01 marzo 2009

I nuovi rapporti di forza internazionali.

nuove_sorelle500

Del Prof. Nico Perrone (professore di Storia dell’America e Storia Contemporanea all’Università di Bari) posso dire di avere un ottimo ricordo personale essendo stato il relatore, nel 2002, del mio lavoro di laurea sulla Storia e l’ideologia del Black Panther Party. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo pubblicamente dei consigli che ha saputo darmi, in un periodo giovanile nel quale prevale spesso l’infervoramento dottrinario rispetto al più perspicuo ragionamento scientifico (G.P.)

Benvenuto Prof. Perrone. Ho chiesto agli altri membri del nostro gruppo (riunito intorno ai lavori teorici del prof. Gianfranco La Grassa) di poterle fare qualche domanda, in un momento storico così difficile per l’economia mondiale e la situazione politica del nostro Paese. Lei, oltre ad essere esperto di affari internazionali e di politica italiana, è tra i massimi conoscitori delle vicende di una delle più importanti imprese di punta della nazione, l’ENI, oltreché del suo storico presidente Enrico Mattei.
Detto ciò mi sembrava fruttuoso discutere con Lei di alcune questioni.

G.P. - Come valuta, in questo momento storico di ridefinizione dei rapporti di forza a livello
internazionale – con l’entrata del mondo in una fase pienamente multipolare che segna la fine del monocentrismo americano e il riaffacciarsi sullo scacchiere internazionale di vecchie e nuove potenze - la strategia di alleanze tra imprese del settore energetico che vede la nostra Eni e la russa Gazprom in piena comunità d’intenti? Tale alleanza sembra non piacere molto agli americani che puntano, invece, ad isolare la Russia e ad aggirare i suoi rifornimenti di gas attraverso progetti alternativi come il Nabucco, sul quale anche la BEI (Banca Europea Investimenti) si dice pronta a mettere il suo imprimatur, finanziando il 25% del costo totale del progetto. La strada più lungimirante per il nostro Paese, anche in previsione della costruzione di una politica estera meno supina a Washington, sarebbe invece quella intrapresa con il progetto South Stream che vede, ancora una volta, protagoniste l’Eni e la Gazprom (e i rispettivi governi). E’ possibile che si creeranno attriti molto forti con gli Usa simili a quelli che segnarono il destino di Mattei? Certamente Scaroni non è Mattei, diversa la capacità manageriale, diversa la visione complessiva del mondo, in un contesto internazionale nemmeno lontanamente paragonabile a quello della Guerra fredda, tuttavia, crede che l’attuale Ad di Eni si stia muovendo bene nei suoi rapporti con la politica interna e con i partner economici stranieri?


N.P. - I rapporti di forza sono cambiati per due ragioni. Il terrorismo, ha fortemente ridimensionato il peso strategico delle armi nucleari. Perché gli attentati possono seminare danni mirati e micidiali e se sono bene organizzati non ci sono armi che servano. Mentre la crisi finanziaria sta dimostrando la grande vulnerabilità di grandi potenze. Dell'ENI, dopo che lo stato italiano ne ha ceduto il controllo riducendo le proprie partecipazioni dal 100 per cento a un esiguo ? per cento, preferirei non parlare: non è più un fattore di forza del nostro paese, ma una multinazionale nella quale lo stato italiano conserva una significativa partecipazione di minoranza. Francia e Germania invece, sono state fermissime - con governi di qualsiasi colore politico - a mantenere il controllo dello stato nelle aziende strategiche.

G.P. - In Italia esiste un partito filo-americano, trasversale alla destra e alla sinistra, che tenta di scorporare l’ENI sottraendole la distribuzione per assegnarla alle municipalizzate (più o meno tutte facenti capo al Pd). Tutto ciò avrebbe il “nobile” obiettivo, si dice, di preservare la concorrenza e abbassare i prezzi al consumo, ma mi pare che le cose non stiano effettivamente così. Su questo tema si è fatto sentire anche il presidente di Gazprom il quale in una lettera a Il Giornale, di qualche mese fa, ha dichiarato di non capire le ragioni per cui, in una fase così delicata, i politici italiani si cimentino a depotenziare una delle aziende più forti del proprio tessuto imprenditoriale. Ciò è ancor più grave laddove i russi hanno detto esplicitamente di preferire un interlocutore unico ben strutturato, considerata la strategicità del settore, per accelerare le intese di partnership e rendere, al contempo, più fluido il processo decisionale.

N.P. - Sì, quel partito esiste. Ha presenza maggiore nel centro-sinistra. D'altronde furono proprio i governi di Prodi, Amato e Ciampi (le responsabilità maggiori le ebbe Prodi) a volere il rapido smantellamento delle partecipazioni statali, senza lasciare allo stato il controllo delle aziende strategiche.

G.P. - Dal punto di vista delle alleanze strategiche in campo energetico ugualmente importante è quella stretta dall’Eni con la Sonatrach algerina che è andata approfondendosi in quest’ultimo periodo; tanto più che Berlusconi ha recentemente dichiarato, dopo la vittoria elettorale in Sardegna, di voler far arrivare un gasdotto di quest'ultima sull'isola. C’è una similarità tra queste intese e quelle del passato?

N.P. - In queste alleanze, l'attuale ENI sembra rifarsi in qualche misura alla linea delle alleanze che fu di Mattei

G.P. - Mattei riuscì a rompere il monopolio delle sette sorelle grazie agli accordi vantaggiosi che proponeva ai paesi depositari di risorse. Le molteplici aperture nei confronti dei governi medioorientali, in questo sostenuto dalle correnti non-atlantiste della DC, permisero all’Eni di crearsi un mercato estero molto fiorente. Come Lei ha ben scritto, Enrico Mattei si fece promotore di accordi equilibrati, vedi quello con l’Iran, per convincere tali paesi che i contratti con le imprese italiane erano i più proficui per tutti. In Iran, per esempio, l’accordo siglato nel ‘57, prevedeva che il 50% dei proventi delle attività estrattive sarebbero andati direttamente allo Stato iraniano, mentre un altro 25% sarebbe finito nelle casse della NIOC, impresa dello stesso paese. Insomma, il 75% dei guadagni al paese detentore delle risorse energetiche e solo il 25% a chi ci metteva tecnologie e capacità imprenditoriali. Non è forse questo un esempio di come dovrebbe funzionare la collaborazione virtuosa tra paesi sviluppati e second comers? Ci rendiamo conto che Mattei non faceva questo per puro spirito solidaristico, tuttavia esiste un altro caso in cui un first comers si sia comportato alla stessa maniera? La storia non ha ancora fatto luce piena sulla fine di Mattei. Non vogliamo sapere come sono andati realmente i fatti perché un’idea ce l’abbiamo di già. Prescindendo dunque dalla cronistoria, quali sono le sue valutazioni storiche e politiche in merito alla strategia perseguita da Mattei in piena fase bipolare?

N.P. - Mattei fece politica estera con quegli accordi. Non dimentichiamo che nelle posizioni formalmente cruciali dello stato, c'erano il presidente del consiglio Fanfani e il presidente della Repubblica. La rottura delle condizioni del mercato realizzata da Mattei, tatticamente servì, anzi era indispensabile, ma dal punto di visto finanziario non poteva reggere a lungo, anche perché i giacimenti trovati non furono particolarmente vantaggiosi per l'Italia

G.P. - Mattei non gradiva gli stereotipi sugli italiani e mal digeriva l’accostamento che spesso si faceva all’estero del nostro popolo, mangiatore di spaghetti e suonatore di mandolino. Il ruolo internazionale dell’Italia è andato, dalla morte di Mattei in poi, accostandosi ad un sempre più basso profilo. Esiste secondo Lei la possibilità di invertire questa nefasta rotta e come?

N.P. - Credo che sugli spaghetti, Mattei sbagliasse: sono oggi una voce importante delle esportazioni. A parte il vantaggio culturale di avere diffuso nel mondo questa abitudine italiana. Il momento per la politica estera italiana, da qualche anno è infelice. Eravamo nella NATO ma facevamo sentire la nostra voce con tanti utili dissensi. In anni più recenti invece abbiamo rinunciato a fare una politica estera autonoma, e con D'Alema ci siamo accodati agli USA in posizione acritica, fino al punto di partecipare - contro la nostra costituzione – a qualche guerra.

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01 marzo 2009

I nuovi rapporti di forza internazionali.

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Del Prof. Nico Perrone (professore di Storia dell’America e Storia Contemporanea all’Università di Bari) posso dire di avere un ottimo ricordo personale essendo stato il relatore, nel 2002, del mio lavoro di laurea sulla Storia e l’ideologia del Black Panther Party. Approfitto dell’occasione per ringraziarlo pubblicamente dei consigli che ha saputo darmi, in un periodo giovanile nel quale prevale spesso l’infervoramento dottrinario rispetto al più perspicuo ragionamento scientifico (G.P.)

Benvenuto Prof. Perrone. Ho chiesto agli altri membri del nostro gruppo (riunito intorno ai lavori teorici del prof. Gianfranco La Grassa) di poterle fare qualche domanda, in un momento storico così difficile per l’economia mondiale e la situazione politica del nostro Paese. Lei, oltre ad essere esperto di affari internazionali e di politica italiana, è tra i massimi conoscitori delle vicende di una delle più importanti imprese di punta della nazione, l’ENI, oltreché del suo storico presidente Enrico Mattei.
Detto ciò mi sembrava fruttuoso discutere con Lei di alcune questioni.

G.P. - Come valuta, in questo momento storico di ridefinizione dei rapporti di forza a livello
internazionale – con l’entrata del mondo in una fase pienamente multipolare che segna la fine del monocentrismo americano e il riaffacciarsi sullo scacchiere internazionale di vecchie e nuove potenze - la strategia di alleanze tra imprese del settore energetico che vede la nostra Eni e la russa Gazprom in piena comunità d’intenti? Tale alleanza sembra non piacere molto agli americani che puntano, invece, ad isolare la Russia e ad aggirare i suoi rifornimenti di gas attraverso progetti alternativi come il Nabucco, sul quale anche la BEI (Banca Europea Investimenti) si dice pronta a mettere il suo imprimatur, finanziando il 25% del costo totale del progetto. La strada più lungimirante per il nostro Paese, anche in previsione della costruzione di una politica estera meno supina a Washington, sarebbe invece quella intrapresa con il progetto South Stream che vede, ancora una volta, protagoniste l’Eni e la Gazprom (e i rispettivi governi). E’ possibile che si creeranno attriti molto forti con gli Usa simili a quelli che segnarono il destino di Mattei? Certamente Scaroni non è Mattei, diversa la capacità manageriale, diversa la visione complessiva del mondo, in un contesto internazionale nemmeno lontanamente paragonabile a quello della Guerra fredda, tuttavia, crede che l’attuale Ad di Eni si stia muovendo bene nei suoi rapporti con la politica interna e con i partner economici stranieri?


N.P. - I rapporti di forza sono cambiati per due ragioni. Il terrorismo, ha fortemente ridimensionato il peso strategico delle armi nucleari. Perché gli attentati possono seminare danni mirati e micidiali e se sono bene organizzati non ci sono armi che servano. Mentre la crisi finanziaria sta dimostrando la grande vulnerabilità di grandi potenze. Dell'ENI, dopo che lo stato italiano ne ha ceduto il controllo riducendo le proprie partecipazioni dal 100 per cento a un esiguo ? per cento, preferirei non parlare: non è più un fattore di forza del nostro paese, ma una multinazionale nella quale lo stato italiano conserva una significativa partecipazione di minoranza. Francia e Germania invece, sono state fermissime - con governi di qualsiasi colore politico - a mantenere il controllo dello stato nelle aziende strategiche.

G.P. - In Italia esiste un partito filo-americano, trasversale alla destra e alla sinistra, che tenta di scorporare l’ENI sottraendole la distribuzione per assegnarla alle municipalizzate (più o meno tutte facenti capo al Pd). Tutto ciò avrebbe il “nobile” obiettivo, si dice, di preservare la concorrenza e abbassare i prezzi al consumo, ma mi pare che le cose non stiano effettivamente così. Su questo tema si è fatto sentire anche il presidente di Gazprom il quale in una lettera a Il Giornale, di qualche mese fa, ha dichiarato di non capire le ragioni per cui, in una fase così delicata, i politici italiani si cimentino a depotenziare una delle aziende più forti del proprio tessuto imprenditoriale. Ciò è ancor più grave laddove i russi hanno detto esplicitamente di preferire un interlocutore unico ben strutturato, considerata la strategicità del settore, per accelerare le intese di partnership e rendere, al contempo, più fluido il processo decisionale.

N.P. - Sì, quel partito esiste. Ha presenza maggiore nel centro-sinistra. D'altronde furono proprio i governi di Prodi, Amato e Ciampi (le responsabilità maggiori le ebbe Prodi) a volere il rapido smantellamento delle partecipazioni statali, senza lasciare allo stato il controllo delle aziende strategiche.

G.P. - Dal punto di vista delle alleanze strategiche in campo energetico ugualmente importante è quella stretta dall’Eni con la Sonatrach algerina che è andata approfondendosi in quest’ultimo periodo; tanto più che Berlusconi ha recentemente dichiarato, dopo la vittoria elettorale in Sardegna, di voler far arrivare un gasdotto di quest'ultima sull'isola. C’è una similarità tra queste intese e quelle del passato?

N.P. - In queste alleanze, l'attuale ENI sembra rifarsi in qualche misura alla linea delle alleanze che fu di Mattei

G.P. - Mattei riuscì a rompere il monopolio delle sette sorelle grazie agli accordi vantaggiosi che proponeva ai paesi depositari di risorse. Le molteplici aperture nei confronti dei governi medioorientali, in questo sostenuto dalle correnti non-atlantiste della DC, permisero all’Eni di crearsi un mercato estero molto fiorente. Come Lei ha ben scritto, Enrico Mattei si fece promotore di accordi equilibrati, vedi quello con l’Iran, per convincere tali paesi che i contratti con le imprese italiane erano i più proficui per tutti. In Iran, per esempio, l’accordo siglato nel ‘57, prevedeva che il 50% dei proventi delle attività estrattive sarebbero andati direttamente allo Stato iraniano, mentre un altro 25% sarebbe finito nelle casse della NIOC, impresa dello stesso paese. Insomma, il 75% dei guadagni al paese detentore delle risorse energetiche e solo il 25% a chi ci metteva tecnologie e capacità imprenditoriali. Non è forse questo un esempio di come dovrebbe funzionare la collaborazione virtuosa tra paesi sviluppati e second comers? Ci rendiamo conto che Mattei non faceva questo per puro spirito solidaristico, tuttavia esiste un altro caso in cui un first comers si sia comportato alla stessa maniera? La storia non ha ancora fatto luce piena sulla fine di Mattei. Non vogliamo sapere come sono andati realmente i fatti perché un’idea ce l’abbiamo di già. Prescindendo dunque dalla cronistoria, quali sono le sue valutazioni storiche e politiche in merito alla strategia perseguita da Mattei in piena fase bipolare?

N.P. - Mattei fece politica estera con quegli accordi. Non dimentichiamo che nelle posizioni formalmente cruciali dello stato, c'erano il presidente del consiglio Fanfani e il presidente della Repubblica. La rottura delle condizioni del mercato realizzata da Mattei, tatticamente servì, anzi era indispensabile, ma dal punto di visto finanziario non poteva reggere a lungo, anche perché i giacimenti trovati non furono particolarmente vantaggiosi per l'Italia

G.P. - Mattei non gradiva gli stereotipi sugli italiani e mal digeriva l’accostamento che spesso si faceva all’estero del nostro popolo, mangiatore di spaghetti e suonatore di mandolino. Il ruolo internazionale dell’Italia è andato, dalla morte di Mattei in poi, accostandosi ad un sempre più basso profilo. Esiste secondo Lei la possibilità di invertire questa nefasta rotta e come?

N.P. - Credo che sugli spaghetti, Mattei sbagliasse: sono oggi una voce importante delle esportazioni. A parte il vantaggio culturale di avere diffuso nel mondo questa abitudine italiana. Il momento per la politica estera italiana, da qualche anno è infelice. Eravamo nella NATO ma facevamo sentire la nostra voce con tanti utili dissensi. In anni più recenti invece abbiamo rinunciato a fare una politica estera autonoma, e con D'Alema ci siamo accodati agli USA in posizione acritica, fino al punto di partecipare - contro la nostra costituzione – a qualche guerra.

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