A cosa servono le idee? Ad affrontare la giornata? No, per questa possono bastare i riflessi condizionati di cui anche l’uomo, come gli animali – Pavlov insegna – risulta dotato. A prendere iniziative per essere felici? A effettuare tentativi – magari non individuali, bensì collettivi – per cambiare la realtà, i suoi rapporti di forza, la sua struttura sociale? Già su questo piano potremmo esserci. Anzi, ci siamo. Ma allora la domanda si sposta. Chi ha idee oggi in Italia? Chi mette in campo le idee che ha perché le cose cambino? La Chiesa cattolica? I partiti? I movimenti? Gli intellettuali? Immagino le risposte dei lettori di Nuova Vicenza. Sono risposte realistiche, corrette. Identificabili al punto che si possono omettere.
Viviamo in un paese dove i rapporti di forza, già delineati da tempo, sono, per intima loro natura e grazia, tali da essere stati concepiti per la loro conservazione sine die. Rapporti di forza economici, industriali, ideali, religiosi. Nulla fa pensare che ci sia una sola forza intellettuale, produttrice di idee, detentrice del diritto a cambiarli, a modificarne l’iter.
In Italia il futuro dei prossimi dieci anni è già segnato. Monti è lo spartiacque iniziale fra il passato e i prossimi dieci (forse venti) anni. Con l’avvento di Monti è terminata la fase del conflitto delle idee. L’ultimo a giustificare il conflitto è stato Berlusconi con il suo contrastato regno. Finito Berlusconi, finito il regno visibile (quello invisibile prosegue la corsa), finiti i conflitti, finite le idee. Come potevamo supporre nel corso di quel regno la sua forza era un limite per sé medesimo (sempre lo stesso vuoto, la solita TV, le stesse figure femminili virtuali, gli stessi conflitti con la giustizia) ma soprattutto per gli oppositori, sfiancati dalla sua resistenza e dalla loro concentrazione su un unico obiettivo. L’anti-berlusconismo era troppo impegnato sul proprio versante bellico per avere tempo e modo (e genio) per altri obiettivi. Finito Berlusconi, finito lo schieramento anti, siamo tutti in un deserto. E i Tartari non arrivano mai.
Questa lunga premessa mi è servita per delineare un primo simbolo dell’insussistenza di idee (che hegelianamente dovrebbero portare a novità su una situazione statica): il fenomeno Mario Monti. Il vero golem nazionale, oggi.
Mario Monti viene dal mondo economico della conservazione, il liberismo estremo dei bocconiani. Al di là degli incarichi pubblici che il “pensiero unico” liberista nato negli anni ’80 e tuttora in auge in occidente gli ha affidato (Commissario Europeo alla Concorrenza, eccetera) il nostro professore è stato (ed è?) un esponente di grido dell’americana Goldman Sachs, la famosa banca d’affari uscita da tutte le crisi (a partire dal ’29) con l’aureola, e sempre capace di riciclarsi. Con uno stile unico: tenere i propri uomini in sospeso, sempre in un pendant magico fra il mondo asettico del profitto finanziario e la politica. In un lessico più corretto questo si chiama conflitto di interessi (e di quelli letali, anche, altro che i berluschini) ma non importa.
Oggi la Goldman è a disagio per qualche buccia di banana su cui recentemente è scivolata. Ma certo, se fossi stato fascista ai tempi della peggiore propaganda non avrei esitato a portare la Goldman come esempio di demoplutocrazia. Oggi sarei un nostalgico. Ma ci sono fatti che non si possono nascondere. La Goldman produce influenza planetaria e profitti altissimi. Dal suo scranno centrale cova le istituzioni democratiche e mette i propri uomini a capo di esse.
Esempi. Henry Paulson esce da Goldman come presidente e diventa ministro del tesoro di George W. Bush. Robert Rubin, alto dirigente Goldman diventa ministro del tesoro con Clinton. William Dudley, alto dirigente Goldman, diventa presidente della Federal Reserve di New York. Mario Draghi, prima di diventare governatore della Banca d’Italia e ora presidente della BCE, è stato dirigente Goldman. Lo stesso Romano Prodi, catturato ai tempi dell’IRI da Goldman, è poi diventato presidente del consiglio italiano. E Gianni Letta, braccio destro del signor B., membro dell’Advisory Board di Goldman. E come Letta, Monti, anche lui dell’Advisory Board.
Ricordate i tempi in cui si parlava di pensiero unico? Ci si arrovellava il cervello. Più che dei capi di stato e di governo, lo pensavamo dominio di un grande vecchio. Ma sì, era la Goldman! Virtualmente, senz’altro, fisicamente, quasi certamente, pure. L’esaltazione del profitto finanziario, l’invenzione dei derivati, il profitto che viene dall’etere e via fantasticando, sono tutte creature Goldman. Che non si limita a fare profitti, vuole che la sua filosofia corrompa – per il bene di tutti, naturalmente – la politica. Con i suoi uomini: alti, forti, prestigiosi, a volte un po’ rarefatti.
Monti non potrà mai disdegnare questa sua radice. Per questo non c’è bisogno di idee. Basta mantenere il corso già tracciato dal pensiero unico (che, per definizione è immobile, cioè senza idee). Basta ascoltare Goldman.
di Pino Dato
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27 marzo 2012
Che la Goldman sia con te
A cosa servono le idee? Ad affrontare la giornata? No, per questa possono bastare i riflessi condizionati di cui anche l’uomo, come gli animali – Pavlov insegna – risulta dotato. A prendere iniziative per essere felici? A effettuare tentativi – magari non individuali, bensì collettivi – per cambiare la realtà, i suoi rapporti di forza, la sua struttura sociale? Già su questo piano potremmo esserci. Anzi, ci siamo. Ma allora la domanda si sposta. Chi ha idee oggi in Italia? Chi mette in campo le idee che ha perché le cose cambino? La Chiesa cattolica? I partiti? I movimenti? Gli intellettuali? Immagino le risposte dei lettori di Nuova Vicenza. Sono risposte realistiche, corrette. Identificabili al punto che si possono omettere.
Viviamo in un paese dove i rapporti di forza, già delineati da tempo, sono, per intima loro natura e grazia, tali da essere stati concepiti per la loro conservazione sine die. Rapporti di forza economici, industriali, ideali, religiosi. Nulla fa pensare che ci sia una sola forza intellettuale, produttrice di idee, detentrice del diritto a cambiarli, a modificarne l’iter.
In Italia il futuro dei prossimi dieci anni è già segnato. Monti è lo spartiacque iniziale fra il passato e i prossimi dieci (forse venti) anni. Con l’avvento di Monti è terminata la fase del conflitto delle idee. L’ultimo a giustificare il conflitto è stato Berlusconi con il suo contrastato regno. Finito Berlusconi, finito il regno visibile (quello invisibile prosegue la corsa), finiti i conflitti, finite le idee. Come potevamo supporre nel corso di quel regno la sua forza era un limite per sé medesimo (sempre lo stesso vuoto, la solita TV, le stesse figure femminili virtuali, gli stessi conflitti con la giustizia) ma soprattutto per gli oppositori, sfiancati dalla sua resistenza e dalla loro concentrazione su un unico obiettivo. L’anti-berlusconismo era troppo impegnato sul proprio versante bellico per avere tempo e modo (e genio) per altri obiettivi. Finito Berlusconi, finito lo schieramento anti, siamo tutti in un deserto. E i Tartari non arrivano mai.
Questa lunga premessa mi è servita per delineare un primo simbolo dell’insussistenza di idee (che hegelianamente dovrebbero portare a novità su una situazione statica): il fenomeno Mario Monti. Il vero golem nazionale, oggi.
Mario Monti viene dal mondo economico della conservazione, il liberismo estremo dei bocconiani. Al di là degli incarichi pubblici che il “pensiero unico” liberista nato negli anni ’80 e tuttora in auge in occidente gli ha affidato (Commissario Europeo alla Concorrenza, eccetera) il nostro professore è stato (ed è?) un esponente di grido dell’americana Goldman Sachs, la famosa banca d’affari uscita da tutte le crisi (a partire dal ’29) con l’aureola, e sempre capace di riciclarsi. Con uno stile unico: tenere i propri uomini in sospeso, sempre in un pendant magico fra il mondo asettico del profitto finanziario e la politica. In un lessico più corretto questo si chiama conflitto di interessi (e di quelli letali, anche, altro che i berluschini) ma non importa.
Oggi la Goldman è a disagio per qualche buccia di banana su cui recentemente è scivolata. Ma certo, se fossi stato fascista ai tempi della peggiore propaganda non avrei esitato a portare la Goldman come esempio di demoplutocrazia. Oggi sarei un nostalgico. Ma ci sono fatti che non si possono nascondere. La Goldman produce influenza planetaria e profitti altissimi. Dal suo scranno centrale cova le istituzioni democratiche e mette i propri uomini a capo di esse.
Esempi. Henry Paulson esce da Goldman come presidente e diventa ministro del tesoro di George W. Bush. Robert Rubin, alto dirigente Goldman diventa ministro del tesoro con Clinton. William Dudley, alto dirigente Goldman, diventa presidente della Federal Reserve di New York. Mario Draghi, prima di diventare governatore della Banca d’Italia e ora presidente della BCE, è stato dirigente Goldman. Lo stesso Romano Prodi, catturato ai tempi dell’IRI da Goldman, è poi diventato presidente del consiglio italiano. E Gianni Letta, braccio destro del signor B., membro dell’Advisory Board di Goldman. E come Letta, Monti, anche lui dell’Advisory Board.
Ricordate i tempi in cui si parlava di pensiero unico? Ci si arrovellava il cervello. Più che dei capi di stato e di governo, lo pensavamo dominio di un grande vecchio. Ma sì, era la Goldman! Virtualmente, senz’altro, fisicamente, quasi certamente, pure. L’esaltazione del profitto finanziario, l’invenzione dei derivati, il profitto che viene dall’etere e via fantasticando, sono tutte creature Goldman. Che non si limita a fare profitti, vuole che la sua filosofia corrompa – per il bene di tutti, naturalmente – la politica. Con i suoi uomini: alti, forti, prestigiosi, a volte un po’ rarefatti.
Monti non potrà mai disdegnare questa sua radice. Per questo non c’è bisogno di idee. Basta mantenere il corso già tracciato dal pensiero unico (che, per definizione è immobile, cioè senza idee). Basta ascoltare Goldman.
di Pino Dato
Viviamo in un paese dove i rapporti di forza, già delineati da tempo, sono, per intima loro natura e grazia, tali da essere stati concepiti per la loro conservazione sine die. Rapporti di forza economici, industriali, ideali, religiosi. Nulla fa pensare che ci sia una sola forza intellettuale, produttrice di idee, detentrice del diritto a cambiarli, a modificarne l’iter.
In Italia il futuro dei prossimi dieci anni è già segnato. Monti è lo spartiacque iniziale fra il passato e i prossimi dieci (forse venti) anni. Con l’avvento di Monti è terminata la fase del conflitto delle idee. L’ultimo a giustificare il conflitto è stato Berlusconi con il suo contrastato regno. Finito Berlusconi, finito il regno visibile (quello invisibile prosegue la corsa), finiti i conflitti, finite le idee. Come potevamo supporre nel corso di quel regno la sua forza era un limite per sé medesimo (sempre lo stesso vuoto, la solita TV, le stesse figure femminili virtuali, gli stessi conflitti con la giustizia) ma soprattutto per gli oppositori, sfiancati dalla sua resistenza e dalla loro concentrazione su un unico obiettivo. L’anti-berlusconismo era troppo impegnato sul proprio versante bellico per avere tempo e modo (e genio) per altri obiettivi. Finito Berlusconi, finito lo schieramento anti, siamo tutti in un deserto. E i Tartari non arrivano mai.
Questa lunga premessa mi è servita per delineare un primo simbolo dell’insussistenza di idee (che hegelianamente dovrebbero portare a novità su una situazione statica): il fenomeno Mario Monti. Il vero golem nazionale, oggi.
Mario Monti viene dal mondo economico della conservazione, il liberismo estremo dei bocconiani. Al di là degli incarichi pubblici che il “pensiero unico” liberista nato negli anni ’80 e tuttora in auge in occidente gli ha affidato (Commissario Europeo alla Concorrenza, eccetera) il nostro professore è stato (ed è?) un esponente di grido dell’americana Goldman Sachs, la famosa banca d’affari uscita da tutte le crisi (a partire dal ’29) con l’aureola, e sempre capace di riciclarsi. Con uno stile unico: tenere i propri uomini in sospeso, sempre in un pendant magico fra il mondo asettico del profitto finanziario e la politica. In un lessico più corretto questo si chiama conflitto di interessi (e di quelli letali, anche, altro che i berluschini) ma non importa.
Oggi la Goldman è a disagio per qualche buccia di banana su cui recentemente è scivolata. Ma certo, se fossi stato fascista ai tempi della peggiore propaganda non avrei esitato a portare la Goldman come esempio di demoplutocrazia. Oggi sarei un nostalgico. Ma ci sono fatti che non si possono nascondere. La Goldman produce influenza planetaria e profitti altissimi. Dal suo scranno centrale cova le istituzioni democratiche e mette i propri uomini a capo di esse.
Esempi. Henry Paulson esce da Goldman come presidente e diventa ministro del tesoro di George W. Bush. Robert Rubin, alto dirigente Goldman diventa ministro del tesoro con Clinton. William Dudley, alto dirigente Goldman, diventa presidente della Federal Reserve di New York. Mario Draghi, prima di diventare governatore della Banca d’Italia e ora presidente della BCE, è stato dirigente Goldman. Lo stesso Romano Prodi, catturato ai tempi dell’IRI da Goldman, è poi diventato presidente del consiglio italiano. E Gianni Letta, braccio destro del signor B., membro dell’Advisory Board di Goldman. E come Letta, Monti, anche lui dell’Advisory Board.
Ricordate i tempi in cui si parlava di pensiero unico? Ci si arrovellava il cervello. Più che dei capi di stato e di governo, lo pensavamo dominio di un grande vecchio. Ma sì, era la Goldman! Virtualmente, senz’altro, fisicamente, quasi certamente, pure. L’esaltazione del profitto finanziario, l’invenzione dei derivati, il profitto che viene dall’etere e via fantasticando, sono tutte creature Goldman. Che non si limita a fare profitti, vuole che la sua filosofia corrompa – per il bene di tutti, naturalmente – la politica. Con i suoi uomini: alti, forti, prestigiosi, a volte un po’ rarefatti.
Monti non potrà mai disdegnare questa sua radice. Per questo non c’è bisogno di idee. Basta mantenere il corso già tracciato dal pensiero unico (che, per definizione è immobile, cioè senza idee). Basta ascoltare Goldman.
di Pino Dato
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