La campagna elettorale ruota intorno al tema unico della crisi economica (le troppe tasse ne sono un succedaneo dal momento che se ne sono create di nuove e si sono aumentate le vecchie nel tentativo -sbagliato – di contrastarla). La cosa strana è che mentre solo di crisi si parla non se ne cercano le vere cause e si preferisce scannarsi per dimostrare che i governi di centro-destra hanno fatto peggio di quelli di centro-sinistra o viceversa.
Il fatto è che alcune di queste cause sono pressoché totalmente al di fuori dal potere di controllo e d'intervento dei partiti altre sono considerate scarsamente produttive dal punto di vista elettorale, perché comuni a tutti i contendenti o comunque difficili da spiegare in modo incisivo agli elettori.
La causa prima, irrimediabile finché non si ribalta tutto, è insita nello stesso sistema economico occidentale (ormai mondiale), che punta (e non può fare altrimenti per sopravvivere) sulla crescita continua dell'economia come se in un mondo finito fosse possibile una crescita infinita. Eppure la convinzione della possibilità-necessità della crescita continua è così radicata che nessuno si accorge dell'assurdità di valutare la crisi in base a dati considerati disastrosi solo perché riportano la situazione economica del 2012 a quella del 2001, del 1998 o anche del 1984 cioè ad anni nei quali la recessione sembrava impossibile e caso mai si protestava contro l'eccesso del consumismo.
Altre cause della crisi sono meno connaturate al sistema, ma ugualmente fuori dal controllo dei singoli Stati nazionali, che ben difficilmente riuscirebbero a rimangiarsi le decisioni prese quando si scelse la strada della globalizzazione, che apriva alla concorrenza mondiale il mondo del lavoro. E' difficile dire se in linea assoluta la globalizzazione sia stata un bene o un male. Certamente ha migliorato la situazione dei lavoratori del terzo e del quarto mondo, ma per quelli dei paesi occidentali e il loro benessere economico è stata, come era facile prevedere, un autentico disastro. Il principio dei vasi comunicanti vale anche in economia e, venuti meno confini, ostacoli e barriere, comporta l'inevitabile livellamento dei salari e, quindi, del livello di vita con conseguente miglioramento per i paesi poveri, peggioramento per quelli ricchi.
Infine ci sono gli errori della nostra classe politica, non sempre necessariamente involontari e comunque anche questi difficilmente reversibili a causa della loro integrazione nel sistema europeo (da questi nostri errori altri paesi, ad esempio la Germania, possono avere tratto beneficio). Il più grave indubbiamente la privatizzazione delle Banche ad opera del duo Ciampi-Amato. Come scrive Riccardo Ruggeri su “Italia Oggi”, per effetto di questo malaugurato provvedimento “le Banche hanno assunto un curioso status: se guadagnano danno dividendi principeschi agli azionisti e bonus-liquidazioni imperiali ai supermanager, se perdono paga lo Stato, se falliscono lo Stato le salva”. A titolo di premio per questo brillante risultato Azelio Ciampi è stato nominato presidente della Repubblica e Giuliano Amato è in predicato di sostituire Napolitano al Quirinale.
Un altro macroscopico errore tutto italico è stato il cambio folle lira/euro accettato da Romano Prodi, che dalla sera al mattino ha pressoché dimezzato i patrimoni e le entrate degli italiani. Basti considerare che prima dell'euro duemilioni al mese erano un signor stipendio, subito dopo mille euro una mercede da sopravvivenza. Romano Prodi voleva fare entrare ad ogni costo l'Italia nell'area euro e di fronte ai dubbi avanzati dalla Germania e da altri paesi particolarmente diffidenti nei nostri confronti accettò il cambio di poco meno di 2.000 lire per euro senza rendersi conto di avere in mano una carta formidabile per ottenere condizioni molto migliori, perché la Germania mai avrebbe accettato l'euro se l'Italia, a quel momento la seconda potenza industriale europea, avesse conservato la lira e, quindi, la possibilità di farle concorrenza sui mercati mondiali svalutandola. “Der Spiegel” del 7 maggio 2012 ha accusato, con tanto di documentazione, Helmut Kohl di avere consentito a Prodi, allora presidente del Consiglio italiano (siamo nel 1998) di truccare le carte dei nostri bilanci per fare figurare che l'Italia fosse, contrariamente al vero, in possesso dei requisiti richiesti per fare parte della moneta unica. Secondo Der Spiegel, molto interessato ad accusare il vecchio cancelliere, si trattò di un indebito favore al nostro paese. Al contrario tutto lascia credere che Kohl si sia preso gioco di Prodi conducendo il gioco a favore della sua Germania, che aveva tutto l'interesse ad avere l'Italia sotto controllo nell'euro.
In ricompensa Prodi ha avuto la presidenza della Commissione europea e adesso è a sua volta in lizza per il Quirinale.
di Francesco Mario Agnoli
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