26 settembre 2012
Grillo oggi fa paura allora si demonizza dandogli del "fascista"
«Parlava, decise il commissario, in perfetta buona fede, ossia in quella condizione invidiabile che consentiva a borsaioli e massaie, droghieri e mini-stri, cantanti celebri, manovali e professori universi- tari, di relegare in un sottofondo bene isolato le disonestà di ogni calibro da essi stessi commesse e di scordarsele completamente e felicemente» scrivono Fruttero e Lucentini ne "La donna della domenica". Da questa felice sindrome di rimozione deve essere affetto Luigi Manconi, sociologo, docente universitario, ex portavoce dei Verdi, ex Ulivo, improvvisamente nominato sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi. Richiesto dal Corriere di esprimere un giudizio sul "fascista" appioppato da Bersani a Beppe Grillo, il Manconi ha risposto: «Sono d’accordo con Bersani. Nel discorso pubblico di Grillo si trovano tracce inequivocabili di "linguaggio fascista". A utilizzare quel linguaggio non è necessariamente un fascista: possono farlo individui e gruppi che attingono a una retorica, a un sottofondo culturale la cui origine è quella fascista».
Luigi Manconi si è "felicemente" dimenticato di essere stato negli anni Settanta un importante dirigente di Lotta Continua. Di essere andato in giro con i suoi compagni per le strade, oltre che a spaccar vetrine e all’occorrenza crani, ad urlare: "Uccidere un fascista non è reato", "Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero". Ha "felicemente" rimosso che il quotidiano di Lotta Continua pubblicava foto, indirizzi, percorsi e abitudini di "fascisti" o presunti tali, indicandoli al pubblico ludibrio, e che alcuni di questi sono morti in conseguenza dei colpi di spranga o sono rimasti su una sedia a rotelle. È così ogni volta che in Italia si presenta un movimento nuovo non inquadrabile nei parametri della partitocrazia, e che anzi ad essa si oppone, e soprattutto in quelli della cosiddetta "intellighentia" di sinistra. Nei primi anni Novanta, prima che fosse inglobata e innocuizzata, toccò alla Lega. Umberto Bossi e i suoi hanno spesso sproloquiato, ma nella storia, ormai trentennale, di questo movimento non c’è un solo atto di violenza. Mi ricordo che La Repubblica, non sapendo a che altro appigliarsi, una volta che davanti al municipio di Milano un cane, presunto leghista, abbaiò alla consigliera comunale repubblicana Rosellina Archinto, titolò a otto colonne in testa alla prima pagina: "Aggressione fascista della Lega a Milano". Ora tocca a Beppe Grillo. Ma nemmeno ai "grillini" è addebitabile, almeno finora, un solo atto di violenza fisica. La verità è che Grillo, col 20 per cento dei consensi che gli danno i sondaggi, sparsi per tutto il territorio nazionale e non raccolti in una sola area del Paese, come la Lega d’antan, fa paura. E allora bisogna demonizzarlo dandogli del "fascista". Invece di usare le solite, vecchie, fruste categorie cui non crede più nessuno, sarebbe meglio chiedersi le ragioni di questo fenomeno. E la risposta non è difficile. Grillini o no, siamo stufi, arcistufi di quarant’anni di corruzione sistematica, di illegalità, di lottizzazioni, di clientelismo dei partiti cosiddetti tradizionali che ci hanno portato al tracollo, economi- co e morale. Lo eravamo vent’anni fa, lo siamo a maggior ragione oggi che i partiti hanno perso per strada le proprie sigle, ma non i loro collaudati vizi.
Ma se ci sfoghiamo, a parole, contro questa eterna presa in giro siamo "fascisti". E ci tocca prendere lezioni di buona educazione politica da chi squadri- sta, e anche peggio (si pensi solo ad Adriano Sofri), lo fu davvero.
di Massimo Fini
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26 settembre 2012
Grillo oggi fa paura allora si demonizza dandogli del "fascista"
«Parlava, decise il commissario, in perfetta buona fede, ossia in quella condizione invidiabile che consentiva a borsaioli e massaie, droghieri e mini-stri, cantanti celebri, manovali e professori universi- tari, di relegare in un sottofondo bene isolato le disonestà di ogni calibro da essi stessi commesse e di scordarsele completamente e felicemente» scrivono Fruttero e Lucentini ne "La donna della domenica". Da questa felice sindrome di rimozione deve essere affetto Luigi Manconi, sociologo, docente universitario, ex portavoce dei Verdi, ex Ulivo, improvvisamente nominato sottosegretario alla Giustizia nel secondo governo Prodi. Richiesto dal Corriere di esprimere un giudizio sul "fascista" appioppato da Bersani a Beppe Grillo, il Manconi ha risposto: «Sono d’accordo con Bersani. Nel discorso pubblico di Grillo si trovano tracce inequivocabili di "linguaggio fascista". A utilizzare quel linguaggio non è necessariamente un fascista: possono farlo individui e gruppi che attingono a una retorica, a un sottofondo culturale la cui origine è quella fascista».
Luigi Manconi si è "felicemente" dimenticato di essere stato negli anni Settanta un importante dirigente di Lotta Continua. Di essere andato in giro con i suoi compagni per le strade, oltre che a spaccar vetrine e all’occorrenza crani, ad urlare: "Uccidere un fascista non è reato", "Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero". Ha "felicemente" rimosso che il quotidiano di Lotta Continua pubblicava foto, indirizzi, percorsi e abitudini di "fascisti" o presunti tali, indicandoli al pubblico ludibrio, e che alcuni di questi sono morti in conseguenza dei colpi di spranga o sono rimasti su una sedia a rotelle. È così ogni volta che in Italia si presenta un movimento nuovo non inquadrabile nei parametri della partitocrazia, e che anzi ad essa si oppone, e soprattutto in quelli della cosiddetta "intellighentia" di sinistra. Nei primi anni Novanta, prima che fosse inglobata e innocuizzata, toccò alla Lega. Umberto Bossi e i suoi hanno spesso sproloquiato, ma nella storia, ormai trentennale, di questo movimento non c’è un solo atto di violenza. Mi ricordo che La Repubblica, non sapendo a che altro appigliarsi, una volta che davanti al municipio di Milano un cane, presunto leghista, abbaiò alla consigliera comunale repubblicana Rosellina Archinto, titolò a otto colonne in testa alla prima pagina: "Aggressione fascista della Lega a Milano". Ora tocca a Beppe Grillo. Ma nemmeno ai "grillini" è addebitabile, almeno finora, un solo atto di violenza fisica. La verità è che Grillo, col 20 per cento dei consensi che gli danno i sondaggi, sparsi per tutto il territorio nazionale e non raccolti in una sola area del Paese, come la Lega d’antan, fa paura. E allora bisogna demonizzarlo dandogli del "fascista". Invece di usare le solite, vecchie, fruste categorie cui non crede più nessuno, sarebbe meglio chiedersi le ragioni di questo fenomeno. E la risposta non è difficile. Grillini o no, siamo stufi, arcistufi di quarant’anni di corruzione sistematica, di illegalità, di lottizzazioni, di clientelismo dei partiti cosiddetti tradizionali che ci hanno portato al tracollo, economi- co e morale. Lo eravamo vent’anni fa, lo siamo a maggior ragione oggi che i partiti hanno perso per strada le proprie sigle, ma non i loro collaudati vizi.
Ma se ci sfoghiamo, a parole, contro questa eterna presa in giro siamo "fascisti". E ci tocca prendere lezioni di buona educazione politica da chi squadri- sta, e anche peggio (si pensi solo ad Adriano Sofri), lo fu davvero.
di Massimo Fini
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