01 giugno 2009

Oltre la crisi deve esserci la sostenibilità?

legno_design_tom_raffield_ecodesign_legno_curvatura_legno_progettazione_sostenibile_tom_raffield_2

Quando abbiamo parlato di “nuovo paradigma economico” riferendoci a quanto sta praticando Obama negli Usa, sottolineavamo che di fronte alla crisi ecologica forse era “quasi niente”. Ma che nel confronto con quanto sta accadendo nel mondo era “quasi tutto”. Quasi niente perché – pur potentissima e capace di svolgere un´egemonia a livello planetario– è comunque una federazione di Stati che agisce sul proprio territorio. Che non significa una governance mondiale per affrontare la crisi, quindi, anche se è pur sempre un’azione di governo che sembra avere come criterio direttore la sostenibilità ambientale e sociale. Per questo è anche “quasi tutto”.


Lo si capisce bene leggendo quanto dichiarato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Sole 24 Ore di oggi) che pensando al dopo crisi, punta forte (ed è comunque positivo) sull’economia verde, ma come “driver futuro della crescita”. Un driver, dunque, buono ora per crescere e che un domani potrà essere abbandonato per un altro driver. Siamo invece certi che Obama non abbia - anche lui nei suoi punti di riferimento - la crescita? Assolutamente no, anzi, ma nelle sue azioni - oltre che nei suoi discorsi - la barra l’ha sempre tenuta sulla necessità di affrontare le sfide ambientali, in primis il cambiamento climatico e l’energia, non dopo aver affrontato la crisi, bensì per uscire dalla crisi e per costruire un futuro sostenibile no oil. Questo non significa appunto frenare la crescita ma indirizzarla verso un modello nuovo.


La differenza salta all’occhio. Se il paragone tra Italia e Usa però avesse stancato, quale sia il pensiero dominante in Confindustria e, diciamo noi, anche nel governo italiano lo esprime ancora una volta chiaramente Alberto Alesina nel suo editoriale odierno sulla crisi. Dopo un’accurata ricostruzione di quello che è stato il new deal americano, che non commentiamo e prendiamo per buona, sono le conclusioni che lasciano perplessi e che spiegano dove sta, dal nostro punto di vista, l’inghippo.


Scrive Alesina: «La lezione da trarre da questa crisi è quella che ha tratteggiato Guido Tabellini sul Sole del 7 maggio. Ovvero, il capitalismo dopo questo shock non cambierà. Riscriveremo alcune regole per mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo».


Due interrogativi: il primo, chi sta proponendo nel dibattito in corso un modello diverso da quello capitalistico fondato sul mercato? Il secondo, se tutto va bene o quasi, di cosa stiamo parlando?


Da ambientalisti che studiano l’economia convinti che solo da qui si possa combattere la battaglia della sostenibilità, ci pare evidente che l’analisi di una parte degli economisti – Alesina in testa – semplicemente fa i conti senza l’oste. L’oste è la crisi ecologica, che Alesina evidentemente non ritiene di interesse e da affrontare se non magari quando sarà risolta la crisi economica. A differenza di Stiglitz, per dirne uno. O di Stern, per dirne un altro.


E’ chiaro che se la si omette e si pensa che le risorse del pianeta – vedi altro pezzo di greenreport di oggi sui flussi di materia – siano infinite, l’unico orizzonte è quello di rimettere il treno sul vecchio binario e al massimo registrare qualche dado della ferrovia e del motore. A cantarla ad Alesina, però, stavolta non siamo solo noi ‘sporchi’ ambientalisti, ma Marzio Galeotti (de la voce.info e già intervistato più volte anche da greenreport) che proprio sul Sole di oggi lo incalza.


Lo spunto è l’intervento di Alesina del 28 aprile, dove sosteneva che «se uscire dalla crisi nel 2010 significa inquinare ancora per un anno ai ritmi attuali, facciamolo pure. Poi con calma, usciti dal panico per la crisi e dal rischio di una lunga depressione, ci dedicheremo con rinnovato vigore a proteggere l’ambiente».


Galeotti dissente da questa analisi e spiega che: «Se stiamo alla stretta tempistica vale la pena ricordare che il pacchetto europeo energia-clima e la strategia energetica-climatica contenuta nel programma elettorale di Barack Obama precedono lo scoppio della crisi economica e finanziaria». Nella sostanza la questione è chiara: la crisi ecologica era già scoppiata prima di quella economico-finanziaria.


Per uscire dalla triplice crisi, dunque, si devono affrontare tutti insieme i tre corni e la strada per noi più opportuna è quella di un nuovo modello economico basato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per altri la crisi ecologica si affronterà casomai dopo aver affrontato quella economico-finanziaria. Per altri ancora la crisi ecologica non esiste.


In campo dunque tre posizioni (prima la nostra neppure c’era e quindi c’è di che essere ottimisti). Con Obama però che nel frattempo si è portato un pezzo avanti verso la sostenibilità (pur con tutti i logici compromessi e le contraddizioni del caso), mentre gli altri arrancano, o lo inseguono in ordine sparso o, i più, discutono…

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01 giugno 2009

Oltre la crisi deve esserci la sostenibilità?

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Quando abbiamo parlato di “nuovo paradigma economico” riferendoci a quanto sta praticando Obama negli Usa, sottolineavamo che di fronte alla crisi ecologica forse era “quasi niente”. Ma che nel confronto con quanto sta accadendo nel mondo era “quasi tutto”. Quasi niente perché – pur potentissima e capace di svolgere un´egemonia a livello planetario– è comunque una federazione di Stati che agisce sul proprio territorio. Che non significa una governance mondiale per affrontare la crisi, quindi, anche se è pur sempre un’azione di governo che sembra avere come criterio direttore la sostenibilità ambientale e sociale. Per questo è anche “quasi tutto”.


Lo si capisce bene leggendo quanto dichiarato dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia (Sole 24 Ore di oggi) che pensando al dopo crisi, punta forte (ed è comunque positivo) sull’economia verde, ma come “driver futuro della crescita”. Un driver, dunque, buono ora per crescere e che un domani potrà essere abbandonato per un altro driver. Siamo invece certi che Obama non abbia - anche lui nei suoi punti di riferimento - la crescita? Assolutamente no, anzi, ma nelle sue azioni - oltre che nei suoi discorsi - la barra l’ha sempre tenuta sulla necessità di affrontare le sfide ambientali, in primis il cambiamento climatico e l’energia, non dopo aver affrontato la crisi, bensì per uscire dalla crisi e per costruire un futuro sostenibile no oil. Questo non significa appunto frenare la crescita ma indirizzarla verso un modello nuovo.


La differenza salta all’occhio. Se il paragone tra Italia e Usa però avesse stancato, quale sia il pensiero dominante in Confindustria e, diciamo noi, anche nel governo italiano lo esprime ancora una volta chiaramente Alberto Alesina nel suo editoriale odierno sulla crisi. Dopo un’accurata ricostruzione di quello che è stato il new deal americano, che non commentiamo e prendiamo per buona, sono le conclusioni che lasciano perplessi e che spiegano dove sta, dal nostro punto di vista, l’inghippo.


Scrive Alesina: «La lezione da trarre da questa crisi è quella che ha tratteggiato Guido Tabellini sul Sole del 7 maggio. Ovvero, il capitalismo dopo questo shock non cambierà. Riscriveremo alcune regole per mercati finanziari. Cercheremo di migliorare la supervisione e gli incentivi per i manager della finanza, oltre a cambiarne parecchi. Ma il capitalismo anglosassone, fondato sul mercato, continuerà ad essere quello che produce più crescita. Teniamocelo».


Due interrogativi: il primo, chi sta proponendo nel dibattito in corso un modello diverso da quello capitalistico fondato sul mercato? Il secondo, se tutto va bene o quasi, di cosa stiamo parlando?


Da ambientalisti che studiano l’economia convinti che solo da qui si possa combattere la battaglia della sostenibilità, ci pare evidente che l’analisi di una parte degli economisti – Alesina in testa – semplicemente fa i conti senza l’oste. L’oste è la crisi ecologica, che Alesina evidentemente non ritiene di interesse e da affrontare se non magari quando sarà risolta la crisi economica. A differenza di Stiglitz, per dirne uno. O di Stern, per dirne un altro.


E’ chiaro che se la si omette e si pensa che le risorse del pianeta – vedi altro pezzo di greenreport di oggi sui flussi di materia – siano infinite, l’unico orizzonte è quello di rimettere il treno sul vecchio binario e al massimo registrare qualche dado della ferrovia e del motore. A cantarla ad Alesina, però, stavolta non siamo solo noi ‘sporchi’ ambientalisti, ma Marzio Galeotti (de la voce.info e già intervistato più volte anche da greenreport) che proprio sul Sole di oggi lo incalza.


Lo spunto è l’intervento di Alesina del 28 aprile, dove sosteneva che «se uscire dalla crisi nel 2010 significa inquinare ancora per un anno ai ritmi attuali, facciamolo pure. Poi con calma, usciti dal panico per la crisi e dal rischio di una lunga depressione, ci dedicheremo con rinnovato vigore a proteggere l’ambiente».


Galeotti dissente da questa analisi e spiega che: «Se stiamo alla stretta tempistica vale la pena ricordare che il pacchetto europeo energia-clima e la strategia energetica-climatica contenuta nel programma elettorale di Barack Obama precedono lo scoppio della crisi economica e finanziaria». Nella sostanza la questione è chiara: la crisi ecologica era già scoppiata prima di quella economico-finanziaria.


Per uscire dalla triplice crisi, dunque, si devono affrontare tutti insieme i tre corni e la strada per noi più opportuna è quella di un nuovo modello economico basato sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per altri la crisi ecologica si affronterà casomai dopo aver affrontato quella economico-finanziaria. Per altri ancora la crisi ecologica non esiste.


In campo dunque tre posizioni (prima la nostra neppure c’era e quindi c’è di che essere ottimisti). Con Obama però che nel frattempo si è portato un pezzo avanti verso la sostenibilità (pur con tutti i logici compromessi e le contraddizioni del caso), mentre gli altri arrancano, o lo inseguono in ordine sparso o, i più, discutono…

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