19 luglio 2012
Le finanze invisibili
Una crisi con nome e cognome
I socialisti europei denunciano duramente “la finanza” che governa il mondo senza alcuna restrizione e che invece sarebbe opportuno regolamentare meglio. Inoltre, bisognerebbe sapere di cosa e di chi stiamo parlando; poiché l’immagine eterea dei “mercati” lascia nell’ombra i veri beneficiari della crisi e delle misure di austerità in corso.
Jean Peyrelevade, passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterrand a M. François Bayrou, spiegava nel 2005: “Il capitalismo non è più identificabile. […]Con chi si rompe quando si rompe con il capitalismo? Quali istituzioni bisogna attaccare per mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, globale e anonimo?”. L’ex-direttore aggiunto del gabinetto del primo ministro Pierre Maruroy concludeva: “Marx è impotente di fronte a un nemico non identificabile” (1).
Ci stupisce davvero che un rappresentante dell’alta finanza - presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weill) e amministratore del gruppo Bouygues - neghi l’esistenza di un’oligarchia? È più strano il fatto che i media dominanti diffondano quest’immagine disincarnata e depoliticizzata dei potenti della finanza. La copertura giornalistica della designazione di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio Italiano potrebbe ben rappresentare, in questo senso, il perfetto esempio di un discorso-schermo che fa riferimento a “tecnocrati” ed “esperti” laddove si sta costituendo un governo di banchieri. Sui siti Web di alcuni quotidiani abbiamo persino letto che alcune “personalità della società civile” avevano appena preso il comando (2).
Anche se l’équipe di Monti annovera tra le sue fila professori universitari, la scientificità della sua politica era stata stabilita in anticipo dagli esperti. Ma, guardando più da vicino, scopriamo che la maggior parte dei ministri della squadra facciano parte dei vertici dei principali trust della penisola.
Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è direttore esecutivo di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’Università di Torino, occupa la vicepresidenza di Intesa Sanpaolo; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e rettore dell’Università di Torino, è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia -controllata da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca- dopo essere passato per Pirelli; Piero Gnudi, ministro per il Turismo e per lo Sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, professore di Scienza delle finanze all’Università Cattolica di Milano, è vicepresidente di Banca Popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e di Goldman Sachs, e amministratore di Fiat e di Generali.
Non molto diversi
Se i dirigenti socialisti europei non hanno parole abbastanza dure per qualificare l’onnipotenza dei “mercati finanziari”, la riconversione degli ex referenti del social-liberismo avviene senza che i loro ex compagni esprimano la loro indignazione. L’ex-primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok, ha preso parte ai vertici dei trust olandesi ING, Shell e KLM. Il suo omologo tedesco, l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, si è anche lui riciclato nell’ambito privato come presidente dell’impresa Nord Stream AG (joint-venture Gazprom/E.ON/BASF/GDF Suez/Gasunie), dirigente del gruppo petrolifero TNK-BP e consigliere europeo di Rothschild Investment Bank. Questa traiettoria a prima vista sinuosa non ha, in realtà, nulla di singolare. Diversi ex membri del suo gabinetto, membri del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), si sono spogliati dei loro ruoli di funzionari pubblici per indossare i panni degli uomini d’affari: l’ex-ministro dell’Interno Otto Schilly è attualmente consulente del trust finanziario Investcorp (Bahrein), dove si è incontrato con il cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, il vicepresidente della Convenzione Europea Giuliano Amato e perfino Kofi Annan, ex segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L’ex ministro dell’Economia e del Lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della firma RiverRock Capital e dirigente di Citigroup Germania. Il suo collega, Caio Koch-Weser, sottosegretario di Stato tedesco al ministero federale delle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente di Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo di Angela Merkel, Peer Steinbrück, SPD, è amministratore di ThyssenKrupp. Per quanto riguarda i “degni eredi” (3) di Margaret Thatcher ed ex leaders del Partito Laburista, hanno giurato fedeltà all’alta finanza: l’ex ministro per gli Affari Esteri, David Miliband, è consulente alle imprese VantagePoint Capital Partners (Stati Uniti) e Indus Basin Holdings Ltd. (Pakistan); l’ex Commissario europeo al Commercio, lavora per la banca d’affari Lazard; lo stesso Anthony Blair, è contemporaneamente consulente della società svizzera Zurich Financial Services, amministratore del fondo di investimenti Landsdowne Partners e presidente del Comitato consultivo internazionale di JPMorgan Chase, insieme a Kofi Annan ed Henry Kissinger.
Ci dispiace infliggere al lettore questo elenco ma, d’altro canto, è nostro dovere farlo poiché i mezzi di comunicazione omettono costantemente di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Oltre la porosità tra due mondi che tendono a mostrarsi come distinti - se non addirittura contrapposti -, l’identificazione dei suoi doppiogiochisti è necessaria per la corretta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari.
Infatti contrariamente a un’idea in voga, la finanza ha uno, anzi, diversi volti (4). Non quello del pensionato della Florida o del piccolo azionista europeo, dipinti dalla stampa condiscendente, quanto piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e amministratori di ricchezze. Peyrelevade ricordava già nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà della capitalizzazione in borsa del pianeta (5). Questi portafogli sono amministrati da banche (Goldman Sachs, Santander, BNP Paribas, Société Générale, etc.), compagnie di assicurazione (AIG, AXA, Scor, etc.), fondi pensionistici o di investimento (Berhshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, etc.); istituti che investono anche fondi propri.
Questa minoranza specula sul prezzo delle azioni, del debito sovrano o delle materie prime, grazie a una gamma quasi illimitata di prodotti derivati che rivelano l’inesauribile inventiva degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare il risultato “naturale” dell’evoluzione di economie mature, i “mercati” costituiscono la punta di diamante di un progetto che, come hanno avvertito gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy, è stato “concepito per incrementare le entrate delle classi alte” (6). Un risultato innegabile: nel mondo ci sono attualmente 63.000 “centomilionari” (che posseggono, cioè, almeno cento milioni di dollari), che rappresentano una ricchezza combinata di circa 40.000 miliardi di dollari (ovvero una anno del PIL mondiale).
Gli irresponsabili diventati saggi
Siamo di fronte a una personificazione dei mercati che potrebbe risultare scomoda, tanto che a volte è più facile lottare contro i mulini a vento. “Nella battaglia che sta per cominciare, vi dirò qual è il mio vero avversario - esclamava l’allora candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande, nel suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso -. Non ha nome, né volto, né partito; non presenterà mai la sua candidatura, e dunque non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza”. Attaccare gli autentici attori dell’alta banca e della grande industria avrebbe anche potuto portarlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi di investimento che decidono, in piena coscienza, di sferrare attacchi speculativi sui debiti dei paesi del sud dell’Europa. O perfino a mettere in discussione il doppio ruolo di alcuni dei suoi consiglieri, senza dimenticare quello dei suoi (ex) colleghi socialisti europei che sono passati da una multinazionale all’altra.
Scegliendo come capo della sua campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’Industrie, una lobby che raggruppa i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista stava dando un segnale ai “mercati finanziari”: l’alternanza socialista decisamente non rima più con la rottura rivoluzionaria. Non è forse stato Moscovici a dire di “non avere paura della politica del rigore”, affermando che, in caso di vittoria, i deficit pubblici sarebbero stati “ridotti a partire dal 2013 sotto il 3% (…), costi quel che costi, il che implicherebbe “prendere le misure necessarie”? (7).
Discorso imposto dalla comunicazione politica, la denuncia dei “mercati finanziari”, tanto virulenta quanto inoffensiva, resta finora lettera morta. Come Barack Obama, che concesse la grazia presidenziale ai responsabili statunitensi della crisi, i dirigenti del Vecchio Continente avrebbero perdonato in pochissimo tempo gli eccessi degli “avidi” speculatori che mettevano sotto accusa. Non restava dunque che recuperare il prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. Come? Mettendoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta dei mercati, ma certo! Da Paul Volcker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (AIG, BNP Paribas), Lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill Lynch Europe) o ancora il barone Alexandre Lamfalussy (CNP Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di trovare risposte alla crisi finanziaria, mantenevano stretti legami con i più importanti operatori privati del settore. Gli “irresponsabili” del passato, come per grazia ricevuta, si erano appena metamorfizzati nei “saggi” dell’economia, spalleggiati dai mezzi di comunicazione e da intellettuali dominanti che, fino a poco tempo prima, non avevano parole abbastanza dure per denunciare la “presunzione” e la “cecità” dei banchieri.
Infine, non vi è più alcun dubbio che alcuni speculatori abbiano tratto vantaggio dalle crisi che si sono succedute negli ultimi anni. Tuttavia, l’opportunismo e il cinismo che sfoggiano i “depredatori” in questione non deve farci dimenticare che hanno potuto contare, per raggiungere i loro obiettivi, sull’appoggio delle più alte sfere dello Stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari dalla crisi dei subprimes, della quale è stato il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex patron della Federal Reserve, Alan Greenspan, allora consigliere di Pimco (Deutsche Bank), uno dei principali creditori dello Stato americano? E che dire dei principali amministratori internazionali di hedge funds: l’ex presidente del National Economic Council (sotto il governo di Obama) ed ex segretario del Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della firma D.E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Ken Griffith, originario di Chicago, ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti; quanto a George Soros, ha ingaggiato i servizi del laburista Lord Malloch-Brown, ex direttore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo …
La finanza, dunque, ha dei volti: è possibile vederli da molto tempo sulle passerelle del potere.
di Geoffrey Geuens
Geoffrey Geuens è Professore dell’Universidad de Liège. Autore de La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des “marchés financiers” à l’oligarchie, Aden, Bruselas, 2011.
Note:
1. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil/La République des Idées, París, 2005, pagg. 37 e 91.
2. Anne Le Nir, “En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts”, www.la-croix.com, 16-11-11; Guillaume Delacroix, “Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie”, www.lesechos.fr, 16-11-11.
3. Keith Dixon, Un Digne héritier. Blair et le thatchérisme, Liber/Raisons d’Agir, París, 2000.
4. Léase “Où se cachent les pouvoirs”, Manière de voir, N° 122, aprile-maggio 2012 (in kioscos). 5. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. 1% dei francesi possiede il 50% delle azioni.
6. Gérard Duménil y Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011.
7. “Pierre Moscovici: ‘Ne pas avoir peur de la rigueur’”, www.lexpress.fr, 8-11-11.
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19 luglio 2012
Le finanze invisibili
Una crisi con nome e cognome
I socialisti europei denunciano duramente “la finanza” che governa il mondo senza alcuna restrizione e che invece sarebbe opportuno regolamentare meglio. Inoltre, bisognerebbe sapere di cosa e di chi stiamo parlando; poiché l’immagine eterea dei “mercati” lascia nell’ombra i veri beneficiari della crisi e delle misure di austerità in corso.
Jean Peyrelevade, passato dalla banca pubblica alla finanza privata, e da François Mitterrand a M. François Bayrou, spiegava nel 2005: “Il capitalismo non è più identificabile. […]Con chi si rompe quando si rompe con il capitalismo? Quali istituzioni bisogna attaccare per mettere fine alla dittatura del mercato, fluido, globale e anonimo?”. L’ex-direttore aggiunto del gabinetto del primo ministro Pierre Maruroy concludeva: “Marx è impotente di fronte a un nemico non identificabile” (1).
Ci stupisce davvero che un rappresentante dell’alta finanza - presidente di Banca Leonardo France (famiglie Albert Frère, Agnelli e David-Weill) e amministratore del gruppo Bouygues - neghi l’esistenza di un’oligarchia? È più strano il fatto che i media dominanti diffondano quest’immagine disincarnata e depoliticizzata dei potenti della finanza. La copertura giornalistica della designazione di Mario Monti alla Presidenza del Consiglio Italiano potrebbe ben rappresentare, in questo senso, il perfetto esempio di un discorso-schermo che fa riferimento a “tecnocrati” ed “esperti” laddove si sta costituendo un governo di banchieri. Sui siti Web di alcuni quotidiani abbiamo persino letto che alcune “personalità della società civile” avevano appena preso il comando (2).
Anche se l’équipe di Monti annovera tra le sue fila professori universitari, la scientificità della sua politica era stata stabilita in anticipo dagli esperti. Ma, guardando più da vicino, scopriamo che la maggior parte dei ministri della squadra facciano parte dei vertici dei principali trust della penisola.
Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è direttore esecutivo di Intesa Sanpaolo; Elsa Fornero, ministro del Lavoro e professoressa di economia all’Università di Torino, occupa la vicepresidenza di Intesa Sanpaolo; Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e rettore dell’Università di Torino, è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia -controllata da Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca- dopo essere passato per Pirelli; Piero Gnudi, ministro per il Turismo e per lo Sport, è amministratore di UniCredit Group; Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, professore di Scienza delle finanze all’Università Cattolica di Milano, è vicepresidente di Banca Popolare e amministratore di Pirelli. Quanto a Monti, è stato consulente di Coca Cola e di Goldman Sachs, e amministratore di Fiat e di Generali.
Non molto diversi
Se i dirigenti socialisti europei non hanno parole abbastanza dure per qualificare l’onnipotenza dei “mercati finanziari”, la riconversione degli ex referenti del social-liberismo avviene senza che i loro ex compagni esprimano la loro indignazione. L’ex-primo ministro dei Paesi Bassi, Wim Kok, ha preso parte ai vertici dei trust olandesi ING, Shell e KLM. Il suo omologo tedesco, l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, si è anche lui riciclato nell’ambito privato come presidente dell’impresa Nord Stream AG (joint-venture Gazprom/E.ON/BASF/GDF Suez/Gasunie), dirigente del gruppo petrolifero TNK-BP e consigliere europeo di Rothschild Investment Bank. Questa traiettoria a prima vista sinuosa non ha, in realtà, nulla di singolare. Diversi ex membri del suo gabinetto, membri del Partito Socialdemocratico tedesco (SPD), si sono spogliati dei loro ruoli di funzionari pubblici per indossare i panni degli uomini d’affari: l’ex-ministro dell’Interno Otto Schilly è attualmente consulente del trust finanziario Investcorp (Bahrein), dove si è incontrato con il cancelliere conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, il vicepresidente della Convenzione Europea Giuliano Amato e perfino Kofi Annan, ex segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). L’ex ministro dell’Economia e del Lavoro tedesco, Wolfgang Clement, è socio della firma RiverRock Capital e dirigente di Citigroup Germania. Il suo collega, Caio Koch-Weser, sottosegretario di Stato tedesco al ministero federale delle Finanze dal 1999 al 2005, è vicepresidente di Deutsche Bank. Infine, il ministro delle Finanze del primo governo di Angela Merkel, Peer Steinbrück, SPD, è amministratore di ThyssenKrupp. Per quanto riguarda i “degni eredi” (3) di Margaret Thatcher ed ex leaders del Partito Laburista, hanno giurato fedeltà all’alta finanza: l’ex ministro per gli Affari Esteri, David Miliband, è consulente alle imprese VantagePoint Capital Partners (Stati Uniti) e Indus Basin Holdings Ltd. (Pakistan); l’ex Commissario europeo al Commercio, lavora per la banca d’affari Lazard; lo stesso Anthony Blair, è contemporaneamente consulente della società svizzera Zurich Financial Services, amministratore del fondo di investimenti Landsdowne Partners e presidente del Comitato consultivo internazionale di JPMorgan Chase, insieme a Kofi Annan ed Henry Kissinger.
Ci dispiace infliggere al lettore questo elenco ma, d’altro canto, è nostro dovere farlo poiché i mezzi di comunicazione omettono costantemente di informare sugli interessi privati delle personalità pubbliche. Oltre la porosità tra due mondi che tendono a mostrarsi come distinti - se non addirittura contrapposti -, l’identificazione dei suoi doppiogiochisti è necessaria per la corretta comprensione del funzionamento dei mercati finanziari.
Infatti contrariamente a un’idea in voga, la finanza ha uno, anzi, diversi volti (4). Non quello del pensionato della Florida o del piccolo azionista europeo, dipinti dalla stampa condiscendente, quanto piuttosto quelli di un’oligarchia di proprietari e amministratori di ricchezze. Peyrelevade ricordava già nel 2005 che lo 0,2% della popolazione mondiale controllava la metà della capitalizzazione in borsa del pianeta (5). Questi portafogli sono amministrati da banche (Goldman Sachs, Santander, BNP Paribas, Société Générale, etc.), compagnie di assicurazione (AIG, AXA, Scor, etc.), fondi pensionistici o di investimento (Berhshire Hathaway, Blue Ridge Capital, Soros Fund Management, etc.); istituti che investono anche fondi propri.
Questa minoranza specula sul prezzo delle azioni, del debito sovrano o delle materie prime, grazie a una gamma quasi illimitata di prodotti derivati che rivelano l’inesauribile inventiva degli ingegneri finanziari. Lungi dal rappresentare il risultato “naturale” dell’evoluzione di economie mature, i “mercati” costituiscono la punta di diamante di un progetto che, come hanno avvertito gli economisti Gérard Duménil e Dominique Lévy, è stato “concepito per incrementare le entrate delle classi alte” (6). Un risultato innegabile: nel mondo ci sono attualmente 63.000 “centomilionari” (che posseggono, cioè, almeno cento milioni di dollari), che rappresentano una ricchezza combinata di circa 40.000 miliardi di dollari (ovvero una anno del PIL mondiale).
Gli irresponsabili diventati saggi
Siamo di fronte a una personificazione dei mercati che potrebbe risultare scomoda, tanto che a volte è più facile lottare contro i mulini a vento. “Nella battaglia che sta per cominciare, vi dirò qual è il mio vero avversario - esclamava l’allora candidato socialista alle presidenziali francesi, François Hollande, nel suo discorso di Bourget (Seine-Saint-Denis), il 22 gennaio scorso -. Non ha nome, né volto, né partito; non presenterà mai la sua candidatura, e dunque non sarà mai eletto. Questo avversario è il mondo della finanza”. Attaccare gli autentici attori dell’alta banca e della grande industria avrebbe anche potuto portarlo a fare i nomi dei dirigenti dei fondi di investimento che decidono, in piena coscienza, di sferrare attacchi speculativi sui debiti dei paesi del sud dell’Europa. O perfino a mettere in discussione il doppio ruolo di alcuni dei suoi consiglieri, senza dimenticare quello dei suoi (ex) colleghi socialisti europei che sono passati da una multinazionale all’altra.
Scegliendo come capo della sua campagna elettorale Pierre Moscovici, vicepresidente del Cercle de l’Industrie, una lobby che raggruppa i dirigenti dei principali gruppi industriali francesi, il candidato socialista stava dando un segnale ai “mercati finanziari”: l’alternanza socialista decisamente non rima più con la rottura rivoluzionaria. Non è forse stato Moscovici a dire di “non avere paura della politica del rigore”, affermando che, in caso di vittoria, i deficit pubblici sarebbero stati “ridotti a partire dal 2013 sotto il 3% (…), costi quel che costi, il che implicherebbe “prendere le misure necessarie”? (7).
Discorso imposto dalla comunicazione politica, la denuncia dei “mercati finanziari”, tanto virulenta quanto inoffensiva, resta finora lettera morta. Come Barack Obama, che concesse la grazia presidenziale ai responsabili statunitensi della crisi, i dirigenti del Vecchio Continente avrebbero perdonato in pochissimo tempo gli eccessi degli “avidi” speculatori che mettevano sotto accusa. Non restava dunque che recuperare il prestigio ingiustamente infangato dei degni rappresentanti dell’oligarchia. Come? Mettendoli a capo delle commissioni incaricate di elaborare nuove regole di condotta dei mercati, ma certo! Da Paul Volcker (JPMorgan Chase) a Mario Draghi (Goldman Sachs), passando per Jacques de Larosière (AIG, BNP Paribas), Lord Adair Turner (Standard Chartered Bank, Merrill Lynch Europe) o ancora il barone Alexandre Lamfalussy (CNP Assurances, Fortis), tutti i coordinatori incaricati di trovare risposte alla crisi finanziaria, mantenevano stretti legami con i più importanti operatori privati del settore. Gli “irresponsabili” del passato, come per grazia ricevuta, si erano appena metamorfizzati nei “saggi” dell’economia, spalleggiati dai mezzi di comunicazione e da intellettuali dominanti che, fino a poco tempo prima, non avevano parole abbastanza dure per denunciare la “presunzione” e la “cecità” dei banchieri.
Infine, non vi è più alcun dubbio che alcuni speculatori abbiano tratto vantaggio dalle crisi che si sono succedute negli ultimi anni. Tuttavia, l’opportunismo e il cinismo che sfoggiano i “depredatori” in questione non deve farci dimenticare che hanno potuto contare, per raggiungere i loro obiettivi, sull’appoggio delle più alte sfere dello Stato. John Paulson, dopo aver guadagnato più di 2 miliardi di dollari dalla crisi dei subprimes, della quale è stato il principale beneficiario, non ha forse ingaggiato l’ex patron della Federal Reserve, Alan Greenspan, allora consigliere di Pimco (Deutsche Bank), uno dei principali creditori dello Stato americano? E che dire dei principali amministratori internazionali di hedge funds: l’ex presidente del National Economic Council (sotto il governo di Obama) ed ex segretario del Tesoro di William Clinton, Lawrence Summers, è stato direttore esecutivo della firma D.E. Shaw (32 miliardi di dollari di attivi); il fondatore del gruppo Citadel Investment, Ken Griffith, originario di Chicago, ha finanziato la campagna elettorale dell’attuale presidente degli Stati Uniti; quanto a George Soros, ha ingaggiato i servizi del laburista Lord Malloch-Brown, ex direttore del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo …
La finanza, dunque, ha dei volti: è possibile vederli da molto tempo sulle passerelle del potere.
di Geoffrey Geuens
Geoffrey Geuens è Professore dell’Universidad de Liège. Autore de La Finance imaginaire. Anatomie du capitalisme: des “marchés financiers” à l’oligarchie, Aden, Bruselas, 2011.
Note:
1. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, Seuil/La République des Idées, París, 2005, pagg. 37 e 91.
2. Anne Le Nir, “En Italie, Mario Monti réunit un gouvernement d’experts”, www.la-croix.com, 16-11-11; Guillaume Delacroix, “Le gouvernement Monti prêt à prendre les rênes de l’Italie”, www.lesechos.fr, 16-11-11.
3. Keith Dixon, Un Digne héritier. Blair et le thatchérisme, Liber/Raisons d’Agir, París, 2000.
4. Léase “Où se cachent les pouvoirs”, Manière de voir, N° 122, aprile-maggio 2012 (in kioscos). 5. Jean Peyrelevade, Le Capitalisme total, op. cit. 1% dei francesi possiede il 50% delle azioni.
6. Gérard Duménil y Dominique Lévy, The Crisis of Neoliberalism, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011.
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