“A forza di passare le sue notti a toccare il culo alle ragazze davanti a tutti, mi chiedo come faccia il giorno dopo a lavorare”, si domanda il quotidiano francese l’”Express”, riprendendo le parole di una delle signorine presenti alle feste di Berlusconi. La stampa internazionale, in queste settimane, si è scatenata contro il capo del governo italiano, alternando la derisione all’indignazione. Sul “Pais”, Almudena Grandes, che pure è una scrittrice nota per romanzi che, un millennio fa, si sarebbero definiti scabrosi, non riesce a trattenere il suo sdegno: “I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate”.
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
13 febbraio 2011
Strapazzati dalle straniere
“A forza di passare le sue notti a toccare il culo alle ragazze davanti a tutti, mi chiedo come faccia il giorno dopo a lavorare”, si domanda il quotidiano francese l’”Express”, riprendendo le parole di una delle signorine presenti alle feste di Berlusconi. La stampa internazionale, in queste settimane, si è scatenata contro il capo del governo italiano, alternando la derisione all’indignazione. Sul “Pais”, Almudena Grandes, che pure è una scrittrice nota per romanzi che, un millennio fa, si sarebbero definiti scabrosi, non riesce a trattenere il suo sdegno: “I capelli tinti ed il viso coperto di trucco, le sue disperate ostentazioni giovanili di seduttore senile battono ogni giorno i suoi record di indecenza, senza che molti suoi concittadini trovino motivi per smettere di celebrare le sue pagliacciate”.
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia
Come è ovvio, il disprezzo per Berlusconi finisce per estendersi anche agli italiani che più volte l’hanno votato. Il “New York Times” ne fa una questione antropologica e culturale: “In questi anni Berlusconi ha confuso la linea tra immagine e realtà. O meglio, ha fondato una brillante carriera sulla fondamentale verità italiana che l’immagine è la realtà”. E qui siamo al giudizio definitivo sul nostro carattere nazionale: solo in Italia, Paese barocco dove le forme di una fantasia morbosa ottenebrano la percezione della squallida realtà, può esistere un capo di governo che è un personaggio da operetta. Le surreali vicende erotiche di Berlusconi, insomma, rilanciano alla grande la mai estinta immagine degli italiani come popolo inaffidabile, brillante in superficie ma corrotto moralmente, sul quale non si può fare conto per la sua innata doppiezza e per la sua avversione ad ogni disciplina.
Lo stereotipo dell’italiano mandolinaro e traditore –che, anche se arriva da lontano, fu inchiodato nell’immaginario collettivo a causa dell’Otto settembre, da molti nemici di Berlusconi identificato invece come il giorno della riscossa nazionale- è presente in tanti articoli dei giornali stranieri. Quanto può costare all’Italia, intesa come Stato nazionale che collabora e compete con gli altri Stati negli scenari politici ed economici globali, questa ulteriore caduta di immagine? Dopo il rifiuto di estradare nel nostro Paese Cesare Battisti, Ernesto Galli della Loggia ha scritto che Francia e Brasile ci hanno trattati alla stregua di una Macedonia o di una Colombia, impartendoci ex cathedra delle lezioni sugli anni di piombo. A giudizio dell’editorialista del “Corriere della Sera”, ciò dipende dal fatto che la rappresentazione dell’Italia all’estero è falsa: “pressoché sconosciuti sono il tono della nostra vita pubblica e politica, la variegata qualità delle nostre relazioni sociali, dei nostri costumi e comportamenti collettivi”.
Nonostante tutte le magagne, siamo comunque meglio di come pensa la maggioranza degli stranieri, ma ha ragione Galli della Loggia a dire che la colpa dell’ignoranza sul nostro Paese è soprattutto degli italiani e dei governi che, per esempio, fanno i micragnosi con i pochi istituti culturali italiani all’estero e si disinteressano degli studiosi che si occupano dell’Italia. Una mancanza, aggiungiamo noi, che il “Berlusconi imprenditore, alieno da fumisterie culturalistiche”, ha accentuato. Pensiamo solo che ci si divide persino sul fatto di proclamare giornata di festa l’anniversario dell’unita nazionale, come se astenersi, ogni 150 anni, dal lavoro, portasse in rovina l’economia. Se non si rispetta la propria storia è difficile che si venga rispettati.
Berlusconi è convinto che il rango dell’Italia sia cresciuto: “Oggi il Paese è ascoltato, grazie anche al fatto che ha un leader anziano, un tycoon, il che è molto, molto importante”. Grazie a lui le tensioni tra Russia e Stati Uniti sarebbero svanite e, sempre per merito della sua saggia mediazione, Obama avrebbe rinunciato a piazzare i missili in Cechia e Polonia, senza considerare l’apporto decisivo nel convincere l’amico Putin a non invadere la Georgia dopo l’attacco di Saakashvili all’Ossezia del Sud. Al netto della vanagloria, qualcosa di vero c’è nel ruolo di Berlusconi come intermediario tra Mosca e l’Occidente. Ci sembra abbia ragione Paolo Quercia che, sulla rivista “Limes”, descrive l’azione diplomatica del presidente del Consiglio con la metafora dei due piatti della bilancia: “Nel primo il premier isola Usa e Israele e la loro domanda di sicurezza globale; sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mette Russia e Libia e la loro offerta di energia diretta verso l’Europa”.
Gli stretti rapporti con la Russia hanno suscitato ostilità nell’Amministrazione Usa, come hanno confermato le rivelazioni di Wikileaks, ma Washington si è vista offrire, nel contempo, la massima collaborazione sull’Afghanistan e su Israele. Tranquillizzando l’alleato su alcune questioni scottanti, Berlusconi si è concesso, in altri scacchieri, di giocare in proprio. E’ difficile dire quanto ciò sia il frutto di una strategia, mai peraltro dichiarata, oppure una semplice pesca delle occasioni, suggerita dal fiuto commerciale. In ogni caso, queste decisioni hanno lasciato un segno: alcuni Paesi sono stati scelti come interlocutori principali, altri sono stati lasciati in secondo piano. La volontà di appoggiare il progetto di gasdotto South Stream, finendo poi con il coinvolgere anche Francia e Germania, invece del Nabucco, sponsorizzato da Washington e Bruxelles, crea una divisione di campo, aprendo uno spazio importante alla Russia in Europa contro la volontà statunitense.
E’ significativo che Berlusconi abbia compiuto ben cinque visite ufficiali in Libia e quattro in Russia, mentre grandi realtà come Cina, Brasile e India non gli abbiano suscitato il medesimo interesse. Non si è mai recato, a differenza dei suoi colleghi occidentali, in Afghanistan per visitare le truppe. Come se l’impegno, pur considerevole per le nostre forze, in quel teatro di guerra rappresentasse solo un’assicurazione da pagare. Con Israele Berlusconi si è mostrato allineato fino all’assurdo di dichiarare di non avere visto il cosiddetto muro di separazione quando vi era passato accanto. E’ riuscito poi a promettere un piano Marshall per la Palestina, ma in realtà ha ridotto il contributo italiano ai fondi Onu per i rifugiati palestinesi. L’interscambio italiano con l’Iran, nonostante le solenne promesse di Berlusconi a Netanyauh, è addirittura aumentato, per il momento. In questi casi, il confine tra scaltrezza diplomatica e inaffidabilità si fa labile, non migliorando certo la nostra fama.
Tornando alla questione del peso della caduta di immagine del presidente del Consiglio sull’intero Paese, premettiamo che non siamo fra quanti attribuiscono valore oracolare a ogni sospiro della stampa estera sull’Italia. Perfino sul mitizzato “Economist” ci è capitato di leggere una serie di inesattezze dettate dalla faciloneria. Il danno, comunque, c’è: la credibilità è una premessa fondamentale in politica come nell’economia. L’uscita di scena di Berlusconi, da questo punto di vista, potrebbe rappresentare un medicamento. Non però con le modalità con le quali sembra oggi avvenire. Ovvero per mezzo di una magistratura oggettivamente partigiana e incurante dei limiti delle sue prerogative e di una opposizione tenuta insieme solo da un antiberlusconismo moralistico e impolitico. Il rischio è che al “sultano” succeda un uomo più “temperante” che, in mancanza di un programma politico, abbandoni le poche intuizioni positive di politica estera di Berlusconi, per presentare un’Italia più virtuosa agli occhi di quei Paesi che ci fanno la morale, ma sono pronti ad approfittare di una nostra eventuale arrendevolezza.
di Roberto Zavaglia
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento