Su YouTube proliferano servizi e documentari (alcuni decisamente ben fatti) sull’ipotesi che il sistema HAARP sia responsabile di questi recenti sconvolgimenti: in uno di questi si fa addirittura appello all’US Air Force affinché bombardi a tappeto le installazioni in Alaska… il che potrebbe anche essere una buona idea, se non fosse che proprio l’USAF è uno dei principali finanziatori del progetto!
Comunque sia, per la gloriosa arma statunitense sono tempi duri: sia il capo di stato maggiore che il segretario sono stati recentemente destituiti dopo un’indagine relativa alla spedizione accidentale (?) di parti di missile nucleare a Taiwan, mentre centinaia di componenti nucleari sensibili, stando a un comunicato del Pentagono rilanciato dal Financial Times, risultano scomparse dall’arsenale atomico statunitense. Secondo un funzionario, si tratterebbe di più di mille elementi mancanti. Ricordando il recente episodio del B-52 a spasso per i cieli con sei testate nucleari agganciate sotto le ali, questa ennesima “gaffe” è ben più che imbarazzante, malgrado i commenti rassicuranti delle parti interessate.
Mentre l’Iran continua ad essere al centro di attenzioni ben poco amichevoli, il suo presidente ha recentemente dichiarato che l’offerta petrolifera globale è assolutamente in linea con la domanda, e che gli altissimi prezzi al barile sono determinati da vergognose speculazioni finanziarie. Se a questo si aggiunge che sempre più voci si levano a denunciare che il cosiddetto “picco petrolifero” è pura invenzione e che il petrolio stesso non è affatto di origine fossile, il quadro di manipolazione politico-finanziaria che ne emerge è semplicemente spaventoso. In effetti, se ci fosse davvero scarsità di petrolio sul mercato, ci sarebbero le file di auto alle pompe, come durante la crisi del 1973; al contrario, quasi non passa giorno senza che si venga a sapere della scoperta di nuovi giacimenti, come quelli al largo della Louisiana, stimati in circa 184 miliardi di tonnellate fra petrolio e gas, equivalenti a circa 1.000 miliardi di barili. Secondo il rapporto, “si tratta del 30% in più di tutti gli idrocarburi consumati sino ad oggi, e stiamo parlando di un’area di estensione relativamente limitata”.
Comunque sia, la prova migliore che la questione petrolifera è uno dei più grandiosi inganni architettati a discapito delle popolazioni proviene, tanto per cambiare, dalla Russia. Un eccellente articolo di Joe Vialls la riassume in questi termini: la disponibilità di petrolio a livello mondiale è virtualmente illimitata, e i russi ne sono a conoscenza sin dal 1970, quando realizzarono il pozzo Kola SG-3 trivellando sino alla sbalorditiva profondità di 12.262 metri per attingere alle sacche sotterranee dove il petrolio viene letteralmente spinto in alto da profondi recessi nel mantello, là dove si produce, e replicando poi più di 300 volte queste prospezioni ultra-profonde.
Una delle conseguenze di tale impostazione è che il petrolio è reperibile pressoché ovunque: la compagnia petrolifera statale russa Yukos, all’avanguardia nel campo di queste trivellazioni ultra-profonde, lo ha dimostrato realizzando un impianto estrattivo da 6.000 barili giornalieri là dove i maggiori esperti internazionali (leggi statunitensi) avevano assolutamente negato la possibilità della presenza di risorse petrolifere di qualche tipo: in Vietnam. E così, grazie ai giacimenti di White Tiger coi loro pozzi profondi 5.000 metri, ora questo paese è entrato a far parte del ristretto club dei produttori di petrolio…
Sembra che per questa tecnologia si stiano aprendo importanti prospettive in Cina e soprattutto in Corea del Nord, un paese che avrebbe davvero molto da guadagnare da una maggiore indipendenza energetica.
Un progetto analogo a quello vietnamita era stato avviato nel 1983 in India con esiti assai promettenti, ma fu apparentemente abortito a causa di interessi statunitensi sia mediante pressioni politiche che tramite veri e propri sabotaggi agli impianti.
Un’importante osservazione è che, secondo i russi, il fatto che i noti “giacimenti” petroliferi (come quelli in Medio Oriente) sembrano “svuotarsi” è dovuto in realtà al tasso di estrazione adottato, superiore del 30% a quello tramite il quale il petrolio viene pompato in queste sacche superficiali dalle profondità del mantello. In altre parole, se la produzione petrolifera venisse ridotta nella medesima percentuale, questi giacimenti fornirebbero petrolio con continuità per un periodo di tempo virtualmente illimitato.
Altro aspetto cruciale, il tasso di produzione di un pozzo apparentemente in “declino” potrebbe essere ripristinato semplicemente “ripulendo” il pozzo dalle impurità inevitabilmente accumulate col passare del tempo, le quali tendono ad ostruire il passaggio del petrolio attraverso l’impianto (un po’ come cambiare il filtro dell’olio ormai intasato di un’autovettura). Il tutto, naturalmente, a costi assolutamente concorrenziali.
Ora si può comprendere meglio qual era la posta in gioco, allorquando l’oligarca Mikhail Khodorkovsky comprò la Yukos per un tozzo di pane e stava per rivenderla alle multinazionali statunitensi sicché intervenne Vladimir Putin a sistemare la faccenda, riportando la compagnia sotto il controllo diretto dello stato. Pensate cosa sarebbe accaduto se un tale know-how fosse finito sotto il controllo dei rapaci speculatori di Wall Street…
Passando a tutt’altro, mi fa piacere che il fenomeno dei cerchi nel grano torni a far parlare di sé: è accaduto con la comparsa di questa stupenda formazione presso Barbury Castle. Larga circa 50 metri, ha sconcertato gli scienziati ed entusiasmato i ricercatori in quanto rappresenta un’immagine codificata delle prime dieci cifre (3.141592654) del pi greco.
Tom Bosco
Fonte: Nexusedizioni.it
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