31 luglio 2010

LA VERA STORIA DELLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO




I caffè di Atene sono pieni, frotte di turisti visitano ancora il Partenone e saltano da un’isola all’altra nel favoloso Egeo. Ma sotto la facciata estiva, c’è confusione, rabbia e disperazione mentre il paese precipita nella sua peggiore crisi degli ultimi decenni.

I media mondiali hanno presentato la Grecia, la piccola Grecia, come l’epicentro della seconda fase della crisi finanziaria internazionale, allo stesso modo in cui ha ritratto Wall Street come il ground zero della sua prima fase.

Tuttavia, si riscontra un’interessante differenza nelle storie che girano attorno a questi due episodi.

Storie in conflitto

Le attività sregolate delle istituzioni finanziarie, che hanno creato strumenti ancora più complessi per moltiplicare magicamente il denaro, hanno portato al crollo di Wall Street che si è trasformato nella crisi finanziaria globale.

Con la Grecia, tuttavia, la narrazione popolare recita così: questo paese ha raggiunto un insostenibile livello di indebitamento per costruire uno stato di welfare che non poteva permettersi, ed ora è visto come lo spendaccione che deve stringere al cinghia. Bruxelles, Berlino e le banche sono gli austeri puritani che esigono una penitenza dagli edonisti del Mediterraneo per aver vissuto al di là delle loro possibilità e per aver peccato d’orgoglio ospitando le costose Olimpiadi del 2004.

Questa penitenza arriva sotto forma di un programma dell’UE e del FMI che prevederà l’aumento del tasso nazionale dell’IVA al 23%, l’estensione dell’età di pensionamento a 65 anni, sia per gli uomini che per le donne, dei tagli profondi alle pensioni ed ai salari del settore pubblico e l’eliminazione delle pratiche che promuovono la sicurezza di lavoro. Lo scopo apparente di questa mossa è di snellire lo stato di welfare e lasciare che i greci vivano nell’ambito delle loro possibilità.

Sebbene la storia dello stato di welfare presenti degli sprazzi di verità, è fondamentalmente scorretta. La crisi greca ha essenzialmente origine dallo stesso impulso frenetico del capitale finanziario di trarre profitto dalla massiccia ed indiscriminata estensione del credito che ha portato all’implosione di Wall Street. La crisi greca rientra nel modello disegnato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly [“Stavolta è Diverso: Otto Secoli di Follia Finanziaria”, ndt] – periodi di prestiti sfrenati e speculativi seguiti inesorabilmente da default dei debiti pubblici, o quasi default. Come la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80 e quella finanziaria in Asia negli ultimi anni ’90, il cosiddetto problema del debito pubblico di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo è principalmente una crisi determinata dall’offerta, non dalla domanda.

Nel loro impeto di aumentare sempre più i profitti facendo prestiti, le banche europee hanno versato circa 2.5 trilioni di dollari alle economie europee che ora si trovano nei guai: Irlanda, Grecia, Belgio, Portogallo e Spagna. Le banche tedesche e francesi trattengono il 70% del debito di 400 miliardi di dollari della Grecia. Le banche tedesche sono state grandi compratrici di patrimoni di subprime dalle istituzioni finanziarie americane ed hanno applicato la stessa mancanza di discriminazione nel comprare i bond del governo greco. Da parte loro, le banche francesi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno aumentato i loro prestiti alla Grecia del 23%, alla Spagna dell’11%, al Portogallo del 26%.

La frenetica scena del credito greco non ha avuto come protagonisti i soli attori finanziari europei. La squadra della Goldman Sachs di Wall Street ha mostrato alle autorità finanziarie greche come degli strumenti finanziari, conosciuti come derivati, potevano essere usati per far “scomparire” grosse parti del debito, quindi far risultare buoni i conti nazionali a bancari impazienti di concedere ancora più prestiti. Poi, la stessa azienda ha fatto marcia indietro e, tramite un tipo di strumenti derivati commerciali conosciuti come “credit default swap” [sorta di assicurazione che il possessore di una obbligazione può contrarre per mettere al riparo l’importo investito, ndt], hanno scommesso sulla possibilità che la Grecia sarebbe venuta meno al pagamento, aumentando il tasso di interesse del paese dalle banche, ma ricavandone un piccolo profitto per se stessa.

Se c’è mai stata una crisi creata dalla finanza globale, la Grecia ne sta soffrendo proprio ora.

Dirottare la storia

Ci sono due motivi chiave per cui la storia della Grecia è diventata un racconto di ammonimento consumato dal tempo, che parla di persone che vivono al di là delle loro possibilità, piuttosto che un caso di irresponsabilità finanziaria da parte di investitori e bancari.

Prima di tutto, le istituzioni finanziarie hanno dirottato con successo la storia della crisi per il loro tornaconto personale. Le grandi banche ora sono davvero preoccupate delle terribili condizioni dei loro stati patrimoniali, indeboliti come sono dai patrimoni tossici di subprime che si sono accollati e rendendosi conto di aver sovraesteso gravemente le loro operazioni di prestito. Il modo principale con il quale cercano di ricostruire i loro stati patrimoniali è generare nuovi capitali usando i loro debitori come pedine. Come colonna portante di questa tragedia, le banche cercano di persuadere le autorità pubbliche a finanziarle ancora una volta, come fecero nella prima fase della crisi sotto forma di fondi di soccorso e tassi ufficiali di sconto ridotti.

Le banche erano fiduciose che i governi dominanti dell’Eurozona non avrebbero mai permesso il default alla Grecia ed agli altri paesi europei altamente indebitati, in quanto avrebbe portato al collasso dell’Euro. Con i mercati che scommettevano contro la Grecia ed il suo aumento del tasso di interesse, le banche sapevano che i governi dell’Eurozona sarebbero ricorsi a pacchetti di finanziamenti, la maggior parte dei quali sarebbero andanti incontro al pagamento degli interessi del debito greco. Promosso come un soccorso alla Grecia, il massiccio pacchetto di 100 miliardi di Euro, messo insieme dai governi dominanti dell’Eurozona e dal FMI, andrà per lo più in soccorso alle banche per la loro irresponsabile e sregolata smania dei prestiti.

Le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno giocato lo stesso vecchio gioco della fiducia con i debitori nei paesi in via di sviluppo durante la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80, come anche in Thailandia ed Indonesia durante la crisi finanziaria in Asia negli anni ’90. Le stesse misure di austerità – conosciute poi come regolazioni strutturali – sono state la conseguenza dell’esagerazione dei prestiti delle banche del nord e degli speculatori. E c’è stato lo stesso scenario: addossare la colpa sulle vittime facendole apparire come persone che vivono al di là delle loro possibilità, fare in modo che le agenzie pubbliche vengano in soccorso con pagamenti anticipati ed accollare alla gente il terribile compito di ripagare il prestito impegnando una massiccia parte dei loro flussi di credito presenti e futuri come pagamenti alle agenzie di credito.

Senza dubbio le autorità stanno preparando simili massici pacchetti di soccorso da miliardi di Euro per le banche che si sono sovraestese in Spagna, Portogallo e Irlanda.

Riversare la colpa

Il secondo motivo per promuovere la storia del “vivere al di là delle loro possibilità”, nel caso della Grecia a degli altri paesi gravemente indebitati, è quello di deviare la pressione da una regolamentazione finanziaria più rigida, proveniente dai cittadini ed i governi dall’inizio della crisi. Le banche vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Hanno assicurato fondi di finanziamento dai governi nella prima fase della crisi, ma non vogliono rispettare quello che i governi hanno presentato ai loro cittadini come parte essenziale dell’accordo: il rafforzamento della regolamentazione finanziaria.

I governi, dagli USA alla Cina e la Grecia, sono ricorsi a massicci programmi di politiche fiscali per prevenire il collasso dell’economia reale durante la prima fase della sua crisi. Promuovendo una storia che sposta l’attenzione dalla mancanza di regolamentazione finanziaria alle ingenti spese statali come problema chiave dell’economia globale, le banche cercano di prevenire l’imposizione di un severo regime normativo.

Ma questo è giocare con il fuoco. Il vincitore del Premio Nobel Paul Krugman ed altri avevano avvertito che se questa versione dei fatti avesse avuto successo, la mancanza di nuovi programmi di politica fiscale e severe normative bancarie avrebbero provocato una profonda recessione, se non una vera e propria depressione. Sfortunatamente, come suggerito dal recente meeting del G20 a Toronto, i governi dell’Europa e degli USA stanno cedendo all’agenda poco lungimirante delle banche, che hanno l’appoggio di ideologi neo-liberali irriducibili che continuano a vedere lo stato interventista ed attivista come il problema di fondo. Questi ideologi credono che una profonda recessione – e persino una depressione – sia il processo naturale tramite il quale un’economia si stabilizza e che questo modo keynesiano di spendere per evitare il collasso servirà solo a rimandare l’inevitabile.

Resistenza: farà la differenza?

I greci non stanno di certo a guardare. Lo scorso 8 luglio, l’approvazione del pacchetto UE-FMI da parte del parlamento greco è stata accolta con enormi proteste. In una precedente protesta, molto più estesa, lo scorso 5 maggio, 400.000 persone si sono unite nella più grande dimostrazione dai tempi della caduta della dittatura militare del 1974. Eppure, le proteste in strada sembrano servire poco ad evitare la catastrofe sociale che il programma UE-FMI scatenerà. L’economia è tale da contrarsi del 4% nel 2010. Secondo Alexis Tsipras, presidente della coalizione di sinistra del parlamento (Synapsismos), è probabile che il tasso di disoccupazione aumenti dal 15% al 20% in due anni, con un tasso del 30% previsto tra i giovani.

Come anche per la povertà, un recente sondaggio congiunto del Kapa Research e la London School of Economics ha rivelato che, anche prima della crisi attuale, quasi un terzo degli 11 milioni di greci vivevano sull’orlo della miseria. Questo processo di creare un “terzo mondo” all’interno della Grecia sarà accelerato dal programma di assestamento dell’UE e del FMI.

Ironicamente, questo assestamento è presieduto da un governo socialista, capeggiato da Georges Papandreou, eletto alla carica lo scorso ottobre per annullare la corruzione della precedente amministrazione conservatrice e gli effetti nocivi delle sue economie politiche. “All’interno del partito di Papandreou c’è resistenza nei confronti del piano dell’UE-FMI”, ammette Paulina Lampsa, il segretario internazionale del partito. Ma la sensazione schiacciante all’interno del contingente parlamentare del partito è, usando una famosa espressione di Margaret Thatcher, “TINA: There Is No Alternative” [Non ci sono alternative, ndt].

Le conseguenze dell’obbedienza

Di fronte alle conseguenze selvagge del programma, un numero sempre crescente di greci parla di adottare la strategia di minacciare il default o un radicale riduzione unilaterale del debito. Un tale approccio potrebbe essere coordinato, dice Tsipras, con gli altri paesi europei oppressi dai debiti, come il Portogallo e la Spagna. L’Argentina potrebbe fare da modello: ha dato un taglio alla percentuale dei suoi creditori nel 2003, pagando solo 25 cent per ogni dollaro che gli doveva. Non solo l’Argentina se l’è cavata così, ma le risorse che altrimenti avrebbero costituito interessi del debito che il paese doveva pagare sono state incanalate nell’economia domestica, dando il via ad una crescita economica media annuale del 10% tra il 2003 ed il 2008.

La “Soluzione Argentina” è di certo piena di rischi. Ma arrendersi ha delle conseguenze dolorosamente chiare, se si esaminano i registri dei paesi che hanno sottoscritto il programma di assestamento del FMI. Sganciando annualmente circa il 25-30% del bilancio statale per i creditori stranieri, le Filippine sono entrate in un decennio di inattività nella metà degli anni ’80, dalla quale non si sono mai riprese e che l’hanno condannate ad un tasso permanente di povertà di più del 30%. Spremuto da misure di assestamento draconiane, il Messico è stato risucchiato in vent’anni di continua crisi economica, con conseguenze come il dilagante narcotraffico che l’ha portato sul punto di essere uno stato fallito. L’attuale stato della guerra di classe virtuale in Thailandia può essere in parte fatto risalire alle ricadute politiche della sofferenza economica imposte dal programma di austerità del FMI dieci anni fa.

L’assestamento della Grecia da parte di Bruxelles e del FMI mostra che il capitalismo finanziario alle prese con la crisi non rispetta più la divisione tra Nord e Sud. I cinici direbbero: “Benvenuta nel Terzo Mondo, Grecia”.

Ma questo non è il momento per il cinismo. Piuttosto, è un momento chiave per la solidarietà globale. Ci siamo tutti dentro, adesso.
DI WALDEN BELLO

Titolo originale: "Greek Mythology: The Real Story of the European Debt Crisis"

Fonte: http://www.yesmagazine.org

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31 luglio 2010

LA VERA STORIA DELLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO




I caffè di Atene sono pieni, frotte di turisti visitano ancora il Partenone e saltano da un’isola all’altra nel favoloso Egeo. Ma sotto la facciata estiva, c’è confusione, rabbia e disperazione mentre il paese precipita nella sua peggiore crisi degli ultimi decenni.

I media mondiali hanno presentato la Grecia, la piccola Grecia, come l’epicentro della seconda fase della crisi finanziaria internazionale, allo stesso modo in cui ha ritratto Wall Street come il ground zero della sua prima fase.

Tuttavia, si riscontra un’interessante differenza nelle storie che girano attorno a questi due episodi.

Storie in conflitto

Le attività sregolate delle istituzioni finanziarie, che hanno creato strumenti ancora più complessi per moltiplicare magicamente il denaro, hanno portato al crollo di Wall Street che si è trasformato nella crisi finanziaria globale.

Con la Grecia, tuttavia, la narrazione popolare recita così: questo paese ha raggiunto un insostenibile livello di indebitamento per costruire uno stato di welfare che non poteva permettersi, ed ora è visto come lo spendaccione che deve stringere al cinghia. Bruxelles, Berlino e le banche sono gli austeri puritani che esigono una penitenza dagli edonisti del Mediterraneo per aver vissuto al di là delle loro possibilità e per aver peccato d’orgoglio ospitando le costose Olimpiadi del 2004.

Questa penitenza arriva sotto forma di un programma dell’UE e del FMI che prevederà l’aumento del tasso nazionale dell’IVA al 23%, l’estensione dell’età di pensionamento a 65 anni, sia per gli uomini che per le donne, dei tagli profondi alle pensioni ed ai salari del settore pubblico e l’eliminazione delle pratiche che promuovono la sicurezza di lavoro. Lo scopo apparente di questa mossa è di snellire lo stato di welfare e lasciare che i greci vivano nell’ambito delle loro possibilità.

Sebbene la storia dello stato di welfare presenti degli sprazzi di verità, è fondamentalmente scorretta. La crisi greca ha essenzialmente origine dallo stesso impulso frenetico del capitale finanziario di trarre profitto dalla massiccia ed indiscriminata estensione del credito che ha portato all’implosione di Wall Street. La crisi greca rientra nel modello disegnato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly [“Stavolta è Diverso: Otto Secoli di Follia Finanziaria”, ndt] – periodi di prestiti sfrenati e speculativi seguiti inesorabilmente da default dei debiti pubblici, o quasi default. Come la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80 e quella finanziaria in Asia negli ultimi anni ’90, il cosiddetto problema del debito pubblico di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo è principalmente una crisi determinata dall’offerta, non dalla domanda.

Nel loro impeto di aumentare sempre più i profitti facendo prestiti, le banche europee hanno versato circa 2.5 trilioni di dollari alle economie europee che ora si trovano nei guai: Irlanda, Grecia, Belgio, Portogallo e Spagna. Le banche tedesche e francesi trattengono il 70% del debito di 400 miliardi di dollari della Grecia. Le banche tedesche sono state grandi compratrici di patrimoni di subprime dalle istituzioni finanziarie americane ed hanno applicato la stessa mancanza di discriminazione nel comprare i bond del governo greco. Da parte loro, le banche francesi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno aumentato i loro prestiti alla Grecia del 23%, alla Spagna dell’11%, al Portogallo del 26%.

La frenetica scena del credito greco non ha avuto come protagonisti i soli attori finanziari europei. La squadra della Goldman Sachs di Wall Street ha mostrato alle autorità finanziarie greche come degli strumenti finanziari, conosciuti come derivati, potevano essere usati per far “scomparire” grosse parti del debito, quindi far risultare buoni i conti nazionali a bancari impazienti di concedere ancora più prestiti. Poi, la stessa azienda ha fatto marcia indietro e, tramite un tipo di strumenti derivati commerciali conosciuti come “credit default swap” [sorta di assicurazione che il possessore di una obbligazione può contrarre per mettere al riparo l’importo investito, ndt], hanno scommesso sulla possibilità che la Grecia sarebbe venuta meno al pagamento, aumentando il tasso di interesse del paese dalle banche, ma ricavandone un piccolo profitto per se stessa.

Se c’è mai stata una crisi creata dalla finanza globale, la Grecia ne sta soffrendo proprio ora.

Dirottare la storia

Ci sono due motivi chiave per cui la storia della Grecia è diventata un racconto di ammonimento consumato dal tempo, che parla di persone che vivono al di là delle loro possibilità, piuttosto che un caso di irresponsabilità finanziaria da parte di investitori e bancari.

Prima di tutto, le istituzioni finanziarie hanno dirottato con successo la storia della crisi per il loro tornaconto personale. Le grandi banche ora sono davvero preoccupate delle terribili condizioni dei loro stati patrimoniali, indeboliti come sono dai patrimoni tossici di subprime che si sono accollati e rendendosi conto di aver sovraesteso gravemente le loro operazioni di prestito. Il modo principale con il quale cercano di ricostruire i loro stati patrimoniali è generare nuovi capitali usando i loro debitori come pedine. Come colonna portante di questa tragedia, le banche cercano di persuadere le autorità pubbliche a finanziarle ancora una volta, come fecero nella prima fase della crisi sotto forma di fondi di soccorso e tassi ufficiali di sconto ridotti.

Le banche erano fiduciose che i governi dominanti dell’Eurozona non avrebbero mai permesso il default alla Grecia ed agli altri paesi europei altamente indebitati, in quanto avrebbe portato al collasso dell’Euro. Con i mercati che scommettevano contro la Grecia ed il suo aumento del tasso di interesse, le banche sapevano che i governi dell’Eurozona sarebbero ricorsi a pacchetti di finanziamenti, la maggior parte dei quali sarebbero andanti incontro al pagamento degli interessi del debito greco. Promosso come un soccorso alla Grecia, il massiccio pacchetto di 100 miliardi di Euro, messo insieme dai governi dominanti dell’Eurozona e dal FMI, andrà per lo più in soccorso alle banche per la loro irresponsabile e sregolata smania dei prestiti.

Le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno giocato lo stesso vecchio gioco della fiducia con i debitori nei paesi in via di sviluppo durante la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80, come anche in Thailandia ed Indonesia durante la crisi finanziaria in Asia negli anni ’90. Le stesse misure di austerità – conosciute poi come regolazioni strutturali – sono state la conseguenza dell’esagerazione dei prestiti delle banche del nord e degli speculatori. E c’è stato lo stesso scenario: addossare la colpa sulle vittime facendole apparire come persone che vivono al di là delle loro possibilità, fare in modo che le agenzie pubbliche vengano in soccorso con pagamenti anticipati ed accollare alla gente il terribile compito di ripagare il prestito impegnando una massiccia parte dei loro flussi di credito presenti e futuri come pagamenti alle agenzie di credito.

Senza dubbio le autorità stanno preparando simili massici pacchetti di soccorso da miliardi di Euro per le banche che si sono sovraestese in Spagna, Portogallo e Irlanda.

Riversare la colpa

Il secondo motivo per promuovere la storia del “vivere al di là delle loro possibilità”, nel caso della Grecia a degli altri paesi gravemente indebitati, è quello di deviare la pressione da una regolamentazione finanziaria più rigida, proveniente dai cittadini ed i governi dall’inizio della crisi. Le banche vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Hanno assicurato fondi di finanziamento dai governi nella prima fase della crisi, ma non vogliono rispettare quello che i governi hanno presentato ai loro cittadini come parte essenziale dell’accordo: il rafforzamento della regolamentazione finanziaria.

I governi, dagli USA alla Cina e la Grecia, sono ricorsi a massicci programmi di politiche fiscali per prevenire il collasso dell’economia reale durante la prima fase della sua crisi. Promuovendo una storia che sposta l’attenzione dalla mancanza di regolamentazione finanziaria alle ingenti spese statali come problema chiave dell’economia globale, le banche cercano di prevenire l’imposizione di un severo regime normativo.

Ma questo è giocare con il fuoco. Il vincitore del Premio Nobel Paul Krugman ed altri avevano avvertito che se questa versione dei fatti avesse avuto successo, la mancanza di nuovi programmi di politica fiscale e severe normative bancarie avrebbero provocato una profonda recessione, se non una vera e propria depressione. Sfortunatamente, come suggerito dal recente meeting del G20 a Toronto, i governi dell’Europa e degli USA stanno cedendo all’agenda poco lungimirante delle banche, che hanno l’appoggio di ideologi neo-liberali irriducibili che continuano a vedere lo stato interventista ed attivista come il problema di fondo. Questi ideologi credono che una profonda recessione – e persino una depressione – sia il processo naturale tramite il quale un’economia si stabilizza e che questo modo keynesiano di spendere per evitare il collasso servirà solo a rimandare l’inevitabile.

Resistenza: farà la differenza?

I greci non stanno di certo a guardare. Lo scorso 8 luglio, l’approvazione del pacchetto UE-FMI da parte del parlamento greco è stata accolta con enormi proteste. In una precedente protesta, molto più estesa, lo scorso 5 maggio, 400.000 persone si sono unite nella più grande dimostrazione dai tempi della caduta della dittatura militare del 1974. Eppure, le proteste in strada sembrano servire poco ad evitare la catastrofe sociale che il programma UE-FMI scatenerà. L’economia è tale da contrarsi del 4% nel 2010. Secondo Alexis Tsipras, presidente della coalizione di sinistra del parlamento (Synapsismos), è probabile che il tasso di disoccupazione aumenti dal 15% al 20% in due anni, con un tasso del 30% previsto tra i giovani.

Come anche per la povertà, un recente sondaggio congiunto del Kapa Research e la London School of Economics ha rivelato che, anche prima della crisi attuale, quasi un terzo degli 11 milioni di greci vivevano sull’orlo della miseria. Questo processo di creare un “terzo mondo” all’interno della Grecia sarà accelerato dal programma di assestamento dell’UE e del FMI.

Ironicamente, questo assestamento è presieduto da un governo socialista, capeggiato da Georges Papandreou, eletto alla carica lo scorso ottobre per annullare la corruzione della precedente amministrazione conservatrice e gli effetti nocivi delle sue economie politiche. “All’interno del partito di Papandreou c’è resistenza nei confronti del piano dell’UE-FMI”, ammette Paulina Lampsa, il segretario internazionale del partito. Ma la sensazione schiacciante all’interno del contingente parlamentare del partito è, usando una famosa espressione di Margaret Thatcher, “TINA: There Is No Alternative” [Non ci sono alternative, ndt].

Le conseguenze dell’obbedienza

Di fronte alle conseguenze selvagge del programma, un numero sempre crescente di greci parla di adottare la strategia di minacciare il default o un radicale riduzione unilaterale del debito. Un tale approccio potrebbe essere coordinato, dice Tsipras, con gli altri paesi europei oppressi dai debiti, come il Portogallo e la Spagna. L’Argentina potrebbe fare da modello: ha dato un taglio alla percentuale dei suoi creditori nel 2003, pagando solo 25 cent per ogni dollaro che gli doveva. Non solo l’Argentina se l’è cavata così, ma le risorse che altrimenti avrebbero costituito interessi del debito che il paese doveva pagare sono state incanalate nell’economia domestica, dando il via ad una crescita economica media annuale del 10% tra il 2003 ed il 2008.

La “Soluzione Argentina” è di certo piena di rischi. Ma arrendersi ha delle conseguenze dolorosamente chiare, se si esaminano i registri dei paesi che hanno sottoscritto il programma di assestamento del FMI. Sganciando annualmente circa il 25-30% del bilancio statale per i creditori stranieri, le Filippine sono entrate in un decennio di inattività nella metà degli anni ’80, dalla quale non si sono mai riprese e che l’hanno condannate ad un tasso permanente di povertà di più del 30%. Spremuto da misure di assestamento draconiane, il Messico è stato risucchiato in vent’anni di continua crisi economica, con conseguenze come il dilagante narcotraffico che l’ha portato sul punto di essere uno stato fallito. L’attuale stato della guerra di classe virtuale in Thailandia può essere in parte fatto risalire alle ricadute politiche della sofferenza economica imposte dal programma di austerità del FMI dieci anni fa.

L’assestamento della Grecia da parte di Bruxelles e del FMI mostra che il capitalismo finanziario alle prese con la crisi non rispetta più la divisione tra Nord e Sud. I cinici direbbero: “Benvenuta nel Terzo Mondo, Grecia”.

Ma questo non è il momento per il cinismo. Piuttosto, è un momento chiave per la solidarietà globale. Ci siamo tutti dentro, adesso.
DI WALDEN BELLO

Titolo originale: "Greek Mythology: The Real Story of the European Debt Crisis"

Fonte: http://www.yesmagazine.org

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