«Questo non è più un colpo di Stato finanziario», scrive Paolo Barnard nel suo blog: «Questa è la ‘coventry-zzazione’ dell’Italia a firma Mario Monti, e con un esecutore materiale: il medesimo Paese che nella notte del 14 novembre 1940 rase al suolo la cittadina inglese con una violenza mai impiegata prima nella storia bellica». Se è stata la Deutsche Bank, insieme alla Goldman Sachs, a decretare la fine del governo Berlusconi per far posto a Mario Monti, incaricato di strangolare tutti tranne i suoi “padroni”, le banche e i grandi gruppi della finanza, ora il piano di annientamento della sovranità nazionale assume un carattere definitivo e istituzionale grazie al “Treaty on Stability, Coordination and Governance in the Economic and Monetary Union”, comunemente conosciuto come “Fiscal Compact”, firmato il 31 gennaio dai capi di Stato e di governo dell’Eurozona.
«Non stiamo più parlando di un golpe per controllare gli Stati sovrani d’Europa, ma proprio di un bombardamento a tappeto che non lascerà che cenere di tutto ciò che conoscevamo come democrazia, redditi e Stato di diritto in Italia», dice Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine” sul complotto della finanza mondiale contro le nostre democrazie e promotore di un’iniziativa clamorosa: dal 24 al 26 febbraio, a Rimini, si svolgerà il primo meeting mondiale sulla “Modern Money Theory” coordinato dai prestigiosi economisti “eretici” che, dalle università statunitensi, hanno guidato la spettacolare rinascita dell’Argentina “restituendo” la moneta sovrana al popolo, trasformando cioè lo Stato in investitore sociale. Operazione praticamente impossibile in Europa, fino a quando il Vecchio Continente sarà in balia dell’attuale euro, moneta erogata da una banca privata, la Bce, che gli Stati devono prendere in prestito, a caro prezzo, a tutto vantaggio del “vero potere” finanziario che – privatizzando il debito pubblico – ha preso in ostaggio il destino di intere nazioni.
«E’ per me sbalorditivo che un Santoro, o un Ferruccio De Bortoli, o una Camusso possano aver letto quelle righe senza inorridire», scrive Barnard, che cita l’accademico americano Edward Herman: «Hanno reso plausibile l’inimmaginabile», e la gente lo ha accettato. Nelle 11 pagine del “Fiscal Compact” c’è la nostra condanna, aggiunge il giornalista, pioniere della tv-verità prima con Santoro e poi con la Gabanelli: se il nefasto trattato europeo entrerà in vigore il 1° gennaio 2013, l’altra notizia è che nel frattempo «non nascerà alcuna rivolta», perché «gli italiani di Gad Lerner, di Fazio, di Saviano, di Travaglio, di Grillo, di Bersani, di Vendola, della Cgil-Fiom e del Popolo Viola» non vogliono capire la gravità della situazione, anche se «sono una massa enorme che potrebbe invece agire». Ergo: «Siamo finiti, perché gli altri italiani, quelli di Sky e degli Outlet, non contano come forza civica, mai sono contati, si lamentano ma se ne fregano. Questa è la realtà».
Di che morte moriremo? Ce lo spiega in modo esplicito il “Fiscal Compact”: uno Stato che darà ai propri cittadini e alle proprie aziende più denaro di quanto gliene tolga in tasse, sarà illegale e anti-costituzionale. Niente più deficit di bilancio a favore dei cittadini: lo Stato dovrà come minimo raggiungere il pareggio di bilancio, cioè darci 100 per togliercelo subito dopo. Meglio ancora il surplus di bilancio, che poi è l’attuale situazione italiana: lo Stato pretende dai cittadini più di quanto non spenda per loro. Dal 1° gennaio 2013, questa condizione diventerà legge: entrerà nella Costituzione degli Stati firmatari. In pratica, con il nuovo trattato, lo Stato «dovrà impoverirci, matematicamente». E guai a sgarrare: «Se uno Stato non iscrive nella Costituzione o in leggi egualmente vincolanti l’obbligo di impoverire i propri cittadini e aziende attraverso il pareggio di bilancio o il surplus di bilancio, verrà giudicato dalla Corte Europea di Giustizia, che ha potere di sentenze sovranazionali, cioè vincolanti per tutti gli Stati aderenti».
Non c’è scampo, sottolinea Barnard: «Uno Stato che volesse ignorare questo scempio verrà messo sotto accusa automaticamente (“excessive deficit procedure”), e automaticamente dovrà correggersi presentando un piano dettagliato di correzioni, che sono le famigerate austerità che ben conosciamo». “Correzioni” dettate sempre dall’anonima e onnipotente Commissione Europea, dominata da tecnocrati non-eletti che, «come ampiamente dimostrato, rispondono alle lobby finanziarie di Bruxelles». E se lo Stato “ribelle” non si corregge, se cioè «si rifiuta di impoverire i propri cittadini e aziende attraverso il pareggio di bilancio o il surplus di bilancio», la Commissione Europea lo denuncerà agli altri Stati, che a loro volta lo denunceranno alla Corte Europea di Giustizia, la quale avrà il potere di multarlo: un’Italia “disubbidiente” dovrebbe accollarsi 2 miliardi di euro per ogni “infrazione”.
Il “diritto di delazione” autorizzerà anche un solo paese europeo a denunciare lo Stato “infedele” al trattato: «Diritto quindi del tutto arbitrario, che sarà esercitato senza pietà dalla Germania», che ha interesse a indebolire l’Europa del Sud per incrementare le sue esportazioni e trasformare il Mediterraneo in un’enorme bacino di manodopera a basso costo. Ma se basta la denuncia di un solo Stato a far scattare la “punizione”, alla “vittima” di turno, per tentare di difendersi, sarà necessario mettere insieme una maggioranza qualificata di Stati solidali: condizione oggi praticamente “impossibile”, dato il potere di ricatto economico-finanziario dell’area guidata da Berlino. Inoltre: una volta varato il “Fiscal Compact”, ogni Stato dell’Eurozona dovrà chiedere approvazione alla Commissione Europea e al Consiglio d’Europa prima di emettere i propri titoli di Stato: «Anche qui, la funzione primaria di autonomia di spesa dello Stato sovrano è cancellata».
All’unico organo europeo legittimamente eletto dai cittadini, cioè il Parlamento Europeo, è riservato questo: il suo presidente “potrebbe” essere invitato ad ascoltare le decisioni dei tecnocrati della Commissione e del Consiglio. Tutto qui. Agli organismi democratici e già sovrani, come i Parlamenti nazionali, è concesso al massimo – tramite l’assemblea di Strasburgo – di formare una “conferenza di rappresentanti” che potranno “discutere” (ma non bocciare) le decisioni prese dai tecnocrati. Inoltre, aggiunge Barnard, il “Fiscal Compact” richiede a tutti gli Stati dell’Eurozona di promettere fedeltà all’euro come moneta comune e sostegno all’attuale unione economica europea, al fine di promuovere “crescita, impiego e competitività”. «Cioè, come dire: sostenere un’alluvione per promuovere l’agricoltura».
Un dispositivo implacabile, spietato: «Se uno Stato dovesse aver bisogno di sostegno finanziario europeo attraverso un salvataggio da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità, non avrà un singolo euro se prima non avrà firmato il “Fiscal Compact” e non lo avrà obbedito in toto». Forche caudine sotto le quali passerà la Grecia, che «morirà sotto tortura», dopodiché toccherà a noi. In ultimo, a tutti gli Stati firmatari, il “Fiscal Compact” impone il rispetto dell’“Europact”: adottato dai capi di governo dell’Eurozona il 24 marzo 2011, il patto stabilisce che la competitività sia giudicata solo in rapporto al contenimento degli stipendi e all’aumento della produttività, per preservare la quale gli stipendi pubblici dovranno essere tenuti sotto controllo. Inoltre, la sostenibilità del debito nazionale sarà giudicata a seconda della presunta generosità di spesa nel welfare (sanità, Stato sociale, ammortizzatori), mentre pensioni ed esborsi sociali dovranno essere riformati «allineando il sistema pensionistico alla situazione demografica nazionale, per esempio allineando l’età pensionistica con l’aspettativa di vita».
L’Italia, accusa Barnard, in questo modo «perde tutta la sua sovranità di spesa per i cittadini», che andava a favore di tutti i servizi essenziali, delle tutele sociali, degli sgravi e di tutta la nostra economia salariale, e perde anche la sua sovranità di spesa per le aziende, fino a ieri a favore di modernizzazione, infrastrutture, acquisti diretti. Lo Stato, nel migliore dei casi, sarà quindi costretto «a darci 100 e toglierci 100, cioè a lasciarci a zero di ricchezza netta». Di conseguenza: «Il “Fiscal Compact” impone per legge sovranazionale l’impoverimento sistematico e automatico, da parte dello Stato, dell’Italia produttiva e delle nostre famiglie». In tal modo, «lo Stato perde totalmente la sua funzione democratica primaria: il Parlamento italiano non conta più nulla, è di fatto esautorato». Altra sciabolata alla nostra sovranità: «Non controlleremo più i nostri titoli di Stato».
Precisamente per questa “Europa” si agita l’ineffabile Mario Monti, sostenuto da tutti i principali partiti italiani: «Siamo alla mercé delle punizioni inflitte da tecnocrati non eletti da noi, e del giudizio devastante della Germania, che com’è noto ed ampiamente provato, lavora da 40 anni per distruggere le economie dell’Europa del sud, dell’Italia in particolare». Quello che ci aspetta è già scritto, oltre che già cominciato: «Saremo costretti ad austerità continue imposte dalla Commissione Europea che nessun italiano elegge». Questo significa «povertà imposta su altra povertà», e solo per gli interessi “neomercantili” di Berlino e di pochi speculatori internazionali. «Infine – aggiunge Barnard – questo crimine contro un intero popolo e nazione è stato firmato da Mario Monti, che dovrebbe essere arrestato per alto tradimento».
Eppure, gli italiani stanno concedendo un’abbondante maggioranza di gradimenti al governo del “professore”: «I media difendono l’euro come sacro, e neppure quelli “liberi”, da Santoro al “Fatto” di Travaglio, permetteranno mai a questi fatti documentati, e salva-vita, di essere esposti». Problema cronico: «Tutta la componente maggioritaria dei cittadini “impegnati” crede di aver salvato l’Italia dal terribile pericolo democratico numero uno della nostra storia: Silvio Berlusconi. Il resto degli italiani non sa, non se ne cura». Dunque, è doloroso ammetterlo: «C’è una profonda giustizia nel fatto che il Vero Potere ci pisci in testa, e ci condanni alla disperazione: ce lo meritiamo».
di Giorgio Cattaneo
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