27 settembre 2008
La finanza araba alla conquista di Europa e Stati Uniti
L’ultimo investimento degli sceicchi non è passato inosservato. La squadra di calcio Manchester City è stata comprata dalla società di investimento Abu Dhabi United Group per 250 milioni di euro. La stampa britannica ha parlato molto della recente acquisizione, poiché all’arrivo dei nuovi proprietari ha fatto seguito un altro evento straordinario, l’acquisto del giocatore Robinho per la cifra di 40 milioni di euro, la somma più alta mai pagata per un trasferimento nel calcio inglese. Il gruppo di Abu Dhabi non si limiterà solo a sanare i debiti della società, è intenzionata a comprare presto i migliori giocatori per formare la squadra più forte del mondo. L’artefice dell’investimento è il giovane Sulaiman Al Fahim, amministratore delegato della società di costruzioni Hydra Property. “Nei prossimi quattro mesi rinforzeremo il City in modo tale da renderlo irriconoscibile”, così ha dichiarato il nuovo presidente. Nessun acquisto sembra ora impossibile per il club calcistico più ricco del mondo.
L’ingresso di una compagnia araba nella Premier League inglese è solo uno dei più recenti acquisti condotti in Europa dai capitali del Golfo Persico. Negli ultimi anni società e fondi d’investimento arabi hanno rilevato di continuo quote di importati società e di listini di borsa. Secondo gli analisti economici, tali mosse servono per connettere le piazze d’affari del Medio Oriente con i più importanti mercati finanziari mondiali. Infatti, quando nel mese di giugno la borsa del Qatar ha stretto un accordo con il gruppo Nyse Euronext, holding alla quale appartiene la borsa di New York, il primo ministro qatarino Hamad bin Jassem al-Thani ha commentato così l’affare: “I nostri mercati finanziari faranno parte integrante di un gruppo che collega insieme i maggiori centri finanziari mondiali attraverso Europa e Stati Uniti ed ora anche attraverso il Medio Oriente”.
I capitali arabi sono sempre più interconnessi alle borse mondiali grazie ai numerosi investimenti condotti nelle compagnie statunitensi ed europee. Quando nel marzo 2006 la società Dubai Ports World comprò la britannica P&O, colosso mondiale nel settore portuale, la polemica politica negli Usa fu accesa. Una conseguenza dell’acquisizione sarebbe dovuto essere il controllo da parte della società araba dei maggiori porti della costa atlantica americana. L’arrivo del capitale di Dubai fu visto allora come un “problema di sicurezza nazionale” e il governo dovette bloccare l’investimento degli arabi relativo ai porti americani. Quella polemica è stata però un eccezione poiché, dal 2006 fino ad oggi, le società del Golfo Persico hanno compiuto senza ostacoli molte acquisizioni. Negli Stati Uniti e in Europa hanno portato ingenti liquidità, denaro che è stato accolto senza alcun rifiuto.
Un colosso finanziario che ha investito in società straniere è il fondo sovrano dell’emirato di Adu Dhabi, la Mubadala Development Company. Sono numerose le sigle che fanno parte del suo portafoglio, quote diffuse in molti settori. Il fondo dell’emirato è presente nei capitali di influenti compagnie americane in quanto possiede l’8% della Amd, la società che produce processori per computer, ha acquistato il 7,5% della Carlyle Group, l'importante firma del private equity, e ha stretto una joint venture con la General Electric. La Mubadala in Olanda ha investito nel settore automobilistico ottenendo il 17% della casa Spyker Cars e il 25% della LeasePlan Corporation, società di noleggio auto. In Italia ha comprato il 2% di Mediaset e il 35% di Piaggio Aero, l’azienda ligure di aeronautica.
L’acquisto che ha reso noto il fondo Mubadala nel nostro paese è però la quota del 5% nella Ferrari e la progettazione di un parco tematico dedicato alla casa di Maranello, Ferrari World, che sorgerà ad Abu Dhabi. Il fondo sovrano nel settore aeronautico ha stretto un accordo di collaborazione con il colosso aerospaziale statunitense Northrop Grumman e, nel campo dell’aviazione civile, è diventato azionista di maggioranza della SR Technics, società svizzera di manutenzione aerei. Per lo sviluppo edile della città di Abu Dhabi la Mubadala ha avviato legami con famose sigle straniere. Assieme all’americana Mgm Mirage, società che gestisce numerosi hotel a Las Vegas, sta progettando un MGM Grand Abu Dhabi. Inoltre si è rivolta all’Imperial College London e alla Cleveland Clinic per la realizzazione di moderne strutture ospedaliere.
Il governo di Abu Dhabi infatti, per arricchire la città con edifici capaci di attirare l’attenzione internazionale, ha stretto affari con celebri nomi, luoghi simbolo della cultura mondiale. Nell’emirato é già attiva una sede dell’università francese Sorbonne. Nell’area di Saadiyat Island, l’isola della felicità, sorgerà poi il più grande fra tutti i musei Guggenheim e sarà costruito il secondo museo Louvre. Quest’ultimo accordo è stato stipulato nonostante che in Francia oltre 5000 intellettuali abbiano firmato una petizione dal titolo “I musei non sono in vendita”.
Con i fondi degli emirati del Golfo però niente sembra impossibile. Anche i simboli della cultura america posso essere comprati con facilità, come è avvenuto lo scorso luglio quando la Abu Dhabi Investment Council è diventata la proprietaria del Chrysler Building, lo storico grattacielo di New York. La concorrenza degli arabi sta arrivando anche in un settore nel quale gli Usa sono leader mondiali, l’industria dei media. In futuro non ci sarà solo Hollywood ad ospitare le produzioni cinematografiche. La Abu Dhabi Media Company ha comprato quote della Warner Bross e, per la coproduzione di film, ha fondato la società Imagination Abu Dhabi, mentre nella vicina Dubailand è in programma la costruzione degli Universal Studios Dubai.
L’attenzione degli economisti è stata attirata proprio dai molti investimenti provenienti dagli Emirati Arabi Uniti verso le grandi compagnie americane. Lo scorso anno la Abu Dhabi Investment Authority ha rilevato il 4,9% di Citigroup, azienda in difficoltà dopo la crisi dei mutui subprime. Il colosso bancario ha gradito l’arrivo di 7,5 miliardi di dollari, somma che rappresenta il secondo investimento arabo nella compagnia poiché anche il principe saudita Walid bin Talal possiede una quota vicina al 5%. Il governo di Abu Dhabi ha inoltre stretto joint ventures con giganti del settore energetico come Exxon Mobil e Shell.
Un altro colosso finanziario proveniente dal Golfo Persico che ha avviato acquisizioni all’estero è il fondo sovrano Dubai International Capital, uno dei rami della Dubai Holding. Negli ultimi anni ha comprato il 4,9% della Sony, prima compagnia nel mondo per l’elettronica di consumo, e il 9,9% di Och-Ziff Capital Management Group, società americana che gestisce investimenti. Il fondo arabo ha rilevato quote di importati società come la banca inglese Hsbc, il gruppo automobilistico DaimlerChrysler, il gruppo produttore di componenti per la meccanica Doncasters Plc e gli alberghi dell’inglese Travelodge Hotels. Nel settore dell’aeronautica la Dubai International Capital è fortemente entrata nel mercato mondiale acquistando il 3,12% di Eads, il colosso aerospaziale europeo che controlla il consorzio Airbus. Quest’ultima società si è mostrata interessata all’affare poiché uno dei suoi maggiori clienti è proprio la Emirates, compagnia che le ha commissionato 55 velivoli del modello A380, il nuovo aereo di lusso con suites, letti e docce.
Non solo Abu Dhabi e Dubai sono i protagonisti di tali manovre economiche, anche i vicini stati si muovono nella medesima direzione. La Qatar Investment Authority ha acquistato il 5% della banca svizzera Credit Suisse e quote del gruppo finanziario Barclays, mentre il fondo sovrano del Kuwait è entrato nel capitale del colosso americano Merrill Lynch. I mercati finanziari del Golfo Persico sono dunque sempre più interconnessi alle piazze d’affari mondiali. Il fenomeno è stato reso evidente in particolare quando lo scorso anno la borsa di Dubai ha acquistato il 28% del Nasdaq e nello stesso periodo la Qatar Investment Authority ha rilevato il 20% della borsa di Londra e il 9,98% di Omx, la società che gestisce i listini azionari dei paesi scandinavi e baltici.
Per le piazze d’affari i capitali dei paesi del Golfo Persico sono ovunque benvoluti. Soprattutto negli ultimi tempi di crisi finanziaria negli Stati Uniti e in Europa, dopo il crollo dovuto ai mutui subprime, le recenti nazionalizzazioni di Fannie Mae e Freddie Mac e la bancarotta della Lehman Brothers, il bisogno di liquidità sembra oggi più che mai una risorsa essenziale. “Una boccata d’ossigeno”, proprio così molti analisti hanno definito ogni investimento proveniente dal Medio Oriente. E se senza ossigeno non si può vivere, probabilmente in futuro crescerà sempre di più l’influenza di banche e fondi del Golfo Persico sull’economia mondiale.
di Marco Montemurro
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27 settembre 2008
La finanza araba alla conquista di Europa e Stati Uniti
L’ultimo investimento degli sceicchi non è passato inosservato. La squadra di calcio Manchester City è stata comprata dalla società di investimento Abu Dhabi United Group per 250 milioni di euro. La stampa britannica ha parlato molto della recente acquisizione, poiché all’arrivo dei nuovi proprietari ha fatto seguito un altro evento straordinario, l’acquisto del giocatore Robinho per la cifra di 40 milioni di euro, la somma più alta mai pagata per un trasferimento nel calcio inglese. Il gruppo di Abu Dhabi non si limiterà solo a sanare i debiti della società, è intenzionata a comprare presto i migliori giocatori per formare la squadra più forte del mondo. L’artefice dell’investimento è il giovane Sulaiman Al Fahim, amministratore delegato della società di costruzioni Hydra Property. “Nei prossimi quattro mesi rinforzeremo il City in modo tale da renderlo irriconoscibile”, così ha dichiarato il nuovo presidente. Nessun acquisto sembra ora impossibile per il club calcistico più ricco del mondo.
L’ingresso di una compagnia araba nella Premier League inglese è solo uno dei più recenti acquisti condotti in Europa dai capitali del Golfo Persico. Negli ultimi anni società e fondi d’investimento arabi hanno rilevato di continuo quote di importati società e di listini di borsa. Secondo gli analisti economici, tali mosse servono per connettere le piazze d’affari del Medio Oriente con i più importanti mercati finanziari mondiali. Infatti, quando nel mese di giugno la borsa del Qatar ha stretto un accordo con il gruppo Nyse Euronext, holding alla quale appartiene la borsa di New York, il primo ministro qatarino Hamad bin Jassem al-Thani ha commentato così l’affare: “I nostri mercati finanziari faranno parte integrante di un gruppo che collega insieme i maggiori centri finanziari mondiali attraverso Europa e Stati Uniti ed ora anche attraverso il Medio Oriente”.
I capitali arabi sono sempre più interconnessi alle borse mondiali grazie ai numerosi investimenti condotti nelle compagnie statunitensi ed europee. Quando nel marzo 2006 la società Dubai Ports World comprò la britannica P&O, colosso mondiale nel settore portuale, la polemica politica negli Usa fu accesa. Una conseguenza dell’acquisizione sarebbe dovuto essere il controllo da parte della società araba dei maggiori porti della costa atlantica americana. L’arrivo del capitale di Dubai fu visto allora come un “problema di sicurezza nazionale” e il governo dovette bloccare l’investimento degli arabi relativo ai porti americani. Quella polemica è stata però un eccezione poiché, dal 2006 fino ad oggi, le società del Golfo Persico hanno compiuto senza ostacoli molte acquisizioni. Negli Stati Uniti e in Europa hanno portato ingenti liquidità, denaro che è stato accolto senza alcun rifiuto.
Un colosso finanziario che ha investito in società straniere è il fondo sovrano dell’emirato di Adu Dhabi, la Mubadala Development Company. Sono numerose le sigle che fanno parte del suo portafoglio, quote diffuse in molti settori. Il fondo dell’emirato è presente nei capitali di influenti compagnie americane in quanto possiede l’8% della Amd, la società che produce processori per computer, ha acquistato il 7,5% della Carlyle Group, l'importante firma del private equity, e ha stretto una joint venture con la General Electric. La Mubadala in Olanda ha investito nel settore automobilistico ottenendo il 17% della casa Spyker Cars e il 25% della LeasePlan Corporation, società di noleggio auto. In Italia ha comprato il 2% di Mediaset e il 35% di Piaggio Aero, l’azienda ligure di aeronautica.
L’acquisto che ha reso noto il fondo Mubadala nel nostro paese è però la quota del 5% nella Ferrari e la progettazione di un parco tematico dedicato alla casa di Maranello, Ferrari World, che sorgerà ad Abu Dhabi. Il fondo sovrano nel settore aeronautico ha stretto un accordo di collaborazione con il colosso aerospaziale statunitense Northrop Grumman e, nel campo dell’aviazione civile, è diventato azionista di maggioranza della SR Technics, società svizzera di manutenzione aerei. Per lo sviluppo edile della città di Abu Dhabi la Mubadala ha avviato legami con famose sigle straniere. Assieme all’americana Mgm Mirage, società che gestisce numerosi hotel a Las Vegas, sta progettando un MGM Grand Abu Dhabi. Inoltre si è rivolta all’Imperial College London e alla Cleveland Clinic per la realizzazione di moderne strutture ospedaliere.
Il governo di Abu Dhabi infatti, per arricchire la città con edifici capaci di attirare l’attenzione internazionale, ha stretto affari con celebri nomi, luoghi simbolo della cultura mondiale. Nell’emirato é già attiva una sede dell’università francese Sorbonne. Nell’area di Saadiyat Island, l’isola della felicità, sorgerà poi il più grande fra tutti i musei Guggenheim e sarà costruito il secondo museo Louvre. Quest’ultimo accordo è stato stipulato nonostante che in Francia oltre 5000 intellettuali abbiano firmato una petizione dal titolo “I musei non sono in vendita”.
Con i fondi degli emirati del Golfo però niente sembra impossibile. Anche i simboli della cultura america posso essere comprati con facilità, come è avvenuto lo scorso luglio quando la Abu Dhabi Investment Council è diventata la proprietaria del Chrysler Building, lo storico grattacielo di New York. La concorrenza degli arabi sta arrivando anche in un settore nel quale gli Usa sono leader mondiali, l’industria dei media. In futuro non ci sarà solo Hollywood ad ospitare le produzioni cinematografiche. La Abu Dhabi Media Company ha comprato quote della Warner Bross e, per la coproduzione di film, ha fondato la società Imagination Abu Dhabi, mentre nella vicina Dubailand è in programma la costruzione degli Universal Studios Dubai.
L’attenzione degli economisti è stata attirata proprio dai molti investimenti provenienti dagli Emirati Arabi Uniti verso le grandi compagnie americane. Lo scorso anno la Abu Dhabi Investment Authority ha rilevato il 4,9% di Citigroup, azienda in difficoltà dopo la crisi dei mutui subprime. Il colosso bancario ha gradito l’arrivo di 7,5 miliardi di dollari, somma che rappresenta il secondo investimento arabo nella compagnia poiché anche il principe saudita Walid bin Talal possiede una quota vicina al 5%. Il governo di Abu Dhabi ha inoltre stretto joint ventures con giganti del settore energetico come Exxon Mobil e Shell.
Un altro colosso finanziario proveniente dal Golfo Persico che ha avviato acquisizioni all’estero è il fondo sovrano Dubai International Capital, uno dei rami della Dubai Holding. Negli ultimi anni ha comprato il 4,9% della Sony, prima compagnia nel mondo per l’elettronica di consumo, e il 9,9% di Och-Ziff Capital Management Group, società americana che gestisce investimenti. Il fondo arabo ha rilevato quote di importati società come la banca inglese Hsbc, il gruppo automobilistico DaimlerChrysler, il gruppo produttore di componenti per la meccanica Doncasters Plc e gli alberghi dell’inglese Travelodge Hotels. Nel settore dell’aeronautica la Dubai International Capital è fortemente entrata nel mercato mondiale acquistando il 3,12% di Eads, il colosso aerospaziale europeo che controlla il consorzio Airbus. Quest’ultima società si è mostrata interessata all’affare poiché uno dei suoi maggiori clienti è proprio la Emirates, compagnia che le ha commissionato 55 velivoli del modello A380, il nuovo aereo di lusso con suites, letti e docce.
Non solo Abu Dhabi e Dubai sono i protagonisti di tali manovre economiche, anche i vicini stati si muovono nella medesima direzione. La Qatar Investment Authority ha acquistato il 5% della banca svizzera Credit Suisse e quote del gruppo finanziario Barclays, mentre il fondo sovrano del Kuwait è entrato nel capitale del colosso americano Merrill Lynch. I mercati finanziari del Golfo Persico sono dunque sempre più interconnessi alle piazze d’affari mondiali. Il fenomeno è stato reso evidente in particolare quando lo scorso anno la borsa di Dubai ha acquistato il 28% del Nasdaq e nello stesso periodo la Qatar Investment Authority ha rilevato il 20% della borsa di Londra e il 9,98% di Omx, la società che gestisce i listini azionari dei paesi scandinavi e baltici.
Per le piazze d’affari i capitali dei paesi del Golfo Persico sono ovunque benvoluti. Soprattutto negli ultimi tempi di crisi finanziaria negli Stati Uniti e in Europa, dopo il crollo dovuto ai mutui subprime, le recenti nazionalizzazioni di Fannie Mae e Freddie Mac e la bancarotta della Lehman Brothers, il bisogno di liquidità sembra oggi più che mai una risorsa essenziale. “Una boccata d’ossigeno”, proprio così molti analisti hanno definito ogni investimento proveniente dal Medio Oriente. E se senza ossigeno non si può vivere, probabilmente in futuro crescerà sempre di più l’influenza di banche e fondi del Golfo Persico sull’economia mondiale.
di Marco Montemurro
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