Siamo ormai all’Anno zero per la nostra disastrata compagnia di bandiera! Rotte le trattative su un’ipotesi di soluzione pasticciata, ricattatoria, ultimativa e senza prospettive industriali e finanziarie, ora si passa alla recriminazioni e ai venti di speranze, per uscire da una crisi decennale, che ha tanti padri (dai governi di centrosinistra a quelli, più colpevoli di centrodestra, al management, agli stessi sindacati interni).
Sono più che eclatanti i sondaggi pubblicati on-line da due quotidiani autorevoli, come Il Sole 24 ore e La Repubblica (addirittura 245 mila partecipanti!), che però nessun giornale stampato né tantomeno TV e Radio si sono finora premurati di rendere pubblici ( da qui giusta la critica denunciata da Articolo 21 sul “pensiero unico” andato in onda in questi giorni per additare le responsabilità solo alla CGIL, piloti e Partito Democratico!).
Rispetto ai roboanti atti di accusa degli esponenti del governo e dei sindacati allineati al nuovo “regime mediatico” (CISL di Bonanni, UIL di Angeletti e UGL della Polverini), si evince come almeno 300 mila persone abbiano decretato che la crisi del fallimento delle trattative e della crisi sarebbe dovuto per il 54% al governo in carica (Rep) e per il 35% sempre a Berlusconi (24 ore), le responsabilità del governo Prodi sarebbero invece minime (1% per il Sole, 2% per Rep). Più divergenti tra loro le imputazioni di responsabilità della crisi tra i votanti del Sole per quanto riguarda il ruolo negativo tenuto dai sindacati: 40%secondo il quotidiano confindustriale, 18% per Rep. Per quanto riguarda, invece, le responsabilità del management passato vengono additate per il 6% dal Sole e per il 19% da Rep.
Ci domandiamo, allora, il perché dell’aggressività e la monocultura antisindacale che promanano dai direttori di alcuni giornali invitati nei “salotti televisivi” di queste sere, che hanno fatto a gara per scaricare tutte le colpe su CGIL, piloti, opposizione di centrosinistra e governo Prodi. E’ chiaro che è in atto un allineamento culturale e politico dei grandi media (con alcune rarissime eccezioni) per creare un “nemico interno”, a favore della “politica dalle mani libere” del governo Berlusconi, che per la sua azione fatta di proclami duri, ultimatum e populismo neo-fascista riceve da alcuni sondaggi apprezzamenti strabilianti, spiazzando i partiti della destra storica, come Alleanza nazionale, e diventando sempre più il punto di riferimento dei sentimenti più retrivi ed allarmanti dell’elettorato di estrema destra.
Berlusconi in realtà si sta mangiando i suoi alleati, mentre il centrosinistra, l’opposizione tutta, stentano a trovare una linea d’azione unitaria e una visione nuova, moderna, realmente alternativa per proporre un progetto che salvi il nostro paese dalla deriva neo-conservatrice, fascistizzante.
L’allineamento dei grandi media precede e segue anche il rimescolamento di carte che negli ultimi mesi sta avvenendo nel mondo della grande finanza. Da tempo, anche durante la crisi di queste settimane dell’Alitalia, abbiamo scritto dei nuovi “padroni” di Mediobanca, il cosiddetto “salotto buono” della nostra finanza e dell’ingresso della famiglia Berlusconi nel tempio di Piazzetta Cuccia.
Ora i giochi si sono conclusi: la figlia del “lider maximo”, Marina Berlusconi, è entrata nel CDA di Mediobanca, il suo fido alleato Tronchetti Provera è diventato vicepresidente ed il “braccio di ferro” tra il big dei banchieri Profumo (unico supermanager ancora contrario alla politica economica del Cavaliere di Arcore) si è risolto con un “no contest” con l’altro uomo di potere Geronzi, presidente della società.
Questo significherà che le Assicurazioni Generali, la cassaforte di Mediobanca, continuerà a controllare con i suoi alleati Telecom (in crisi industriale e finanziaria, dovuta alla gestione Tronchetti Provera, che in pratica l’ha portata nelle braccia della spagnola Telefonica), RCS- Corriere della sera, ovvero il più grande gruppo editoriale italiano. Soprattutto, Mediobanca con i suoi soci del Patto di sindacato rappresenterà per i prossimi anni la nuova fisionomia dell’economia italiana, con un misto di conflitti di interessi e una ragnatela di incroci azionari che in pratica la portano ad essere il vero controllore dei destini imprenditoriali finanziari ed industriali nostrani.
Lo stato si affiancherà sempre più a questo salotto finanziario per tentare di risolvere le tante crisi dell’imprenditoria privata, con una miscela esplosiva di neo-interventismo statalista, aggravando le casse pubbliche facendo ricadere il peso dei “salvataggi2 sui contribuenti, come nel caso appunto di Alitalia.
Assisteremo anche ad un nuovo “risiko” di poteri forti sulle compagini azionarie dei grandi quotidiani e gruppi editoriali, tendenti ad uniformare i messaggi comunicativi per comprimere gli orientamenti dell’opinione pubblica a favore del “lider maximo”.
Era dunque facile prevedere un ruolo di Mediobanca anche nel tentativo di risolvere l’intrica crisi di Alitalia. Sarà quindi proprio Piazzetta Cuccia l’ultimo “cavaliere bianco” che correrà in soccorso di un Berlusconi in crisi di identità e di risorse, dopo che per mesi e mesi aveva fatto di tutto per osteggiare il governo Prodi nel tentativo per niente decisionista di trovare una soluzione (prima l’asta e poi l’opzione Air France-KLM), propagandando un progetto risolutivo (pari al fumo di un arrosto mal cotto) messo in piedi dal collaboratore storico del Cavaliere, quel Bruno Ermolli che è da sempre la vera mente affaristica di tutte le sue operazioni italiane ed estere.
Il “sogno azzurro” di Ermolli si è dissolto come la neve di primavera ai primi raggi del sole. Ma certo ora Mediobanca non potrà tirarsi indietro. Altrimenti Berlusconi perderà la faccia e i consensi.
“Il re è nudo”! Il monarca di Arcore ha spostato la “mondezza” di Napoli dal centro della città ai siti inquinati delle campagne circostanti, senza risolvere realmente la questione dello smaltimento dei rifiuti, ma con Alitalia siamo alla prova concreta di cosa intende questa maggioranza neo-conservativa quando cerca di mettere mano alle tante crisi dell’economia italiana.
“Siamo alla recessione!”, decreta con colpevole ritardo Confindustria; in realtà, siamo alla temutissima “Stagflazione”, ovvero a quella miscela esplosiva che unisce la recessione economica industriale, aggravata dai crack finanziari americani e non solo, con la crescita dell’inflazione (ormai il nostro paese, secondo gli istituti internazionali è in cima alla classifica europea!), la drastica contrazione dei consumi, la riduzione dei prezzi, il fallimento del sistema commerciale al consumo, i bassi salari e il ritorno della disoccupazione.
Si tratta di una bomba a tempo, che “il pasticciaccio brutto” sull’Alitalia sta alimentando come un detonatore e che rischia di far saltare qualsiasi equilibrio sociale nell’autunno incipiente. La crisi Alitalia, così, può diventare per Berlusconi e soci (alleati politici, amici in affari, media compiacenti) il personale “Vietnam” politico, anche se non si intravedono chi siano i “vietcong”, i coraggiosi militanti guidati negli anni Settanta dal presidente Ho Chi Minh e dal generale Vo Nguyem Giap, che riuscirono a sconfiggere gli aggressori americani.
Quando la crisi dei mutui verso novembre-dicembre arriverà al culmine anche in Italia, con le famiglie sempre più indebitate e raggirate dal decreto Tremonti di prolungare le rate con le banche (misure del tutto inefficienti e controproducenti per i consumatori, rispetto invece alla “portabilità” di mutui e conti correnti messe in atto dall’ex-ministro Bersani), sarà difficile gestire socialmente il malcontento, aggravato anche dal calo del potere di acquisto (i salari italiani sono del 30% in meno della media europea, dietro a Grecia e Spagna), dalle alte tasse e dalle incertezze occupazionali.
Chi saprà indicare strade alternative all’anarchia politica probabile? Il Partito Democratico di Veltroni è avvinghiato in un “solipsismo”, nel guardarsi l’ombelico organizzativo e programmatico, l’Italia dei valori di Di Pietro cerca di montare il ribellismo senza una visione strategica, la “sinistra radicale” ormai residuale e in cerca di sé stessa, il sindacato confederale si scopre più diviso, anche se la CGIL sta riprendendo un ruolo egemonico e riformista in molti settori lavorativi.
Comunque si risolva il caso Alitalia, e a questo punto si fa più realistico l’intervento insieme a Mediobanca di un compratore estero europeo che potrà usufruire di migliori condizioni legislative e finanziarie, è la crisi intera dell’economia italiana a preoccupare. Crisi aggravata dalla “liquefazione sociale”, dalla “barbarie culturale” (basta pensare al rifiuto dell’antifascismo come pietra miliare e unificante del paese, ribadito di nuovo dallo stresso Berlusconi!), e dall’assenza di strategie innovative e aderenti all’evoluzione del calderone sociale italiano da parte della sinistra democratica-riformista.
“Il capitalismo è morto” strillava qualche giorno fa in prima pagina il quotidiano “futurista” della destra berlusconia “Libero”, mutuando slogan sessantottini. Sta in realtà scomparendo tra le macerie il “protocapitalismo” neoliberista, quello portato in auge dalla scuola monetarista di Chicago di Milton Friedman, che fu adottata prima dal dittatore golpista Pinochet nel Cile del dopo-Allende e poi rivista e ammodernata da Reagan, Bush padre e figlio negli Stati Uniti, dalla conservatrice Tathcher e dal neo-laburista Blair in Gran Bretagna.
Molti vedono con grandi speranze l’evolversi delle elezioni americane di Novembre, nell’attesa che se vincesse Obama potrebbe ritornare una politica economica e sociale di stampo neo-keynesiana, una revisione aggiornata del welfarestate socialdemocratico. Ma se vincerà il neo-conservatore, repubblicano McCain?
E poi siamo davvero sicuri che ancora una volta può venire un esempio innovativo dal decadente impero statunitense? Le ricette si preparano e si sperimentano in casa propria, sulla base dell’esperienze locali e degli stimoli provenienti dalla globalizzazione. Forse il “laboratorio europeo”, nonostante tutto è ancora il più stimolante per uscire fuori dalla profonda crisi attuale.
E anche l’Alitalia potrà trovare la luce fuori dalle dense nebbie grazie a partnership europee, alla trasparenza dei rapporti sindacali, al rigetto della politica fatta solo di “ultimatum”, di “prendere o lasciare”, al rispetto delle regole e delle leggi.
Tornare a volare Alitalia, quindi, per tornare a volare con la speranza in un futuro senza populismi e imbarbarimenti.
di Gianni Rossi
Sono più che eclatanti i sondaggi pubblicati on-line da due quotidiani autorevoli, come Il Sole 24 ore e La Repubblica (addirittura 245 mila partecipanti!), che però nessun giornale stampato né tantomeno TV e Radio si sono finora premurati di rendere pubblici ( da qui giusta la critica denunciata da Articolo 21 sul “pensiero unico” andato in onda in questi giorni per additare le responsabilità solo alla CGIL, piloti e Partito Democratico!).
Rispetto ai roboanti atti di accusa degli esponenti del governo e dei sindacati allineati al nuovo “regime mediatico” (CISL di Bonanni, UIL di Angeletti e UGL della Polverini), si evince come almeno 300 mila persone abbiano decretato che la crisi del fallimento delle trattative e della crisi sarebbe dovuto per il 54% al governo in carica (Rep) e per il 35% sempre a Berlusconi (24 ore), le responsabilità del governo Prodi sarebbero invece minime (1% per il Sole, 2% per Rep). Più divergenti tra loro le imputazioni di responsabilità della crisi tra i votanti del Sole per quanto riguarda il ruolo negativo tenuto dai sindacati: 40%secondo il quotidiano confindustriale, 18% per Rep. Per quanto riguarda, invece, le responsabilità del management passato vengono additate per il 6% dal Sole e per il 19% da Rep.
Ci domandiamo, allora, il perché dell’aggressività e la monocultura antisindacale che promanano dai direttori di alcuni giornali invitati nei “salotti televisivi” di queste sere, che hanno fatto a gara per scaricare tutte le colpe su CGIL, piloti, opposizione di centrosinistra e governo Prodi. E’ chiaro che è in atto un allineamento culturale e politico dei grandi media (con alcune rarissime eccezioni) per creare un “nemico interno”, a favore della “politica dalle mani libere” del governo Berlusconi, che per la sua azione fatta di proclami duri, ultimatum e populismo neo-fascista riceve da alcuni sondaggi apprezzamenti strabilianti, spiazzando i partiti della destra storica, come Alleanza nazionale, e diventando sempre più il punto di riferimento dei sentimenti più retrivi ed allarmanti dell’elettorato di estrema destra.
Berlusconi in realtà si sta mangiando i suoi alleati, mentre il centrosinistra, l’opposizione tutta, stentano a trovare una linea d’azione unitaria e una visione nuova, moderna, realmente alternativa per proporre un progetto che salvi il nostro paese dalla deriva neo-conservatrice, fascistizzante.
L’allineamento dei grandi media precede e segue anche il rimescolamento di carte che negli ultimi mesi sta avvenendo nel mondo della grande finanza. Da tempo, anche durante la crisi di queste settimane dell’Alitalia, abbiamo scritto dei nuovi “padroni” di Mediobanca, il cosiddetto “salotto buono” della nostra finanza e dell’ingresso della famiglia Berlusconi nel tempio di Piazzetta Cuccia.
Ora i giochi si sono conclusi: la figlia del “lider maximo”, Marina Berlusconi, è entrata nel CDA di Mediobanca, il suo fido alleato Tronchetti Provera è diventato vicepresidente ed il “braccio di ferro” tra il big dei banchieri Profumo (unico supermanager ancora contrario alla politica economica del Cavaliere di Arcore) si è risolto con un “no contest” con l’altro uomo di potere Geronzi, presidente della società.
Questo significherà che le Assicurazioni Generali, la cassaforte di Mediobanca, continuerà a controllare con i suoi alleati Telecom (in crisi industriale e finanziaria, dovuta alla gestione Tronchetti Provera, che in pratica l’ha portata nelle braccia della spagnola Telefonica), RCS- Corriere della sera, ovvero il più grande gruppo editoriale italiano. Soprattutto, Mediobanca con i suoi soci del Patto di sindacato rappresenterà per i prossimi anni la nuova fisionomia dell’economia italiana, con un misto di conflitti di interessi e una ragnatela di incroci azionari che in pratica la portano ad essere il vero controllore dei destini imprenditoriali finanziari ed industriali nostrani.
Lo stato si affiancherà sempre più a questo salotto finanziario per tentare di risolvere le tante crisi dell’imprenditoria privata, con una miscela esplosiva di neo-interventismo statalista, aggravando le casse pubbliche facendo ricadere il peso dei “salvataggi2 sui contribuenti, come nel caso appunto di Alitalia.
Assisteremo anche ad un nuovo “risiko” di poteri forti sulle compagini azionarie dei grandi quotidiani e gruppi editoriali, tendenti ad uniformare i messaggi comunicativi per comprimere gli orientamenti dell’opinione pubblica a favore del “lider maximo”.
Era dunque facile prevedere un ruolo di Mediobanca anche nel tentativo di risolvere l’intrica crisi di Alitalia. Sarà quindi proprio Piazzetta Cuccia l’ultimo “cavaliere bianco” che correrà in soccorso di un Berlusconi in crisi di identità e di risorse, dopo che per mesi e mesi aveva fatto di tutto per osteggiare il governo Prodi nel tentativo per niente decisionista di trovare una soluzione (prima l’asta e poi l’opzione Air France-KLM), propagandando un progetto risolutivo (pari al fumo di un arrosto mal cotto) messo in piedi dal collaboratore storico del Cavaliere, quel Bruno Ermolli che è da sempre la vera mente affaristica di tutte le sue operazioni italiane ed estere.
Il “sogno azzurro” di Ermolli si è dissolto come la neve di primavera ai primi raggi del sole. Ma certo ora Mediobanca non potrà tirarsi indietro. Altrimenti Berlusconi perderà la faccia e i consensi.
“Il re è nudo”! Il monarca di Arcore ha spostato la “mondezza” di Napoli dal centro della città ai siti inquinati delle campagne circostanti, senza risolvere realmente la questione dello smaltimento dei rifiuti, ma con Alitalia siamo alla prova concreta di cosa intende questa maggioranza neo-conservativa quando cerca di mettere mano alle tante crisi dell’economia italiana.
“Siamo alla recessione!”, decreta con colpevole ritardo Confindustria; in realtà, siamo alla temutissima “Stagflazione”, ovvero a quella miscela esplosiva che unisce la recessione economica industriale, aggravata dai crack finanziari americani e non solo, con la crescita dell’inflazione (ormai il nostro paese, secondo gli istituti internazionali è in cima alla classifica europea!), la drastica contrazione dei consumi, la riduzione dei prezzi, il fallimento del sistema commerciale al consumo, i bassi salari e il ritorno della disoccupazione.
Si tratta di una bomba a tempo, che “il pasticciaccio brutto” sull’Alitalia sta alimentando come un detonatore e che rischia di far saltare qualsiasi equilibrio sociale nell’autunno incipiente. La crisi Alitalia, così, può diventare per Berlusconi e soci (alleati politici, amici in affari, media compiacenti) il personale “Vietnam” politico, anche se non si intravedono chi siano i “vietcong”, i coraggiosi militanti guidati negli anni Settanta dal presidente Ho Chi Minh e dal generale Vo Nguyem Giap, che riuscirono a sconfiggere gli aggressori americani.
Quando la crisi dei mutui verso novembre-dicembre arriverà al culmine anche in Italia, con le famiglie sempre più indebitate e raggirate dal decreto Tremonti di prolungare le rate con le banche (misure del tutto inefficienti e controproducenti per i consumatori, rispetto invece alla “portabilità” di mutui e conti correnti messe in atto dall’ex-ministro Bersani), sarà difficile gestire socialmente il malcontento, aggravato anche dal calo del potere di acquisto (i salari italiani sono del 30% in meno della media europea, dietro a Grecia e Spagna), dalle alte tasse e dalle incertezze occupazionali.
Chi saprà indicare strade alternative all’anarchia politica probabile? Il Partito Democratico di Veltroni è avvinghiato in un “solipsismo”, nel guardarsi l’ombelico organizzativo e programmatico, l’Italia dei valori di Di Pietro cerca di montare il ribellismo senza una visione strategica, la “sinistra radicale” ormai residuale e in cerca di sé stessa, il sindacato confederale si scopre più diviso, anche se la CGIL sta riprendendo un ruolo egemonico e riformista in molti settori lavorativi.
Comunque si risolva il caso Alitalia, e a questo punto si fa più realistico l’intervento insieme a Mediobanca di un compratore estero europeo che potrà usufruire di migliori condizioni legislative e finanziarie, è la crisi intera dell’economia italiana a preoccupare. Crisi aggravata dalla “liquefazione sociale”, dalla “barbarie culturale” (basta pensare al rifiuto dell’antifascismo come pietra miliare e unificante del paese, ribadito di nuovo dallo stresso Berlusconi!), e dall’assenza di strategie innovative e aderenti all’evoluzione del calderone sociale italiano da parte della sinistra democratica-riformista.
“Il capitalismo è morto” strillava qualche giorno fa in prima pagina il quotidiano “futurista” della destra berlusconia “Libero”, mutuando slogan sessantottini. Sta in realtà scomparendo tra le macerie il “protocapitalismo” neoliberista, quello portato in auge dalla scuola monetarista di Chicago di Milton Friedman, che fu adottata prima dal dittatore golpista Pinochet nel Cile del dopo-Allende e poi rivista e ammodernata da Reagan, Bush padre e figlio negli Stati Uniti, dalla conservatrice Tathcher e dal neo-laburista Blair in Gran Bretagna.
Molti vedono con grandi speranze l’evolversi delle elezioni americane di Novembre, nell’attesa che se vincesse Obama potrebbe ritornare una politica economica e sociale di stampo neo-keynesiana, una revisione aggiornata del welfarestate socialdemocratico. Ma se vincerà il neo-conservatore, repubblicano McCain?
E poi siamo davvero sicuri che ancora una volta può venire un esempio innovativo dal decadente impero statunitense? Le ricette si preparano e si sperimentano in casa propria, sulla base dell’esperienze locali e degli stimoli provenienti dalla globalizzazione. Forse il “laboratorio europeo”, nonostante tutto è ancora il più stimolante per uscire fuori dalla profonda crisi attuale.
E anche l’Alitalia potrà trovare la luce fuori dalle dense nebbie grazie a partnership europee, alla trasparenza dei rapporti sindacali, al rigetto della politica fatta solo di “ultimatum”, di “prendere o lasciare”, al rispetto delle regole e delle leggi.
Tornare a volare Alitalia, quindi, per tornare a volare con la speranza in un futuro senza populismi e imbarbarimenti.
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