Gli Stati Uniti rischiano la bancarotta ma è l´Europa a dover temere di più
Per l´economista Barry Eichengreen l´insolvenza americana segnerebbe la fine del biglietto verde come moneta internazionale. Non è chiaro come Grecia e Irlanda possano uscire dalla recessione e risanare i loro conti pubblici. La Cina non vuole un crollo del dollaro che impoverirebbe le sue riserve. La caduta può essere made in Usa
«Una bancarotta sovrana degli Stati Uniti? Non è probabile però è diventata possibile. E segnerebbe la fine del dollaro come moneta internazionale. Oggi il pessimismo resta più forte verso l´Eurozona, dove l´insolvenza di Grecia e Irlanda è sempre più difficile da evitare». A 24 ore dall´allarme lanciato dal segretario al Tesoro Tim Geithner, che ha evocato un rischio default degli Usa al Congresso, la sua preoccupazione è confermata dal più autorevole storico delle crisi finanziarie.
Barry Eichengreen, docente all´Università di Berkeley, sta presentando il suo nuovo saggio "Exorbitant Privilege" al World Affairs Council. Il "privilegio esorbitante", un´espressione che Eichengreen riprende da Charles de Gaulle, è quello del dollaro: «Vale il 3% del Pil americano il fatto di poter stampare una moneta che le altre nazioni usano come mezzo di pagamento. In altri termini, questo privilegio ci consente di finanziare un deficit pubblico equivalente a un anno di buona crescita del Pil». Ma non è un privilegio eterno, avverte l´economista.
Che cosa giustifica l´allarme di Geithner sul rischio-insolvenza?
«L´attuale situazione politica, con un presidente democratico e una Camera repubblicana, tende a generare politiche economiche squilibrate e non agevola la riduzione del deficit pubblico. In prospettiva, con l´andata in pensione delle prime generazioni del baby-boom, un quarto delle entrate fiscali americane andrà esclusivamente a finanziare il servizio del debito. Se non interveniamo rapidamente sugli squilibri, sarà forte la tentazione di ridurre i debiti attraverso una politica monetaria che crei inflazione. Così l´America scaricherebbe i costi sugli stranieri che detengono tanta parte dei titoli del Tesoro. Ma è un gioco pericoloso: i mercati possono anticiparlo, smettere di acquistare i nostri titoli pubblici. Perciò l´insolvenza degli Stati Uniti è diventata possibile».
Vuol dire che la Cina potrebbe di colpo cessare i suoi acquisti di Treasury Bonds?
«Non per un´iniziativa unilaterale. Sarebbe autolesionista. Parafrasando l´equilibrio del terrore nucleare all´epoca della Guerra Fredda, l´ex consigliere economico di Barack Obama, Larry Summers, definì la situazione odierna come un equilibrio del terrore finanziario. La Cina non vuole determinare da sola un crollo del dollaro che impoverirebbe le sue riserve valutarie. La caduta del dollaro può avvenire solo in quanto "made in Usa". Se continuiamo a non mettere ordine nelle nostre finanze pubbliche, possiamo provocare un´improvvisa crisi di fiducia degli investitori esteri. Questi fenomeni accadono all´improvviso, più rapidamente di quanto si creda: basti ricordare la crisi di sfiducia che ha colpito l´Eurozona di recente».
Lei crede agli scenari di disgregazione dell´Eurozona?
«Oggi il pessimismo colpisce soprattutto l´euro. Non è chiaro come i Paesi più deboli possano al tempo stesso uscire dalla recessione, risanare i loro conti pubblici, senza abbandonare la moneta unica. A meno che la Germania accetti di continuare a finanziarli con massicci trasferimenti. Una bancarotta di Grecia e Irlanda è ormai sempre più probabile. Tuttavia non implica necessariamente che quei Paesi lascino l´euro. La Grecia finirebbe per stare ancora peggio, se tornasse alla dracma».
Che cosa pensa dello scenario opposto, cioè l´uscita dall´Eurozona del Paese più forte, la Germania?
«Io credo che la Germania, malgrado quel che ne pensano gli altri Paesi, sia politicamente troppo investita nell´Unione europea per mollare la moneta unica. Inoltre, per quanto l´euro sia impopolare tra i cittadini, l´industria tedesca sa che è nel suo interesse. Una rinascita del deutschemark si accompagnerebbe a una fortissima rivalutazione con grave danno per l´export. Resta il fatto che l´Unione europea deve rapidamente usare questa crisi per rimediare alle sue lacune».
Qual è la prima riforma necessaria per salvare l´euro?
«Sottrarre i compiti di vigilanza sulle banche alle autorità nazionali. Non dimentichiamo che questa crisi dell´Eurozona è anzitutto una crisi bancaria, com´è evidente nel caso irlandese, e non si può lasciare che a occuparsene siano i singoli Paesi».
Tra gli squilibri monetari mondiali, c´è chi vede la creazione di nuove bolle speculative nei Paesi emergenti come una conseguenza della politica monetaria americana. Il "quantitative easing" applicato da Ben Bernanke stampando moneta è sotto accusa in Brasile, Cina.
«E´ vero, la nuova liquidità generata dalla Federal Reserve in parte affluisce al di fuori delle nostre frontiere, attirata dai rendimenti superiori nelle economie emergenti. E´ un limite alla sua efficacia.
Tuttavia è necessaria, non c´è alternativa, in una situazione in cui restano dei rischi di deflazione per l´economia americana. La Fed valuta al 10% la probabilità di una deflazione, non è poco».
In "Exorbitant Privilege" lei prefigura un nuovo ordine monetario fondato su dollaro, euro, renminbi cinese. Quando?
«Più presto di quanto si crede. Io lo vedo realizzarsi nell´arco di un decennio. E penso che un mondo tripolare sarà più stabile di quello attuale. Il problema è governare la transizione: come traghettarci da qui a là».
di Federico Rampini
Gli Stati Uniti rischiano la bancarotta ma è l´Europa a dover temere di più
Per l´economista Barry Eichengreen l´insolvenza americana segnerebbe la fine del biglietto verde come moneta internazionale. Non è chiaro come Grecia e Irlanda possano uscire dalla recessione e risanare i loro conti pubblici. La Cina non vuole un crollo del dollaro che impoverirebbe le sue riserve. La caduta può essere made in Usa
«Una bancarotta sovrana degli Stati Uniti? Non è probabile però è diventata possibile. E segnerebbe la fine del dollaro come moneta internazionale. Oggi il pessimismo resta più forte verso l´Eurozona, dove l´insolvenza di Grecia e Irlanda è sempre più difficile da evitare». A 24 ore dall´allarme lanciato dal segretario al Tesoro Tim Geithner, che ha evocato un rischio default degli Usa al Congresso, la sua preoccupazione è confermata dal più autorevole storico delle crisi finanziarie.
Barry Eichengreen, docente all´Università di Berkeley, sta presentando il suo nuovo saggio "Exorbitant Privilege" al World Affairs Council. Il "privilegio esorbitante", un´espressione che Eichengreen riprende da Charles de Gaulle, è quello del dollaro: «Vale il 3% del Pil americano il fatto di poter stampare una moneta che le altre nazioni usano come mezzo di pagamento. In altri termini, questo privilegio ci consente di finanziare un deficit pubblico equivalente a un anno di buona crescita del Pil». Ma non è un privilegio eterno, avverte l´economista.
Che cosa giustifica l´allarme di Geithner sul rischio-insolvenza?
«L´attuale situazione politica, con un presidente democratico e una Camera repubblicana, tende a generare politiche economiche squilibrate e non agevola la riduzione del deficit pubblico. In prospettiva, con l´andata in pensione delle prime generazioni del baby-boom, un quarto delle entrate fiscali americane andrà esclusivamente a finanziare il servizio del debito. Se non interveniamo rapidamente sugli squilibri, sarà forte la tentazione di ridurre i debiti attraverso una politica monetaria che crei inflazione. Così l´America scaricherebbe i costi sugli stranieri che detengono tanta parte dei titoli del Tesoro. Ma è un gioco pericoloso: i mercati possono anticiparlo, smettere di acquistare i nostri titoli pubblici. Perciò l´insolvenza degli Stati Uniti è diventata possibile».
Vuol dire che la Cina potrebbe di colpo cessare i suoi acquisti di Treasury Bonds?
«Non per un´iniziativa unilaterale. Sarebbe autolesionista. Parafrasando l´equilibrio del terrore nucleare all´epoca della Guerra Fredda, l´ex consigliere economico di Barack Obama, Larry Summers, definì la situazione odierna come un equilibrio del terrore finanziario. La Cina non vuole determinare da sola un crollo del dollaro che impoverirebbe le sue riserve valutarie. La caduta del dollaro può avvenire solo in quanto "made in Usa". Se continuiamo a non mettere ordine nelle nostre finanze pubbliche, possiamo provocare un´improvvisa crisi di fiducia degli investitori esteri. Questi fenomeni accadono all´improvviso, più rapidamente di quanto si creda: basti ricordare la crisi di sfiducia che ha colpito l´Eurozona di recente».
Lei crede agli scenari di disgregazione dell´Eurozona?
«Oggi il pessimismo colpisce soprattutto l´euro. Non è chiaro come i Paesi più deboli possano al tempo stesso uscire dalla recessione, risanare i loro conti pubblici, senza abbandonare la moneta unica. A meno che la Germania accetti di continuare a finanziarli con massicci trasferimenti. Una bancarotta di Grecia e Irlanda è ormai sempre più probabile. Tuttavia non implica necessariamente che quei Paesi lascino l´euro. La Grecia finirebbe per stare ancora peggio, se tornasse alla dracma».
Che cosa pensa dello scenario opposto, cioè l´uscita dall´Eurozona del Paese più forte, la Germania?
«Io credo che la Germania, malgrado quel che ne pensano gli altri Paesi, sia politicamente troppo investita nell´Unione europea per mollare la moneta unica. Inoltre, per quanto l´euro sia impopolare tra i cittadini, l´industria tedesca sa che è nel suo interesse. Una rinascita del deutschemark si accompagnerebbe a una fortissima rivalutazione con grave danno per l´export. Resta il fatto che l´Unione europea deve rapidamente usare questa crisi per rimediare alle sue lacune».
Qual è la prima riforma necessaria per salvare l´euro?
«Sottrarre i compiti di vigilanza sulle banche alle autorità nazionali. Non dimentichiamo che questa crisi dell´Eurozona è anzitutto una crisi bancaria, com´è evidente nel caso irlandese, e non si può lasciare che a occuparsene siano i singoli Paesi».
Tra gli squilibri monetari mondiali, c´è chi vede la creazione di nuove bolle speculative nei Paesi emergenti come una conseguenza della politica monetaria americana. Il "quantitative easing" applicato da Ben Bernanke stampando moneta è sotto accusa in Brasile, Cina.
«E´ vero, la nuova liquidità generata dalla Federal Reserve in parte affluisce al di fuori delle nostre frontiere, attirata dai rendimenti superiori nelle economie emergenti. E´ un limite alla sua efficacia.
Tuttavia è necessaria, non c´è alternativa, in una situazione in cui restano dei rischi di deflazione per l´economia americana. La Fed valuta al 10% la probabilità di una deflazione, non è poco».
In "Exorbitant Privilege" lei prefigura un nuovo ordine monetario fondato su dollaro, euro, renminbi cinese. Quando?
«Più presto di quanto si crede. Io lo vedo realizzarsi nell´arco di un decennio. E penso che un mondo tripolare sarà più stabile di quello attuale. Il problema è governare la transizione: come traghettarci da qui a là».
di Federico Rampini
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