Non ha usato mezzi termini, come suo solito, il presidente venezuelano per mettere a fuoco la situazione della politica internazionale in merito alle prese di posizione su quanto sta avvenendo in Libia. Chavez, tra le altre cose, ha il pregio di rendere la diplomazia comprensibile ai più in occasioni del genere. Il presidente è “sicuro che gli Stati Uniti stanno esagerando le cose per giustificare una invasione in Libia", e ancora che "sono impazziti per il petrolio libico”. Si riferisce naturalmente alla neanche tanto velata volontà, da parte dell'Occidente e in primo luogo degli Usa, di iniziare una ennesima missione umanitaria in Libia. Le dichiarazioni della Clinton dei giorni scorsi, volte a posizionare gli Stati Uniti al fianco dei ribelli, sono da considerarsi in tal senso, con una ulteriore precisazione, naturalmente, ben oltre l'ipocrisia di un governo, quello Usa, che praticamente in ogni dove nel mondo vi siano risorse da sfruttare e capi di governo da insediare al proprio soldo per perpetrare i propri affari non si tirano indietro per nessun motivo al mondo. Così come non badano a spese, e a coinvolgere l'Europa, per affrontare campagne militari dietro la falsa e bieca motivazione dell'impegno umanitario. Dell'umanità, bisogna pure che qualcuno lo dica, agli Stati Uniti non importa un fico secco. Anche perché altrimenti non si spiega il motivo per il quale la stessa Amministrazione non si tiri certo indietro, in merito a bombardamenti dall'alto sulla popolazione inerme, nel caso in cui gli interessi siano marcati a stelle e strisce. Anche in questo caso, tornano utilissime le parole di Chavez, che se da una parte, sia chiaro, ci tiene a precisare che "non sostiene Gheddafi", dall'altro lato rammenta che "quelli che hanno condannato immediatamente la Libia, erano stati muti di fronte ai bombardamenti israeliani causa di migliaia e migliaia di morti, compresi bambini, donne, intere famiglie; sono stati zitti di fronte ai bombardamenti e ai massacri in Iraq, in Afghanistan”. Ad ogni modo, sulla Libia si stanno preparando a fare carne di porco. Le navi statunitensi stanno riposizionandosi sui mari e iniziano a incrociare a distanza utile per un intervento imminente. In Europa, oltre alla risoluzione Onu e al congelamento dei beni di Gheddafi, si paventa l'istituzione di una no fly zone nello stesso momento in cui dalla Russia si definisce il rais libico come un "cadavere politico" e dove anche la Cina, solitamente restia, dal punto di vista diplomatico, a rilasciare dichiarazioni pesanti, in questo caso ha fatto sentire la sua voce di concerto con tutte le altre provenienti dall'Occidente (soprassediamo, per carità verso il lettore, sulle dichiarazioni dei nostri Frattini e Berlusconi…). Il punto insomma dovrebbe essere ormai chiaro: Tripoli è assediata ma non solo dai ribelli, e se da una parte è certa la fine politica di Gheddafi, è parimenti certo il fatto che, sebbene ancora timidamente, ovvero senza scoprirsi troppo, tutti i paesi del mondo, in pratica, stiano girando come avvoltoi per piantare la propria bandierina, e i propri pozzi, direttamente o mediante un nuovo governo fantoccio, sulla Libia. Tutto è nelle mani, come in Egitto, dei popoli che stanno conducendo la rivolta. Perché il rischio più grande, in questo caso come in altri, risiede nel fatto che una volta liberatisi - giustamente, se lo ritengono necessario - del rais di turno, potrebbero trovarsi sotto la dittatura, dolce, melliflua e corrompente, del nostro modello di sviluppo. Vale la pena chiarire che in Libia il reddito pro capite è circa il triplo rispetto a quello delle altre regioni del Nord Africa, e che dunque, anche se la componente economica è stata certamente una fra quelle determinanti per far scattare la rivolta, non è affatto detto che la molla della fame sia l'unica a essere caricata nelle menti della gente in piazza. Potrebbero esserci anche altre e ben più importanti motivazioni, per esempio di carattere squisitamente politico e ideologico, ad aver fatto muovere i ribelli contro Gheddafi. Così come nelle rivolte d'Egitto. Il che rappresenta il vero e proprio incubo nelle notti di Washington. Ma di questo, un'altra volta. Per ora basti tenere la luce accesa sul fatto che, come sempre, i motivi per i quali si paventano interventi da parte dell'Occidente sono ovviamente del tutto avulsi da motivazioni umanitarie, ma rappresentano interessi di due tipologie ben precise: materie prime e basi geopolitiche. Ovvero petrolio e controllo di luoghi strategici in una delle parti più importanti, a tal fine, del mondo. Intanto, di passaggio, per capire la più alta posta in gioco nello scacchiere mediorientale, registriamo, e comunichiamo, che la Borsa dell'Arabia Saudita, in soli quattro giorni, ha perso il 16%. Che ne dite, ci sarà un intervento o lasceranno Egitto e Libia a fare la propria storia da sé come è giusto che sia? di Valerio Lo Monaco |
04 marzo 2011
La chiarezza di Chavez sull'ipocrisia USA
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04 marzo 2011
La chiarezza di Chavez sull'ipocrisia USA
Non ha usato mezzi termini, come suo solito, il presidente venezuelano per mettere a fuoco la situazione della politica internazionale in merito alle prese di posizione su quanto sta avvenendo in Libia. Chavez, tra le altre cose, ha il pregio di rendere la diplomazia comprensibile ai più in occasioni del genere. Il presidente è “sicuro che gli Stati Uniti stanno esagerando le cose per giustificare una invasione in Libia", e ancora che "sono impazziti per il petrolio libico”. Si riferisce naturalmente alla neanche tanto velata volontà, da parte dell'Occidente e in primo luogo degli Usa, di iniziare una ennesima missione umanitaria in Libia. Le dichiarazioni della Clinton dei giorni scorsi, volte a posizionare gli Stati Uniti al fianco dei ribelli, sono da considerarsi in tal senso, con una ulteriore precisazione, naturalmente, ben oltre l'ipocrisia di un governo, quello Usa, che praticamente in ogni dove nel mondo vi siano risorse da sfruttare e capi di governo da insediare al proprio soldo per perpetrare i propri affari non si tirano indietro per nessun motivo al mondo. Così come non badano a spese, e a coinvolgere l'Europa, per affrontare campagne militari dietro la falsa e bieca motivazione dell'impegno umanitario. Dell'umanità, bisogna pure che qualcuno lo dica, agli Stati Uniti non importa un fico secco. Anche perché altrimenti non si spiega il motivo per il quale la stessa Amministrazione non si tiri certo indietro, in merito a bombardamenti dall'alto sulla popolazione inerme, nel caso in cui gli interessi siano marcati a stelle e strisce. Anche in questo caso, tornano utilissime le parole di Chavez, che se da una parte, sia chiaro, ci tiene a precisare che "non sostiene Gheddafi", dall'altro lato rammenta che "quelli che hanno condannato immediatamente la Libia, erano stati muti di fronte ai bombardamenti israeliani causa di migliaia e migliaia di morti, compresi bambini, donne, intere famiglie; sono stati zitti di fronte ai bombardamenti e ai massacri in Iraq, in Afghanistan”. Ad ogni modo, sulla Libia si stanno preparando a fare carne di porco. Le navi statunitensi stanno riposizionandosi sui mari e iniziano a incrociare a distanza utile per un intervento imminente. In Europa, oltre alla risoluzione Onu e al congelamento dei beni di Gheddafi, si paventa l'istituzione di una no fly zone nello stesso momento in cui dalla Russia si definisce il rais libico come un "cadavere politico" e dove anche la Cina, solitamente restia, dal punto di vista diplomatico, a rilasciare dichiarazioni pesanti, in questo caso ha fatto sentire la sua voce di concerto con tutte le altre provenienti dall'Occidente (soprassediamo, per carità verso il lettore, sulle dichiarazioni dei nostri Frattini e Berlusconi…). Il punto insomma dovrebbe essere ormai chiaro: Tripoli è assediata ma non solo dai ribelli, e se da una parte è certa la fine politica di Gheddafi, è parimenti certo il fatto che, sebbene ancora timidamente, ovvero senza scoprirsi troppo, tutti i paesi del mondo, in pratica, stiano girando come avvoltoi per piantare la propria bandierina, e i propri pozzi, direttamente o mediante un nuovo governo fantoccio, sulla Libia. Tutto è nelle mani, come in Egitto, dei popoli che stanno conducendo la rivolta. Perché il rischio più grande, in questo caso come in altri, risiede nel fatto che una volta liberatisi - giustamente, se lo ritengono necessario - del rais di turno, potrebbero trovarsi sotto la dittatura, dolce, melliflua e corrompente, del nostro modello di sviluppo. Vale la pena chiarire che in Libia il reddito pro capite è circa il triplo rispetto a quello delle altre regioni del Nord Africa, e che dunque, anche se la componente economica è stata certamente una fra quelle determinanti per far scattare la rivolta, non è affatto detto che la molla della fame sia l'unica a essere caricata nelle menti della gente in piazza. Potrebbero esserci anche altre e ben più importanti motivazioni, per esempio di carattere squisitamente politico e ideologico, ad aver fatto muovere i ribelli contro Gheddafi. Così come nelle rivolte d'Egitto. Il che rappresenta il vero e proprio incubo nelle notti di Washington. Ma di questo, un'altra volta. Per ora basti tenere la luce accesa sul fatto che, come sempre, i motivi per i quali si paventano interventi da parte dell'Occidente sono ovviamente del tutto avulsi da motivazioni umanitarie, ma rappresentano interessi di due tipologie ben precise: materie prime e basi geopolitiche. Ovvero petrolio e controllo di luoghi strategici in una delle parti più importanti, a tal fine, del mondo. Intanto, di passaggio, per capire la più alta posta in gioco nello scacchiere mediorientale, registriamo, e comunichiamo, che la Borsa dell'Arabia Saudita, in soli quattro giorni, ha perso il 16%. Che ne dite, ci sarà un intervento o lasceranno Egitto e Libia a fare la propria storia da sé come è giusto che sia? di Valerio Lo Monaco |
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