07 giugno 2009
Il caso dei voli di Stato. Da Mastella a Apicella...
«Tempo di rumba, tempo di te / Ballo e non ballo: ma perché?», si chiede Mariano Apicella in una canzone. Pare ora per quelle foto che lo mostrano mentre scende da un volo-blu, dei giudici potrebbero farlo «ballare» sul serio. Tanto più che in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti il menestrello del Cavaliere confidava già tutto: «Quando lui ha bisogno mi telefona Marinella, la segretaria: “Mariano, se non hai problemi il dottore ti vorrebbe stasera”. Io vado a Roma, poso la macchina a Ciampino e parto con lui sull’aereo presidenziale. Quasi sempre per la Sardegna, qualche volta per Milano». A spese dei cittadini.
Si dirà: che c’entra? L’aereo pubblico partirebbe lo stesso e un passeggero in più non incide di un centesimo!
È esattamente ciò che disse Clemente Mastella, nel settembre 2007, dopo essere stato denunciato dall’Espresso mentre saliva col figlio sul volo di Stato che portava Francesco Rutelli a Monza per il Gran premio di F1: «Mio figlio non lo vedo mai, che male c’è se l’ho portato al Gran premio? Tanto, se in aereo eravamo 10 o 15 non cambiava niente».
Eh, no, è una questione di principio, titolò la Padania: «L’inGiustizia vola al Gran Premio ». Il Giornale berlusconiano rincarò: «Non dicevano di voler tagliare i costi della politica? Forse usare l'aereo di Stato più faraonico che ci sia per assistere al Gp di Monza non è il miglior modo di risparmiare. O no? Per dire: il Gran premio lo trasmettevano pure su RaiUno, il cui segnale, ci risulta, dovrebbe arrivare fino a Ceppaloni». E Alessandra Mussolini, furente: «Ho messo sul sito gli indirizzi e-mail di Rutelli e Mastella per consentire a tutti i cittadini di coprirli di “Vergogna!”» Dice oggi Palazzo Chigi che i «passaggi» offerti al cantautore personale del Cavaliere («Mi disse: “Vorrei avere qualcuno che mi fa un po’ rilassare nei fine settimana”») sono assolutamente legittimi: «La disciplina dell'impiego degli aerei di Stato è stabilità dalla Direttiva 25 luglio 2008, regolarmente registrata alla Corte dei Conti, che ne detta le regole per tutte le Autorità ammesse ad usufruirne». E cosa dice questa legge, che spazzò via quella più restrittiva fatta dal governo Prodi per arginare un andazzo che nel 2005 aveva visto impiegare i voli di Stato per 37 ore al giorno con una spesa di 65 milioni di euro pari al costo di 2.241 (duemiladuecentoquarantuno) biglietti andata e ritorno al giorno (al giorno!) da Milano a Londra con la Ryanair?
Dice quella legge (bollata allora da Libero con il titolo «Onorevoli e vip: Silvio allarga gli aerei blu» sotto l’occhiello: «Voli di Stato: la Casta mette le ali») che quelli che Luigi Einaudi chiamava «i padreterni» possono imbarcare persone estranee «purché accreditate al seguito della stessa, su indicazione dell'Autorità, anche in relazione alla natura del viaggio e al rango rivestito dalle personalità trasportate ». Di più: «L'imbarco di persone estranee alla delegazione non comporta quindi alcun aggravio degli oneri comunque a carico dell'erario ». Appunto: la tesi di Mastella.
Obiezioni? Ma per carità: la legge è legge. E non ci permettiamo di dubitare che sia stata rispettata fino in fondo. Un conto è il rispetto delle regole formali, però (tanto più se queste sono state cambiate apposta) e un altro è l'opportunità. È probabile che lo stesso Berlusconi avesse tutti i diritti mesi fa di prendere l’elicottero della protezione civile per andare a farsi un massaggio alla beauty farm di Mességué in Umbria, come documentò un filmato del TG3. L’opportunità, però è un’altra cosa. E dispiace che anche questi episodi, gravi o secondari che li si consideri, confermino una certa «rilassatezza» sui costi e i privilegi della politica. Come se la rovinosa sconfitta della sinistra alle elezioni dell'aprile 2008 avesse già saldato il conto tra la politica e i cittadini indignati.
Che la sinistra, incapace di capire l'insofferenza montante, meritasse la batosta, lo hanno ormai ammesso in tanti. Compreso Fausto Bertinotti, finito nel mirino proprio per i voli blu: «I nostri gruppi dirigenti? Sganciati e lontani dalla realtà dei lavoratori, autoreferenziali, così si è venuta formando anche a sinistra una vera e propria casta, un ceto politico interessato solo alla propria sopravvivenza».
Sarebbe davvero un peccato se la destra, che in gran parte cavalcò quei sentimenti di indignazione e oggi, secondo il Pd, triplica (da 150 a oltre 400 ore medie al mese) quei voli blu che ieri bollava con parole di fuoco, pensasse che la grande ondata di insofferenza si sia allontanata per sempre. Peggio ancora se pensasse che non c'è più bisogno di una robusta moralizzazione del sistema. Certo, alcune misure sono state prese. La Camera e il Quirinale, quest'anno, dovrebbero costare meno dell'anno scorso. Ma già al Senato, ad esempio, non sarà così. E molti episodi rivelano una sconfortante indifferenza nei confronti dei tagli e soprattutto delle riforme ancora necessari.
Basti pensare alla recentissima denuncia dei «portaborse» secondo i quali i presidenti delle Camere, dopo avere «annunciato solennemente un giro di vite radicale contro lo scandalo dei collaboratori parlamentari assunti in nero», hanno riciclato «parola per parola, i contenuti di una missiva analoga spedita il 28 marzo 2007» e da loro stessi giudicati «inadeguati». O all’assenteismo dei nostri euro- parlamentari, 10 dei quali sono tra gli ultimi 20 nella classifica. O alla decisione di varare l'area metropolitana di Reggio Calabria nonostante sia per abitanti al 44º posto tra gli agglomerati urbani perfino dietro Aversa, Varese, Chiari, Vigevano… O ancora alla timidezza nel prendere di petto temi politicamente spinosi come la gestione di carrozzoni quali la Tirrenia o l’Amia, la società che dovrebbe occuparsi dei rifiuti da cui è sommersa a Palermo e i cui capi (tra i quali il presidente, promosso a senatore) andavano negli Emirati Arabi a «vendere» la raccolta differenziata «alla palermitana» spendendo anche 500 euro a pasto.
di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella
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07 giugno 2009
Il caso dei voli di Stato. Da Mastella a Apicella...
«Tempo di rumba, tempo di te / Ballo e non ballo: ma perché?», si chiede Mariano Apicella in una canzone. Pare ora per quelle foto che lo mostrano mentre scende da un volo-blu, dei giudici potrebbero farlo «ballare» sul serio. Tanto più che in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti il menestrello del Cavaliere confidava già tutto: «Quando lui ha bisogno mi telefona Marinella, la segretaria: “Mariano, se non hai problemi il dottore ti vorrebbe stasera”. Io vado a Roma, poso la macchina a Ciampino e parto con lui sull’aereo presidenziale. Quasi sempre per la Sardegna, qualche volta per Milano». A spese dei cittadini.
Si dirà: che c’entra? L’aereo pubblico partirebbe lo stesso e un passeggero in più non incide di un centesimo!
È esattamente ciò che disse Clemente Mastella, nel settembre 2007, dopo essere stato denunciato dall’Espresso mentre saliva col figlio sul volo di Stato che portava Francesco Rutelli a Monza per il Gran premio di F1: «Mio figlio non lo vedo mai, che male c’è se l’ho portato al Gran premio? Tanto, se in aereo eravamo 10 o 15 non cambiava niente».
Eh, no, è una questione di principio, titolò la Padania: «L’inGiustizia vola al Gran Premio ». Il Giornale berlusconiano rincarò: «Non dicevano di voler tagliare i costi della politica? Forse usare l'aereo di Stato più faraonico che ci sia per assistere al Gp di Monza non è il miglior modo di risparmiare. O no? Per dire: il Gran premio lo trasmettevano pure su RaiUno, il cui segnale, ci risulta, dovrebbe arrivare fino a Ceppaloni». E Alessandra Mussolini, furente: «Ho messo sul sito gli indirizzi e-mail di Rutelli e Mastella per consentire a tutti i cittadini di coprirli di “Vergogna!”» Dice oggi Palazzo Chigi che i «passaggi» offerti al cantautore personale del Cavaliere («Mi disse: “Vorrei avere qualcuno che mi fa un po’ rilassare nei fine settimana”») sono assolutamente legittimi: «La disciplina dell'impiego degli aerei di Stato è stabilità dalla Direttiva 25 luglio 2008, regolarmente registrata alla Corte dei Conti, che ne detta le regole per tutte le Autorità ammesse ad usufruirne». E cosa dice questa legge, che spazzò via quella più restrittiva fatta dal governo Prodi per arginare un andazzo che nel 2005 aveva visto impiegare i voli di Stato per 37 ore al giorno con una spesa di 65 milioni di euro pari al costo di 2.241 (duemiladuecentoquarantuno) biglietti andata e ritorno al giorno (al giorno!) da Milano a Londra con la Ryanair?
Dice quella legge (bollata allora da Libero con il titolo «Onorevoli e vip: Silvio allarga gli aerei blu» sotto l’occhiello: «Voli di Stato: la Casta mette le ali») che quelli che Luigi Einaudi chiamava «i padreterni» possono imbarcare persone estranee «purché accreditate al seguito della stessa, su indicazione dell'Autorità, anche in relazione alla natura del viaggio e al rango rivestito dalle personalità trasportate ». Di più: «L'imbarco di persone estranee alla delegazione non comporta quindi alcun aggravio degli oneri comunque a carico dell'erario ». Appunto: la tesi di Mastella.
Obiezioni? Ma per carità: la legge è legge. E non ci permettiamo di dubitare che sia stata rispettata fino in fondo. Un conto è il rispetto delle regole formali, però (tanto più se queste sono state cambiate apposta) e un altro è l'opportunità. È probabile che lo stesso Berlusconi avesse tutti i diritti mesi fa di prendere l’elicottero della protezione civile per andare a farsi un massaggio alla beauty farm di Mességué in Umbria, come documentò un filmato del TG3. L’opportunità, però è un’altra cosa. E dispiace che anche questi episodi, gravi o secondari che li si consideri, confermino una certa «rilassatezza» sui costi e i privilegi della politica. Come se la rovinosa sconfitta della sinistra alle elezioni dell'aprile 2008 avesse già saldato il conto tra la politica e i cittadini indignati.
Che la sinistra, incapace di capire l'insofferenza montante, meritasse la batosta, lo hanno ormai ammesso in tanti. Compreso Fausto Bertinotti, finito nel mirino proprio per i voli blu: «I nostri gruppi dirigenti? Sganciati e lontani dalla realtà dei lavoratori, autoreferenziali, così si è venuta formando anche a sinistra una vera e propria casta, un ceto politico interessato solo alla propria sopravvivenza».
Sarebbe davvero un peccato se la destra, che in gran parte cavalcò quei sentimenti di indignazione e oggi, secondo il Pd, triplica (da 150 a oltre 400 ore medie al mese) quei voli blu che ieri bollava con parole di fuoco, pensasse che la grande ondata di insofferenza si sia allontanata per sempre. Peggio ancora se pensasse che non c'è più bisogno di una robusta moralizzazione del sistema. Certo, alcune misure sono state prese. La Camera e il Quirinale, quest'anno, dovrebbero costare meno dell'anno scorso. Ma già al Senato, ad esempio, non sarà così. E molti episodi rivelano una sconfortante indifferenza nei confronti dei tagli e soprattutto delle riforme ancora necessari.
Basti pensare alla recentissima denuncia dei «portaborse» secondo i quali i presidenti delle Camere, dopo avere «annunciato solennemente un giro di vite radicale contro lo scandalo dei collaboratori parlamentari assunti in nero», hanno riciclato «parola per parola, i contenuti di una missiva analoga spedita il 28 marzo 2007» e da loro stessi giudicati «inadeguati». O all’assenteismo dei nostri euro- parlamentari, 10 dei quali sono tra gli ultimi 20 nella classifica. O alla decisione di varare l'area metropolitana di Reggio Calabria nonostante sia per abitanti al 44º posto tra gli agglomerati urbani perfino dietro Aversa, Varese, Chiari, Vigevano… O ancora alla timidezza nel prendere di petto temi politicamente spinosi come la gestione di carrozzoni quali la Tirrenia o l’Amia, la società che dovrebbe occuparsi dei rifiuti da cui è sommersa a Palermo e i cui capi (tra i quali il presidente, promosso a senatore) andavano negli Emirati Arabi a «vendere» la raccolta differenziata «alla palermitana» spendendo anche 500 euro a pasto.
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