12 aprile 2008

Un'altra Casta: i Sindacati


Dopo la casta dei politici e dei giornalisti, trattiamo la casta dei sindacalisti. Il triumvirato dell'informazione detiene un primato che appartiene a loro. Sarà per questo che Grillo lancia il Vday 2 contro l'informazione e i detentori senza contradditorio. Tanto è inutile, se non lo dice la Tv o i giornali non esistono. "Una bugia ripetuta tante volte diventa vera della verità", Goebbels

- Alitalia, a chi si dovrebbe vendere?

*Piloti e hostess lavorano molto meno* dei loro colleghi di altre compagnie.Però costano tanto di più. Grazie a una giungla di benefit, difesi con le
unghie e con i denti e puntigliosamente elencati in un contratto degno di Harry Potter, dove tutti i mesi durano quanto febbraio e il giorno di riposo
comprende due notti.

Un giorno è un giorno. Dal Circolo polare artico fino alle isole di Tonga, è uguale per tutti. Ma non per i piloti dell'Alitalia. È scritto nero su
bianco a pagina 2 del Regolamento sui limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante approvato, con la delibera
n. 67 del 19 dicembre 2006, dal consiglio di amministrazione dell'Enac,l'Ente nazionale per l'aviazione civile. Il terzo comma dell'articolo 2
disciplina il «giorno singolo libero dal servizio».

*Che viene così descritto: «Periodo libero da qualunque impiego* che comprende due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero
da qualunque impiego di durata non inferiore a 33 ore che comprende almeno una notte locale». Un giorno di 33 ore o con due notti? Quando si tratta del
personale di volo della ex compagnia di bandiera italiana, e dei relativi regolamenti di lavoro, bisogna abbandonare ogni convenzione, dal sistema
metrico decimale all'ora di Greenwich: per loro non valgono.

*Vivono in un mondo a parte, dove tutto è dorato*. Da sempre veri padroni dell'azienda, piloti e assistenti di volo si sono dati delle norme di lavoro
consone al loro status (a proposito: i capintesta dei sindacati degli autisti dei cieli hanno una speciale indennità economica che percepiscono
anche se se ne stanno incollati a terra tutto l'anno). Secondo il regolamento dell'Enac, dove è specificato che hanno diritto a riposare su
poltrone con una reclinabilità superiore al 45% e munite di poggiapiedi regolabile in altezza, non devono volare più di cento ore nel corso del
mese.

*Anzi nei 28 giorni consecutivi, come hanno preferito scrivere*: e si vede che per loro è sempre febbraio. Nell'intero anno, cioè nei dodici mesi (se
non hanno modificato a loro uso e consumo pure il calendario) il tetto non è, come da calcolatrice, mille e 200 ore (100 per 12) ma 900, e vai a sapere
perché. Nel contratto, che l'azienda si rifiuta di fornire ai giornalisti,come del resto qualunque altro dato sulla produttività dei dipendenti,
l'orario però si riduce. Nel medio raggio, la barriera scende a 85 ore al mese. Che nel trimestre non diventano 255, ma 240. E nell'anno non arrivano,
come l'aritmetica sembrerebbe suggerire, a mille e 20, ma a 900.

*Ma non è neanche questo il punto: fosse vero* che volano così tanto (tra gli assistenti di volo l'assenteismo è all'11%). I numeri tracciano un quadro un po' diverso e dicono che nel medio-corto raggio gli steward e le hostess (alla fine del 2007, 480 di queste ultime su 4300, cioè l'11%, erano praticamente fuori gioco perché in maternità o in permesso in base alla legge che consente di assistere familiari gravemente malati) restano tra le nuvole per non più di 595 ore l'anno. Vuol dire 98 minuti al giorno, il
tempo che molti Cipputi impiegano per fare su e giù tra casa e fabbrica. A titolo di raffronto, un assistente di volo della Lufthansa vola 900 ore, uno
della Iberia 850 e uno della portoghese Tap 810. Restando in Italia, una hostess di AirOne si fa le sue belle 680 ore.

*I piloti, poi, alla cloche sembrano quasi allergici:* la loro performance non va oltre le 566 ore, che significano 93 minuti al giorno. I loro pari
grado riescono a pilotare per 720 ore all'Iberia, per 700 alla Lufthansa e all'AirOne, per 680 alla Tap e per 650 all'Air France. I nostri, insomma,
non sono esattamente degli stakanovisti: in media fanno, tra nazionale e internazionale, 1,8 tratte al giorno, contro le 2,4-2,75 dei colleghi di
AirOne. In compenso, sono molto più cari di tutti gli altri. Un assistente di volo con una certa anzianità può arrivare a costare ad Alitalia 86 mila e
533 euro, contro i 33 mila che deve mettere nel conto la compagnia di Toto (AirOne, ndr ).

*Il comandante di un Md80 dell'azienda della Magliana* ha un costo del lavoro annuo pari a 198 mila e 538 euro. Per la stessa figura professionale
i concorrenti italiani non sborsano più di 145 mila euro. Sempre restando allo stesso tipo di aereo, per pagare il pilota Alitalia ha bisogno di 108
mila e 374 euro, tra i 28 e i 33 mila in più di AirOne o di un'altra azienda italiana. Il mix di orari da impiegati del catasto e stipendi da
superprofessionisti crea un cocktail che risulterebbe micidiale per qualunque azienda: facendo due conti viene infatti fuori che alla fine
dell'anno Alitalia spende per ogni ora volata da un suo comandante qualcosa come 350,8 euro. Contro i 207,1 di AirOne. Una differenza del 69,4% che
manderebbe fuori mercato chiunque. Soprattutto se si considera anche che un aereo della ex compagnia di bandiera viaggia con un equipaggio superiore di
un buon 30% rispetto alla media dei concorrenti.

*Il risultato finale è che in Alitalia il tasso di efficienza* per dipendente è pari, secondo i calcoli dell'Association of European Airlines,
a poco più della metà di quello che può vantare la Lufthansa. Che i passeggeri trasportati sono 1.090 per dipendente, contro i 10 mila e 350 di
Ryanair. E che nel 2004 il ricavo medio per ogni lavoratore impiegato non andava oltre i 199 mila euro, poco più di un terzo rispetto a quanto
registrava ad esempio Ryanair (513 mila euro).

*In Alitalia comandano i sindacati* (che nel solo primo semestre del 2005 hanno proclamato scioperi per 496 ore: quasi 3 ore ogni 24). E si vede. Il
contratto in vigore dal 1° gennaio 2004 dice che, nel medio raggio, una hostess o un pilota non possono essere utilizzati per più di 210 ore al mese
(che, con il solito giochino, diventano 600 nel trimestre e 1.800 nell'anno). Ebbene, se uno di loro parte da Roma per andare a prendere
servizio a Milano la metà della durata del viaggio che lo vedrà impegnato nelle parole crociate viene considerata servizio.

*La tabella dell'Enac che stabilisce*, a seconda dell'orario di inizio del turno, su quante tratte continuative può essere impiegato il personale
navigante prevede cinque diverse ipotesi. Che salgono a diciassette nell'accordo sottoscritto da azienda e sindacato. Dove è stabilito per il
personale navigante il diritto a 33 giorni di riposo a trimestre (ad AirOne sono 30), che aumentano fino a 35 per chi è impegnato nel lungo raggio. In
base al contratto, al termine di ogni volo deve essere garantito un riposo fisiologico di 13 ore, che sul lungo raggio deve risultare invece pari al
numero dei fusi geografici attraversati moltiplicato per otto, con un minimo però di 24 ore. Boh.

*Semplicemente geniale è poi il nuovo sistema retributivo*, in vigore dal 1°gennaio 2005. Sono rimasti, ovviamente, lo stipendio base (quattordici
mensilità) e l'indennità di volo minimo garantito: quaranta ore, che uno le faccia o meno. Le dieci voci che componevano la parte variabile della
retribuzione di un pilota (compreso il cosiddetto «premio Bin Laden» corrisposto, dopo l'attentato alle Torri gemelle di New York, a tutti quelli
che viaggiano in Medio Oriente e dintorni) sono state tutte sostituite da un'unica indennità di volo giornaliera (per un comandante è pari a 177 euro
se è impegnato sul lungo raggio e a 164 se vola sul medio, cifre alle quali va sommata la diaria, che sono altri 42 euro, per un totale che può quindi
arrivare a 219 euro). Indennità che scatta tutta intera anche se il pilota sta alla cloche solo per mezz'ora o semplicemente si trasferisce
all'aeroporto da dove prenderà servizio. E perfino se il suo volo viene cancellato dopo che lui ha già raggiunto quello che doveva essere lo scalo
d'imbarco. Per di più, aumenta se c'è uno spostamento dei turni rispetto al calendario originale.

*Siccome poi lavorare stanca, il contratto prevede* l'istituzione di una Banca dei riposi individuali dove confluiscono i crediti che si ottengono
per esempio quando l'aereo viaggia con personale ridotto (un riposo ogni due giorni) e dalla quale hostess e piloti possono attingere pure degli
anticipi. Non è invece dato sapere se le parti hanno raggiunto un accordo su una nuova indennità graziosamente prevista nell'ultima intesa: il premio di
puntualità, che per i passeggeri assume davvero il sapore della beffa. Mentre è alla direttiva dell'Enac che bisogna tornare se si vuole conoscere
la dettagliatissima disciplina della cosiddetta «riserva», i periodi di tempo nei quali il personale navigante deve essere pronto a rispondere a
un'improvvisa chiamata.

*Premesso che si può essere messi in riserva* solo dopo aver goduto di un riposo, si stabilisce che la metà del tempo trascorso a casa con le
pantofole ai piedi va considerata come servizio. Bingo. Di più: che se l'attesa si consuma inutilmente perché il telefono non trilla, e dev'essere
proprio per lo stress, scatta un successivo periodo di riposo di almeno otto ore, che in alcuni casi salgono a dodici. Ed è sempre il premuroso Enac a
stabilire che a piloti e hostess, una volta a bordo, deve essere dato da mangiare una volta ogni sei ore, come ai pupi, e adeguatamente, «in modo da
evitare decrementi nelle prestazioni».

*Di alcuni privilegi o istituti incomprensibili nessuno ricorda* neanche l'esatta origine. Ci sono e basta. Così, le hostess continuano ad avere una
franchigia di ventiquattr'ore al mese, che in pura teoria dovrebbe coincidere con l'inizio del ciclo mestruale, ma si racconta del caso di una
di loro che ha chiesto la giornata del 31 come permesso per il mese di dicembre e quella del 1° per il mese di gennaio: misteri del corpo
femminile. Sempre le assistenti di volo, quando vanno in maternità vengono retribuite per tutto il tempo con lo stesso stipendio guadagnato nell'ultimo
mese di servizio, che, guarda un po', svolgono regolarmente sul lungo raggio, per far salire l'importo della busta paga. I piloti, invece, non
possono atterrare due volte nello stesso scalo in un solo giorno. La logica della regola, che pare non sia neanche scritta ma frutto della consuetudine,
è imperscrutabile.

*La conseguenza, però, è chiara: la crescita delle spese* per le trasferte.A partire da quelle per gli alberghi, che in Alitalia vengono scelti da
un'apposita commissione dopo attento esame dei loro requisiti: con il risultato che l'importo medio è superiore del 45% a quello sostenuto dagli
altri vettori. Solo per le 300 stanze prenotate tutto l'anno per i dipendenti che, anziché essere trasferiti a Malpensa, vanno su e giù da
Roma, la compagnia ha in bilancio 45 milioni. Nella babele dei benefit, per un certo periodo tutto il personale viaggiante ha poi goduto di una speciale
indennità per l'assenza del lettino a bordo di alcuni 767-300: alcune centinaia di euro che venivano corrisposte anche a chi volava su aerei
dotati delle cuccette in questione.

*I lavoratori più coccolati d'Italia quando viaggiano* per piacere godono di
una politica di sconti davvero generosa. Argomento sul quale l'azienda ha di
nuovo una tale coda di paglia da rifiutarsi di fornire chiarimenti. Ma è il
segreto di Pulcinella: i dipendenti (e con loro i pensionati) hanno diritto
ad acquistare (anche per i loro cari: figli e coniugi o conviventi) i
biglietti con una riduzione del 90% sulla tariffa piena, se rinunciano al
diritto alla prenotazione. Il taglio scende invece al 50% se vogliono il
posto garantito, magari perché vanno a festeggiare l'ultima promozione, che
in Alitalia non si nega davvero a nessuno. Nel 2007 la direzione per la
finanza dell'azienda della Magliana poteva contare su 152 persone: 20
dirigenti, 52 quadri e 80 impiegati. In quella per il personale i soldati
semplici (61) prevalevano di una sola unità sui graduati (60: 25 dirigenti e
35 quadri).

*Dev'essere anche per questo che il consiglio di
amministrazione*dell'azienda ha sentito la necessità di garantirsi
l'ombrello di una polizza
assicurativa a copertura di possibili azioni di responsabilità nei confronti
di chi ha guidato la baracca. E si è reso così complice dei sindacati. Ai
quali invece nessuno potrà mai presentare il conto.

Cgil, Cisl e Uil: l’esercito di intoccabili di Cinzia Romani

Roma - Una casta all’ombra dei suoi consolidati privilegi s’aggira per l’Italia, aprendo e chiudendo trattative sulla pelle ormai lisa dei lavoratori, oltre che dei contribuenti. E nel paese bollito in sacche di spreco, gonfie di fatturati miliardari e bilanci segreti, mentre lo Stato paga i settecentomila delegati (sei volte di più dei Carabinieri), che a noi costano 1 miliardo e 845mila euro l’anno, esce un libro, ustionante come acido muriatico negli occhi della Triplice. S’intitola «L’altra casta. Privilegi. Carriere. Stipendi. Fatturati da Multinazionale. L’inchiesta sul sindacato» (da domani in libreria, con lancio da strenna natalizia) il documentato volume Bompiani di Stefano Livadiotti, firma del settimanale «L’Espresso», che in 236 pagine (prezzo 15 euro) mette il dito su una piaga purulenta quanto quella dei partiti. Contrordine, compagni, dopo che Diliberto ha ceduto il proprio posto in lista a un operaio della Thyssen, intanto che il suo vecchio sodale Cossutta lo accusa di «plebeismo demagogico»? Ma sì, è ora, è ora: potere a chi lavora. Sul serio, però, non come i membri dell’altra casta, quella sindacale, i cui permessi equivalgono a un milione di giorni lavorativi al mese, costando al nostro sistema 1 miliardo e 854 milioni di euro l’anno. E c’è da giurarci che il trio di sigle si arrabbierà parecchio leggendo l’impressionante dossier, proprio mentre cerca di sopravvivere a se stesso, magari sulle carcasse di Alitalia. Lo strapotere delle tre grandi centrali confederali, Cgil, Cisl e Uil, è nell’occhio del ciclone da un ventennio, tanto che, in base ai sondaggi, un italiano su venti si sente pienamente rappresentato dalle sigle sindacali e meno di uno su dieci dichiara di averne fiducia. Difficile affidarsi ai sindacati, che promettono bilanci consolidati, salvo poi evitare di trasferirli nero su bianco. Ma in che modo l’altra casta è diventata intoccabile, quando anche i sassi sanno che se c’è un problema di costi della politica, esso riguarda pure il sindacato, teso a intimidire la collettività con la propria capacità di mobilitazione? «Il giro d’affari di Cgil, Cisl e Uil ammonta a 3.500 miliardi di vecchie lire e il nostro è un calcolo al ribasso», avvertiva nel 2002 il radicale Capezzone.

Se del Quirinale si sa che spende il quadruplo di Buckingham Palace, fare i conti in tasca all’altra casta, lardellata di un organico di 20mila dipendenti, è questione controversa, tanto diversificate risultano le sue fonti di guadagno. La slot machine più veloce coincide con le quote versate dagli iscritti: l’1 per cento della paga-base. E i pensionati? Fruttano circa 40 euro l’anno, che però fanno brodo, nel sostituto d’incasso complessivo: 1 miliardo l’anno.

All’erogazione di liquidità, poi, pensano le aziende, con le trattenute in busta paga ed ecco bypassato il costo dell’esazione. E i soliti pensionati, visto che anche la miseria è un’eredità? Provvedono gli enti di previdenza: nel 2006 l’Inps ha girato 110 milioni alla Cgil, 70 alla Cisl e 18 alla Uil. Eppure, nel 1995 Marco Pannella promosse un referendum per abolire l’automatismo della trattenuta in busta paga, regalino vintage (del 1970) dello Statuto dei lavoratori. Nonostante gli italiani abbiano votato a favore, il meccanismo fu salvato comunque dai contratti collettivi. Quanto al rinnovo periodico della delega, per il cui tramite il pensionato autorizza l’ente previdenziale a trattenersi una quota sulla sua pensione, si è fatto in modo d’insabbiare l’emendamento al decreto Bersani (presentato da Fi), che rompeva le uova nel paniere sindacale. E siccome i pensionati sono poveri, ma tanti, è nei loro gruzzoli che si ficcano i Caf, quei centri di assistenza fiscale, trasformati in business per il sindacato. Gli enti previdenziali, infatti, pagano per le dichiarazioni dei redditi dei pensionati: nel 2006 l’Inps ha travasato ai 74 Caf convenzionati 120 milioni. Così Cgil, Cisl e Uil, unite, hanno incassato 90 milioni circa. Invano la Corte di giustizia europea, persuasa che il monopolio dei Caf violasse i trattati comunitari, tre anni fa mise in mora l’Italia, con qualche lettera di richiamo. Ma se i bramini dei Caf vanno sotto schiaffo, quelli dei patronati, le strutture d’assistenza ai cittadini per le pratiche previdenziali, la cassa-integrazione e i sussidi di disoccupazione, non si toccano. E si estendono dall’Africa al Nordamerica, per tacere dell’Australia, con conseguente sospetto che svolgano un ruolo attivo nel pilotare il voto degli italiani all’estero. Nel 2006, l’Inps ha speso 248 milioni, 914mila e 211 euro tra Inca-Cgil, Inas-Cisl e Ital-Uil. Altro business in cui affondare le mani, è quello della formazione. Ogni anno, l’Europa manda in Italia 1 miliardo e mezzo di euro, per la formazione professionale. E 10 dei 14 enti, che annualmente si spartiscono metà dei finanziamenti nazionali, sono partecipati da Cgil, Cisl e Uil. Ma la vera forza dell’altra casta viene dai beni immobili, patrimonio sterminato, tutto da dissotterrare, mentre la Cgil conta 3mila sedi in Italia, di proprietà delle strutture territoriali; la Cisl, 5mila e la Uil concentra gli investimenti sul mattone in una società per azioni, controllata al cento per cento dalla Labour Uil, con 35 milioni e 25mila euro di immobili in bilancio. Va da sé che gli inquilini Vip di tanto bendiddio abitativo sono loro, i vecchi mandarini con un piede nella jacuzzi ai Parioli a un altro sulla pista di Fiumicino.

*Tratto dal libro di Stefano Livadiotti "L'altra casta". L'inchiesta sul
sindacato, (Bompiani)

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12 aprile 2008

Un'altra Casta: i Sindacati


Dopo la casta dei politici e dei giornalisti, trattiamo la casta dei sindacalisti. Il triumvirato dell'informazione detiene un primato che appartiene a loro. Sarà per questo che Grillo lancia il Vday 2 contro l'informazione e i detentori senza contradditorio. Tanto è inutile, se non lo dice la Tv o i giornali non esistono. "Una bugia ripetuta tante volte diventa vera della verità", Goebbels

- Alitalia, a chi si dovrebbe vendere?

*Piloti e hostess lavorano molto meno* dei loro colleghi di altre compagnie.Però costano tanto di più. Grazie a una giungla di benefit, difesi con le
unghie e con i denti e puntigliosamente elencati in un contratto degno di Harry Potter, dove tutti i mesi durano quanto febbraio e il giorno di riposo
comprende due notti.

Un giorno è un giorno. Dal Circolo polare artico fino alle isole di Tonga, è uguale per tutti. Ma non per i piloti dell'Alitalia. È scritto nero su
bianco a pagina 2 del Regolamento sui limiti dei tempi di volo e di servizio e requisiti di riposo per il personale navigante approvato, con la delibera
n. 67 del 19 dicembre 2006, dal consiglio di amministrazione dell'Enac,l'Ente nazionale per l'aviazione civile. Il terzo comma dell'articolo 2
disciplina il «giorno singolo libero dal servizio».

*Che viene così descritto: «Periodo libero da qualunque impiego* che comprende due notti locali consecutive o, in alternativa, un periodo libero
da qualunque impiego di durata non inferiore a 33 ore che comprende almeno una notte locale». Un giorno di 33 ore o con due notti? Quando si tratta del
personale di volo della ex compagnia di bandiera italiana, e dei relativi regolamenti di lavoro, bisogna abbandonare ogni convenzione, dal sistema
metrico decimale all'ora di Greenwich: per loro non valgono.

*Vivono in un mondo a parte, dove tutto è dorato*. Da sempre veri padroni dell'azienda, piloti e assistenti di volo si sono dati delle norme di lavoro
consone al loro status (a proposito: i capintesta dei sindacati degli autisti dei cieli hanno una speciale indennità economica che percepiscono
anche se se ne stanno incollati a terra tutto l'anno). Secondo il regolamento dell'Enac, dove è specificato che hanno diritto a riposare su
poltrone con una reclinabilità superiore al 45% e munite di poggiapiedi regolabile in altezza, non devono volare più di cento ore nel corso del
mese.

*Anzi nei 28 giorni consecutivi, come hanno preferito scrivere*: e si vede che per loro è sempre febbraio. Nell'intero anno, cioè nei dodici mesi (se
non hanno modificato a loro uso e consumo pure il calendario) il tetto non è, come da calcolatrice, mille e 200 ore (100 per 12) ma 900, e vai a sapere
perché. Nel contratto, che l'azienda si rifiuta di fornire ai giornalisti,come del resto qualunque altro dato sulla produttività dei dipendenti,
l'orario però si riduce. Nel medio raggio, la barriera scende a 85 ore al mese. Che nel trimestre non diventano 255, ma 240. E nell'anno non arrivano,
come l'aritmetica sembrerebbe suggerire, a mille e 20, ma a 900.

*Ma non è neanche questo il punto: fosse vero* che volano così tanto (tra gli assistenti di volo l'assenteismo è all'11%). I numeri tracciano un quadro un po' diverso e dicono che nel medio-corto raggio gli steward e le hostess (alla fine del 2007, 480 di queste ultime su 4300, cioè l'11%, erano praticamente fuori gioco perché in maternità o in permesso in base alla legge che consente di assistere familiari gravemente malati) restano tra le nuvole per non più di 595 ore l'anno. Vuol dire 98 minuti al giorno, il
tempo che molti Cipputi impiegano per fare su e giù tra casa e fabbrica. A titolo di raffronto, un assistente di volo della Lufthansa vola 900 ore, uno
della Iberia 850 e uno della portoghese Tap 810. Restando in Italia, una hostess di AirOne si fa le sue belle 680 ore.

*I piloti, poi, alla cloche sembrano quasi allergici:* la loro performance non va oltre le 566 ore, che significano 93 minuti al giorno. I loro pari
grado riescono a pilotare per 720 ore all'Iberia, per 700 alla Lufthansa e all'AirOne, per 680 alla Tap e per 650 all'Air France. I nostri, insomma,
non sono esattamente degli stakanovisti: in media fanno, tra nazionale e internazionale, 1,8 tratte al giorno, contro le 2,4-2,75 dei colleghi di
AirOne. In compenso, sono molto più cari di tutti gli altri. Un assistente di volo con una certa anzianità può arrivare a costare ad Alitalia 86 mila e
533 euro, contro i 33 mila che deve mettere nel conto la compagnia di Toto (AirOne, ndr ).

*Il comandante di un Md80 dell'azienda della Magliana* ha un costo del lavoro annuo pari a 198 mila e 538 euro. Per la stessa figura professionale
i concorrenti italiani non sborsano più di 145 mila euro. Sempre restando allo stesso tipo di aereo, per pagare il pilota Alitalia ha bisogno di 108
mila e 374 euro, tra i 28 e i 33 mila in più di AirOne o di un'altra azienda italiana. Il mix di orari da impiegati del catasto e stipendi da
superprofessionisti crea un cocktail che risulterebbe micidiale per qualunque azienda: facendo due conti viene infatti fuori che alla fine
dell'anno Alitalia spende per ogni ora volata da un suo comandante qualcosa come 350,8 euro. Contro i 207,1 di AirOne. Una differenza del 69,4% che
manderebbe fuori mercato chiunque. Soprattutto se si considera anche che un aereo della ex compagnia di bandiera viaggia con un equipaggio superiore di
un buon 30% rispetto alla media dei concorrenti.

*Il risultato finale è che in Alitalia il tasso di efficienza* per dipendente è pari, secondo i calcoli dell'Association of European Airlines,
a poco più della metà di quello che può vantare la Lufthansa. Che i passeggeri trasportati sono 1.090 per dipendente, contro i 10 mila e 350 di
Ryanair. E che nel 2004 il ricavo medio per ogni lavoratore impiegato non andava oltre i 199 mila euro, poco più di un terzo rispetto a quanto
registrava ad esempio Ryanair (513 mila euro).

*In Alitalia comandano i sindacati* (che nel solo primo semestre del 2005 hanno proclamato scioperi per 496 ore: quasi 3 ore ogni 24). E si vede. Il
contratto in vigore dal 1° gennaio 2004 dice che, nel medio raggio, una hostess o un pilota non possono essere utilizzati per più di 210 ore al mese
(che, con il solito giochino, diventano 600 nel trimestre e 1.800 nell'anno). Ebbene, se uno di loro parte da Roma per andare a prendere
servizio a Milano la metà della durata del viaggio che lo vedrà impegnato nelle parole crociate viene considerata servizio.

*La tabella dell'Enac che stabilisce*, a seconda dell'orario di inizio del turno, su quante tratte continuative può essere impiegato il personale
navigante prevede cinque diverse ipotesi. Che salgono a diciassette nell'accordo sottoscritto da azienda e sindacato. Dove è stabilito per il
personale navigante il diritto a 33 giorni di riposo a trimestre (ad AirOne sono 30), che aumentano fino a 35 per chi è impegnato nel lungo raggio. In
base al contratto, al termine di ogni volo deve essere garantito un riposo fisiologico di 13 ore, che sul lungo raggio deve risultare invece pari al
numero dei fusi geografici attraversati moltiplicato per otto, con un minimo però di 24 ore. Boh.

*Semplicemente geniale è poi il nuovo sistema retributivo*, in vigore dal 1°gennaio 2005. Sono rimasti, ovviamente, lo stipendio base (quattordici
mensilità) e l'indennità di volo minimo garantito: quaranta ore, che uno le faccia o meno. Le dieci voci che componevano la parte variabile della
retribuzione di un pilota (compreso il cosiddetto «premio Bin Laden» corrisposto, dopo l'attentato alle Torri gemelle di New York, a tutti quelli
che viaggiano in Medio Oriente e dintorni) sono state tutte sostituite da un'unica indennità di volo giornaliera (per un comandante è pari a 177 euro
se è impegnato sul lungo raggio e a 164 se vola sul medio, cifre alle quali va sommata la diaria, che sono altri 42 euro, per un totale che può quindi
arrivare a 219 euro). Indennità che scatta tutta intera anche se il pilota sta alla cloche solo per mezz'ora o semplicemente si trasferisce
all'aeroporto da dove prenderà servizio. E perfino se il suo volo viene cancellato dopo che lui ha già raggiunto quello che doveva essere lo scalo
d'imbarco. Per di più, aumenta se c'è uno spostamento dei turni rispetto al calendario originale.

*Siccome poi lavorare stanca, il contratto prevede* l'istituzione di una Banca dei riposi individuali dove confluiscono i crediti che si ottengono
per esempio quando l'aereo viaggia con personale ridotto (un riposo ogni due giorni) e dalla quale hostess e piloti possono attingere pure degli
anticipi. Non è invece dato sapere se le parti hanno raggiunto un accordo su una nuova indennità graziosamente prevista nell'ultima intesa: il premio di
puntualità, che per i passeggeri assume davvero il sapore della beffa. Mentre è alla direttiva dell'Enac che bisogna tornare se si vuole conoscere
la dettagliatissima disciplina della cosiddetta «riserva», i periodi di tempo nei quali il personale navigante deve essere pronto a rispondere a
un'improvvisa chiamata.

*Premesso che si può essere messi in riserva* solo dopo aver goduto di un riposo, si stabilisce che la metà del tempo trascorso a casa con le
pantofole ai piedi va considerata come servizio. Bingo. Di più: che se l'attesa si consuma inutilmente perché il telefono non trilla, e dev'essere
proprio per lo stress, scatta un successivo periodo di riposo di almeno otto ore, che in alcuni casi salgono a dodici. Ed è sempre il premuroso Enac a
stabilire che a piloti e hostess, una volta a bordo, deve essere dato da mangiare una volta ogni sei ore, come ai pupi, e adeguatamente, «in modo da
evitare decrementi nelle prestazioni».

*Di alcuni privilegi o istituti incomprensibili nessuno ricorda* neanche l'esatta origine. Ci sono e basta. Così, le hostess continuano ad avere una
franchigia di ventiquattr'ore al mese, che in pura teoria dovrebbe coincidere con l'inizio del ciclo mestruale, ma si racconta del caso di una
di loro che ha chiesto la giornata del 31 come permesso per il mese di dicembre e quella del 1° per il mese di gennaio: misteri del corpo
femminile. Sempre le assistenti di volo, quando vanno in maternità vengono retribuite per tutto il tempo con lo stesso stipendio guadagnato nell'ultimo
mese di servizio, che, guarda un po', svolgono regolarmente sul lungo raggio, per far salire l'importo della busta paga. I piloti, invece, non
possono atterrare due volte nello stesso scalo in un solo giorno. La logica della regola, che pare non sia neanche scritta ma frutto della consuetudine,
è imperscrutabile.

*La conseguenza, però, è chiara: la crescita delle spese* per le trasferte.A partire da quelle per gli alberghi, che in Alitalia vengono scelti da
un'apposita commissione dopo attento esame dei loro requisiti: con il risultato che l'importo medio è superiore del 45% a quello sostenuto dagli
altri vettori. Solo per le 300 stanze prenotate tutto l'anno per i dipendenti che, anziché essere trasferiti a Malpensa, vanno su e giù da
Roma, la compagnia ha in bilancio 45 milioni. Nella babele dei benefit, per un certo periodo tutto il personale viaggiante ha poi goduto di una speciale
indennità per l'assenza del lettino a bordo di alcuni 767-300: alcune centinaia di euro che venivano corrisposte anche a chi volava su aerei
dotati delle cuccette in questione.

*I lavoratori più coccolati d'Italia quando viaggiano* per piacere godono di
una politica di sconti davvero generosa. Argomento sul quale l'azienda ha di
nuovo una tale coda di paglia da rifiutarsi di fornire chiarimenti. Ma è il
segreto di Pulcinella: i dipendenti (e con loro i pensionati) hanno diritto
ad acquistare (anche per i loro cari: figli e coniugi o conviventi) i
biglietti con una riduzione del 90% sulla tariffa piena, se rinunciano al
diritto alla prenotazione. Il taglio scende invece al 50% se vogliono il
posto garantito, magari perché vanno a festeggiare l'ultima promozione, che
in Alitalia non si nega davvero a nessuno. Nel 2007 la direzione per la
finanza dell'azienda della Magliana poteva contare su 152 persone: 20
dirigenti, 52 quadri e 80 impiegati. In quella per il personale i soldati
semplici (61) prevalevano di una sola unità sui graduati (60: 25 dirigenti e
35 quadri).

*Dev'essere anche per questo che il consiglio di
amministrazione*dell'azienda ha sentito la necessità di garantirsi
l'ombrello di una polizza
assicurativa a copertura di possibili azioni di responsabilità nei confronti
di chi ha guidato la baracca. E si è reso così complice dei sindacati. Ai
quali invece nessuno potrà mai presentare il conto.

Cgil, Cisl e Uil: l’esercito di intoccabili di Cinzia Romani

Roma - Una casta all’ombra dei suoi consolidati privilegi s’aggira per l’Italia, aprendo e chiudendo trattative sulla pelle ormai lisa dei lavoratori, oltre che dei contribuenti. E nel paese bollito in sacche di spreco, gonfie di fatturati miliardari e bilanci segreti, mentre lo Stato paga i settecentomila delegati (sei volte di più dei Carabinieri), che a noi costano 1 miliardo e 845mila euro l’anno, esce un libro, ustionante come acido muriatico negli occhi della Triplice. S’intitola «L’altra casta. Privilegi. Carriere. Stipendi. Fatturati da Multinazionale. L’inchiesta sul sindacato» (da domani in libreria, con lancio da strenna natalizia) il documentato volume Bompiani di Stefano Livadiotti, firma del settimanale «L’Espresso», che in 236 pagine (prezzo 15 euro) mette il dito su una piaga purulenta quanto quella dei partiti. Contrordine, compagni, dopo che Diliberto ha ceduto il proprio posto in lista a un operaio della Thyssen, intanto che il suo vecchio sodale Cossutta lo accusa di «plebeismo demagogico»? Ma sì, è ora, è ora: potere a chi lavora. Sul serio, però, non come i membri dell’altra casta, quella sindacale, i cui permessi equivalgono a un milione di giorni lavorativi al mese, costando al nostro sistema 1 miliardo e 854 milioni di euro l’anno. E c’è da giurarci che il trio di sigle si arrabbierà parecchio leggendo l’impressionante dossier, proprio mentre cerca di sopravvivere a se stesso, magari sulle carcasse di Alitalia. Lo strapotere delle tre grandi centrali confederali, Cgil, Cisl e Uil, è nell’occhio del ciclone da un ventennio, tanto che, in base ai sondaggi, un italiano su venti si sente pienamente rappresentato dalle sigle sindacali e meno di uno su dieci dichiara di averne fiducia. Difficile affidarsi ai sindacati, che promettono bilanci consolidati, salvo poi evitare di trasferirli nero su bianco. Ma in che modo l’altra casta è diventata intoccabile, quando anche i sassi sanno che se c’è un problema di costi della politica, esso riguarda pure il sindacato, teso a intimidire la collettività con la propria capacità di mobilitazione? «Il giro d’affari di Cgil, Cisl e Uil ammonta a 3.500 miliardi di vecchie lire e il nostro è un calcolo al ribasso», avvertiva nel 2002 il radicale Capezzone.

Se del Quirinale si sa che spende il quadruplo di Buckingham Palace, fare i conti in tasca all’altra casta, lardellata di un organico di 20mila dipendenti, è questione controversa, tanto diversificate risultano le sue fonti di guadagno. La slot machine più veloce coincide con le quote versate dagli iscritti: l’1 per cento della paga-base. E i pensionati? Fruttano circa 40 euro l’anno, che però fanno brodo, nel sostituto d’incasso complessivo: 1 miliardo l’anno.

All’erogazione di liquidità, poi, pensano le aziende, con le trattenute in busta paga ed ecco bypassato il costo dell’esazione. E i soliti pensionati, visto che anche la miseria è un’eredità? Provvedono gli enti di previdenza: nel 2006 l’Inps ha girato 110 milioni alla Cgil, 70 alla Cisl e 18 alla Uil. Eppure, nel 1995 Marco Pannella promosse un referendum per abolire l’automatismo della trattenuta in busta paga, regalino vintage (del 1970) dello Statuto dei lavoratori. Nonostante gli italiani abbiano votato a favore, il meccanismo fu salvato comunque dai contratti collettivi. Quanto al rinnovo periodico della delega, per il cui tramite il pensionato autorizza l’ente previdenziale a trattenersi una quota sulla sua pensione, si è fatto in modo d’insabbiare l’emendamento al decreto Bersani (presentato da Fi), che rompeva le uova nel paniere sindacale. E siccome i pensionati sono poveri, ma tanti, è nei loro gruzzoli che si ficcano i Caf, quei centri di assistenza fiscale, trasformati in business per il sindacato. Gli enti previdenziali, infatti, pagano per le dichiarazioni dei redditi dei pensionati: nel 2006 l’Inps ha travasato ai 74 Caf convenzionati 120 milioni. Così Cgil, Cisl e Uil, unite, hanno incassato 90 milioni circa. Invano la Corte di giustizia europea, persuasa che il monopolio dei Caf violasse i trattati comunitari, tre anni fa mise in mora l’Italia, con qualche lettera di richiamo. Ma se i bramini dei Caf vanno sotto schiaffo, quelli dei patronati, le strutture d’assistenza ai cittadini per le pratiche previdenziali, la cassa-integrazione e i sussidi di disoccupazione, non si toccano. E si estendono dall’Africa al Nordamerica, per tacere dell’Australia, con conseguente sospetto che svolgano un ruolo attivo nel pilotare il voto degli italiani all’estero. Nel 2006, l’Inps ha speso 248 milioni, 914mila e 211 euro tra Inca-Cgil, Inas-Cisl e Ital-Uil. Altro business in cui affondare le mani, è quello della formazione. Ogni anno, l’Europa manda in Italia 1 miliardo e mezzo di euro, per la formazione professionale. E 10 dei 14 enti, che annualmente si spartiscono metà dei finanziamenti nazionali, sono partecipati da Cgil, Cisl e Uil. Ma la vera forza dell’altra casta viene dai beni immobili, patrimonio sterminato, tutto da dissotterrare, mentre la Cgil conta 3mila sedi in Italia, di proprietà delle strutture territoriali; la Cisl, 5mila e la Uil concentra gli investimenti sul mattone in una società per azioni, controllata al cento per cento dalla Labour Uil, con 35 milioni e 25mila euro di immobili in bilancio. Va da sé che gli inquilini Vip di tanto bendiddio abitativo sono loro, i vecchi mandarini con un piede nella jacuzzi ai Parioli a un altro sulla pista di Fiumicino.

*Tratto dal libro di Stefano Livadiotti "L'altra casta". L'inchiesta sul
sindacato, (Bompiani)

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