954 presso il castello olandese di Bilderberg, questo esclusivissimo club si ritrova segretamente ogni anno per decidere del futuro dell'umanità. Si tratta dei 130 uomini più potenti e influenti del mondo riuniti in una stessa stanza, che guardie armate tengono lontana da occhi indiscreti. In più di cinquant'anni d'incontri è sempre stata vietata la presenza della stampa, non sono mai state rilasciate dichiarazioni sulle conclusioni degli intervenuti, e non è mai stato svelato l'ordine del giorno.
A prescindere da cosa realmente accada in quel segreto consesso, il solo fatto di come si svolga e di chi lo componga non risponde certo a una logica di democrazia e trasparenza. Fino all'ultimo momento resta occulto il luogo degli incontri e si interviene solo su espresso invito, che non può essere pubblicamente divulgato, pena la mancata partecipazione.
Per comprendere meglio di cosa si tratti è sufficiente leggere quanto sul tema ha scritto William Vincent Shannon, non esattamente un paranoico complottista, ma un prestigioso giornalista, redattore del New York Times e ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda durante la presidenza Carter (1977-1981): «I membri del Bilderberg stanno costruendo l'era del post nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali.
Sarebbe a dire, un'economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderberger si concentrano su di un "approccio maggiormente tecnico" e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale». Del resto, lo stesso fondatore del Bilderberg Group, il principe Bernardo d'Olanda, sul punto era stato chiaro: «È difficile rieducare gente allevata al nazionalismo all'idea di rinunciare a parte della loro egemonia a favore di un potere sovranazionale ».
Onesto, a suo modo, è stato pure David Rockefeller - altro Bilderberg di razza - il quale ha lasciato scritto nelle sue Memorie (2002): «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come "internazionalisti", e di cospirare con altri nel mondo per costruire una più integrata struttura politico-economica globale, un nuovo mondo, se volete. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo».
Il Times, che non può certo definirsi un foglio complottista, nel 1977 descrisse i membri del Bilderberg Group come «una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso». A conferma, si possono elencare alcune singolari coincidenze (per citare i casi più noti e più recenti) dovute a fatti accaduti dopo gli incontri del Bilderberg. Bill Clinton partecipa al meeting del 1991; vince le primarie del Partito democratico, e da oscuro governatore dell'Arkansas diventa presidente degli Stati Uniti nel 1992. Tony Blair partecipa al meeting del 1993; diventa il leader del Partito laburista nel luglio del 1994, e viene eletto primo ministro nel maggio del 1997.
George Robertson partecipa al meeting del 1998; viene nominato segretario generale della Nato nell'agosto del 1999. Romano Prodi partecipa al meeting del 1999; riceve l'incarico di presidente dell'Unione europea nel settembre del 1999, ricoprendo tale incarico fino a gennaio 2005; nel 2006 viene eletto presidente del Consiglio italiano. Sembra confermata ancora una volta la saggia conclusione del barone Denis Winston Healey, ex ministro britannico della Difesa (1964-1970) e delle Finanze (1974- 1979): «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali, e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».
Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura di un ottimo testo intitolato The True Story of the Bilderberg Group, di Daniel Estulin, un libro di 340 pagine, corredato da una preziosa documentazione, che raccoglie i risultati di una indagine durata anni sull'intoccabile gruppo elitario di cui la stampa ufficiale appare sempre reticente. La seconda prova della propensione mondialista del professor Monti risiede nel fatto che egli faccia anche parte della Trilateral Commission.
aAnzi, per essere precisi, ricopre la carica di presidente per l'Europa nel triennio 2010-2012. Chi ha l'avventura di accedere al sito ufficiale di quella istituzione (www.trilateral.org), troverà, infatti, una lettera di presentazione sottoscritta da Mario Monti, quale European Chair, da Joseph S. Nye, Jr., quale North American Chair, e da Yotaro Kobayashi, quale Pacific Asian Chair, con tanto di fotografia.
Ufficialmente si tratta di un think-tank fondato nel 1973 da David Rockefeller con forte impronta mondialista. Il professor Piergiorgio Odifreddi ha invece liquidato il prestigioso pensatoio internazionale definendolo, su Repubblica (9 novembre 2011), «una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger». Quella di Odifreddi non rappresenta, ovviamente, l'unica voce critica nei confronti della Trilateral.
Nel 1979 l'ex governatore repubblicano Barry Goldwater la descriveva come «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli stati coinvolti».
Lo scrittore francese Jacques Bordiot sosteneva, inoltre, che per far parte della Trilateral, era necessario che i candidati fossero «giudicati in grado di comprendere il grande disegno mondiale dell'organizzazione e di lavorare utilmente alla sua realizzazione », e precisava che il vero obiettivo della Trilateral fosse quello «di esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».
Il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica presso l'Università del Québec, nel suo interessante saggio L'imaginaire technocratique, pubblicato a Montréal nel 1990, ha definito, più semplicemente, la Trilateral come una privilegiata élite tecnocratica: «La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la téchne è legge e dove sentinelle, dalle torri di guardia, vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa. Il maggiore benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso».
Il connotato resta sempre il medesimo: poca democrazia e poca trasparenza. Piccolo inciso legato all'attualità della cronaca politica: un altro italiano membro della Trilateral è l'onorevole Enrico Letta, al centro di una polemica per uno strano biglietto inviato al consociato professor Monti. La terza prova della visione mondialista di Mario Monti sta nel fatto di essere un uomo Goldman Sachs. Per comprendere la reale natura di tale istituzione non occorre addentrarsi nei siti complottisti.
È sufficiente leggere sul Monde del 16 novembre 2011 (giorno dell'investitura di Monti) l'articolo di Marc Roche, corrispondente da Londra, dal titolo sintomatico: «La "franc-maçonnerie" européenne de Goldman Sachs». Si tratta di una vera e propria requisitoria contro la potente banca d'affari. Per il Monde, Goldman Sachs funziona come la massoneria, in cui ex dirigenti, consiglieri ma anche trader della banca d'affari americana si ritrovano oggi al potere nei paesi europei chiave per la gestione della crisi finanziaria. In Europa, Goldman Sachs si è fatta fautrice di una forma di «capitalismo delle relazioni », e punta a piazzare i suoi uomini.
Può sembrare esagerato il giudizio del Monde, ma forse non lo è se si pensa a un'altra singolare coincidenza. Si tratta del fatto che l'omologo greco di Mario Monti, il professor Lucas Papademos (anch'egli studi statunitensi), già vicepresidente della Bce (dal 2002 al 2010), e ora tecnocrate mandato a commissariare il governo ellenico, è un altro uomo Goldman Sachs. Oltre che - guarda caso - membro anche lui della Trilateral Commission. Il panorama si fa ancora più inquietante se si considera che l'uomo Goldman Sachs più potente in Europa è Mario Draghi.
Nonostante tutte queste sinistre coincidenze, faccio ancora fatica a cedere alle suggestioni complottiste. Confesso, però, che quando ho letto sul quotidiano economico Milano Finanza che è stata proprio Goldman Sachs a innescare l'ondata di vendite di Btp il 10 novembre scorso, un pensiero cattivo mi ha attraversato la mente. Sarà forse perché il giorno prima, il 9 novembre, Mario Monti è stato nominato senatore a vita dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Una settimana dopo sarebbe diventato premier sull'onda degli spread. Coincidenze, ne sono certo.
di Gianfranco Amato
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