26 giugno 2012
Banche e derivati. Il "botto" è vicino
Un allarme tardivo, ma realistico. E completa assenza di indicazioni su cosa fare per “impedire” il ripetersi di un film già visto.
Banche e derivati sono la stessa cosa: i secondi sono “prodotti” dalle prime, non esistono per loro conto.
Fin dall'inizio è apparso chiaro che tutti i discorsi sulla “riforma delle regole del sistema finanziario internazionale” non sarebbe approdata a nulla. Troppi “decisori” (sia dei maggiori stati che dell più importanti istituzioni economiche globali) sono incatenati – personalmente e strutturalmente – agli istituti di credito, ai fondi di investimento, ecc. Il governo degli Stati uniti, Obama a parte, ne è un esempio clamoroso da oltre un trentennio. Gente che esce dalla finanza o dalle grandi multinazionali per fare il ministro e poi torna a fare la finanza o l'impresa. Gli si può forse chiedersi di rinunciare a una carriera futura o di bastonare i propri recenti ex colleghi di lavoro?
Ma c'è una dato ancora più chiaro che esce fuori da questo scandalizzato articolo de Il Sole 24 Ore – è tutto dire! - e che non dobiamo mai smettere di tenere presente: la sovraesposizione al rischio insito nel mercato dei derivati da parte delle banche si regge sulla ferrea convinzione che, tanto, se va male ci sarà un altro giro di aiuti pubblici riservati alle banche e al sistema finanziario.
E' come se l'assicurazione obbligatoria per le automobili fosse a carico dello Stato: chi si preoccuperebbe più di evitare ammaccature e graffi da paercheggio, piccoli tamponamenti, investire pedoni sulle strisce, ecc? Alle grandi banche è riservato un privilegio di questo tipo: investire “a leva”, ovvero mettendo 10 di capitale proprio per mettere in moto operazioni da 1.000 (un numero a caso, ma proporzionato alle operazioni reali), con la certezza che se tutto va bene il guadagno viene intascato privcatamente, se va male si mette a conto del “pubblico”. Che dovrà tagliare ancora tutte le spese “non finanziarie” (scuola, sanità, trasporto pubblico, ecc).
Un gioco del genere non è soltanto infame. Semplicemente, non può funzionare a lungo. Sono cinque anni che la crisi morde e non passa. Ttutto quel che è stato fatto finora è servito solo a ricreare le condizioni di partenza da cui è maturato il crack Lehmann Brothers e la “grande gelata” dei mercati tra il 2008 e il 2009. Sta per accadere di nuovo. E ovviamente con più forza di prima, su una scala più grande. Il valore nominale totale del "mercato dei derivati" (completamente fuori dei circuiti regolamentati), ha raggiunto i 650mila miliardi dollari, sette-otto volte il prodotto interno lordo di tutto il pianeta. Non esiste nessuno - né privato, né "pubblico" - che possa "garantire" da una valanga di queste dimensioni.
di Claudio Conti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
26 giugno 2012
Banche e derivati. Il "botto" è vicino
Un allarme tardivo, ma realistico. E completa assenza di indicazioni su cosa fare per “impedire” il ripetersi di un film già visto.
Banche e derivati sono la stessa cosa: i secondi sono “prodotti” dalle prime, non esistono per loro conto.
Fin dall'inizio è apparso chiaro che tutti i discorsi sulla “riforma delle regole del sistema finanziario internazionale” non sarebbe approdata a nulla. Troppi “decisori” (sia dei maggiori stati che dell più importanti istituzioni economiche globali) sono incatenati – personalmente e strutturalmente – agli istituti di credito, ai fondi di investimento, ecc. Il governo degli Stati uniti, Obama a parte, ne è un esempio clamoroso da oltre un trentennio. Gente che esce dalla finanza o dalle grandi multinazionali per fare il ministro e poi torna a fare la finanza o l'impresa. Gli si può forse chiedersi di rinunciare a una carriera futura o di bastonare i propri recenti ex colleghi di lavoro?
Ma c'è una dato ancora più chiaro che esce fuori da questo scandalizzato articolo de Il Sole 24 Ore – è tutto dire! - e che non dobiamo mai smettere di tenere presente: la sovraesposizione al rischio insito nel mercato dei derivati da parte delle banche si regge sulla ferrea convinzione che, tanto, se va male ci sarà un altro giro di aiuti pubblici riservati alle banche e al sistema finanziario.
E' come se l'assicurazione obbligatoria per le automobili fosse a carico dello Stato: chi si preoccuperebbe più di evitare ammaccature e graffi da paercheggio, piccoli tamponamenti, investire pedoni sulle strisce, ecc? Alle grandi banche è riservato un privilegio di questo tipo: investire “a leva”, ovvero mettendo 10 di capitale proprio per mettere in moto operazioni da 1.000 (un numero a caso, ma proporzionato alle operazioni reali), con la certezza che se tutto va bene il guadagno viene intascato privcatamente, se va male si mette a conto del “pubblico”. Che dovrà tagliare ancora tutte le spese “non finanziarie” (scuola, sanità, trasporto pubblico, ecc).
Un gioco del genere non è soltanto infame. Semplicemente, non può funzionare a lungo. Sono cinque anni che la crisi morde e non passa. Ttutto quel che è stato fatto finora è servito solo a ricreare le condizioni di partenza da cui è maturato il crack Lehmann Brothers e la “grande gelata” dei mercati tra il 2008 e il 2009. Sta per accadere di nuovo. E ovviamente con più forza di prima, su una scala più grande. Il valore nominale totale del "mercato dei derivati" (completamente fuori dei circuiti regolamentati), ha raggiunto i 650mila miliardi dollari, sette-otto volte il prodotto interno lordo di tutto il pianeta. Non esiste nessuno - né privato, né "pubblico" - che possa "garantire" da una valanga di queste dimensioni.
di Claudio Conti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento