Durante il suo breve tempo sulla Terra, la specie umana ha mostrato una notevole capacità di auto-distruggersi. I Cro-Magnon hanno mandato al creatore i pacifici Neanderthal. I conquistadores, con l’aiuto del vaiolo, hanno decimato le popolazioni native delle Americhe. La moderna guerra industriale del 20° secolo ha tolto circa 100 milioni di vite, per lo più civili. Ed ora stiamo seduti passivi ed ottusi, mentre le società ed i leaders delle nazioni industrializzate garantiscono che il cambiamento climatico sarà così veloce da comportare l’estinzione della nostra specie. Come sottolineato dal biologo Tim Flannery, gli homo sapiens sono i “divoratori del futuro”. In passato, quando una civiltà andava a gambe all’aria per l’avidità, la cattiva amministrazione e l’esaurimento delle risorse naturali, gli esseri umani migravano da qualche altra parte per ricominciare il saccheggio. Ma stavolta i giochi sono finiti. Non c’è nessun altro posto dove andare. Le nazioni industrializzate hanno passato l’ultimo secolo usurpando metà del pianeta e dominando la maggior parte dell’altra metà. Abbiamo esaurito il nostro patrimonio naturale in maniera vertiginosa, soprattutto i combustibili fossili, per prendere parte ad un’orgia di consumismo e spreco che ha avvelenato la Terra ed ha attaccato l’ecosistema dal quale dipende la vita umana. È stata quasi una festa per i membri dell’elite industrializzata. Ma è stata alquanto stupida. Stavolta il collasso sarà globale. Ci disintegreremo insieme. E non c’è via di scampo. L’esperimento di vita sedentaria durato 10.000 anni sta per arrivare ad una tremenda fine. Ed il genere umano, convinto di avere il dominio sulla Terra e su tutti gli essere viventi, riceverà una dolorosa lezione sulla necessità di equilibrio, ritegno ed umiltà. Non esiste alcun monumento o rovina che risalga a più di 5.000 anni fa. Come nota Ronald Wright nel suo A Short History Of Progress [“Breve Storia del Progresso”, ndt], la civiltà “occupa un mero 0.2% dei 2 milioni e mezzo di anni da che il nostro primo avo ha affilato una pietra”. Addio Parigi. Addio New York. Addio Tokyo. Benvenuti alla nuova esperienza dell’esistenza umana, dove il prerequisito per la sopravvivenza è rovistare alla ricerca di cibo nelle isole delle latitudini del nord. Ci consideriamo creature razionali. Ma è razionale aspettare come pecore in un ovile mentre le compagnie del petrolio ed del gas naturale, le compagnie del carbone, le industrie chimiche, le fabbriche di plastica, l’industria automobilistica, le fabbriche di armi ed i leader del mondo industriale, come hanno fatto a Copenhagen, ci conducono verso l’estinzione di massa? È troppo tardi per prevenire un profondo cambiamento del clima. Ma perché aggiungere benzina sul fuoco? Perché permettere alla nostra élite regnante, guidata dalla brama del profitto, di accelerare questa spirale mortale? Perché continuare ad obbedire alle leggi ed alle regole dei nostri carnefici? Brutte notizie. La disintegrazione del ghiaccio del Mare Artico in accelerazione significa che probabilmente il ghiaccio estivo scomparirà nell’arco dei prossimi dieci anni. Gli oceani assorbiranno ancor più radiazioni solari, facendo aumentare in modo notevole il tasso di surriscaldamento globale. La terra di ghiaccio della Siberia scomparirà, provocando l’esalazione di fumi di metano dal sottosuolo. Lo strato di ghiaccio della Groenlandia ed i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet si scioglieranno. Nel dicembre 2007, Jay Zwally, scienziato climatico presso la NASA, ha dichiarato: “Spesso ci si riferisce all’Artide come al canarino nelle miniere di carbone per il cambiamento climatico. Ora, come segno di tale cambiamento, il canarino è morto. È il momento di cominciare ad uscire fuori dalle miniere di carbone”. Ma raramente la realtà costituisce un impedimento alla follia umana. I gas serra del mondo hanno continuato a crescere dopo la dichiarazione di Zwally. Dal 2000, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili sono aumentate del 3% all’anno. A questo ritmo, le emissioni annuali si raddoppieranno ogni 25 anni. James Hansen, capo del Goddard Institute for Space Studies presso la NASA, nonché uno dei principali esperti sul clima, ha avvertito che continuare a surriscaldare il pianeta sarà “la ricetta per il disastro globale”. Come stimato da Hansen, il livello di sicurezza di CO2 nell’atmosfera deve essere inferiore alle 350 parti per milione (ppm). Il livello attuale di CO2 è di 385 ppm ed è in continua crescita. Già questo garantisce conseguenze terribili, anche se agissimo immediatamente sul taglio delle emissioni di CO2. Per 3 milioni di anni, il ciclo naturale del carbone ha assicurato che l’atmosfera contenesse meno di 300 ppm di CO2, dando sostentamento all’ampia varietà di forme di vita del pianeta. L’idea che oggi viene difesa dall’élite aziendale, o almeno la parte in contatto con la realtà del surriscaldamento globale, è quella di oltrepassare intenzionalmente i 350 ppm e poi tornare ad un clima più sicuro attraverso un taglio rapido e drammatico delle emissioni. Ovviamente, questa è una teoria pensata per assolvere l’élite dal loro attuale non agire. Ma come scrive Clive Hamilton nel suo libro Requiem for a Species: Why We Resist the Truth About Climate Change [“Requiem per una Specie: Perché Resistiamo alla Verità sul Cambiamento Climatico”, ndt], anche “se le concentrazioni di anidride carbonica raggiungessero i 550 ppm e dopo di che le emissioni scendessero a zero, le temperature globali continuerebbero comunque a crescere per almeno un altro secolo”. Copenhagen probabilmente è stata l’ultima occasione che avevamo per salvarci. Barack Obama e gli altri leader delle nazioni industrializzate l’hanno sprecata. Un cambiamento climatico radicale è sicuro. Ora si tratta solo di vedere quanto sarà negativo. I meccanismi del cambiamento del clima, avvertono gli scienziati, creeranno presto un effetto domino che potrebbe spingere la Terra in uno stato caotico per migliaia di anni prima di poter riacquistare il suo equilibrio. “Se gli esseri umani saranno ancora una forza del pianeta, o se riusciranno a sopravvivere, è una questione inutile”, scrive Hamilton. “Una cosa è certa: saremo molti di meno”. Siamo diventati preda dell’illusione che siamo in grado di controllare e modificare il nostro ambiente, che l’ingenuità umana garantisca l’inevitabilità del progresso umano e che il nostro dio secolare della scienza ci salverà. “L’intossicante convinzione che possiamo conquistare qualsiasi cosa si sta scontrando con una forza più grande, la Terra stessa”, scrive Hamilton. “La prospettiva di scampare il cambiamento climatico sfida la nostra insolenza tecnologica, la nostra fede illuminista nella ragione e l’intero progetto modernista. La Terra potrebbe presto dimostrare che, alla fine dei conti, non può essere domata e che la brama dell’uomo di controllare la natura ha solo fatto risvegliare una bestia assopita”. Siamo di fronte ad una terribile verità politica. Coloro che detengono il potere non agiranno con l’urgenza richiesta per proteggere la vita dell’uomo e dell’ecosistema. Le decisioni sul destino del pianeta e della civiltà umana sono in mano a dei troll etici ed intellettuali come Tony Haward della BP. Questi padroni della politica e delle aziende sono guidati da un codardo desiderio di accumulare ricchezza a spese della vita umana. Lo fanno nel Golfo del Messico. Lo fanno nella provincia meridionale cinese di Guangdong, dove l’industria dell’export sta prosperando. La trasformazione della Cina in un capitalismo totalitario, fatta in modo da inondare i mercati mondiali con merci a basso costo, sta contribuendo alla drammatica crescita delle emissioni di anidride carbonica, di cui si prevede un raddoppiamento del tasso in Cina entro il 2030, da poco più di 5 miliardi di tonnellate quadrate a poco meno di 12 miliardi. Questo degrado del pianeta da parte delle società è accompagnata da un degrado dell’essere umano. Nelle fabbriche di Guangdong vediamo il nostro avversario negli occhi. Il sociologo Ching Kwan ha trovato “fabbriche sataniche”, nella zona industriale a sud-est della Cina, che “vanno ad un ritmo talmente snervante che i limiti fisici e la forza corporea dei lavoratori vengono messi a dura prova ogni giorno”. Alcuni impiegati hanno giornate lavorative dalle 14 alle 16 ore, senza un momento di pausa durante il mese fino al giorno di paga. In queste fabbriche, per un impiegato è del tutto normale lavorare 400 ore o più al mese, soprattutto nell’industria tessile. La maggior parte dei lavoratori, osserva Lee, sopportano salari non pagati, deduzioni illegali e tassi salariali sotto la norma. Vengono spesso abusati fisicamente e non ricevono indennizzo se infortunati sul lavoro. Ogni anno una dozzina o più di lavoratori muore per il troppo lavoro solo nella zona di Shenzhen. Con le parole di Lee, le condizioni di lavoro “vanno oltre la nozione marxista di sfruttamento ed alienazione”. Un sondaggio pubblicato nel 2003 dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, [Chine News Agency, ndt], citato nel libro di Lee Against the Law: Labor Protests in China’s Rustbelt and Sunbelt [“Contro la Legge: Proteste sul Lavoro nelle Rustbelt e Sunbelt della Cina”, ndt], osserva che 3 lavoratori immigrati su 4 hanno problemi a mettere insieme il salario. Ogni anno, scrive Lee, una ventina di lavoratori minaccia di commettere suicidio buttandosi di sotto o dandosi fuoco per i salari non pagati. “Se pagare il lavoro di un individuo è un assioma fondamentale dei rapporti di lavoro del capitalismo, molti impiegati cinesi non sono ancora lavoratori in senso stretto”, scrive Lee. I leader di queste società oggi determinano il nostro destino. Non sono dotati di decenza o compassione umane. Eppure, i loro lobbisti fanno le leggi. Le loro aziende di pubbliche relazioni modellano la propaganda e la banalità pompate attraverso sistemi di comunicazione di massa. Il loro denaro determina le elezioni. La loro avarizia trasforma i lavoratori in servi globali ed il nostro pianeta in una terra desolata. Con l’avanzamento del cambiamento climatico, ci ritroveremo di fronte ad un scelta tra l’obbedire alle regole imposte dalle aziende e la ribellione. I nemici sono coloro che fanno lavorare degli uomini fino alla morte in fabbriche sovraffollate in Cina e trasformano il Golfo del Messico in una zona morta. Non meritano riforma o fiducia. La crisi climatica è una crisi politica. O sconfiggeremo l’élite aziendale, il che significherebbe la disobbedienza civile, un rifiuto della politica tradizionale in favore di un neo-radicalismo e la sistematica violazione delle leggi, oppure ci vedremo consumarci. Il tempo non è dalla nostra parte. Più aspettiamo, più la nostra distruzione è garantita. Il futuro, se restiamo passivi, ci verrà strappato via dagli eventi. Il nostro obbligo morale non è verso le strutture di potere, ma verso la vita. Fonte: www.truthdig.com di Chris Hedges |
23 luglio 2010
Appello ai divoratori di futuro
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23 luglio 2010
Appello ai divoratori di futuro
Durante il suo breve tempo sulla Terra, la specie umana ha mostrato una notevole capacità di auto-distruggersi. I Cro-Magnon hanno mandato al creatore i pacifici Neanderthal. I conquistadores, con l’aiuto del vaiolo, hanno decimato le popolazioni native delle Americhe. La moderna guerra industriale del 20° secolo ha tolto circa 100 milioni di vite, per lo più civili. Ed ora stiamo seduti passivi ed ottusi, mentre le società ed i leaders delle nazioni industrializzate garantiscono che il cambiamento climatico sarà così veloce da comportare l’estinzione della nostra specie. Come sottolineato dal biologo Tim Flannery, gli homo sapiens sono i “divoratori del futuro”. In passato, quando una civiltà andava a gambe all’aria per l’avidità, la cattiva amministrazione e l’esaurimento delle risorse naturali, gli esseri umani migravano da qualche altra parte per ricominciare il saccheggio. Ma stavolta i giochi sono finiti. Non c’è nessun altro posto dove andare. Le nazioni industrializzate hanno passato l’ultimo secolo usurpando metà del pianeta e dominando la maggior parte dell’altra metà. Abbiamo esaurito il nostro patrimonio naturale in maniera vertiginosa, soprattutto i combustibili fossili, per prendere parte ad un’orgia di consumismo e spreco che ha avvelenato la Terra ed ha attaccato l’ecosistema dal quale dipende la vita umana. È stata quasi una festa per i membri dell’elite industrializzata. Ma è stata alquanto stupida. Stavolta il collasso sarà globale. Ci disintegreremo insieme. E non c’è via di scampo. L’esperimento di vita sedentaria durato 10.000 anni sta per arrivare ad una tremenda fine. Ed il genere umano, convinto di avere il dominio sulla Terra e su tutti gli essere viventi, riceverà una dolorosa lezione sulla necessità di equilibrio, ritegno ed umiltà. Non esiste alcun monumento o rovina che risalga a più di 5.000 anni fa. Come nota Ronald Wright nel suo A Short History Of Progress [“Breve Storia del Progresso”, ndt], la civiltà “occupa un mero 0.2% dei 2 milioni e mezzo di anni da che il nostro primo avo ha affilato una pietra”. Addio Parigi. Addio New York. Addio Tokyo. Benvenuti alla nuova esperienza dell’esistenza umana, dove il prerequisito per la sopravvivenza è rovistare alla ricerca di cibo nelle isole delle latitudini del nord. Ci consideriamo creature razionali. Ma è razionale aspettare come pecore in un ovile mentre le compagnie del petrolio ed del gas naturale, le compagnie del carbone, le industrie chimiche, le fabbriche di plastica, l’industria automobilistica, le fabbriche di armi ed i leader del mondo industriale, come hanno fatto a Copenhagen, ci conducono verso l’estinzione di massa? È troppo tardi per prevenire un profondo cambiamento del clima. Ma perché aggiungere benzina sul fuoco? Perché permettere alla nostra élite regnante, guidata dalla brama del profitto, di accelerare questa spirale mortale? Perché continuare ad obbedire alle leggi ed alle regole dei nostri carnefici? Brutte notizie. La disintegrazione del ghiaccio del Mare Artico in accelerazione significa che probabilmente il ghiaccio estivo scomparirà nell’arco dei prossimi dieci anni. Gli oceani assorbiranno ancor più radiazioni solari, facendo aumentare in modo notevole il tasso di surriscaldamento globale. La terra di ghiaccio della Siberia scomparirà, provocando l’esalazione di fumi di metano dal sottosuolo. Lo strato di ghiaccio della Groenlandia ed i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet si scioglieranno. Nel dicembre 2007, Jay Zwally, scienziato climatico presso la NASA, ha dichiarato: “Spesso ci si riferisce all’Artide come al canarino nelle miniere di carbone per il cambiamento climatico. Ora, come segno di tale cambiamento, il canarino è morto. È il momento di cominciare ad uscire fuori dalle miniere di carbone”. Ma raramente la realtà costituisce un impedimento alla follia umana. I gas serra del mondo hanno continuato a crescere dopo la dichiarazione di Zwally. Dal 2000, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili sono aumentate del 3% all’anno. A questo ritmo, le emissioni annuali si raddoppieranno ogni 25 anni. James Hansen, capo del Goddard Institute for Space Studies presso la NASA, nonché uno dei principali esperti sul clima, ha avvertito che continuare a surriscaldare il pianeta sarà “la ricetta per il disastro globale”. Come stimato da Hansen, il livello di sicurezza di CO2 nell’atmosfera deve essere inferiore alle 350 parti per milione (ppm). Il livello attuale di CO2 è di 385 ppm ed è in continua crescita. Già questo garantisce conseguenze terribili, anche se agissimo immediatamente sul taglio delle emissioni di CO2. Per 3 milioni di anni, il ciclo naturale del carbone ha assicurato che l’atmosfera contenesse meno di 300 ppm di CO2, dando sostentamento all’ampia varietà di forme di vita del pianeta. L’idea che oggi viene difesa dall’élite aziendale, o almeno la parte in contatto con la realtà del surriscaldamento globale, è quella di oltrepassare intenzionalmente i 350 ppm e poi tornare ad un clima più sicuro attraverso un taglio rapido e drammatico delle emissioni. Ovviamente, questa è una teoria pensata per assolvere l’élite dal loro attuale non agire. Ma come scrive Clive Hamilton nel suo libro Requiem for a Species: Why We Resist the Truth About Climate Change [“Requiem per una Specie: Perché Resistiamo alla Verità sul Cambiamento Climatico”, ndt], anche “se le concentrazioni di anidride carbonica raggiungessero i 550 ppm e dopo di che le emissioni scendessero a zero, le temperature globali continuerebbero comunque a crescere per almeno un altro secolo”. Copenhagen probabilmente è stata l’ultima occasione che avevamo per salvarci. Barack Obama e gli altri leader delle nazioni industrializzate l’hanno sprecata. Un cambiamento climatico radicale è sicuro. Ora si tratta solo di vedere quanto sarà negativo. I meccanismi del cambiamento del clima, avvertono gli scienziati, creeranno presto un effetto domino che potrebbe spingere la Terra in uno stato caotico per migliaia di anni prima di poter riacquistare il suo equilibrio. “Se gli esseri umani saranno ancora una forza del pianeta, o se riusciranno a sopravvivere, è una questione inutile”, scrive Hamilton. “Una cosa è certa: saremo molti di meno”. Siamo diventati preda dell’illusione che siamo in grado di controllare e modificare il nostro ambiente, che l’ingenuità umana garantisca l’inevitabilità del progresso umano e che il nostro dio secolare della scienza ci salverà. “L’intossicante convinzione che possiamo conquistare qualsiasi cosa si sta scontrando con una forza più grande, la Terra stessa”, scrive Hamilton. “La prospettiva di scampare il cambiamento climatico sfida la nostra insolenza tecnologica, la nostra fede illuminista nella ragione e l’intero progetto modernista. La Terra potrebbe presto dimostrare che, alla fine dei conti, non può essere domata e che la brama dell’uomo di controllare la natura ha solo fatto risvegliare una bestia assopita”. Siamo di fronte ad una terribile verità politica. Coloro che detengono il potere non agiranno con l’urgenza richiesta per proteggere la vita dell’uomo e dell’ecosistema. Le decisioni sul destino del pianeta e della civiltà umana sono in mano a dei troll etici ed intellettuali come Tony Haward della BP. Questi padroni della politica e delle aziende sono guidati da un codardo desiderio di accumulare ricchezza a spese della vita umana. Lo fanno nel Golfo del Messico. Lo fanno nella provincia meridionale cinese di Guangdong, dove l’industria dell’export sta prosperando. La trasformazione della Cina in un capitalismo totalitario, fatta in modo da inondare i mercati mondiali con merci a basso costo, sta contribuendo alla drammatica crescita delle emissioni di anidride carbonica, di cui si prevede un raddoppiamento del tasso in Cina entro il 2030, da poco più di 5 miliardi di tonnellate quadrate a poco meno di 12 miliardi. Questo degrado del pianeta da parte delle società è accompagnata da un degrado dell’essere umano. Nelle fabbriche di Guangdong vediamo il nostro avversario negli occhi. Il sociologo Ching Kwan ha trovato “fabbriche sataniche”, nella zona industriale a sud-est della Cina, che “vanno ad un ritmo talmente snervante che i limiti fisici e la forza corporea dei lavoratori vengono messi a dura prova ogni giorno”. Alcuni impiegati hanno giornate lavorative dalle 14 alle 16 ore, senza un momento di pausa durante il mese fino al giorno di paga. In queste fabbriche, per un impiegato è del tutto normale lavorare 400 ore o più al mese, soprattutto nell’industria tessile. La maggior parte dei lavoratori, osserva Lee, sopportano salari non pagati, deduzioni illegali e tassi salariali sotto la norma. Vengono spesso abusati fisicamente e non ricevono indennizzo se infortunati sul lavoro. Ogni anno una dozzina o più di lavoratori muore per il troppo lavoro solo nella zona di Shenzhen. Con le parole di Lee, le condizioni di lavoro “vanno oltre la nozione marxista di sfruttamento ed alienazione”. Un sondaggio pubblicato nel 2003 dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, [Chine News Agency, ndt], citato nel libro di Lee Against the Law: Labor Protests in China’s Rustbelt and Sunbelt [“Contro la Legge: Proteste sul Lavoro nelle Rustbelt e Sunbelt della Cina”, ndt], osserva che 3 lavoratori immigrati su 4 hanno problemi a mettere insieme il salario. Ogni anno, scrive Lee, una ventina di lavoratori minaccia di commettere suicidio buttandosi di sotto o dandosi fuoco per i salari non pagati. “Se pagare il lavoro di un individuo è un assioma fondamentale dei rapporti di lavoro del capitalismo, molti impiegati cinesi non sono ancora lavoratori in senso stretto”, scrive Lee. I leader di queste società oggi determinano il nostro destino. Non sono dotati di decenza o compassione umane. Eppure, i loro lobbisti fanno le leggi. Le loro aziende di pubbliche relazioni modellano la propaganda e la banalità pompate attraverso sistemi di comunicazione di massa. Il loro denaro determina le elezioni. La loro avarizia trasforma i lavoratori in servi globali ed il nostro pianeta in una terra desolata. Con l’avanzamento del cambiamento climatico, ci ritroveremo di fronte ad un scelta tra l’obbedire alle regole imposte dalle aziende e la ribellione. I nemici sono coloro che fanno lavorare degli uomini fino alla morte in fabbriche sovraffollate in Cina e trasformano il Golfo del Messico in una zona morta. Non meritano riforma o fiducia. La crisi climatica è una crisi politica. O sconfiggeremo l’élite aziendale, il che significherebbe la disobbedienza civile, un rifiuto della politica tradizionale in favore di un neo-radicalismo e la sistematica violazione delle leggi, oppure ci vedremo consumarci. Il tempo non è dalla nostra parte. Più aspettiamo, più la nostra distruzione è garantita. Il futuro, se restiamo passivi, ci verrà strappato via dagli eventi. Il nostro obbligo morale non è verso le strutture di potere, ma verso la vita. Fonte: www.truthdig.com di Chris Hedges |
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