11 ottobre 2008

I crack finanziari come il doping


I crack finanziari come i casi di doping nello sport. E' la teoria di Alberto Cei, professore di psicologia all'Università di Tor Vergata (Roma) e di Cassino. Il meccanismo è lo stesso: un sistema che spinge a ottenere il massimo dei risultati, non importa come, in barba alle regole. Perché le regole sono altre: non quelle dettate da leggi e regolamenti che valgono soltanto per i fessi. I vincenti agiscono in un altro modo: puntano dritti agli obiettivi, quelli veri, da raggiungere a qualunque costo. Sono "I Signori dei tranelli", i protagonisti del saggio che Cei pubblicherà tra poche settimane.

Da cosa nasce il suo parallelo tra sport ed economia?
"Parliamo sempre di persone di successo: atleti che vincono le Olimpiadi, multimiliardari. Per esempio Barry Bond, campione americano di baseball, si è imbottito di steroidi, arrivando al discredito, perché era secondo e voleva diventare il primo nella classifica del record dei lanci fuori campo".

Chi sono i signori dei tranelli?
"Sono le persone di successo che ritengono di non poter mai essere perseguite, che vivono in un ambiente nel quale si sentono sicure. Al tempo stesso, su di loro grava una forte pressione sociale che li spinge a ottenere il massimo, anche illegalmente. Hanno anche una serie di premi, stock options per i manager, che incentivano ancora di più questo atteggiamento. La loro è un'attività intenzionale: non sono mele marce, sono persone assolutamente brillanti, oltre a essere socialmente ben posizionate".

Se quindi agiscono secondo una sorta di mandato, e non a scopo personale, perseguirli per aver violato la legge potrebbe apparire quasi come un'ingiustizia. "La frode è stata istituzionalizzata in qualche modo: si creano scatole cinesi per cui non si capisce più niente, nessuno è in grado di risalire all'origine, e capire di chi è la colpa. Di conseguenza, si sta cercando di far passare il principio che se non si salvano le società sull'orlo del baratro sarà peggio per l'intero sistema. E così, per salvare il rapporto di fiducia tra i cittadini e gli intermediari finanziari, lo Stato diventa un azionista".

E' una buona soluzione, o ci sono altre terapie meno costose?
"Le terapie migliori sono quelle legate al buon senso, come quella suggerita da Joseph Stiglitz (Premio Nobel per l'Economia 2001, ndr): non più incentivi annuali, ma quinquennali, per evitare di mettere sotto pressione i manager e valutare gli effetti della loro gestione nel lungo periodo. E poi i controlli: è ampiamente emerso che quelli esistenti non funzionano, e infatti la maggior parte delle frodi finanziarie sono state scoperte per caso, da Parmalat in Italia a Enron negli Stati Uniti. La Grant Thornton per Parmalat e la Arthur Andersen per Enron erano conniventi. Si era di fronte a sistemi d'interconnessione. Anche l'immagine pubblica di queste grandi aziende era assolutamente positiva. Si creava una sorta di pace sociale: la Enron era perfettamente a posto anche dal punto di vista della beneficenza. Una truffa istituzionalizzata, un impegno quotidiano non certo opera esclusiva di manager come Tanzi: non si tratta di frodi singole, è un sistema che va mantenuto in piedi con il lavoro quotidiano di molte persone".

Un sistema che si basa, scriveva qualche giorno fa l'Herald Tribune, su una filosofia da tempo imperante, che mette al centro di tutto "l'ottimismo".
"Quello che conta è la ricerca del risultato ad ogni costo. Sicuramente ottenere i risultati è un fatto auspicabile, come lo è vincere nello sport: è il come che è diventato patologico. L'assenza totale di controlli, l'esaltazione dell'orientamento al rischio, la pressione sociale si uniscono al desiderio legittimo di vincere e di accumulare denaro. Ha prevalso una sorta di cultura dell'arroganza. Non era sbagliato l'obiettivo, ma il modo, unito alla consapevolezza che i controlli sono inesistenti. I controlli costituiscono un forte elemento di deterrenza, perché "i signori dei tranelli" non vogliono perdere la faccia di fronte al proprio ambiente sociale: puoi fare quello che vuoi, ma se vieni scoperto vuole dire che non sei stato abbastanza bravo e vieni eliminato. Però non vanno bene il controlli solo alla fine: le persone così non hanno un argine".

L'aver scoperto fin troppe frodi finanziarie, il discredito sociale caduto addosso a persone che fino a poco tempo fa erano considerati i maghi della finanza, potrebbe aiutare a far cambiare le regole del gioco?
"Io sarei pessimista su questo. Le soluzioni ci sarebbero, ripeto: controlli indipendenti, togliere gli incentivi annuali, introdurre una sorta di educazione dei dipendenti delle società finanziarie ad essere socialmente responsabili. E invece già si sente dire che "i migliori" della Lehman Brothers verranno sicuramente riassunti, troveranno subito un altro ottimo lavoro. I migliori in che cosa? Non lo sapremo mai. Non si tratta di chi ha avuto il miglior dottorato a Princeton. Secondo me non c'è un'alternativa: trovarla dovrebbe essere la funzione dello Stato, ma stiamo vedendo che non si è pronti".

Cosa dovrebbe fare lo Stato?
"Cambiare le regole oppure utilizzare le regole che ci sono, è questa la strada da percorrere. In Italia ha sempre prevalso il principio dell'impunità per chi commette dei reati, si è rassegnati a questo. Sono curioso di vedere quello che succede negli Stati Uniti, alla fine quella può essere un'occasione per far crescere un'opinione pubblica, anche se mi sembra complicato. Mi sembra l'unico posto al mondo dove questo potrebbe accadere: noi siamo rassegnati su tutti i fronti, in Italia nessuno fa causa perché si sa che la causa finirà tra 30 anni e semmai ne beneficeranno i nipoti".
di ROSARIA AMATO

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11 ottobre 2008

I crack finanziari come il doping


I crack finanziari come i casi di doping nello sport. E' la teoria di Alberto Cei, professore di psicologia all'Università di Tor Vergata (Roma) e di Cassino. Il meccanismo è lo stesso: un sistema che spinge a ottenere il massimo dei risultati, non importa come, in barba alle regole. Perché le regole sono altre: non quelle dettate da leggi e regolamenti che valgono soltanto per i fessi. I vincenti agiscono in un altro modo: puntano dritti agli obiettivi, quelli veri, da raggiungere a qualunque costo. Sono "I Signori dei tranelli", i protagonisti del saggio che Cei pubblicherà tra poche settimane.

Da cosa nasce il suo parallelo tra sport ed economia?
"Parliamo sempre di persone di successo: atleti che vincono le Olimpiadi, multimiliardari. Per esempio Barry Bond, campione americano di baseball, si è imbottito di steroidi, arrivando al discredito, perché era secondo e voleva diventare il primo nella classifica del record dei lanci fuori campo".

Chi sono i signori dei tranelli?
"Sono le persone di successo che ritengono di non poter mai essere perseguite, che vivono in un ambiente nel quale si sentono sicure. Al tempo stesso, su di loro grava una forte pressione sociale che li spinge a ottenere il massimo, anche illegalmente. Hanno anche una serie di premi, stock options per i manager, che incentivano ancora di più questo atteggiamento. La loro è un'attività intenzionale: non sono mele marce, sono persone assolutamente brillanti, oltre a essere socialmente ben posizionate".

Se quindi agiscono secondo una sorta di mandato, e non a scopo personale, perseguirli per aver violato la legge potrebbe apparire quasi come un'ingiustizia. "La frode è stata istituzionalizzata in qualche modo: si creano scatole cinesi per cui non si capisce più niente, nessuno è in grado di risalire all'origine, e capire di chi è la colpa. Di conseguenza, si sta cercando di far passare il principio che se non si salvano le società sull'orlo del baratro sarà peggio per l'intero sistema. E così, per salvare il rapporto di fiducia tra i cittadini e gli intermediari finanziari, lo Stato diventa un azionista".

E' una buona soluzione, o ci sono altre terapie meno costose?
"Le terapie migliori sono quelle legate al buon senso, come quella suggerita da Joseph Stiglitz (Premio Nobel per l'Economia 2001, ndr): non più incentivi annuali, ma quinquennali, per evitare di mettere sotto pressione i manager e valutare gli effetti della loro gestione nel lungo periodo. E poi i controlli: è ampiamente emerso che quelli esistenti non funzionano, e infatti la maggior parte delle frodi finanziarie sono state scoperte per caso, da Parmalat in Italia a Enron negli Stati Uniti. La Grant Thornton per Parmalat e la Arthur Andersen per Enron erano conniventi. Si era di fronte a sistemi d'interconnessione. Anche l'immagine pubblica di queste grandi aziende era assolutamente positiva. Si creava una sorta di pace sociale: la Enron era perfettamente a posto anche dal punto di vista della beneficenza. Una truffa istituzionalizzata, un impegno quotidiano non certo opera esclusiva di manager come Tanzi: non si tratta di frodi singole, è un sistema che va mantenuto in piedi con il lavoro quotidiano di molte persone".

Un sistema che si basa, scriveva qualche giorno fa l'Herald Tribune, su una filosofia da tempo imperante, che mette al centro di tutto "l'ottimismo".
"Quello che conta è la ricerca del risultato ad ogni costo. Sicuramente ottenere i risultati è un fatto auspicabile, come lo è vincere nello sport: è il come che è diventato patologico. L'assenza totale di controlli, l'esaltazione dell'orientamento al rischio, la pressione sociale si uniscono al desiderio legittimo di vincere e di accumulare denaro. Ha prevalso una sorta di cultura dell'arroganza. Non era sbagliato l'obiettivo, ma il modo, unito alla consapevolezza che i controlli sono inesistenti. I controlli costituiscono un forte elemento di deterrenza, perché "i signori dei tranelli" non vogliono perdere la faccia di fronte al proprio ambiente sociale: puoi fare quello che vuoi, ma se vieni scoperto vuole dire che non sei stato abbastanza bravo e vieni eliminato. Però non vanno bene il controlli solo alla fine: le persone così non hanno un argine".

L'aver scoperto fin troppe frodi finanziarie, il discredito sociale caduto addosso a persone che fino a poco tempo fa erano considerati i maghi della finanza, potrebbe aiutare a far cambiare le regole del gioco?
"Io sarei pessimista su questo. Le soluzioni ci sarebbero, ripeto: controlli indipendenti, togliere gli incentivi annuali, introdurre una sorta di educazione dei dipendenti delle società finanziarie ad essere socialmente responsabili. E invece già si sente dire che "i migliori" della Lehman Brothers verranno sicuramente riassunti, troveranno subito un altro ottimo lavoro. I migliori in che cosa? Non lo sapremo mai. Non si tratta di chi ha avuto il miglior dottorato a Princeton. Secondo me non c'è un'alternativa: trovarla dovrebbe essere la funzione dello Stato, ma stiamo vedendo che non si è pronti".

Cosa dovrebbe fare lo Stato?
"Cambiare le regole oppure utilizzare le regole che ci sono, è questa la strada da percorrere. In Italia ha sempre prevalso il principio dell'impunità per chi commette dei reati, si è rassegnati a questo. Sono curioso di vedere quello che succede negli Stati Uniti, alla fine quella può essere un'occasione per far crescere un'opinione pubblica, anche se mi sembra complicato. Mi sembra l'unico posto al mondo dove questo potrebbe accadere: noi siamo rassegnati su tutti i fronti, in Italia nessuno fa causa perché si sa che la causa finirà tra 30 anni e semmai ne beneficeranno i nipoti".
di ROSARIA AMATO

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