21 marzo 2009
La sovranità alimentare
Sono numerose le ragioni per prendere in seria considerazione la sovranità alimentare. A medio e lungo termine, il riscaldamento globale, la rarefazione irreversibile delle risorse naturali, la distruzione delle coltivazioni agricole delle famiglie e le scandalose ingiustizie nella ripartizione dei prodotti alimentari che avvengono alle nostre latitudini, provocheranno drammatiche crisi di approvvigionamento. Ugualmente pericoloso è il crollo degli approvvigionamenti dovuto a catastrofi naturali, al repentino aumento dei prezzi e ai conflitti politici e militari. In passato ci siamo lasciati illudere da scenari rassicuranti illusori, trascurando così la possibilità di assicurare e sviluppare le condizioni della sovranità alimentare. La silenziosa obbedienza di una larga maggioranza all’epoca della riforma – dello stravolgimento sociale secondo i dogmi neoconservatori – ha condotto, tra le altre cose, al fatto che oggi l’umanità sia più che mai lontana dal riuscire a gestire i problemi legati alla fame e alla povertà. Il Rapporto sull’agricoltura mondiale, pubblicato nell’agosto 2008, smaschera la menzogna neoliberale e dimostra che bisogna agire subito. Rivela le lacune scandalose del sistema economico mondiale che rende enormi profitti a una piccola minoranza di gente senza scrupoli. Gli autori del Rapporto chiedono un cambiamento sostanziale della politica e delle economie agricole e mettono in primo piano la sovranità alimentare per tutti i popoli e tutte le nazioni.
Solidarietà e responsabilità individuale
per ammortizzare i colpi
Da secoli, i Paesi ricchi avanzano economicamente sfruttando i Paesi «meno sviluppati». Da un lato la sovrabbondanza, dall’altro la povertà. Facciamo penare gli altri, li lasciamo soffrire di fame e cadere nella miseria per creare le nostre oasi di benessere, i nostri paradisi di divertimenti e la nostra società di servizi e d’informazione priva di valori. E’ drammatico che in molti Paesi industrializzati molte persone non si rendano conto che un giorno si troveranno anche loro dalla parte dei perdenti di un nuovo ordine sociale, a meno che i cittadini non comincino ad opporsi all’ingiustizia. Per il momento, noi ci troviamo in una «buona posizione», benché già nella fase in cui sta venendo meno la nostra sicurezza esistenziale. Lottiamo individualmente per salvare ciò che può essere salvato, nonostante già da molto tempo si renda indispensabile unire le nostre forze per combattere l’ingiustizia, la contrazione delle risorse messa in atto da un élite rapace e avida di potere. Se da un lato proviamo pena nell’accettare che coloro che vivono nel sud del mondo soffrano in gran parte di povertà e fame, dall’altro accettiamo che, nei Paesi industrializzati dell’Occidente, vengano meno i principi di protezione sociale.
L’attuale crisi finanziaria ed economica è ancora una volta occasione per imporre il cosiddetto «consenso di Washington» proclamato nel 1989 dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Si tratta di far capire a tutti che le negoziazioni e le discussioni in materia economica non conformi all’ideologia del mercato devono essere vietate. Il «consenso di Washington» rilancia la strategia della restrizione delle democrazie. Ne fa parte prima di tutto l’eliminazione della rivendicazione liberale di sovranità, il più grande ostacolo nella crociata a favore di un sistema economico globale neoliberale conforme alla Scuola di Chicago.
Su questo argomento, le richieste avanzate nel Vertice di Berlino convocato dal cancelliere tedesco Angela Merkel in vista della preparazione del G20, che si terrà il 2 aprile prossimo a Londra, sono particolarmente allarmanti. Grazie ad una nuova «architettura dei mercati finanziari», gli Stati sovrani dovranno sottoporsi ad un organo di controllo globale e il FMI, la Banca mondiale e l’OMC devono essere abilitati a punire, attraverso delle sanzioni, gli Stati «recalcitranti» ad una regolamentazione globale. La democrazia – intesa come partecipazione dei cittadini responsabili alle decisioni, il riparo più efficace contro il dilagare del mercato liberalizzato – va definitivamente distrutta. Mai più niente deve ostacolare la sete di potere e di profitto dell’alta finanza, così come la mercificazione distruttrice dei valori e la destabilizzazione di tutte le economie.
Dobbiamo contrastare questa strategia di potentati globali attraverso un’associazione solidale per la difesa della nostra libertà. D’accordo con il motto «Uno per tutti, tutti per uno», dobbiamo impedire che la sicurezza del lavoro, le istituzioni sociali, i sistemi sanitari ed educativi efficienti, le infrastrutture dei trasporti e di approvvigionamento finiscano in modo definitivo nel caos prodotto dagli sbandamenti neoliberali.
L’esplosione delle bolle
annienta le economie nazionali
Le bolle del sistema finanziario ed economico globale liberale sono scoppiate, o meglio, sono state fatte scoppiare. Il divario tra l’economia reale e quella finanziaria ha determinato un crollo colossale che trascina nell’abisso le economie mondiali già traballanti. Le ricchezze nazionali accumulate nel corso di generazioni devono ora essere sacrificate ai «vitelli d’oro» neoliberali. Miliardi e miliardi di dollari, euro e franchi vengono immessi in un sistema malato senza salvare un solo posto di lavoro. Ma c’è di peggio: le imprese sostenute dagli aiuti statali presentano dei «piani di risanamento» che faranno perdere migliaia di posti di lavoro. L’Europa prevede un tasso di disoccupazione di almeno un 10%, ma questo dovrebbe essere un pronostico «ottimista». Aiutando finanziariamente le industrie e le banche in difficoltà, i Paesi europei rischiano la bancarotta. Certamente, uno Stato non potrà mai fallire; tuttavia, le finanze pubbliche spogliate e le perdite colossali degli istituti sociali e di previdenza, dovute alla speculazione, costituiscono un’ottima ragione per obbligare la popolazione a rinunciare «volontariamente» ai propri diritti, ai propri risparmi e alla previdenza sociale. Il punto fondamentale è di sapere in che misura la situazione disastrosa dovuta alla perdita di occupazione, all’affondamento dei sistemi economici e finanziari e ai Paesi insolventi, sia stata indotta per risolvere il problema del blocco delle riforme.
Non c’è bisogno di osare tanto. Invece di rimanere passivi, angosciati dalle minacce che pesano sulle nostre basi esistenziali, dobbiamo superare lo choc e organizzare la resistenza. E questo concentrandoci sull’essenziale, assumendoci le nostre responsabilità e, fedeli alle tradizioni democratiche, unendoci nell’azione. Il sostegno all’autonomia è un altro elemento della democrazia autentica e dell’autodeterminazione.
La solidarietà, congiuntamente al fatto di considerare la sicurezza dei mezzi di sussistenza e di sforzarsi nell’individuare questi stessi mezzi, rappresenta la forza determinante che rende possibile l’indipendenza, necessaria per proteggere la comunità internazionale e noi stessi dalla potenza distruttrice della dottrina neoliberale del libero scambio.
Annientare la dittatura economica globale attraverso la sovranità alimentare
Per i popoli, la possibilità di poter decidere essi stessi cosa coltivare, raccogliere, stoccare per poi giungere sulle tavole delle famiglie, rappresenta il mezzo diretto attraverso cui affrancarsi dalla dominazione dell’economia globale. Una volta che i popoli avranno riconquistato la sovranità nel settore dell’alimentazione e quindi della politica agricola e del commercio di prodotti alimentari, anche altri settori riusciranno a sfuggire al sistema economico globale. La priorità è tuttavia quella di riuscire ad assicurare i mezzi di sussistenza grazie ad alimenti quantitativamente sufficienti e di ottima qualità. Questa priorità sarà raggiunta nel momento in cui le famiglie, le comunità di villaggi, le regioni e gli Stati disporranno di risorse alimentari in grado di garantire che nessuno soffrirà la fame, che nessuno si ammalerà o morirà per aver ingerito alimenti o bevande avariati. Per fare questo, è necessario rispettare la diversità delle condizioni climatiche, geografiche, culturali ed economiche e permettere soluzioni rispondenti ai bisogni della popolazione.
Riconquistiamo la sovranità alimentare. Questo concetto è stato creato da La Via campesina, un gruppo mondiale che riunisce varie organizzazioni di piccoli contadini e braccianti agricoli. È nata in seguito all’insoddisfazione crescente dei contadini nei confronti della globalizzazione che ha raggiunto anche il settore agricolo. La Via campesina sostiene che un’economia agricola di tipo globale serve unicamente gli interessi delle grandi nazioni industrializzate esportatrici e l’agrobusiness mondiale. Teme invece che gli interessi delle popolazioni rurali e la sicurezza alimentare vengano schiacciate dal rullo compressore dell’OMC. Vorrebbe evitare che l’agricoltura venisse sacrificata e che venisse meno la sovranità dell’approvvigionamento. L’associazione è impegnata sul fronte del miglioramento delle condizioni di lavoro dei piccoli contadini e dei braccianti agricoli attraverso un commercio equo-solidale, una maggiore giustizia sociale e la creazione di un’economia durevole in tutto il mondo. Già all’epoca del Vertice mondiale dell’alimentazione tenutosi nel 1996, La Via campesina chiedeva la sovranità alimentare di tutti i popoli. Da allora, questa rivendicazione è stata sostenuta in modo inequivoco da un numero sempre crescente di associazioni contadine e di ONG, ed ora anche dagli autori del Rapporto sull’agricoltura mondiale.
Gli uomini devono imparare a vivere dei prodotti offerti dal loro territorio. Bisogna creare un equilibrio tra uomo e natura su un territorio limitato, un ciclo naturale di produzione e di consumo in uno spazio ristretto, senza spreco né distruzione delle condizioni di produzione e di vita naturali. Attraverso questo equilibrio, ci affrancheremo dalle dipendenze e riprenderemo in mano, poco a poco, la questione alimentare.
Metodi per realizzare la sovranità alimentare
Un elemento deve essere chiaro. Oggi, la sovranità alimentare non è una missione ad esclusivo appannaggio dei Paesi poveri ma anche di quelli ricchi, Svizzera inclusa. Ogni Paese è chiamato a risolvere il problema a modo suo, nell’interesse della lotta mondiale contro la fame. Si tratta di un atto di solidarietà che non ha niente a che vedere con il protezionismo. Benché i guru del commercio mondiale avranno un bel da fare a protestare e i governi a mantenere ostinatamente il loro punto di vista, la popolazione ha il diritto di esigere la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Il diritto di decidere circa la produzione, la trasformazione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti alimentari, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo ed ecologico, dipende da numerosi parametri essenziali. Ciascun Paese deve essere attento a:
* risparmiare accuratamente le risorse naturali e sfruttare in modo da assicurarsi il più alto livello possibile di autosufficienza nel lungo termine, ossia per le generazioni future;
* rispettare il patrimonio culturale e i valori contadini, al di là del folclore;
* assicurare agli agricoltori, indipendentemente dalla dimensione della terra coltivata, il libero accesso alle terre agricole, alle sementi, all’acqua, al sapere e ad eventuali misure protezionistiche;
* dare la priorità, nell’ambito della promozione statale, alla produzione di alimenti sani e di ottima qualità che si adattino alle specificità climatiche, culturali ed economiche;
* orientare la produzione soprattutto verso i bisogni locali e il mercato nazionale e fornire alla popolazione alimenti naturali e sani in quantità sufficienti;
* fare in modo che le strutture di produzione, trasformazione e logistica, parallelamente all’aspetto che concerne i pascoli e la misura delle coltivazioni, offrano condizioni iniziali ottimali per l’approvvigionamento locale della popolazione e garantiscano, anche in periodi di crisi, la più grande sicurezza di approvvigionamento possibile grazie alla flessibilità e alla condivisione dei rischi;
* integrare le strutture situate a monte e a valle nell’approvvigionamento alimentare concepito su piccole unità;
* pagare ai contadini prezzi adeguati permettendo loro di vivere dignitosamente;
* preparare e applicare, a seconda delle situazioni, delle misure adeguate per impedire produzioni eccedenti;
* dare la possibilità di applicare delle misure protezionistiche nei confronti dell’importazione dei cosiddetti «prodotti a basso costo» e sostenere in modo efficace la produzione di alimenti base (per es. con prezzi più alti);
* vietare nel modo più assoluto gli aiuti all’esportazione e le misure interne di sostegno all’esportazione a prezzi inferiori ai costi di produzione.
E infine: Che chi non ce l’ha ancora si costruisca una cantina e ci conservi delle riserve, coltivi un orto per la famiglia e apprenda i rudimenti di una cucina semplice e sana. Ma prima di tutto dovrà mettere in piedi nel suo quartiere o nel suo villaggio un rete di aiuti all’autonomia tra gli abitanti e con i contadini.
di Reinhard Koradi
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21 marzo 2009
La sovranità alimentare
Sono numerose le ragioni per prendere in seria considerazione la sovranità alimentare. A medio e lungo termine, il riscaldamento globale, la rarefazione irreversibile delle risorse naturali, la distruzione delle coltivazioni agricole delle famiglie e le scandalose ingiustizie nella ripartizione dei prodotti alimentari che avvengono alle nostre latitudini, provocheranno drammatiche crisi di approvvigionamento. Ugualmente pericoloso è il crollo degli approvvigionamenti dovuto a catastrofi naturali, al repentino aumento dei prezzi e ai conflitti politici e militari. In passato ci siamo lasciati illudere da scenari rassicuranti illusori, trascurando così la possibilità di assicurare e sviluppare le condizioni della sovranità alimentare. La silenziosa obbedienza di una larga maggioranza all’epoca della riforma – dello stravolgimento sociale secondo i dogmi neoconservatori – ha condotto, tra le altre cose, al fatto che oggi l’umanità sia più che mai lontana dal riuscire a gestire i problemi legati alla fame e alla povertà. Il Rapporto sull’agricoltura mondiale, pubblicato nell’agosto 2008, smaschera la menzogna neoliberale e dimostra che bisogna agire subito. Rivela le lacune scandalose del sistema economico mondiale che rende enormi profitti a una piccola minoranza di gente senza scrupoli. Gli autori del Rapporto chiedono un cambiamento sostanziale della politica e delle economie agricole e mettono in primo piano la sovranità alimentare per tutti i popoli e tutte le nazioni.
Solidarietà e responsabilità individuale
per ammortizzare i colpi
Da secoli, i Paesi ricchi avanzano economicamente sfruttando i Paesi «meno sviluppati». Da un lato la sovrabbondanza, dall’altro la povertà. Facciamo penare gli altri, li lasciamo soffrire di fame e cadere nella miseria per creare le nostre oasi di benessere, i nostri paradisi di divertimenti e la nostra società di servizi e d’informazione priva di valori. E’ drammatico che in molti Paesi industrializzati molte persone non si rendano conto che un giorno si troveranno anche loro dalla parte dei perdenti di un nuovo ordine sociale, a meno che i cittadini non comincino ad opporsi all’ingiustizia. Per il momento, noi ci troviamo in una «buona posizione», benché già nella fase in cui sta venendo meno la nostra sicurezza esistenziale. Lottiamo individualmente per salvare ciò che può essere salvato, nonostante già da molto tempo si renda indispensabile unire le nostre forze per combattere l’ingiustizia, la contrazione delle risorse messa in atto da un élite rapace e avida di potere. Se da un lato proviamo pena nell’accettare che coloro che vivono nel sud del mondo soffrano in gran parte di povertà e fame, dall’altro accettiamo che, nei Paesi industrializzati dell’Occidente, vengano meno i principi di protezione sociale.
L’attuale crisi finanziaria ed economica è ancora una volta occasione per imporre il cosiddetto «consenso di Washington» proclamato nel 1989 dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale (FMI). Si tratta di far capire a tutti che le negoziazioni e le discussioni in materia economica non conformi all’ideologia del mercato devono essere vietate. Il «consenso di Washington» rilancia la strategia della restrizione delle democrazie. Ne fa parte prima di tutto l’eliminazione della rivendicazione liberale di sovranità, il più grande ostacolo nella crociata a favore di un sistema economico globale neoliberale conforme alla Scuola di Chicago.
Su questo argomento, le richieste avanzate nel Vertice di Berlino convocato dal cancelliere tedesco Angela Merkel in vista della preparazione del G20, che si terrà il 2 aprile prossimo a Londra, sono particolarmente allarmanti. Grazie ad una nuova «architettura dei mercati finanziari», gli Stati sovrani dovranno sottoporsi ad un organo di controllo globale e il FMI, la Banca mondiale e l’OMC devono essere abilitati a punire, attraverso delle sanzioni, gli Stati «recalcitranti» ad una regolamentazione globale. La democrazia – intesa come partecipazione dei cittadini responsabili alle decisioni, il riparo più efficace contro il dilagare del mercato liberalizzato – va definitivamente distrutta. Mai più niente deve ostacolare la sete di potere e di profitto dell’alta finanza, così come la mercificazione distruttrice dei valori e la destabilizzazione di tutte le economie.
Dobbiamo contrastare questa strategia di potentati globali attraverso un’associazione solidale per la difesa della nostra libertà. D’accordo con il motto «Uno per tutti, tutti per uno», dobbiamo impedire che la sicurezza del lavoro, le istituzioni sociali, i sistemi sanitari ed educativi efficienti, le infrastrutture dei trasporti e di approvvigionamento finiscano in modo definitivo nel caos prodotto dagli sbandamenti neoliberali.
L’esplosione delle bolle
annienta le economie nazionali
Le bolle del sistema finanziario ed economico globale liberale sono scoppiate, o meglio, sono state fatte scoppiare. Il divario tra l’economia reale e quella finanziaria ha determinato un crollo colossale che trascina nell’abisso le economie mondiali già traballanti. Le ricchezze nazionali accumulate nel corso di generazioni devono ora essere sacrificate ai «vitelli d’oro» neoliberali. Miliardi e miliardi di dollari, euro e franchi vengono immessi in un sistema malato senza salvare un solo posto di lavoro. Ma c’è di peggio: le imprese sostenute dagli aiuti statali presentano dei «piani di risanamento» che faranno perdere migliaia di posti di lavoro. L’Europa prevede un tasso di disoccupazione di almeno un 10%, ma questo dovrebbe essere un pronostico «ottimista». Aiutando finanziariamente le industrie e le banche in difficoltà, i Paesi europei rischiano la bancarotta. Certamente, uno Stato non potrà mai fallire; tuttavia, le finanze pubbliche spogliate e le perdite colossali degli istituti sociali e di previdenza, dovute alla speculazione, costituiscono un’ottima ragione per obbligare la popolazione a rinunciare «volontariamente» ai propri diritti, ai propri risparmi e alla previdenza sociale. Il punto fondamentale è di sapere in che misura la situazione disastrosa dovuta alla perdita di occupazione, all’affondamento dei sistemi economici e finanziari e ai Paesi insolventi, sia stata indotta per risolvere il problema del blocco delle riforme.
Non c’è bisogno di osare tanto. Invece di rimanere passivi, angosciati dalle minacce che pesano sulle nostre basi esistenziali, dobbiamo superare lo choc e organizzare la resistenza. E questo concentrandoci sull’essenziale, assumendoci le nostre responsabilità e, fedeli alle tradizioni democratiche, unendoci nell’azione. Il sostegno all’autonomia è un altro elemento della democrazia autentica e dell’autodeterminazione.
La solidarietà, congiuntamente al fatto di considerare la sicurezza dei mezzi di sussistenza e di sforzarsi nell’individuare questi stessi mezzi, rappresenta la forza determinante che rende possibile l’indipendenza, necessaria per proteggere la comunità internazionale e noi stessi dalla potenza distruttrice della dottrina neoliberale del libero scambio.
Annientare la dittatura economica globale attraverso la sovranità alimentare
Per i popoli, la possibilità di poter decidere essi stessi cosa coltivare, raccogliere, stoccare per poi giungere sulle tavole delle famiglie, rappresenta il mezzo diretto attraverso cui affrancarsi dalla dominazione dell’economia globale. Una volta che i popoli avranno riconquistato la sovranità nel settore dell’alimentazione e quindi della politica agricola e del commercio di prodotti alimentari, anche altri settori riusciranno a sfuggire al sistema economico globale. La priorità è tuttavia quella di riuscire ad assicurare i mezzi di sussistenza grazie ad alimenti quantitativamente sufficienti e di ottima qualità. Questa priorità sarà raggiunta nel momento in cui le famiglie, le comunità di villaggi, le regioni e gli Stati disporranno di risorse alimentari in grado di garantire che nessuno soffrirà la fame, che nessuno si ammalerà o morirà per aver ingerito alimenti o bevande avariati. Per fare questo, è necessario rispettare la diversità delle condizioni climatiche, geografiche, culturali ed economiche e permettere soluzioni rispondenti ai bisogni della popolazione.
Riconquistiamo la sovranità alimentare. Questo concetto è stato creato da La Via campesina, un gruppo mondiale che riunisce varie organizzazioni di piccoli contadini e braccianti agricoli. È nata in seguito all’insoddisfazione crescente dei contadini nei confronti della globalizzazione che ha raggiunto anche il settore agricolo. La Via campesina sostiene che un’economia agricola di tipo globale serve unicamente gli interessi delle grandi nazioni industrializzate esportatrici e l’agrobusiness mondiale. Teme invece che gli interessi delle popolazioni rurali e la sicurezza alimentare vengano schiacciate dal rullo compressore dell’OMC. Vorrebbe evitare che l’agricoltura venisse sacrificata e che venisse meno la sovranità dell’approvvigionamento. L’associazione è impegnata sul fronte del miglioramento delle condizioni di lavoro dei piccoli contadini e dei braccianti agricoli attraverso un commercio equo-solidale, una maggiore giustizia sociale e la creazione di un’economia durevole in tutto il mondo. Già all’epoca del Vertice mondiale dell’alimentazione tenutosi nel 1996, La Via campesina chiedeva la sovranità alimentare di tutti i popoli. Da allora, questa rivendicazione è stata sostenuta in modo inequivoco da un numero sempre crescente di associazioni contadine e di ONG, ed ora anche dagli autori del Rapporto sull’agricoltura mondiale.
Gli uomini devono imparare a vivere dei prodotti offerti dal loro territorio. Bisogna creare un equilibrio tra uomo e natura su un territorio limitato, un ciclo naturale di produzione e di consumo in uno spazio ristretto, senza spreco né distruzione delle condizioni di produzione e di vita naturali. Attraverso questo equilibrio, ci affrancheremo dalle dipendenze e riprenderemo in mano, poco a poco, la questione alimentare.
Metodi per realizzare la sovranità alimentare
Un elemento deve essere chiaro. Oggi, la sovranità alimentare non è una missione ad esclusivo appannaggio dei Paesi poveri ma anche di quelli ricchi, Svizzera inclusa. Ogni Paese è chiamato a risolvere il problema a modo suo, nell’interesse della lotta mondiale contro la fame. Si tratta di un atto di solidarietà che non ha niente a che vedere con il protezionismo. Benché i guru del commercio mondiale avranno un bel da fare a protestare e i governi a mantenere ostinatamente il loro punto di vista, la popolazione ha il diritto di esigere la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
Il diritto di decidere circa la produzione, la trasformazione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti alimentari, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo ed ecologico, dipende da numerosi parametri essenziali. Ciascun Paese deve essere attento a:
* risparmiare accuratamente le risorse naturali e sfruttare in modo da assicurarsi il più alto livello possibile di autosufficienza nel lungo termine, ossia per le generazioni future;
* rispettare il patrimonio culturale e i valori contadini, al di là del folclore;
* assicurare agli agricoltori, indipendentemente dalla dimensione della terra coltivata, il libero accesso alle terre agricole, alle sementi, all’acqua, al sapere e ad eventuali misure protezionistiche;
* dare la priorità, nell’ambito della promozione statale, alla produzione di alimenti sani e di ottima qualità che si adattino alle specificità climatiche, culturali ed economiche;
* orientare la produzione soprattutto verso i bisogni locali e il mercato nazionale e fornire alla popolazione alimenti naturali e sani in quantità sufficienti;
* fare in modo che le strutture di produzione, trasformazione e logistica, parallelamente all’aspetto che concerne i pascoli e la misura delle coltivazioni, offrano condizioni iniziali ottimali per l’approvvigionamento locale della popolazione e garantiscano, anche in periodi di crisi, la più grande sicurezza di approvvigionamento possibile grazie alla flessibilità e alla condivisione dei rischi;
* integrare le strutture situate a monte e a valle nell’approvvigionamento alimentare concepito su piccole unità;
* pagare ai contadini prezzi adeguati permettendo loro di vivere dignitosamente;
* preparare e applicare, a seconda delle situazioni, delle misure adeguate per impedire produzioni eccedenti;
* dare la possibilità di applicare delle misure protezionistiche nei confronti dell’importazione dei cosiddetti «prodotti a basso costo» e sostenere in modo efficace la produzione di alimenti base (per es. con prezzi più alti);
* vietare nel modo più assoluto gli aiuti all’esportazione e le misure interne di sostegno all’esportazione a prezzi inferiori ai costi di produzione.
E infine: Che chi non ce l’ha ancora si costruisca una cantina e ci conservi delle riserve, coltivi un orto per la famiglia e apprenda i rudimenti di una cucina semplice e sana. Ma prima di tutto dovrà mettere in piedi nel suo quartiere o nel suo villaggio un rete di aiuti all’autonomia tra gli abitanti e con i contadini.
di Reinhard Koradi
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