La crisi dell’Europa è la crisi del modello economico fondato sul debito
C’è un aspetto dell’attuale crisi economica in Europa e Nordamerica che è stato completamente sorvolato: l’attuale condizione di queste potenti economie convalida la tradizionale saggezza indiana riguardo alle questioni economiche e finanziarie, ponendo degli interrogativi su modelli economici (e stili di vita) basati sul debito. Considerati i probabili scenari futuri in Grecia e nell’Unione Europea, tutto ciò diventerà chiaro come il sole.
Dopo lunghi negoziati, i leader europei, i creditori privati e il FMI sono riusciti a predisporre il secondo pacchetto di salvataggio per la Grecia, il quale è ritenuto politicamente accettabile per i creditori, fornendo ad Atene un sostegno che si calcola possa essere sostenibile. Saranno garantiti alla Grecia 130 miliardi di euro (173 miliardi di dollari) di finanziamenti addizionali per i prossimi due anni. Le banche private hanno accettato una riduzione del 53,5% del valore nominale delle obbligazioni greche in loro possesso, unitamente a una riduzione del tasso d’interesse sui nuovi titoli, partendo dal 2% e salendo al 4.3% dal 2020. Tutto ciò equivale a una perdita dell’attuale valore netto di circa il 75% (una perdita maggiorata al 21% rispetto agli accordi del luglio dello scorso anno). Inoltre, i tassi d’interesse applicati dai membri dell’eurozona sui loro prestiti di salvataggio per la Grecia saranno ridotti dello 0,50%.
L’accordo dovrebbe comportare un abbassamento del rapporto tra debito e PIL della Grecia al 120,5% nel 2020.
Tuttavia, l’elargizione del prestito è condizionata dall’attuazione da parte della Grecia di determinate misure entro la fine del mese – ad esempio, ridurre il salario minimo per rendere il mercato del lavoro più flessibile – e sarà sottoposta a un “rafforzato e permanente” monitoraggio da parte dei funzionari della Commissione Europea in Grecia.
La Grecia dovrà depositare il valore di un trimestre del pagamento del servizio di debito in un “conto separato”, il quale sarà monitorato dalla troika composta da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e FMI.
Nel corso dei prossimi due mesi, la Grecia promulgherà una legge “garante che la priorità sarà concessa ai pagamenti del servizio del debito”, sancendolo nella Costituzione “il più presto possibile”. Il pacchetto, se sarà attuato (si tratta di un grosso se), consentirà alla Grecia di evitare un default disordinato nel prossimo mese con 14,5 miliardi di euro (19 miliardi di dollari) di obbligazioni in scadenza. Tuttavia, la tregua è destinata ad essere temporanea ed è improbabile che possa offrire delle soluzioni ai problemi di base della Grecia o, più importante, delle economie dell’eurozona.
Questo perché la pazienza e la fiducia si stanno esaurendo su tutti i fronti. Gli istituti di credito esercitano delle pressioni, richiedendo una maggiore austerità e forti impegni, i titolari di mutuo stanno diventando sempre più risentiti per le condizioni che si stanno cercando di imporre loro, e la gente nei paesi prestatori è irritata di fronte alla prospettiva di compiere dei sacrifici per salvare i loro dissoluti vicini. Ci sono state violente manifestazioni e proteste ad Atene e altrove contro il pacchetto d’austerità. Per i greci, i quali hanno avuto a lungo vita facile come parte integrante della più ampia eurozona, i sacrifici richiesti, in particolare la riduzione delle pensioni, rappresentano una pillola amara da ingoiare. La sensazione di essere costretti a subire delle privazioni in base alle insistenze degli stranieri, soprattutto tedeschi, li rende ancor più risentiti. Con la disoccupazione in crescita attorno al 20% per il quarto anno consecutivo, la rabbia dell’opinione pubblica contro la classe politica ha comportato settimane di proteste.
Quasi con lo stampino, la rabbia sta montando in altri paesi dell’eurozona per la prospettiva di dover salvare i greci, piuttosto che lasciarli cuocere nel loro brodo. I pessimisti sottolineano che la Grecia è nota per le promesse non mantenute. Nonostante gli impegni presi più di un anno fa volti alla massiccia privatizzazione e alla riduzione dell’amministrazione pubblica, non un singolo significativo settore greco è stato privatizzato, né un funzionario licenziato. Dopo aver speso miliardi per più di un decennio per l’integrazione della Germania, i tedeschi non vogliono spendere grandi somme supplementari a favore di coloro che considerano pigri, nonché fannulloni spendaccioni dell’Europa meridionale. Altri Stati creditori come la Finlandia e i Paesi Bassi sono altrettanto stufi di dover distribuire denaro, e meno della Germania si sentono costretti a svolgere la parte dei buoni europei.
In questo modo, l’agonia della Grecia non è affatto conclusa. Per prima cosa, le regolari e incessanti valutazioni della troika, così come le accese polemiche per gli eccessi di esborsi continueranno. E se l’Italia e la Spagna saranno in grado di fare evidenti progressi nella sistemazione delle proprie finanze pubbliche, il resto dell’eurozona si sentirà più al sicuro nel chiudere il rubinetto greco. Dunque la Grecia potrà solo ritardare un default disordinato, che alla fine avverrà comunque.
Sotto molti aspetti la Grecia rappresenta la debolezza dell’Unione Europea. Come sostenuto da Martin Wolf sul Financial Times, il fatto che questo piccolo paese, economicamente debole e cronicamente mal gestito abbia causato tali difficoltà, indica la fragilità strutturale dell’UE. Le mancanze greche sono estreme, ma non uniche. La sua situazione dimostra che l’eurozona necessita ancora di una più praticabile miscela di flessibilità, disciplina e solidarietà.
Politicamente l’eurozona è una costruzione incompleta. Dispone di un’unione monetaria senza un’unione fiscale. Non è né così profondamente integrata dal ritenere una rottura inconcepibile, né così poco unita dal rendere la sua implosione tollerabile. Alcuni politologi sostengono che se l’eurozona sopravviverà, deve trasformarsi in un’unione fiscale come l’India, dove sono assicurati trasferimenti dagli Stati con surplus a quelli con disavanzi (come succede tra il Gujarat e l’Orissa). Ma i tedeschi e gli elettori del nord Europa non considerano seriamente una simile prospettiva. Infatti, oggi la garanzia più potente per la sopravvivenza dell’UE è il costo rappresentato dalla sua rottura. Ma questo aspetto non basta. Nel lungo periodo, l’unità europea deve essere costruita su qualcosa di più positivo rispetto a questo principio. Si tratta comunque di un compito titanico, date le divergenze economiche e gli attriti politici emersi così chiaramente da questa crisi.
Economicamente l’eurozona è un matrimonio fra diseguali. Membri ad alta produttività (Germania, Paesi Bassi e Finlandia) e Paesi del sud a bassa produttività (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – PIIGS) sono legati da un’unica moneta, l’euro. L’euro è molto sottovalutato per la produttività della Germania, che quindi ha espanso le proprie esportazioni. Ma la stessa moneta è troppo forte per i PIIGS, che hanno aggravato i disavanzi commerciali. In questo modo, la crisi dell’eurozona è fondamentalmente una crisi della bilancia dei pagamenti. Poiché tutti i membri usano l’euro, gli squilibri commerciali tra loro non sono evidenziati. Ma essi sono enormi, per un totale di circa 500 miliardi di euro. Un tasso di cambio non competitivo ha gravato i PIIGS, i quali hanno una crescita del PIL molto lenta o negativa, causando una riduzione del gettito fiscale e, di conseguenza, un aumento del deficit di bilancio. Dunque, un problema commerciale si è trasformato in un problema fiscale.
Risolvere queste questioni non è facile. Inoltre, vi è preoccupazione per il deteriorarsi dell’economia dell’eurozona, che probabilmente si trova in recessione. I piani d’austerità varati da alcuni governi ritarderebbero solamente la crescita economica, riducendo le entrate governative e aggravando lo squilibrio fiscale. Tutto ciò, a sua volta, farà ulteriormente calare la fiducia, mettendo in discussione la capacità di diversi Stati sovrani di sostenere le proprie spese. E’ un circolo vizioso.
Le banche europee sono sotto forte pressione. Hanno massicce dosi di obbligazioni, non solo della Grecia, ma anche di altri paesi che si ritiene siano in una situazione critica. Il pacchetto di salvataggio greco comporterà per loro delle pesanti perdite. Se il contagio greco si diffonderà in altri paesi, l’intero sistema finanziario potrebbe essere in pericolo. Non c’è da stupirsi che la maggior parte delle banche stiano ottenendo prestiti dalla BCE per le loro obbligazioni in scadenza, piuttosto che per emettere capitali nell’economia attraverso prestiti commerciali.
I Paesi e le aziende dell’Asia sono particolarmente colpiti da questa stretta creditizia da parte delle banche europee, che sono state le loro grandi finanziatrici. La riduzione dei crediti da parte di queste banche, unitamente al rallentamento dell’economia in Europa potrebbe comportare delle conseguenze negative per le esportazioni asiatiche.
Cosa causeranno questi sviluppi per l’India? L’UE è il principale partner commerciale dell’India, acquistando circa un quinto del totale delle esportazioni indiane. Con un rallentamento delle esportazioni dovuto a un calo della domanda da parte dell’UE, aggravata dai tagli governativi del bilancio e dalla riduzione dei finanziamenti bancari, potrebbe ampliarsi il disavanzo del conto delle partite correnti dell’India. Dal momento che più di tre quarti delle esportazioni indiane verso l’UE provengono dal settore manifatturiero, questo prevedibile calo della domanda di esportazioni potrebbe esercitare delle pressioni sulla produzione industriale nazionale. Infine, mentre i mercati di tutto il mondo restano nervosi, il commercio e i flussi d’investimenti futuri dipenderanno da come verrà risolta la crisi del debito dell’eurozona. Gli afflussi di capitali verso l’India potrebbero essere influenzati nel caso in cui le banche europee continuassero ad ottenere prestiti per soddisfare le loro obbligazioni non ancora scadute, piuttosto che per espandere il credito al fine di favorire nuovi investimenti.
Non vi è alcuna certezza su come, quando e in che modo l’eurozona uscirà dalla complicata situazione in cui versa. Dal momento che l’eurozona fatica a trovare una via d’uscita alla propria multiforme crisi, l’India non può pretendere di rimanerne non influenzata. Necessita di una strategia globale per affrontare tutte le eventualità e gli scenari. Tutto ciò che attualmente osserviamo è istintiva reazione del mercato a specifici sviluppi. Chiaramente, questo non è sufficiente.
La situazione dei paesi europei così come quella degli Stati Uniti offre alcune lezioni di base per l’India. Il loro passaggio da una crisi all’altra dimostra i pericoli rappresentati da modelli economici basati sul debito. Seguendo l’economia keynesiana, i governi di questi paesi hanno invocato pesanti spese pubbliche al fine di creare domanda aggiuntiva e stimolare la crescita. Gli individui e le famiglie di questi paesi hanno accumulato debito su debito in modo tale da ricercare un modello di esistenza che pensavano fosse il modo corretto di vivere. Una cultura basata sulle carte di credito e prestiti sub-prime ha creato un’illusione di opulenza.
Stanno ora riscoprendo le virtù della buona vecchia prudenza. Le loro stravaganze sono ora delle ossessioni. I loro governi sono “in tensione”. I loro sistemi di sicurezza sociale stanno diventando sempre più insostenibili e inadeguati. Si tratta di un risultato inevitabile in una società in cui la specializzazione esclusiva della gente maggiormente pagata è ideare nuovi e più complessi prodotti finanziari. Stanno imparando nel modo più duro che non si può influenzare il percorso verso la prosperità.
Prima guadagna, poi spendi, questo ci hanno insegnato i nostri antenati. Spendi sempre meno di quello che guadagni, ci hanno detto. I nostri shastra e i saggi disapprovavano il comportamento dei re che indulgevano in dissolutezza e sperperavano le tasse pagate dai loro sudditi. Sotto l’influenza delle economie occidentali, i governi dell’India indipendente hanno dimenticato queste lezioni, ricorrendo al finanziamento del deficit su larga scala e spingendo al rialzo i prezzi di tutto centinaia di volte nel corso degli ultimi anni.
Oggi, l’abitudine di vivere al di là di ogni mezzo, che si riflette in giganteschi deficit fiscali, è diventata una macina attorno al collo dell’economia. La stampa di banconote, prendendo in prestito da chiunque è disposto a dare in prestito, è una strada angosciosa che non porta allo sviluppo. Le nazioni sono costruite sul duro lavoro, la diligenza e l’onestà. Questa è la lezione che dovremmo imparare dalla crisi in Occidente.
di Virendra Parekh
(Traduzione di Francesco Brunello Zanitti)
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12 marzo 2012
La crisi dell'Europa è la crisi del modello economico fondato sul debito
La crisi dell’Europa è la crisi del modello economico fondato sul debito
C’è un aspetto dell’attuale crisi economica in Europa e Nordamerica che è stato completamente sorvolato: l’attuale condizione di queste potenti economie convalida la tradizionale saggezza indiana riguardo alle questioni economiche e finanziarie, ponendo degli interrogativi su modelli economici (e stili di vita) basati sul debito. Considerati i probabili scenari futuri in Grecia e nell’Unione Europea, tutto ciò diventerà chiaro come il sole.
Dopo lunghi negoziati, i leader europei, i creditori privati e il FMI sono riusciti a predisporre il secondo pacchetto di salvataggio per la Grecia, il quale è ritenuto politicamente accettabile per i creditori, fornendo ad Atene un sostegno che si calcola possa essere sostenibile. Saranno garantiti alla Grecia 130 miliardi di euro (173 miliardi di dollari) di finanziamenti addizionali per i prossimi due anni. Le banche private hanno accettato una riduzione del 53,5% del valore nominale delle obbligazioni greche in loro possesso, unitamente a una riduzione del tasso d’interesse sui nuovi titoli, partendo dal 2% e salendo al 4.3% dal 2020. Tutto ciò equivale a una perdita dell’attuale valore netto di circa il 75% (una perdita maggiorata al 21% rispetto agli accordi del luglio dello scorso anno). Inoltre, i tassi d’interesse applicati dai membri dell’eurozona sui loro prestiti di salvataggio per la Grecia saranno ridotti dello 0,50%.
L’accordo dovrebbe comportare un abbassamento del rapporto tra debito e PIL della Grecia al 120,5% nel 2020.
Tuttavia, l’elargizione del prestito è condizionata dall’attuazione da parte della Grecia di determinate misure entro la fine del mese – ad esempio, ridurre il salario minimo per rendere il mercato del lavoro più flessibile – e sarà sottoposta a un “rafforzato e permanente” monitoraggio da parte dei funzionari della Commissione Europea in Grecia.
La Grecia dovrà depositare il valore di un trimestre del pagamento del servizio di debito in un “conto separato”, il quale sarà monitorato dalla troika composta da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e FMI.
Nel corso dei prossimi due mesi, la Grecia promulgherà una legge “garante che la priorità sarà concessa ai pagamenti del servizio del debito”, sancendolo nella Costituzione “il più presto possibile”. Il pacchetto, se sarà attuato (si tratta di un grosso se), consentirà alla Grecia di evitare un default disordinato nel prossimo mese con 14,5 miliardi di euro (19 miliardi di dollari) di obbligazioni in scadenza. Tuttavia, la tregua è destinata ad essere temporanea ed è improbabile che possa offrire delle soluzioni ai problemi di base della Grecia o, più importante, delle economie dell’eurozona.
Questo perché la pazienza e la fiducia si stanno esaurendo su tutti i fronti. Gli istituti di credito esercitano delle pressioni, richiedendo una maggiore austerità e forti impegni, i titolari di mutuo stanno diventando sempre più risentiti per le condizioni che si stanno cercando di imporre loro, e la gente nei paesi prestatori è irritata di fronte alla prospettiva di compiere dei sacrifici per salvare i loro dissoluti vicini. Ci sono state violente manifestazioni e proteste ad Atene e altrove contro il pacchetto d’austerità. Per i greci, i quali hanno avuto a lungo vita facile come parte integrante della più ampia eurozona, i sacrifici richiesti, in particolare la riduzione delle pensioni, rappresentano una pillola amara da ingoiare. La sensazione di essere costretti a subire delle privazioni in base alle insistenze degli stranieri, soprattutto tedeschi, li rende ancor più risentiti. Con la disoccupazione in crescita attorno al 20% per il quarto anno consecutivo, la rabbia dell’opinione pubblica contro la classe politica ha comportato settimane di proteste.
Quasi con lo stampino, la rabbia sta montando in altri paesi dell’eurozona per la prospettiva di dover salvare i greci, piuttosto che lasciarli cuocere nel loro brodo. I pessimisti sottolineano che la Grecia è nota per le promesse non mantenute. Nonostante gli impegni presi più di un anno fa volti alla massiccia privatizzazione e alla riduzione dell’amministrazione pubblica, non un singolo significativo settore greco è stato privatizzato, né un funzionario licenziato. Dopo aver speso miliardi per più di un decennio per l’integrazione della Germania, i tedeschi non vogliono spendere grandi somme supplementari a favore di coloro che considerano pigri, nonché fannulloni spendaccioni dell’Europa meridionale. Altri Stati creditori come la Finlandia e i Paesi Bassi sono altrettanto stufi di dover distribuire denaro, e meno della Germania si sentono costretti a svolgere la parte dei buoni europei.
In questo modo, l’agonia della Grecia non è affatto conclusa. Per prima cosa, le regolari e incessanti valutazioni della troika, così come le accese polemiche per gli eccessi di esborsi continueranno. E se l’Italia e la Spagna saranno in grado di fare evidenti progressi nella sistemazione delle proprie finanze pubbliche, il resto dell’eurozona si sentirà più al sicuro nel chiudere il rubinetto greco. Dunque la Grecia potrà solo ritardare un default disordinato, che alla fine avverrà comunque.
Sotto molti aspetti la Grecia rappresenta la debolezza dell’Unione Europea. Come sostenuto da Martin Wolf sul Financial Times, il fatto che questo piccolo paese, economicamente debole e cronicamente mal gestito abbia causato tali difficoltà, indica la fragilità strutturale dell’UE. Le mancanze greche sono estreme, ma non uniche. La sua situazione dimostra che l’eurozona necessita ancora di una più praticabile miscela di flessibilità, disciplina e solidarietà.
Politicamente l’eurozona è una costruzione incompleta. Dispone di un’unione monetaria senza un’unione fiscale. Non è né così profondamente integrata dal ritenere una rottura inconcepibile, né così poco unita dal rendere la sua implosione tollerabile. Alcuni politologi sostengono che se l’eurozona sopravviverà, deve trasformarsi in un’unione fiscale come l’India, dove sono assicurati trasferimenti dagli Stati con surplus a quelli con disavanzi (come succede tra il Gujarat e l’Orissa). Ma i tedeschi e gli elettori del nord Europa non considerano seriamente una simile prospettiva. Infatti, oggi la garanzia più potente per la sopravvivenza dell’UE è il costo rappresentato dalla sua rottura. Ma questo aspetto non basta. Nel lungo periodo, l’unità europea deve essere costruita su qualcosa di più positivo rispetto a questo principio. Si tratta comunque di un compito titanico, date le divergenze economiche e gli attriti politici emersi così chiaramente da questa crisi.
Economicamente l’eurozona è un matrimonio fra diseguali. Membri ad alta produttività (Germania, Paesi Bassi e Finlandia) e Paesi del sud a bassa produttività (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – PIIGS) sono legati da un’unica moneta, l’euro. L’euro è molto sottovalutato per la produttività della Germania, che quindi ha espanso le proprie esportazioni. Ma la stessa moneta è troppo forte per i PIIGS, che hanno aggravato i disavanzi commerciali. In questo modo, la crisi dell’eurozona è fondamentalmente una crisi della bilancia dei pagamenti. Poiché tutti i membri usano l’euro, gli squilibri commerciali tra loro non sono evidenziati. Ma essi sono enormi, per un totale di circa 500 miliardi di euro. Un tasso di cambio non competitivo ha gravato i PIIGS, i quali hanno una crescita del PIL molto lenta o negativa, causando una riduzione del gettito fiscale e, di conseguenza, un aumento del deficit di bilancio. Dunque, un problema commerciale si è trasformato in un problema fiscale.
Risolvere queste questioni non è facile. Inoltre, vi è preoccupazione per il deteriorarsi dell’economia dell’eurozona, che probabilmente si trova in recessione. I piani d’austerità varati da alcuni governi ritarderebbero solamente la crescita economica, riducendo le entrate governative e aggravando lo squilibrio fiscale. Tutto ciò, a sua volta, farà ulteriormente calare la fiducia, mettendo in discussione la capacità di diversi Stati sovrani di sostenere le proprie spese. E’ un circolo vizioso.
Le banche europee sono sotto forte pressione. Hanno massicce dosi di obbligazioni, non solo della Grecia, ma anche di altri paesi che si ritiene siano in una situazione critica. Il pacchetto di salvataggio greco comporterà per loro delle pesanti perdite. Se il contagio greco si diffonderà in altri paesi, l’intero sistema finanziario potrebbe essere in pericolo. Non c’è da stupirsi che la maggior parte delle banche stiano ottenendo prestiti dalla BCE per le loro obbligazioni in scadenza, piuttosto che per emettere capitali nell’economia attraverso prestiti commerciali.
I Paesi e le aziende dell’Asia sono particolarmente colpiti da questa stretta creditizia da parte delle banche europee, che sono state le loro grandi finanziatrici. La riduzione dei crediti da parte di queste banche, unitamente al rallentamento dell’economia in Europa potrebbe comportare delle conseguenze negative per le esportazioni asiatiche.
Cosa causeranno questi sviluppi per l’India? L’UE è il principale partner commerciale dell’India, acquistando circa un quinto del totale delle esportazioni indiane. Con un rallentamento delle esportazioni dovuto a un calo della domanda da parte dell’UE, aggravata dai tagli governativi del bilancio e dalla riduzione dei finanziamenti bancari, potrebbe ampliarsi il disavanzo del conto delle partite correnti dell’India. Dal momento che più di tre quarti delle esportazioni indiane verso l’UE provengono dal settore manifatturiero, questo prevedibile calo della domanda di esportazioni potrebbe esercitare delle pressioni sulla produzione industriale nazionale. Infine, mentre i mercati di tutto il mondo restano nervosi, il commercio e i flussi d’investimenti futuri dipenderanno da come verrà risolta la crisi del debito dell’eurozona. Gli afflussi di capitali verso l’India potrebbero essere influenzati nel caso in cui le banche europee continuassero ad ottenere prestiti per soddisfare le loro obbligazioni non ancora scadute, piuttosto che per espandere il credito al fine di favorire nuovi investimenti.
Non vi è alcuna certezza su come, quando e in che modo l’eurozona uscirà dalla complicata situazione in cui versa. Dal momento che l’eurozona fatica a trovare una via d’uscita alla propria multiforme crisi, l’India non può pretendere di rimanerne non influenzata. Necessita di una strategia globale per affrontare tutte le eventualità e gli scenari. Tutto ciò che attualmente osserviamo è istintiva reazione del mercato a specifici sviluppi. Chiaramente, questo non è sufficiente.
La situazione dei paesi europei così come quella degli Stati Uniti offre alcune lezioni di base per l’India. Il loro passaggio da una crisi all’altra dimostra i pericoli rappresentati da modelli economici basati sul debito. Seguendo l’economia keynesiana, i governi di questi paesi hanno invocato pesanti spese pubbliche al fine di creare domanda aggiuntiva e stimolare la crescita. Gli individui e le famiglie di questi paesi hanno accumulato debito su debito in modo tale da ricercare un modello di esistenza che pensavano fosse il modo corretto di vivere. Una cultura basata sulle carte di credito e prestiti sub-prime ha creato un’illusione di opulenza.
Stanno ora riscoprendo le virtù della buona vecchia prudenza. Le loro stravaganze sono ora delle ossessioni. I loro governi sono “in tensione”. I loro sistemi di sicurezza sociale stanno diventando sempre più insostenibili e inadeguati. Si tratta di un risultato inevitabile in una società in cui la specializzazione esclusiva della gente maggiormente pagata è ideare nuovi e più complessi prodotti finanziari. Stanno imparando nel modo più duro che non si può influenzare il percorso verso la prosperità.
Prima guadagna, poi spendi, questo ci hanno insegnato i nostri antenati. Spendi sempre meno di quello che guadagni, ci hanno detto. I nostri shastra e i saggi disapprovavano il comportamento dei re che indulgevano in dissolutezza e sperperavano le tasse pagate dai loro sudditi. Sotto l’influenza delle economie occidentali, i governi dell’India indipendente hanno dimenticato queste lezioni, ricorrendo al finanziamento del deficit su larga scala e spingendo al rialzo i prezzi di tutto centinaia di volte nel corso degli ultimi anni.
Oggi, l’abitudine di vivere al di là di ogni mezzo, che si riflette in giganteschi deficit fiscali, è diventata una macina attorno al collo dell’economia. La stampa di banconote, prendendo in prestito da chiunque è disposto a dare in prestito, è una strada angosciosa che non porta allo sviluppo. Le nazioni sono costruite sul duro lavoro, la diligenza e l’onestà. Questa è la lezione che dovremmo imparare dalla crisi in Occidente.
di Virendra Parekh
(Traduzione di Francesco Brunello Zanitti)
C’è un aspetto dell’attuale crisi economica in Europa e Nordamerica che è stato completamente sorvolato: l’attuale condizione di queste potenti economie convalida la tradizionale saggezza indiana riguardo alle questioni economiche e finanziarie, ponendo degli interrogativi su modelli economici (e stili di vita) basati sul debito. Considerati i probabili scenari futuri in Grecia e nell’Unione Europea, tutto ciò diventerà chiaro come il sole.
Dopo lunghi negoziati, i leader europei, i creditori privati e il FMI sono riusciti a predisporre il secondo pacchetto di salvataggio per la Grecia, il quale è ritenuto politicamente accettabile per i creditori, fornendo ad Atene un sostegno che si calcola possa essere sostenibile. Saranno garantiti alla Grecia 130 miliardi di euro (173 miliardi di dollari) di finanziamenti addizionali per i prossimi due anni. Le banche private hanno accettato una riduzione del 53,5% del valore nominale delle obbligazioni greche in loro possesso, unitamente a una riduzione del tasso d’interesse sui nuovi titoli, partendo dal 2% e salendo al 4.3% dal 2020. Tutto ciò equivale a una perdita dell’attuale valore netto di circa il 75% (una perdita maggiorata al 21% rispetto agli accordi del luglio dello scorso anno). Inoltre, i tassi d’interesse applicati dai membri dell’eurozona sui loro prestiti di salvataggio per la Grecia saranno ridotti dello 0,50%.
L’accordo dovrebbe comportare un abbassamento del rapporto tra debito e PIL della Grecia al 120,5% nel 2020.
Tuttavia, l’elargizione del prestito è condizionata dall’attuazione da parte della Grecia di determinate misure entro la fine del mese – ad esempio, ridurre il salario minimo per rendere il mercato del lavoro più flessibile – e sarà sottoposta a un “rafforzato e permanente” monitoraggio da parte dei funzionari della Commissione Europea in Grecia.
La Grecia dovrà depositare il valore di un trimestre del pagamento del servizio di debito in un “conto separato”, il quale sarà monitorato dalla troika composta da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e FMI.
Nel corso dei prossimi due mesi, la Grecia promulgherà una legge “garante che la priorità sarà concessa ai pagamenti del servizio del debito”, sancendolo nella Costituzione “il più presto possibile”. Il pacchetto, se sarà attuato (si tratta di un grosso se), consentirà alla Grecia di evitare un default disordinato nel prossimo mese con 14,5 miliardi di euro (19 miliardi di dollari) di obbligazioni in scadenza. Tuttavia, la tregua è destinata ad essere temporanea ed è improbabile che possa offrire delle soluzioni ai problemi di base della Grecia o, più importante, delle economie dell’eurozona.
Questo perché la pazienza e la fiducia si stanno esaurendo su tutti i fronti. Gli istituti di credito esercitano delle pressioni, richiedendo una maggiore austerità e forti impegni, i titolari di mutuo stanno diventando sempre più risentiti per le condizioni che si stanno cercando di imporre loro, e la gente nei paesi prestatori è irritata di fronte alla prospettiva di compiere dei sacrifici per salvare i loro dissoluti vicini. Ci sono state violente manifestazioni e proteste ad Atene e altrove contro il pacchetto d’austerità. Per i greci, i quali hanno avuto a lungo vita facile come parte integrante della più ampia eurozona, i sacrifici richiesti, in particolare la riduzione delle pensioni, rappresentano una pillola amara da ingoiare. La sensazione di essere costretti a subire delle privazioni in base alle insistenze degli stranieri, soprattutto tedeschi, li rende ancor più risentiti. Con la disoccupazione in crescita attorno al 20% per il quarto anno consecutivo, la rabbia dell’opinione pubblica contro la classe politica ha comportato settimane di proteste.
Quasi con lo stampino, la rabbia sta montando in altri paesi dell’eurozona per la prospettiva di dover salvare i greci, piuttosto che lasciarli cuocere nel loro brodo. I pessimisti sottolineano che la Grecia è nota per le promesse non mantenute. Nonostante gli impegni presi più di un anno fa volti alla massiccia privatizzazione e alla riduzione dell’amministrazione pubblica, non un singolo significativo settore greco è stato privatizzato, né un funzionario licenziato. Dopo aver speso miliardi per più di un decennio per l’integrazione della Germania, i tedeschi non vogliono spendere grandi somme supplementari a favore di coloro che considerano pigri, nonché fannulloni spendaccioni dell’Europa meridionale. Altri Stati creditori come la Finlandia e i Paesi Bassi sono altrettanto stufi di dover distribuire denaro, e meno della Germania si sentono costretti a svolgere la parte dei buoni europei.
In questo modo, l’agonia della Grecia non è affatto conclusa. Per prima cosa, le regolari e incessanti valutazioni della troika, così come le accese polemiche per gli eccessi di esborsi continueranno. E se l’Italia e la Spagna saranno in grado di fare evidenti progressi nella sistemazione delle proprie finanze pubbliche, il resto dell’eurozona si sentirà più al sicuro nel chiudere il rubinetto greco. Dunque la Grecia potrà solo ritardare un default disordinato, che alla fine avverrà comunque.
Sotto molti aspetti la Grecia rappresenta la debolezza dell’Unione Europea. Come sostenuto da Martin Wolf sul Financial Times, il fatto che questo piccolo paese, economicamente debole e cronicamente mal gestito abbia causato tali difficoltà, indica la fragilità strutturale dell’UE. Le mancanze greche sono estreme, ma non uniche. La sua situazione dimostra che l’eurozona necessita ancora di una più praticabile miscela di flessibilità, disciplina e solidarietà.
Politicamente l’eurozona è una costruzione incompleta. Dispone di un’unione monetaria senza un’unione fiscale. Non è né così profondamente integrata dal ritenere una rottura inconcepibile, né così poco unita dal rendere la sua implosione tollerabile. Alcuni politologi sostengono che se l’eurozona sopravviverà, deve trasformarsi in un’unione fiscale come l’India, dove sono assicurati trasferimenti dagli Stati con surplus a quelli con disavanzi (come succede tra il Gujarat e l’Orissa). Ma i tedeschi e gli elettori del nord Europa non considerano seriamente una simile prospettiva. Infatti, oggi la garanzia più potente per la sopravvivenza dell’UE è il costo rappresentato dalla sua rottura. Ma questo aspetto non basta. Nel lungo periodo, l’unità europea deve essere costruita su qualcosa di più positivo rispetto a questo principio. Si tratta comunque di un compito titanico, date le divergenze economiche e gli attriti politici emersi così chiaramente da questa crisi.
Economicamente l’eurozona è un matrimonio fra diseguali. Membri ad alta produttività (Germania, Paesi Bassi e Finlandia) e Paesi del sud a bassa produttività (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna – PIIGS) sono legati da un’unica moneta, l’euro. L’euro è molto sottovalutato per la produttività della Germania, che quindi ha espanso le proprie esportazioni. Ma la stessa moneta è troppo forte per i PIIGS, che hanno aggravato i disavanzi commerciali. In questo modo, la crisi dell’eurozona è fondamentalmente una crisi della bilancia dei pagamenti. Poiché tutti i membri usano l’euro, gli squilibri commerciali tra loro non sono evidenziati. Ma essi sono enormi, per un totale di circa 500 miliardi di euro. Un tasso di cambio non competitivo ha gravato i PIIGS, i quali hanno una crescita del PIL molto lenta o negativa, causando una riduzione del gettito fiscale e, di conseguenza, un aumento del deficit di bilancio. Dunque, un problema commerciale si è trasformato in un problema fiscale.
Risolvere queste questioni non è facile. Inoltre, vi è preoccupazione per il deteriorarsi dell’economia dell’eurozona, che probabilmente si trova in recessione. I piani d’austerità varati da alcuni governi ritarderebbero solamente la crescita economica, riducendo le entrate governative e aggravando lo squilibrio fiscale. Tutto ciò, a sua volta, farà ulteriormente calare la fiducia, mettendo in discussione la capacità di diversi Stati sovrani di sostenere le proprie spese. E’ un circolo vizioso.
Le banche europee sono sotto forte pressione. Hanno massicce dosi di obbligazioni, non solo della Grecia, ma anche di altri paesi che si ritiene siano in una situazione critica. Il pacchetto di salvataggio greco comporterà per loro delle pesanti perdite. Se il contagio greco si diffonderà in altri paesi, l’intero sistema finanziario potrebbe essere in pericolo. Non c’è da stupirsi che la maggior parte delle banche stiano ottenendo prestiti dalla BCE per le loro obbligazioni in scadenza, piuttosto che per emettere capitali nell’economia attraverso prestiti commerciali.
I Paesi e le aziende dell’Asia sono particolarmente colpiti da questa stretta creditizia da parte delle banche europee, che sono state le loro grandi finanziatrici. La riduzione dei crediti da parte di queste banche, unitamente al rallentamento dell’economia in Europa potrebbe comportare delle conseguenze negative per le esportazioni asiatiche.
Cosa causeranno questi sviluppi per l’India? L’UE è il principale partner commerciale dell’India, acquistando circa un quinto del totale delle esportazioni indiane. Con un rallentamento delle esportazioni dovuto a un calo della domanda da parte dell’UE, aggravata dai tagli governativi del bilancio e dalla riduzione dei finanziamenti bancari, potrebbe ampliarsi il disavanzo del conto delle partite correnti dell’India. Dal momento che più di tre quarti delle esportazioni indiane verso l’UE provengono dal settore manifatturiero, questo prevedibile calo della domanda di esportazioni potrebbe esercitare delle pressioni sulla produzione industriale nazionale. Infine, mentre i mercati di tutto il mondo restano nervosi, il commercio e i flussi d’investimenti futuri dipenderanno da come verrà risolta la crisi del debito dell’eurozona. Gli afflussi di capitali verso l’India potrebbero essere influenzati nel caso in cui le banche europee continuassero ad ottenere prestiti per soddisfare le loro obbligazioni non ancora scadute, piuttosto che per espandere il credito al fine di favorire nuovi investimenti.
Non vi è alcuna certezza su come, quando e in che modo l’eurozona uscirà dalla complicata situazione in cui versa. Dal momento che l’eurozona fatica a trovare una via d’uscita alla propria multiforme crisi, l’India non può pretendere di rimanerne non influenzata. Necessita di una strategia globale per affrontare tutte le eventualità e gli scenari. Tutto ciò che attualmente osserviamo è istintiva reazione del mercato a specifici sviluppi. Chiaramente, questo non è sufficiente.
La situazione dei paesi europei così come quella degli Stati Uniti offre alcune lezioni di base per l’India. Il loro passaggio da una crisi all’altra dimostra i pericoli rappresentati da modelli economici basati sul debito. Seguendo l’economia keynesiana, i governi di questi paesi hanno invocato pesanti spese pubbliche al fine di creare domanda aggiuntiva e stimolare la crescita. Gli individui e le famiglie di questi paesi hanno accumulato debito su debito in modo tale da ricercare un modello di esistenza che pensavano fosse il modo corretto di vivere. Una cultura basata sulle carte di credito e prestiti sub-prime ha creato un’illusione di opulenza.
Stanno ora riscoprendo le virtù della buona vecchia prudenza. Le loro stravaganze sono ora delle ossessioni. I loro governi sono “in tensione”. I loro sistemi di sicurezza sociale stanno diventando sempre più insostenibili e inadeguati. Si tratta di un risultato inevitabile in una società in cui la specializzazione esclusiva della gente maggiormente pagata è ideare nuovi e più complessi prodotti finanziari. Stanno imparando nel modo più duro che non si può influenzare il percorso verso la prosperità.
Prima guadagna, poi spendi, questo ci hanno insegnato i nostri antenati. Spendi sempre meno di quello che guadagni, ci hanno detto. I nostri shastra e i saggi disapprovavano il comportamento dei re che indulgevano in dissolutezza e sperperavano le tasse pagate dai loro sudditi. Sotto l’influenza delle economie occidentali, i governi dell’India indipendente hanno dimenticato queste lezioni, ricorrendo al finanziamento del deficit su larga scala e spingendo al rialzo i prezzi di tutto centinaia di volte nel corso degli ultimi anni.
Oggi, l’abitudine di vivere al di là di ogni mezzo, che si riflette in giganteschi deficit fiscali, è diventata una macina attorno al collo dell’economia. La stampa di banconote, prendendo in prestito da chiunque è disposto a dare in prestito, è una strada angosciosa che non porta allo sviluppo. Le nazioni sono costruite sul duro lavoro, la diligenza e l’onestà. Questa è la lezione che dovremmo imparare dalla crisi in Occidente.
di Virendra Parekh
(Traduzione di Francesco Brunello Zanitti)
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