15 febbraio 2009
Il mito del lavoro che non c'è
Negli ultimi 10 anni si e’ diffuso un mito, che e’ quello del lavoro che non c’e’ piu’. Questo mito nasce per nascondere il fallimento dell’ideologia riformista, quella che e’ nata per ideare i paesi occidentali come paesi ove non ci sarebbe piu’ stato lavoro (perche’ delocalizzato) e ci saremmo limitati a gestire la complessita’, fornendo servizi avanzati. Begli slogan, che nascondono un fallimento.
Perche’ e’ nato questo paravento? E’ nato questo paravento perche’ un grande paese che stampava soldi a tutto andare (gli USA) ha dovuto chiedersi in che modo evitare un’inflazione mostruosa. E la maniera migliore e’ stata “teniamo i soldi che stampiamo fuori dal paese”.
Sia chiara una cosa: non e’ ne’ convincente ne’ cosi’ scontato che le delocalizzazioni siano economicamente vantaggiose. Tantevvero che oggi moltissime aziende stanno facendo marcia indietro. Ma non perche’, come amiamo illuderci, manchi qualita’ nel prodotto. E’ che per costruire processori dove prima c’era la savana dobbiamo prima portarci la corrente. Poi dobbiamo portarci le strade. Indi l’industria del vuoto spinto. Eccetera eccetera eccetera: un’infrastruttura sofisticata puo’ vivere solo all’interno di un sistema sofisticato.
Se quindi vogliamo prendere la Cina da uno stato comunista-medioevale e portarla ad essere la fabbrica del mondo, non dobbiamo solo finanziare la fabbrica di chip. Dobbiamo anche mettere su una centrale elettrica di potenza adeguata e di continuita’ garantita. E le scuole. E le strade. E tutto quanto.
Si e’ calcolato che il calo di investimenti dagli USA verso la Cina, l’ India sia stato pari, per via del credit crunch, ad un triliardo di dollari/anno per il biennio 2009-2010. Ora, proviamo a rifletterci: anche calcolando un solo triliardo di dollari l’anno, stiamo parlando del 7.1% del PIL americano. Che e’ una cifra enorme. Qual’e’ il guaio?
Se consideriamo che il volume della bilancia commerciale attiva dei cinesi e’ di circa 250 miliardi di dollari annui, rimane da chiedersi che fine abbiano fatto quei giganteschi fiumi di soldi. E la risposta e’, ovviamente, che sono serviti a costruire l’infrastruttura.
In definitiva, quindi, l’affare cina ci ha reso qualcosa come 250 miliardi di dollari di merci l’anno(1), ma ha richiesto investimenti esteri in R&D fino ad un triliardo di dollari annui. Magari per la singola azienda l’affare e’ stato conveniente, ma siamo certi che come sistema ci abbiamo guadagnato?
La risposta e’ , quasi sicuramente, NO. A quanto dicono queste agenzie governative , abbiamo buttato in R&D fino a 1400 miliardi di dollari in un anno, e il disavanzo commerciale, cioe’ le merci che sono uscite -al netto- da questa immensa fabbrica hanno un valore massimo che e’ arrivato ai 360 miliardi.
In un’ottica puramente liberista, questo non poteva succedere: il bene combinato di tutte le singole aziende che ci hanno guadagnato in Cina doveva corrispondere ad un risultato positivo globale. Cosa che non e’ stata: nel 2007, le merci che abbiamo fatto produrre la’ sono state, in totale , un plusvalore di 360 miliardi.(2)
Quindi ci abbiamo rimesso. Se supponiamo che la ricchezza si conservi e non si distrugga, chi ci ha guadagnato? Beh, ci hanno guadagnato quei 500 milioni di cinesi che hanno visto il loro stile di vita crescere. Lavoro migliore, piu’ igiene, tecnologia, eccetera. Bello.
Bello, ma bisogna chiedersi se industrializzare la cina per usarne i prodotti sia stato un affare (e abbiamo detto di no) e se queste perdite abbiano avuto degli effetti. L’occidente (facciamo un miliardo di persone tra Ue ed USA) ha creato 500 milioni di nuovi redditi in Cina. Dobbiamo chiederci: se quel lavoro fosse rimasto qui, e se quegli investimenti in R&D fossero rimasti qui, quanto ci avremmo guadagnato in termini di occupazione?
Questo e’ il problema, e per comprendere le risposte basta rileggere vecchi articoli economici. Negli anni ‘70 e negli anni ‘80 si stimava che la furibonda crescita tecnologica avrebbe prodotto sempre piu’ lavoro, come in effetti e’ stato. Se consideriamo che un tasso di disoccupazione medio nell’eurozona significa qualcosa come 7 milioni di disoccupati in totale, e che negli USA (prima della crisi) stavamo sui 17 milioni, beh, in quei 500 milioni di redditi che abbiamo prodotti in cina ci stavamo larghi.
Del resto, tutti gli economisti del pre-globalizzazione avevano calcolato questo fenomeno, ed erano preoccupati del fatto che fosse possibile supportare una simile crescita tecnologica sul piano del mercato del lavoro. Gli economisti dell’epoca chiaramente fornivano due risposte: automazione di processo ed emigrazione. Ancora si parlava poco di outsourcing, perche’ si pensava (giustamente) che costruire una fabbrica di chip nella giungla richiedesse spese accessorie enormi, per rendere possibile l’infrastruttura necessaria.
Perche’ si e’ commesso uno svarione simile, e specialmente uno svarione cosi’ costoso? Perche’ si sono spesi triliardi per attrezzare una jungla a produrre chip, se poi ci servivano chip per un terzo di quella cifra?
La risposta sta nel gigantesco disavanzo commerciale americano: perche’ spostare enormemente la produzione all’estero era l’unica strategia di breve e medio termine che potesse tenere in piedi il valore del dollaro dopo le continue stampe di moneta post-kennediane.
Cosi’ si e’ inventata l’ideologia della globalizzazione, spacciandola per inevitabile: e’ verissimo che i commerci tra nazioni siano destinati a crescere col progresso. Non e’ detto, pero’ , che la maniera migliore di farlo sia di impedire ai singoli governi di gestire il traffico di frontiera.
Così com’e’ la globalizzazione e’ frutto di una visione ideologica, non perche’ il mercato libero sia “la legge del piu’ forte”(3), ma perche’ si sapeva fin dall’inizio che per trasformare alcuni paesi nelle “fabbriche del mondo” si sarebbe dovuto investire moltissimo, e il rischio di non rivedere gli investimenti sarebbe stato altissimo: se adesso si affermera’ una strategia protezionista o nazionalista per via del debit crunch, siamo proprio certi che rivedremo indietro tutti quei soldi?
Ecco il motivo di un’ideologia. Lo scopo essenziale di ogni ideologia e’ quello di costruire una serie di risposte prefabbricate che servano come tappo per fermare le domande prima che nascano o che diventino pericolose. Cosi’, quando in Europa e USA qualcuno ha cominciato a notare che il lavoro calava, la risposta e’ stata “in futuro ci sara’ sempre meno lavoro (come se scomparisse anziche’ venire spostato) e i nuovi giovani dovranno gestire la complessita’”. La stessa ideologia rispondeva che ovviamente ci avremmo guadagnato perche’ il mercato INTERNO cinese poi avrebbe comprato le nostre merci.
Ebbene, non solo la Cina non ha comprato le nostre merci (altrimenti non avrebbe un simile disavanzo commerciale) ma non abbiamo piu’ queste complessita’ da gestire: le complessita’ da gestire oggi si trovano in cina, perche’ “complessita’” indicava la complessita’ della produzione, e questa e’ scomparsa.
Certo, rimaneva da gestire la complessita’ di questa scellerata operazione, cosa nella quale si sono specializzati paesi come l’ Inghilterra: ma al di fuori di questo, la generazione di europei nata per “gestire la complessita’” si trova in un’europa ove il70% dei lavori disponibili NON implica complessita’. Perche’ la PMI non e’ complessa. Perche’ non lo e’ l’azienda che ha delocalizzato. Perche’ la complessita’ e’ figlia del lavoro, ed il lavoro se n’e’ andato.
Che cosa rispondono gli ideologi a queste cifre? Come mi sanno giustificare frasi quali “e’ conveniente che la Cina cresca perche’ il mercato interno cinese e’ una grande opportunita’”, di fronte ad un disavanzo commerciale verso l’estero di 360 miliardi di dollari? Dove sono queste opportunita’, se per vendere 10 dobbiamo comprare 13,6?
E specialmente, se per arrivare a vendere 10 dobbiamo prima investire 14?
La realta’ che emerge dai numeri di queste economie e’ che per quanto riguarda la globalizzazione si sono raccontate tante balle. Il disavanzo commerciale dei paesi in via di sviluppo significa, senza ombra di dubbio, che non e’ affatto vero che si tratti di grandi opportunita’ per le nostre imprese.
A questo punto il liberista dice “si’, ma spesso quelle imprese sono occidentali”. Il che, secondo lui, chiude la questione. Il che non e’ vero, perche’ in ultima analisi gli investimenti in R&D sono 3 volte il disavanzo commerciale, il che significa che se anche il 100% delle imprese cinesi che esportano fosse occidentale, siamo ancora a debito, eccome.
E quindi i conti non tornano, punto e basta. La crescita dei paesi emergenti, finanziata dall’occidente, non e’ stata un buon affare. E’ vero che LA’ si sono creati milioni di posti di lavoro. Ma e’ vero che per fare questo si sono distolti dei flussi enormi di capitale, che non sono rientrati e che probabilmente non rientreranno MAI, e che per via di questo crollo di investimenti in loco le condizioni dei lavoratori occidentali sono letteralmente crollate, con la sola eccezione di quelli che gestiscono la complessita’ ed i servizi DI QUESTA SCELLERATA OPERAZIONE.
Sarebbe ora di andare da questi signori che ripetono che la Cina sia una grande opportunita’, e chiedere loro conto delle cifre in ballo. Chiedere loro come sia possibile affermare che le nostre industrie ci guadagnino per via del mercato interno cinese se la cina ESPORTA piu’ di quanto importi. Chiedere loro quale conto economico sia in attivo se , anche ammettendo che la Cina sia la grande fabbrica del mondo, gli investimenti in R&D superano di tre volte le merci che escono da questa fabbrica.
Chiedere conto delle cifre, laddove le ideologie ci danno solo slogan.
Perche’ quando si e’ inventata la palla del lavoro che “calava inevitabilmente” in occidente, per tener buoni quelli che si lamentavano, si stava solo mettendo una pezza al fatto che si stava usando la Cina non come fabbrica, ma come pozzo di smaltimento per dollari in eccesso. Solo che cosi’ facendo si e’ preparato un disastro. E specialmente, lo si e’ giustificato dicendo “non possiamo continuare a crescere cosi’”, arrivando a dire che se il lavoro calava era perche’ il mondo “non puo’ crescere sempre esponenzialmente”, quando in Cina venivano creati 500 milioni di posti di lavoro.
Cosi’ tutte queste ideologie del fumo fritto sono state create per mettere una toppa, per sviare dall’evidenza: forse il mondo non puo’ crescere sempre, nessuno lo mette in dubbio, ma ADESSO sta crescendo, solo che noi siamo tagliati fuori. Ed e’ questo che l’ideologia del “non possiamo crescere sempre” vuole nascondere: allora chiediamo: e perche’ loro si’? Perche’ loro ADESSO crescono?
Tante ideologie, specialmente quelle che confondono le conseguenze del problema con la soluzione del problema (decrescita, risparmio, eccetera(4) ), sono nate a scopo consolatorio, mediante un meccanismo intellettuale che produce il grande sbaglio (”adattarsi alle conseguenze nefaste del problema e’ una soluzione al problema e non una conseguenza“) , iniziano a spacciarla come soluzione. Dire che se manca energia bisogna consumarne meno e’ come dire alle donne: beh, in caso di stupro prendilo dentro. Il che e’ ovvio, visto che non hai scelta. Se manca energia ne consumi di meno per forza.
Cosi’, se manca crescita, ci dicono, e’ meglio convertirsi alla decrescita. Il che e’ ovvio: non ho bisogno di un genio per capire che senza crescita siamo in decrescita. Ma non e’ neanche una scelta: la decrescita e’ semplicemente una conseguenza del problema della difficolta’ a crescere: non puo’ essere una soluzione perche’ e’ una semplice conseguenza del problema. Crescere meno= decrescere. Se uno dice “siamo in crisi” non puoi rispondere “allora decresciamo”: lo stai gia’ facendo, era gia’ implicito nel problema.
Cosi’ come si e’ risposto ai milioni di lavoratori che hanno perso il posto perche’ si e’ deciso di fare questo investimento folle sulla Cina: “non potevamo continuare col consumismo”. Strano, perche’ consumiamo ancora di piu’, visto che i cinesi producono per loro ED esportano anche. Stiamo continuando eccome!
Dunque?
Dunque e’ tutta una leggenda. Magari non si puo’ crescere per sempre (dipende da COME si cresce, imho) ma adesso si sta crescendo, e nessuno di questi genialoni della decrescita ci spiega come mai questo destino “inevitabile” stia toccando noi e non altri. Eccetera.
Ecco, la storia che mancano posti di lavoro perche’ “non si puo’ crescere sempre” era una palla. Qualcuno e’ cresciuto e ci ha fatto 500 milioni di nuovi posti di lavoro. Con capitali costruiti qui. E nessuno sa ancora fornire un bilancio positivo.
Il lavoro c’era. Lo abbiamo spostato. E sarebbe ora di chiederne conto. Senza farsi seghe sul destino cinico e baro della decrescita mondiale inevitabile (che tocca solo noi).
Uriel
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15 febbraio 2009
Il mito del lavoro che non c'è
Negli ultimi 10 anni si e’ diffuso un mito, che e’ quello del lavoro che non c’e’ piu’. Questo mito nasce per nascondere il fallimento dell’ideologia riformista, quella che e’ nata per ideare i paesi occidentali come paesi ove non ci sarebbe piu’ stato lavoro (perche’ delocalizzato) e ci saremmo limitati a gestire la complessita’, fornendo servizi avanzati. Begli slogan, che nascondono un fallimento.
Perche’ e’ nato questo paravento? E’ nato questo paravento perche’ un grande paese che stampava soldi a tutto andare (gli USA) ha dovuto chiedersi in che modo evitare un’inflazione mostruosa. E la maniera migliore e’ stata “teniamo i soldi che stampiamo fuori dal paese”.
Sia chiara una cosa: non e’ ne’ convincente ne’ cosi’ scontato che le delocalizzazioni siano economicamente vantaggiose. Tantevvero che oggi moltissime aziende stanno facendo marcia indietro. Ma non perche’, come amiamo illuderci, manchi qualita’ nel prodotto. E’ che per costruire processori dove prima c’era la savana dobbiamo prima portarci la corrente. Poi dobbiamo portarci le strade. Indi l’industria del vuoto spinto. Eccetera eccetera eccetera: un’infrastruttura sofisticata puo’ vivere solo all’interno di un sistema sofisticato.
Se quindi vogliamo prendere la Cina da uno stato comunista-medioevale e portarla ad essere la fabbrica del mondo, non dobbiamo solo finanziare la fabbrica di chip. Dobbiamo anche mettere su una centrale elettrica di potenza adeguata e di continuita’ garantita. E le scuole. E le strade. E tutto quanto.
Si e’ calcolato che il calo di investimenti dagli USA verso la Cina, l’ India sia stato pari, per via del credit crunch, ad un triliardo di dollari/anno per il biennio 2009-2010. Ora, proviamo a rifletterci: anche calcolando un solo triliardo di dollari l’anno, stiamo parlando del 7.1% del PIL americano. Che e’ una cifra enorme. Qual’e’ il guaio?
Se consideriamo che il volume della bilancia commerciale attiva dei cinesi e’ di circa 250 miliardi di dollari annui, rimane da chiedersi che fine abbiano fatto quei giganteschi fiumi di soldi. E la risposta e’, ovviamente, che sono serviti a costruire l’infrastruttura.
In definitiva, quindi, l’affare cina ci ha reso qualcosa come 250 miliardi di dollari di merci l’anno(1), ma ha richiesto investimenti esteri in R&D fino ad un triliardo di dollari annui. Magari per la singola azienda l’affare e’ stato conveniente, ma siamo certi che come sistema ci abbiamo guadagnato?
La risposta e’ , quasi sicuramente, NO. A quanto dicono queste agenzie governative , abbiamo buttato in R&D fino a 1400 miliardi di dollari in un anno, e il disavanzo commerciale, cioe’ le merci che sono uscite -al netto- da questa immensa fabbrica hanno un valore massimo che e’ arrivato ai 360 miliardi.
In un’ottica puramente liberista, questo non poteva succedere: il bene combinato di tutte le singole aziende che ci hanno guadagnato in Cina doveva corrispondere ad un risultato positivo globale. Cosa che non e’ stata: nel 2007, le merci che abbiamo fatto produrre la’ sono state, in totale , un plusvalore di 360 miliardi.(2)
Quindi ci abbiamo rimesso. Se supponiamo che la ricchezza si conservi e non si distrugga, chi ci ha guadagnato? Beh, ci hanno guadagnato quei 500 milioni di cinesi che hanno visto il loro stile di vita crescere. Lavoro migliore, piu’ igiene, tecnologia, eccetera. Bello.
Bello, ma bisogna chiedersi se industrializzare la cina per usarne i prodotti sia stato un affare (e abbiamo detto di no) e se queste perdite abbiano avuto degli effetti. L’occidente (facciamo un miliardo di persone tra Ue ed USA) ha creato 500 milioni di nuovi redditi in Cina. Dobbiamo chiederci: se quel lavoro fosse rimasto qui, e se quegli investimenti in R&D fossero rimasti qui, quanto ci avremmo guadagnato in termini di occupazione?
Questo e’ il problema, e per comprendere le risposte basta rileggere vecchi articoli economici. Negli anni ‘70 e negli anni ‘80 si stimava che la furibonda crescita tecnologica avrebbe prodotto sempre piu’ lavoro, come in effetti e’ stato. Se consideriamo che un tasso di disoccupazione medio nell’eurozona significa qualcosa come 7 milioni di disoccupati in totale, e che negli USA (prima della crisi) stavamo sui 17 milioni, beh, in quei 500 milioni di redditi che abbiamo prodotti in cina ci stavamo larghi.
Del resto, tutti gli economisti del pre-globalizzazione avevano calcolato questo fenomeno, ed erano preoccupati del fatto che fosse possibile supportare una simile crescita tecnologica sul piano del mercato del lavoro. Gli economisti dell’epoca chiaramente fornivano due risposte: automazione di processo ed emigrazione. Ancora si parlava poco di outsourcing, perche’ si pensava (giustamente) che costruire una fabbrica di chip nella giungla richiedesse spese accessorie enormi, per rendere possibile l’infrastruttura necessaria.
Perche’ si e’ commesso uno svarione simile, e specialmente uno svarione cosi’ costoso? Perche’ si sono spesi triliardi per attrezzare una jungla a produrre chip, se poi ci servivano chip per un terzo di quella cifra?
La risposta sta nel gigantesco disavanzo commerciale americano: perche’ spostare enormemente la produzione all’estero era l’unica strategia di breve e medio termine che potesse tenere in piedi il valore del dollaro dopo le continue stampe di moneta post-kennediane.
Cosi’ si e’ inventata l’ideologia della globalizzazione, spacciandola per inevitabile: e’ verissimo che i commerci tra nazioni siano destinati a crescere col progresso. Non e’ detto, pero’ , che la maniera migliore di farlo sia di impedire ai singoli governi di gestire il traffico di frontiera.
Così com’e’ la globalizzazione e’ frutto di una visione ideologica, non perche’ il mercato libero sia “la legge del piu’ forte”(3), ma perche’ si sapeva fin dall’inizio che per trasformare alcuni paesi nelle “fabbriche del mondo” si sarebbe dovuto investire moltissimo, e il rischio di non rivedere gli investimenti sarebbe stato altissimo: se adesso si affermera’ una strategia protezionista o nazionalista per via del debit crunch, siamo proprio certi che rivedremo indietro tutti quei soldi?
Ecco il motivo di un’ideologia. Lo scopo essenziale di ogni ideologia e’ quello di costruire una serie di risposte prefabbricate che servano come tappo per fermare le domande prima che nascano o che diventino pericolose. Cosi’, quando in Europa e USA qualcuno ha cominciato a notare che il lavoro calava, la risposta e’ stata “in futuro ci sara’ sempre meno lavoro (come se scomparisse anziche’ venire spostato) e i nuovi giovani dovranno gestire la complessita’”. La stessa ideologia rispondeva che ovviamente ci avremmo guadagnato perche’ il mercato INTERNO cinese poi avrebbe comprato le nostre merci.
Ebbene, non solo la Cina non ha comprato le nostre merci (altrimenti non avrebbe un simile disavanzo commerciale) ma non abbiamo piu’ queste complessita’ da gestire: le complessita’ da gestire oggi si trovano in cina, perche’ “complessita’” indicava la complessita’ della produzione, e questa e’ scomparsa.
Certo, rimaneva da gestire la complessita’ di questa scellerata operazione, cosa nella quale si sono specializzati paesi come l’ Inghilterra: ma al di fuori di questo, la generazione di europei nata per “gestire la complessita’” si trova in un’europa ove il70% dei lavori disponibili NON implica complessita’. Perche’ la PMI non e’ complessa. Perche’ non lo e’ l’azienda che ha delocalizzato. Perche’ la complessita’ e’ figlia del lavoro, ed il lavoro se n’e’ andato.
Che cosa rispondono gli ideologi a queste cifre? Come mi sanno giustificare frasi quali “e’ conveniente che la Cina cresca perche’ il mercato interno cinese e’ una grande opportunita’”, di fronte ad un disavanzo commerciale verso l’estero di 360 miliardi di dollari? Dove sono queste opportunita’, se per vendere 10 dobbiamo comprare 13,6?
E specialmente, se per arrivare a vendere 10 dobbiamo prima investire 14?
La realta’ che emerge dai numeri di queste economie e’ che per quanto riguarda la globalizzazione si sono raccontate tante balle. Il disavanzo commerciale dei paesi in via di sviluppo significa, senza ombra di dubbio, che non e’ affatto vero che si tratti di grandi opportunita’ per le nostre imprese.
A questo punto il liberista dice “si’, ma spesso quelle imprese sono occidentali”. Il che, secondo lui, chiude la questione. Il che non e’ vero, perche’ in ultima analisi gli investimenti in R&D sono 3 volte il disavanzo commerciale, il che significa che se anche il 100% delle imprese cinesi che esportano fosse occidentale, siamo ancora a debito, eccome.
E quindi i conti non tornano, punto e basta. La crescita dei paesi emergenti, finanziata dall’occidente, non e’ stata un buon affare. E’ vero che LA’ si sono creati milioni di posti di lavoro. Ma e’ vero che per fare questo si sono distolti dei flussi enormi di capitale, che non sono rientrati e che probabilmente non rientreranno MAI, e che per via di questo crollo di investimenti in loco le condizioni dei lavoratori occidentali sono letteralmente crollate, con la sola eccezione di quelli che gestiscono la complessita’ ed i servizi DI QUESTA SCELLERATA OPERAZIONE.
Sarebbe ora di andare da questi signori che ripetono che la Cina sia una grande opportunita’, e chiedere loro conto delle cifre in ballo. Chiedere loro come sia possibile affermare che le nostre industrie ci guadagnino per via del mercato interno cinese se la cina ESPORTA piu’ di quanto importi. Chiedere loro quale conto economico sia in attivo se , anche ammettendo che la Cina sia la grande fabbrica del mondo, gli investimenti in R&D superano di tre volte le merci che escono da questa fabbrica.
Chiedere conto delle cifre, laddove le ideologie ci danno solo slogan.
Perche’ quando si e’ inventata la palla del lavoro che “calava inevitabilmente” in occidente, per tener buoni quelli che si lamentavano, si stava solo mettendo una pezza al fatto che si stava usando la Cina non come fabbrica, ma come pozzo di smaltimento per dollari in eccesso. Solo che cosi’ facendo si e’ preparato un disastro. E specialmente, lo si e’ giustificato dicendo “non possiamo continuare a crescere cosi’”, arrivando a dire che se il lavoro calava era perche’ il mondo “non puo’ crescere sempre esponenzialmente”, quando in Cina venivano creati 500 milioni di posti di lavoro.
Cosi’ tutte queste ideologie del fumo fritto sono state create per mettere una toppa, per sviare dall’evidenza: forse il mondo non puo’ crescere sempre, nessuno lo mette in dubbio, ma ADESSO sta crescendo, solo che noi siamo tagliati fuori. Ed e’ questo che l’ideologia del “non possiamo crescere sempre” vuole nascondere: allora chiediamo: e perche’ loro si’? Perche’ loro ADESSO crescono?
Tante ideologie, specialmente quelle che confondono le conseguenze del problema con la soluzione del problema (decrescita, risparmio, eccetera(4) ), sono nate a scopo consolatorio, mediante un meccanismo intellettuale che produce il grande sbaglio (”adattarsi alle conseguenze nefaste del problema e’ una soluzione al problema e non una conseguenza“) , iniziano a spacciarla come soluzione. Dire che se manca energia bisogna consumarne meno e’ come dire alle donne: beh, in caso di stupro prendilo dentro. Il che e’ ovvio, visto che non hai scelta. Se manca energia ne consumi di meno per forza.
Cosi’, se manca crescita, ci dicono, e’ meglio convertirsi alla decrescita. Il che e’ ovvio: non ho bisogno di un genio per capire che senza crescita siamo in decrescita. Ma non e’ neanche una scelta: la decrescita e’ semplicemente una conseguenza del problema della difficolta’ a crescere: non puo’ essere una soluzione perche’ e’ una semplice conseguenza del problema. Crescere meno= decrescere. Se uno dice “siamo in crisi” non puoi rispondere “allora decresciamo”: lo stai gia’ facendo, era gia’ implicito nel problema.
Cosi’ come si e’ risposto ai milioni di lavoratori che hanno perso il posto perche’ si e’ deciso di fare questo investimento folle sulla Cina: “non potevamo continuare col consumismo”. Strano, perche’ consumiamo ancora di piu’, visto che i cinesi producono per loro ED esportano anche. Stiamo continuando eccome!
Dunque?
Dunque e’ tutta una leggenda. Magari non si puo’ crescere per sempre (dipende da COME si cresce, imho) ma adesso si sta crescendo, e nessuno di questi genialoni della decrescita ci spiega come mai questo destino “inevitabile” stia toccando noi e non altri. Eccetera.
Ecco, la storia che mancano posti di lavoro perche’ “non si puo’ crescere sempre” era una palla. Qualcuno e’ cresciuto e ci ha fatto 500 milioni di nuovi posti di lavoro. Con capitali costruiti qui. E nessuno sa ancora fornire un bilancio positivo.
Il lavoro c’era. Lo abbiamo spostato. E sarebbe ora di chiederne conto. Senza farsi seghe sul destino cinico e baro della decrescita mondiale inevitabile (che tocca solo noi).
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