30 marzo 2009
Si salvi chi può: gli Usa verso la svalutazione del dollaro
Mercoledì scorso, il 18 marzo, la FED ha annunciato l'acquisto, nei prossimi sei mesi, di Titoli del Tesoro americano a lungo termine per un quantitativo di circa 300 miliardi di dollari, decidendo nel contempo di ampliare di 750 miliardi gli acquisti di titoli immobiliari garantiti (?) da mutui. Si è inoltre deciso di raddoppiare da 100 a 200 miliardi di dollari l'importo destinato all'acquisto del debito di Fannie Mae e di Freddie Mac, colossi immobiliari governativi. In questo modo la FED è decisamente passata all'azione, replicando le mosse che la Banca d'Inghilterra ha già attuato: il cosiddetto “quantitative easing”.
La misura consiste in una immissione di liquidità nel sistema bancario ottenuta attraverso l'acquisto di titoli, in genere di Stato, dalle banche: le quali, con il ricavato, possono incrementare le loro riserve. Oltre a questa prima conseguenza si ottiene anche l'abbassamento della curva dei tassi a lungo termine.
In genere misure di questo tipo vengono adottate quando altri interventi sui tassi risultino inefficaci in quanto, ad esempio, quelli a breve sono già, come nel caso attuale, troppo bassi. Ulteriore conseguenza di queste massicce iniezioni di liquidità è di tipo strettamente valutario: il sistema è inondato da una liquidità eccessiva e il contraccolpo sulla valuta di riferimento è inevitabile. Nella fattispecie, il cambio del dollaro ha subito risentito di questo atteggiamento della FED e ha portato, nei confronti dell'Euro ad una valutazione immediatamente superiore a 1,36. Stimolando eccessivamente la liquidità, inoltre, tale misura rischia di accentuare l'inflazione, cosa che, a livello europeo, Germania in primis, è vista con estrema preoccupazione.
In parole povere gli USA, oltre ad aver causato i grandi guai che ormai tutti conosciamo e aver gettato le basi per un dissesto a livello globale, stanno andando per conto loro proprio in quella politica finanziaria che è il cuore del problema. E lo stanno facendo proprio alla vigilia di quel G20 che avrebbe più che mai bisogno di accogliere il consenso di tutti per trovare un nuovo, e assai difficile, equilibrio finanziario, che porti l'economia globale fuori da una recessione così grave. Forti di una posizione dominante a livello valutario – essendo il dollaro moneta di riferimento per materie prime, a cominciare dal petrolio, e scambi internazionali – gli Stati Uniti non hanno alcun riguardo verso i partner commerciali ed agiscono impunemente cercando di salvare se stessi, quand’anche affossando la propria valuta con una svalutazione così marcata da poter essere definita, senza esagerare, "competitiva".
Cosa potrà accadere su questo fronte lo vedremo meglio nei prossimi giorni, ma, tanto per fissare qualche "prezzo" concreto, non è improbabile che nel cambio contro Euro, qualora si dovesse assistere al superamento grafico delle “medie mobili lunghe”, il dollaro si posizioni a una quota comunque superiore ai massimi precedenti. Fino a raggiungere, forse, un valore oscillante tra 1,70 e 1,80. In questo modo verrebbero penalizzate, e molto, tutte le esportazioni del Vecchio continente anche e proprio nei mercati che "contano", cioè in quelli orientali. Non contenti di tutto questo, gli USA vorrebbero che gli Stati Ue si impegnassero di più negli interventi di sostegno alle proprie economie, e insistono a chiederlo nonostante le valutazioni negative espresse, a livello ufficiale, qui in Europa. Muovendosi in questo modo prima del G20 Washington rischia di affossare un accordo globale – come d'altronde gli USA hanno storicamente già fatto nella conferenza economica del 1933 di Londra (guarda caso) con la amministrazione Roosevelt – prima ancora del suo stesso sorgere, generando una serie di svalutazioni a catena che porterebbero il pianeta intero al caos valutario. Prodromi di questa visione appaiono le mosse intese a svalutare il cambio della Svezia e, soprattutto, della Svizzera, che ha indebolito il franco con acquisti di oro. Pur essendo vero che questa mossa la Svizzera l'ha effettuata, per ora, solo quale misura compensativa di una eccessiva rivalutazione della propria moneta, essa lascia comunque interrogativi inquietanti sul futuro.
C'è da chiedersi, infine, come si possa continuare a ergersi a difensori del libero mercato globale, quando poi, in un clima come questo, il governo di Pechino – che ha consistenti investimenti in Titoli del Tesoro americano, quindi espressi in dollari – vedendo i propri investimenti a rischio si stranisca e si metta di traverso nell’acquisizione da parte di Coca Cola di China Huiyuan Juice.
by il Ribelle
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30 marzo 2009
Si salvi chi può: gli Usa verso la svalutazione del dollaro
Mercoledì scorso, il 18 marzo, la FED ha annunciato l'acquisto, nei prossimi sei mesi, di Titoli del Tesoro americano a lungo termine per un quantitativo di circa 300 miliardi di dollari, decidendo nel contempo di ampliare di 750 miliardi gli acquisti di titoli immobiliari garantiti (?) da mutui. Si è inoltre deciso di raddoppiare da 100 a 200 miliardi di dollari l'importo destinato all'acquisto del debito di Fannie Mae e di Freddie Mac, colossi immobiliari governativi. In questo modo la FED è decisamente passata all'azione, replicando le mosse che la Banca d'Inghilterra ha già attuato: il cosiddetto “quantitative easing”.
La misura consiste in una immissione di liquidità nel sistema bancario ottenuta attraverso l'acquisto di titoli, in genere di Stato, dalle banche: le quali, con il ricavato, possono incrementare le loro riserve. Oltre a questa prima conseguenza si ottiene anche l'abbassamento della curva dei tassi a lungo termine.
In genere misure di questo tipo vengono adottate quando altri interventi sui tassi risultino inefficaci in quanto, ad esempio, quelli a breve sono già, come nel caso attuale, troppo bassi. Ulteriore conseguenza di queste massicce iniezioni di liquidità è di tipo strettamente valutario: il sistema è inondato da una liquidità eccessiva e il contraccolpo sulla valuta di riferimento è inevitabile. Nella fattispecie, il cambio del dollaro ha subito risentito di questo atteggiamento della FED e ha portato, nei confronti dell'Euro ad una valutazione immediatamente superiore a 1,36. Stimolando eccessivamente la liquidità, inoltre, tale misura rischia di accentuare l'inflazione, cosa che, a livello europeo, Germania in primis, è vista con estrema preoccupazione.
In parole povere gli USA, oltre ad aver causato i grandi guai che ormai tutti conosciamo e aver gettato le basi per un dissesto a livello globale, stanno andando per conto loro proprio in quella politica finanziaria che è il cuore del problema. E lo stanno facendo proprio alla vigilia di quel G20 che avrebbe più che mai bisogno di accogliere il consenso di tutti per trovare un nuovo, e assai difficile, equilibrio finanziario, che porti l'economia globale fuori da una recessione così grave. Forti di una posizione dominante a livello valutario – essendo il dollaro moneta di riferimento per materie prime, a cominciare dal petrolio, e scambi internazionali – gli Stati Uniti non hanno alcun riguardo verso i partner commerciali ed agiscono impunemente cercando di salvare se stessi, quand’anche affossando la propria valuta con una svalutazione così marcata da poter essere definita, senza esagerare, "competitiva".
Cosa potrà accadere su questo fronte lo vedremo meglio nei prossimi giorni, ma, tanto per fissare qualche "prezzo" concreto, non è improbabile che nel cambio contro Euro, qualora si dovesse assistere al superamento grafico delle “medie mobili lunghe”, il dollaro si posizioni a una quota comunque superiore ai massimi precedenti. Fino a raggiungere, forse, un valore oscillante tra 1,70 e 1,80. In questo modo verrebbero penalizzate, e molto, tutte le esportazioni del Vecchio continente anche e proprio nei mercati che "contano", cioè in quelli orientali. Non contenti di tutto questo, gli USA vorrebbero che gli Stati Ue si impegnassero di più negli interventi di sostegno alle proprie economie, e insistono a chiederlo nonostante le valutazioni negative espresse, a livello ufficiale, qui in Europa. Muovendosi in questo modo prima del G20 Washington rischia di affossare un accordo globale – come d'altronde gli USA hanno storicamente già fatto nella conferenza economica del 1933 di Londra (guarda caso) con la amministrazione Roosevelt – prima ancora del suo stesso sorgere, generando una serie di svalutazioni a catena che porterebbero il pianeta intero al caos valutario. Prodromi di questa visione appaiono le mosse intese a svalutare il cambio della Svezia e, soprattutto, della Svizzera, che ha indebolito il franco con acquisti di oro. Pur essendo vero che questa mossa la Svizzera l'ha effettuata, per ora, solo quale misura compensativa di una eccessiva rivalutazione della propria moneta, essa lascia comunque interrogativi inquietanti sul futuro.
C'è da chiedersi, infine, come si possa continuare a ergersi a difensori del libero mercato globale, quando poi, in un clima come questo, il governo di Pechino – che ha consistenti investimenti in Titoli del Tesoro americano, quindi espressi in dollari – vedendo i propri investimenti a rischio si stranisca e si metta di traverso nell’acquisizione da parte di Coca Cola di China Huiyuan Juice.
by il Ribelle
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