È sempre affascinante studiare i meccanismi mediatici e il modo in cui l’uomo della strada viene pilotato qualitativamente e quantitativamente là dove comanda la ragion di Stato.
Nelle ultime settimane abbiamo potuto assistere a un paio di interessanti applicazioni pratiche di questo concetto: 1) il caso Englaro e 2) il caso Guzzanti.
Si tratta di due accadimenti che sono stati presentati al pubblico non nella loro fattualità, bensì nella loro dimensione evocativa (mi azzarderei a dire mitopoietica se non temessi di apparire esagerata), che ha scatenato come al solito l’hooligan ideologico sopito in ognuno di noi.
Partiamo dal caso 2, che è più divertente. I fatti, data la piccante materia del contendere, sono ben noti: Sabina Guzzanti (che non è proprio più quella dei tempi di Avanzi e Tv delle ragazze) ha pronunciato una severa invettiva contro il cav. Berlusconi e la signorina Carfagna — la quale, per essersi gentilmente prostrata ai desideri dell’attuale premier, ne è stata ricompensata con una bella poltrona, comoda e accogliente che neanche una Frau.
Il fatto che Guzzanti, da non vera signora, si sia espressa con quello che in altri tempi si sarebbe definito umorismo da trivio ha contribuito grandemente a distogliere l’attenzione dal vero punctum dolens: che non è la vera o presunta fellatio carfagnana a beneficio del Cavaliere, bensì l’acquiescenza con cui le Caste di ogni ordine e grado hanno accolto la nomina della signorina a ministro, ignorando se la stessa disponesse di altrettante competenze in campi diversi, e concedendo così tacitamente a Berlusconi poteri da satrapo. Una carica governativa dovrebbe pur avere un suo peso, ed è troppo comodo svillaneggiare Caligola a duemila anni di distanza.
Tant’è: il putiferio mediatico si è abbattuto sulla vicenda, e quest’estate malata ha conosciuto un clima finalmente un po’ caldo. Che per la verità lo era già a partire dal caso 2.
Con un decreto datato 25 giugno 2008, la Corte d’Appello di Milano – Prima Sezione Civile, nelle persone del presidente Patrone e dei consiglieri Lamanna e Negri Della Torre, ha accolto l’istanza di «autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale di [Eluana Englaro], realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico».
In linguaggio più semplice, si è finalmente e saggiamente deciso di porre fine alle sofferenze di Eluana Englaro, la ragazza ridotta in coma vegetativo da 16 anni e costretta a una sopravvivenza artificiale attraverso l’alimentazione forzata. Il padre si batte strenuamente da anni per offrire alla figlia una dignitosa uscita da questo mondo, ma si è trovato a dover combattere non soltanto contro le lungaggini burocratiche bensì anche contro le ingerenze di Chiesa e opinione pubblica in nome di un non ben chiarito “diritto alla vita”: il quale poi, in concreto, sembra essere piuttosto il diritto di ficcare il naso nei fatti altrui. È vero che anni di trasmissioni come il Grande Fratello e I fatti vostri hanno il loro peso nella mala educazione odierna; ma è vero anche il secolare penchant del Vaticano a occuparsi (spesso assai indebitamente) dei fatti di chi pure si chiama fuori dal suo sacro recinto. Non a caso Beppino Englaro, il padre di Eluana, ha precisato che, pur col massimo rispetto per il Vaticano, quello che dice la Chiesa vale per la Chiesa e per chi la segue, ma non per chi dalla Chiesa è fuori. Apriti cielo.
Implacabile e ratto nonostante la mole, Giulianone Ferrara ha annusato il sangue e l’occasione: e ha lanciato la sua personale crociata delle bottiglie d’acqua in piazza Duomo a Milano (già bastantemente oltraggiata anche senza certi pruriti buonisti) per dimostrare quanto numerosi siano gli italiani attenti alla vita biologica di Eluana. In compenso i coraggiosi (perché qui sì che si tratta di coraggio, lo si dica) — dunque i coraggiosi giudici che si sono assunti il non facile compito di decretare l’interruzione del trattamento sono già bersaglio di insulti e anatemi parrocchiali — a dimostrazione di quanto numerosi sono gli italiani di lesta lacrimazione per vicende che, se non fossero pubblicizzate così da offrire anche a loro un riflesso di visibilità mediatica, neanche susciterebbero il loro interesse di cuori di pietra abituali.
È il sistema, bellezza.
di Alessandra Colla
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18 luglio 2008
Da Englaro a Guzzanti: storie di ordinaria manipolazione mediatica
È sempre affascinante studiare i meccanismi mediatici e il modo in cui l’uomo della strada viene pilotato qualitativamente e quantitativamente là dove comanda la ragion di Stato.
Nelle ultime settimane abbiamo potuto assistere a un paio di interessanti applicazioni pratiche di questo concetto: 1) il caso Englaro e 2) il caso Guzzanti.
Si tratta di due accadimenti che sono stati presentati al pubblico non nella loro fattualità, bensì nella loro dimensione evocativa (mi azzarderei a dire mitopoietica se non temessi di apparire esagerata), che ha scatenato come al solito l’hooligan ideologico sopito in ognuno di noi.
Partiamo dal caso 2, che è più divertente. I fatti, data la piccante materia del contendere, sono ben noti: Sabina Guzzanti (che non è proprio più quella dei tempi di Avanzi e Tv delle ragazze) ha pronunciato una severa invettiva contro il cav. Berlusconi e la signorina Carfagna — la quale, per essersi gentilmente prostrata ai desideri dell’attuale premier, ne è stata ricompensata con una bella poltrona, comoda e accogliente che neanche una Frau.
Il fatto che Guzzanti, da non vera signora, si sia espressa con quello che in altri tempi si sarebbe definito umorismo da trivio ha contribuito grandemente a distogliere l’attenzione dal vero punctum dolens: che non è la vera o presunta fellatio carfagnana a beneficio del Cavaliere, bensì l’acquiescenza con cui le Caste di ogni ordine e grado hanno accolto la nomina della signorina a ministro, ignorando se la stessa disponesse di altrettante competenze in campi diversi, e concedendo così tacitamente a Berlusconi poteri da satrapo. Una carica governativa dovrebbe pur avere un suo peso, ed è troppo comodo svillaneggiare Caligola a duemila anni di distanza.
Tant’è: il putiferio mediatico si è abbattuto sulla vicenda, e quest’estate malata ha conosciuto un clima finalmente un po’ caldo. Che per la verità lo era già a partire dal caso 2.
Con un decreto datato 25 giugno 2008, la Corte d’Appello di Milano – Prima Sezione Civile, nelle persone del presidente Patrone e dei consiglieri Lamanna e Negri Della Torre, ha accolto l’istanza di «autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale di [Eluana Englaro], realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico».
In linguaggio più semplice, si è finalmente e saggiamente deciso di porre fine alle sofferenze di Eluana Englaro, la ragazza ridotta in coma vegetativo da 16 anni e costretta a una sopravvivenza artificiale attraverso l’alimentazione forzata. Il padre si batte strenuamente da anni per offrire alla figlia una dignitosa uscita da questo mondo, ma si è trovato a dover combattere non soltanto contro le lungaggini burocratiche bensì anche contro le ingerenze di Chiesa e opinione pubblica in nome di un non ben chiarito “diritto alla vita”: il quale poi, in concreto, sembra essere piuttosto il diritto di ficcare il naso nei fatti altrui. È vero che anni di trasmissioni come il Grande Fratello e I fatti vostri hanno il loro peso nella mala educazione odierna; ma è vero anche il secolare penchant del Vaticano a occuparsi (spesso assai indebitamente) dei fatti di chi pure si chiama fuori dal suo sacro recinto. Non a caso Beppino Englaro, il padre di Eluana, ha precisato che, pur col massimo rispetto per il Vaticano, quello che dice la Chiesa vale per la Chiesa e per chi la segue, ma non per chi dalla Chiesa è fuori. Apriti cielo.
Implacabile e ratto nonostante la mole, Giulianone Ferrara ha annusato il sangue e l’occasione: e ha lanciato la sua personale crociata delle bottiglie d’acqua in piazza Duomo a Milano (già bastantemente oltraggiata anche senza certi pruriti buonisti) per dimostrare quanto numerosi siano gli italiani attenti alla vita biologica di Eluana. In compenso i coraggiosi (perché qui sì che si tratta di coraggio, lo si dica) — dunque i coraggiosi giudici che si sono assunti il non facile compito di decretare l’interruzione del trattamento sono già bersaglio di insulti e anatemi parrocchiali — a dimostrazione di quanto numerosi sono gli italiani di lesta lacrimazione per vicende che, se non fossero pubblicizzate così da offrire anche a loro un riflesso di visibilità mediatica, neanche susciterebbero il loro interesse di cuori di pietra abituali.
È il sistema, bellezza.
di Alessandra Colla
Nelle ultime settimane abbiamo potuto assistere a un paio di interessanti applicazioni pratiche di questo concetto: 1) il caso Englaro e 2) il caso Guzzanti.
Si tratta di due accadimenti che sono stati presentati al pubblico non nella loro fattualità, bensì nella loro dimensione evocativa (mi azzarderei a dire mitopoietica se non temessi di apparire esagerata), che ha scatenato come al solito l’hooligan ideologico sopito in ognuno di noi.
Partiamo dal caso 2, che è più divertente. I fatti, data la piccante materia del contendere, sono ben noti: Sabina Guzzanti (che non è proprio più quella dei tempi di Avanzi e Tv delle ragazze) ha pronunciato una severa invettiva contro il cav. Berlusconi e la signorina Carfagna — la quale, per essersi gentilmente prostrata ai desideri dell’attuale premier, ne è stata ricompensata con una bella poltrona, comoda e accogliente che neanche una Frau.
Il fatto che Guzzanti, da non vera signora, si sia espressa con quello che in altri tempi si sarebbe definito umorismo da trivio ha contribuito grandemente a distogliere l’attenzione dal vero punctum dolens: che non è la vera o presunta fellatio carfagnana a beneficio del Cavaliere, bensì l’acquiescenza con cui le Caste di ogni ordine e grado hanno accolto la nomina della signorina a ministro, ignorando se la stessa disponesse di altrettante competenze in campi diversi, e concedendo così tacitamente a Berlusconi poteri da satrapo. Una carica governativa dovrebbe pur avere un suo peso, ed è troppo comodo svillaneggiare Caligola a duemila anni di distanza.
Tant’è: il putiferio mediatico si è abbattuto sulla vicenda, e quest’estate malata ha conosciuto un clima finalmente un po’ caldo. Che per la verità lo era già a partire dal caso 2.
Con un decreto datato 25 giugno 2008, la Corte d’Appello di Milano – Prima Sezione Civile, nelle persone del presidente Patrone e dei consiglieri Lamanna e Negri Della Torre, ha accolto l’istanza di «autorizzazione a disporre l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale di [Eluana Englaro], realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino naso-gastrico».
In linguaggio più semplice, si è finalmente e saggiamente deciso di porre fine alle sofferenze di Eluana Englaro, la ragazza ridotta in coma vegetativo da 16 anni e costretta a una sopravvivenza artificiale attraverso l’alimentazione forzata. Il padre si batte strenuamente da anni per offrire alla figlia una dignitosa uscita da questo mondo, ma si è trovato a dover combattere non soltanto contro le lungaggini burocratiche bensì anche contro le ingerenze di Chiesa e opinione pubblica in nome di un non ben chiarito “diritto alla vita”: il quale poi, in concreto, sembra essere piuttosto il diritto di ficcare il naso nei fatti altrui. È vero che anni di trasmissioni come il Grande Fratello e I fatti vostri hanno il loro peso nella mala educazione odierna; ma è vero anche il secolare penchant del Vaticano a occuparsi (spesso assai indebitamente) dei fatti di chi pure si chiama fuori dal suo sacro recinto. Non a caso Beppino Englaro, il padre di Eluana, ha precisato che, pur col massimo rispetto per il Vaticano, quello che dice la Chiesa vale per la Chiesa e per chi la segue, ma non per chi dalla Chiesa è fuori. Apriti cielo.
Implacabile e ratto nonostante la mole, Giulianone Ferrara ha annusato il sangue e l’occasione: e ha lanciato la sua personale crociata delle bottiglie d’acqua in piazza Duomo a Milano (già bastantemente oltraggiata anche senza certi pruriti buonisti) per dimostrare quanto numerosi siano gli italiani attenti alla vita biologica di Eluana. In compenso i coraggiosi (perché qui sì che si tratta di coraggio, lo si dica) — dunque i coraggiosi giudici che si sono assunti il non facile compito di decretare l’interruzione del trattamento sono già bersaglio di insulti e anatemi parrocchiali — a dimostrazione di quanto numerosi sono gli italiani di lesta lacrimazione per vicende che, se non fossero pubblicizzate così da offrire anche a loro un riflesso di visibilità mediatica, neanche susciterebbero il loro interesse di cuori di pietra abituali.
È il sistema, bellezza.
di Alessandra Colla
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