Quando la classe media e i giovani sono sistematicamente esclusi dai
vertici economici e sociali l’unica via di sbocco è la sovversione del
sistema. I leader europei non dovrebbero dare per scontata la
stabilità.
Al contrario di quello che si pensa, in occidente non sono i poveri e i
più sfortunati a fare le rivoluzioni, ma le classi medie. È quello che
è successo in tutte le rivoluzioni a cominciare dalla rivoluzione
francese e con la sola eccezione della rivoluzione d'ottobre, che fu un
colpo di stato compiuto in una situazione di estremo disordine
politico.
Ma quand’è che la classe media decide di lanciarsi in una rivoluzione?
In primo luogo non si tratta della classe media nel suo insieme né di
un gruppo organizzato né tanto meno di una comunità, ma dei leader
della classe media, quegli stessi che oggi vincono le elezioni in
Europa e che sono definiti irresponsabili (perché non appartengono alla
geriatrica classe politica tradizionale), e che all'improvviso si
rivelano non solo molto popolari, ma anche incredibilmente efficaci.
Nel classico caso della rivoluzione francese il ruolo di avanguardia
rivoluzionaria è stato svolto da avvocati, imprenditori, funzionari
della pubblica amministrazione dell'epoca e da una parte degli ufficiali
dell'esercito. Il fattore economico era importante, ma non essenziale.
Gli elementi scatenanti del movimento rivoluzionario sono stati prima di
tutto l'assenza di apertura nella vita pubblica e l'impossibilità di
promozione sociale. Di fatto l'aristocrazia, nel cercare di limitare a
ogni costo l'influenza degli avvocati e degli uomini d'affari, ha
favorito la rivoluzione. In tutta Europa – a eccezione della saggia
Inghilterra – la nuova classe media non era in grado di decidere il suo
destino.
Qual è oggi la discriminazione? E’ simile e diversa al tempo stesso.
Senza dubbio l'aristocrazia non monopolizza più il processo decisionale,
ma i banchieri, gli speculatori di borsa e i manager che guadagnano
centinaia di milioni di euro estromettono da questo processo la classe
media, che ne subisce le drammatiche conseguenze. Cipro ne è l'ultimo e
più significativo esempio.
Ma di esempi ce ne sono molti altri. Prendiamo i professori
universitari, che non solo in Polonia ma in tutta Europa tremano per il
loro posto di lavoro, soprattutto se hanno la sfortuna di insegnare
materie dichiarate poco utili dall'Unione europea, dagli stati membri e
dalle multinazionali che definiscono il mercato del lavoro.
In Slovacchia, per esempio, le scienze umane sono state quasi
cancellate, mettendo in grave difficoltà gli esperti di materie come la
storia, la grammatica, l'etnografia o la logica. Fra non molto altre
categorie professionali seguiranno la stessa sorte, come i funzionari
della pubblica amministrazione, il cui numero è letteralmente esploso in
passato. È colpa loro? No di certo. E che cosa può fare un funzionario
licenziato con 15 anni di anzianità alle spalle e che ha sempre
conosciuto la sicurezza del posto di lavoro? Probabilmente non molto. E
lo stesso discorso vale per tutti quei giovani laureati che il mercato
del lavoro ha lasciato sul bordo della strada, e per gli artisti, i
giornalisti e gli altri lavoratori diventati precari a causa
dell'avvento dell'era digitale.
Dominio dei vecchi
Le rivoluzioni emergono attraverso l’esclusione professionale e
decisionale e il deficit democratico. Si battono anche contro la
barriera generazionale o semplicemente contro il dominio dei vecchi. Non
è un caso se i capi della rivoluzione francese avevano circa 30 anni,
mentre l'età media dei partecipanti al congresso di Vienna (1815) che
ristabilì l'ordine conservatore in Europa era di oltre 60. Gli attuali
dirigenti europei hanno per lo più fra i 50 e i 60 anni, ma tenuto conto
dei progressi della medicina, è molto probabile che tra 20 anni Merkel,
Cameron, Tusk e Hollande saranno ancora al loro posto. A meno che non
vengano spazzati via da una rivoluzione.
Tutte le vie di ascesa dell'attuale classe media, per lo più giovane,
sono bloccate da miliardari, da vecchi o da gente che sembra tale a un
ragazzo di 25 anni. Questa situazione è esplosiva. È sbagliato credere
che dei giovani arrabbiati contro il sistema, ma privi del linguaggio
abituale dei partiti politici e dei movimenti politici organizzati, non
siano capaci di portare a termine una rivolta organizzata. La
rivoluzione non si è mai fatta in nome di una misura particolare, per
esempio un maggiore controllo bancario, ma perché non è più possibile
vivere in queste condizioni. Una rivoluzione, in opposizione totale con i
metodi dei partiti politici, non utilizza un linguaggio politico. La
rivoluzione grida, urla, il suono di una rivoluzione è caotico ma
perfettamente udibile.
Ma vogliamo veramente una rivoluzione? Non penso, perché la rivoluzione
vuol dire la distruzione totale prima della costruzione di un ordine
nuovo. Tuttavia i nostri leader politici continuano a non rendersi
conto di essere seduti su un barile di polvere da sparo. Non lo
capiscono, troppo preoccupati dalla sola idea che li ossessiona:
tornare alla stabilità entro 10-30 anni. Non sanno che nella storia non
si torna indietro e che le loro intenzioni ricordano la frase di Karl
Marx secondo cui la storia si ripete, ma come una farsa.
di Marcin Król
Marcin Król (1944) è un filosofo, scrittore e giornalista polacco.
Nel 2012 ha pubblicato Europa w obliczu konca ("L'Europa di fronte alla
fine").
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23 aprile 2013
LA RIVOLUZIONE E' POSSIBILE
Quando la classe media e i giovani sono sistematicamente esclusi dai
vertici economici e sociali l’unica via di sbocco è la sovversione del
sistema. I leader europei non dovrebbero dare per scontata la
stabilità.
Al contrario di quello che si pensa, in occidente non sono i poveri e i più sfortunati a fare le rivoluzioni, ma le classi medie. È quello che è successo in tutte le rivoluzioni a cominciare dalla rivoluzione francese e con la sola eccezione della rivoluzione d'ottobre, che fu un colpo di stato compiuto in una situazione di estremo disordine politico.
Ma quand’è che la classe media decide di lanciarsi in una rivoluzione?
In primo luogo non si tratta della classe media nel suo insieme né di un gruppo organizzato né tanto meno di una comunità, ma dei leader della classe media, quegli stessi che oggi vincono le elezioni in Europa e che sono definiti irresponsabili (perché non appartengono alla geriatrica classe politica tradizionale), e che all'improvviso si rivelano non solo molto popolari, ma anche incredibilmente efficaci.
Nel classico caso della rivoluzione francese il ruolo di avanguardia rivoluzionaria è stato svolto da avvocati, imprenditori, funzionari della pubblica amministrazione dell'epoca e da una parte degli ufficiali dell'esercito. Il fattore economico era importante, ma non essenziale. Gli elementi scatenanti del movimento rivoluzionario sono stati prima di tutto l'assenza di apertura nella vita pubblica e l'impossibilità di promozione sociale. Di fatto l'aristocrazia, nel cercare di limitare a ogni costo l'influenza degli avvocati e degli uomini d'affari, ha favorito la rivoluzione. In tutta Europa – a eccezione della saggia Inghilterra – la nuova classe media non era in grado di decidere il suo destino.
Qual è oggi la discriminazione? E’ simile e diversa al tempo stesso. Senza dubbio l'aristocrazia non monopolizza più il processo decisionale, ma i banchieri, gli speculatori di borsa e i manager che guadagnano centinaia di milioni di euro estromettono da questo processo la classe media, che ne subisce le drammatiche conseguenze. Cipro ne è l'ultimo e più significativo esempio.
Ma di esempi ce ne sono molti altri. Prendiamo i professori universitari, che non solo in Polonia ma in tutta Europa tremano per il loro posto di lavoro, soprattutto se hanno la sfortuna di insegnare materie dichiarate poco utili dall'Unione europea, dagli stati membri e dalle multinazionali che definiscono il mercato del lavoro.
In Slovacchia, per esempio, le scienze umane sono state quasi cancellate, mettendo in grave difficoltà gli esperti di materie come la storia, la grammatica, l'etnografia o la logica. Fra non molto altre categorie professionali seguiranno la stessa sorte, come i funzionari della pubblica amministrazione, il cui numero è letteralmente esploso in passato. È colpa loro? No di certo. E che cosa può fare un funzionario licenziato con 15 anni di anzianità alle spalle e che ha sempre conosciuto la sicurezza del posto di lavoro? Probabilmente non molto. E lo stesso discorso vale per tutti quei giovani laureati che il mercato del lavoro ha lasciato sul bordo della strada, e per gli artisti, i giornalisti e gli altri lavoratori diventati precari a causa dell'avvento dell'era digitale.
Dominio dei vecchi
Le rivoluzioni emergono attraverso l’esclusione professionale e decisionale e il deficit democratico. Si battono anche contro la barriera generazionale o semplicemente contro il dominio dei vecchi. Non è un caso se i capi della rivoluzione francese avevano circa 30 anni, mentre l'età media dei partecipanti al congresso di Vienna (1815) che ristabilì l'ordine conservatore in Europa era di oltre 60. Gli attuali dirigenti europei hanno per lo più fra i 50 e i 60 anni, ma tenuto conto dei progressi della medicina, è molto probabile che tra 20 anni Merkel, Cameron, Tusk e Hollande saranno ancora al loro posto. A meno che non vengano spazzati via da una rivoluzione.
Tutte le vie di ascesa dell'attuale classe media, per lo più giovane, sono bloccate da miliardari, da vecchi o da gente che sembra tale a un ragazzo di 25 anni. Questa situazione è esplosiva. È sbagliato credere che dei giovani arrabbiati contro il sistema, ma privi del linguaggio abituale dei partiti politici e dei movimenti politici organizzati, non siano capaci di portare a termine una rivolta organizzata. La rivoluzione non si è mai fatta in nome di una misura particolare, per esempio un maggiore controllo bancario, ma perché non è più possibile vivere in queste condizioni. Una rivoluzione, in opposizione totale con i metodi dei partiti politici, non utilizza un linguaggio politico. La rivoluzione grida, urla, il suono di una rivoluzione è caotico ma perfettamente udibile.
Ma vogliamo veramente una rivoluzione? Non penso, perché la rivoluzione vuol dire la distruzione totale prima della costruzione di un ordine nuovo. Tuttavia i nostri leader politici continuano a non rendersi conto di essere seduti su un barile di polvere da sparo. Non lo capiscono, troppo preoccupati dalla sola idea che li ossessiona: tornare alla stabilità entro 10-30 anni. Non sanno che nella storia non si torna indietro e che le loro intenzioni ricordano la frase di Karl Marx secondo cui la storia si ripete, ma come una farsa.
di Marcin Król
Marcin Król (1944) è un filosofo, scrittore e giornalista polacco. Nel 2012 ha pubblicato Europa w obliczu konca ("L'Europa di fronte alla fine").
Al contrario di quello che si pensa, in occidente non sono i poveri e i più sfortunati a fare le rivoluzioni, ma le classi medie. È quello che è successo in tutte le rivoluzioni a cominciare dalla rivoluzione francese e con la sola eccezione della rivoluzione d'ottobre, che fu un colpo di stato compiuto in una situazione di estremo disordine politico.
Ma quand’è che la classe media decide di lanciarsi in una rivoluzione?
In primo luogo non si tratta della classe media nel suo insieme né di un gruppo organizzato né tanto meno di una comunità, ma dei leader della classe media, quegli stessi che oggi vincono le elezioni in Europa e che sono definiti irresponsabili (perché non appartengono alla geriatrica classe politica tradizionale), e che all'improvviso si rivelano non solo molto popolari, ma anche incredibilmente efficaci.
Nel classico caso della rivoluzione francese il ruolo di avanguardia rivoluzionaria è stato svolto da avvocati, imprenditori, funzionari della pubblica amministrazione dell'epoca e da una parte degli ufficiali dell'esercito. Il fattore economico era importante, ma non essenziale. Gli elementi scatenanti del movimento rivoluzionario sono stati prima di tutto l'assenza di apertura nella vita pubblica e l'impossibilità di promozione sociale. Di fatto l'aristocrazia, nel cercare di limitare a ogni costo l'influenza degli avvocati e degli uomini d'affari, ha favorito la rivoluzione. In tutta Europa – a eccezione della saggia Inghilterra – la nuova classe media non era in grado di decidere il suo destino.
Qual è oggi la discriminazione? E’ simile e diversa al tempo stesso. Senza dubbio l'aristocrazia non monopolizza più il processo decisionale, ma i banchieri, gli speculatori di borsa e i manager che guadagnano centinaia di milioni di euro estromettono da questo processo la classe media, che ne subisce le drammatiche conseguenze. Cipro ne è l'ultimo e più significativo esempio.
Ma di esempi ce ne sono molti altri. Prendiamo i professori universitari, che non solo in Polonia ma in tutta Europa tremano per il loro posto di lavoro, soprattutto se hanno la sfortuna di insegnare materie dichiarate poco utili dall'Unione europea, dagli stati membri e dalle multinazionali che definiscono il mercato del lavoro.
In Slovacchia, per esempio, le scienze umane sono state quasi cancellate, mettendo in grave difficoltà gli esperti di materie come la storia, la grammatica, l'etnografia o la logica. Fra non molto altre categorie professionali seguiranno la stessa sorte, come i funzionari della pubblica amministrazione, il cui numero è letteralmente esploso in passato. È colpa loro? No di certo. E che cosa può fare un funzionario licenziato con 15 anni di anzianità alle spalle e che ha sempre conosciuto la sicurezza del posto di lavoro? Probabilmente non molto. E lo stesso discorso vale per tutti quei giovani laureati che il mercato del lavoro ha lasciato sul bordo della strada, e per gli artisti, i giornalisti e gli altri lavoratori diventati precari a causa dell'avvento dell'era digitale.
Dominio dei vecchi
Le rivoluzioni emergono attraverso l’esclusione professionale e decisionale e il deficit democratico. Si battono anche contro la barriera generazionale o semplicemente contro il dominio dei vecchi. Non è un caso se i capi della rivoluzione francese avevano circa 30 anni, mentre l'età media dei partecipanti al congresso di Vienna (1815) che ristabilì l'ordine conservatore in Europa era di oltre 60. Gli attuali dirigenti europei hanno per lo più fra i 50 e i 60 anni, ma tenuto conto dei progressi della medicina, è molto probabile che tra 20 anni Merkel, Cameron, Tusk e Hollande saranno ancora al loro posto. A meno che non vengano spazzati via da una rivoluzione.
Tutte le vie di ascesa dell'attuale classe media, per lo più giovane, sono bloccate da miliardari, da vecchi o da gente che sembra tale a un ragazzo di 25 anni. Questa situazione è esplosiva. È sbagliato credere che dei giovani arrabbiati contro il sistema, ma privi del linguaggio abituale dei partiti politici e dei movimenti politici organizzati, non siano capaci di portare a termine una rivolta organizzata. La rivoluzione non si è mai fatta in nome di una misura particolare, per esempio un maggiore controllo bancario, ma perché non è più possibile vivere in queste condizioni. Una rivoluzione, in opposizione totale con i metodi dei partiti politici, non utilizza un linguaggio politico. La rivoluzione grida, urla, il suono di una rivoluzione è caotico ma perfettamente udibile.
Ma vogliamo veramente una rivoluzione? Non penso, perché la rivoluzione vuol dire la distruzione totale prima della costruzione di un ordine nuovo. Tuttavia i nostri leader politici continuano a non rendersi conto di essere seduti su un barile di polvere da sparo. Non lo capiscono, troppo preoccupati dalla sola idea che li ossessiona: tornare alla stabilità entro 10-30 anni. Non sanno che nella storia non si torna indietro e che le loro intenzioni ricordano la frase di Karl Marx secondo cui la storia si ripete, ma come una farsa.
di Marcin Król
Marcin Król (1944) è un filosofo, scrittore e giornalista polacco. Nel 2012 ha pubblicato Europa w obliczu konca ("L'Europa di fronte alla fine").
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